il singolo condomino

Il singolo condomino può proporre querela Il singolo condomino è legittimato alla proposizione della querela, anche in via concorrente o surrogatoria rispetto all'amministratore

Singolo condomino e querela

Il singolo condomino è legittimato a proporre querela, anche in via concorrente o eventualmente surrogatoria rispetto all’amministratore del condominio, per i reati commessi in danno del patrimonio comune. Lo ha ribadito la seconda sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 44374/2024.

La vicenda

Nella vicenda, il Tribunale di Napoli, dichiarava non doversi procedere nei confronti di una condomina in ordine al reato di cui all’art. 646 cod.pen. alla stessa ascritto per intervenuta remissione di querela. Avverso detta sentenza, proponeva ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di Napoli deducendo violazione di legge ni relazione all’art. 154 cod.pen. per essere stata dichiarata l’estinzione del reato benche la remissione di querela non fosse stata ratificata da due degli originali querelanti individuati nei condomini.

La decisione

Per la Cassazione, il ricorso è fondato e deve pertanto essere accolto. Invero, affermano dalla S.C., “ai sensi della disciplina dettata dall’art. 154 cod.pen., se la querela è stata proposta da più persone, il reato non si estingue se non interviene la remissione di tutti i querelanti”. E nel caso in esame nell’esposizione delle ragioni della decisione lo stesso tribunale da atto che, pur a fronte di una querela sporta da otto condomini dell’immobile solo sei avevano rimesso la querela, mentre altri non risultano avere operato detta scelta.
A proposito va innanzi tutto ricordato, ricordano dal Palazzaccio, come sia stato affermato che “il singolo condomino è legittimato ala proposizione della querela, anche in via concorrente o eventualmente surrogatoria rispetto all’amministratore del condominio, per i reati commessi in danno del patrimonio comune” (cfr. Cass. n. 45902/2021).
Ne consegue pertanto che in assenza di remissione da parte di tutti i condomini querelanti il giudice di primo grado non poteva dichiarare l’estinzione del reato. Né può ritenersi operare, cosi come prospettato dal procuratore generale e dalla difesa dell’imputata, un’ipotesi di remissione tacita da parte dei due condomini non remittenti. La parola va al giudice del rinvio.

Allegati

giurista risponde

Bancarotta fraudolenta: individuazione dei soggetti di cui agli artt. 216 e 223 L.F. Con riferimento ai reati in materia fallimentare, quali elementi vanno valorizzati al fine di individuare i destinatari delle norme di cui agli artt. 216 e 223 della legge fallimentare (R.D. 16 marzo 1942, n. 267)?

Quesito con risposta a cura di Stella Maria Liguori e Claudia Nitti

 

In tema di bancarotta fraudolenta, i destinatari delle norme di cui agli artt. 216 e 223 l. fall. vanno individuati sulla base delle concrete funzioni esercitate, non già rapportandosi alle mere qualifiche formali ovvero alla rilevanza degli atti posti in essere in adempimento della qualifica ricoperta (Cass., sez. V, 2 ottobre 2024 n. 36582).

Nel caso di specie, la Suprema Corte è stata chiamata a valutare la correttezza della scelta di attribuire all’imputato la qualità di amministratore di fatto di una società poi fallita, alla quale è seguita, in primo e secondo grado, la condanna per i reati di bancarotta fraudolenta patrimoniale per distrazione (art. 216 l. fall.), di bancarotta impropria (art. 223 l. fall), nonché di rilascio di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti (art. 8 D.Lgs. 74/2000).

Viene quindi proposto ricorso per Cassazione, contestando l’erronea attribuzione all’imputato della qualità di amministratore di fatto della società fallita.

In particolare, si obiettava la mancata considerazione di elementi ritenuti di valore decisivo ai fini della esclusione del riconoscimento di tale qualità in capo all’imputato.

La Suprema Corte, nella decisione de qua, rigettando il ricorso, ha ricordato gli elementi alla luce dei quali poter dedurre, in tema di reati fallimentari, la sussistenza in capo al reo della qualifica di amministratore di fatto, tutti fondati sulle funzioni e sulle attività concretamente esercitate dal soggetto agente, a prescindere dalla veste formalmente assunta.

Tra questi, a titolo esemplificativo, si è citato l’organico inserimento del soggetto, quale “intraneus” che svolge funzioni gerarchiche e direttive, nell’iter di organizzazione, produzione e commercializzazione di beni e servizi; la gestione dei rapporti di lavoro con i dipendenti, dei rapporti materiali e negoziali con i finanziatori, i fornitori e i clienti; ovvero, l’ideazione e l’organizzazione di un sistema fraudolento basato sull’utilizzo di una società quale schermo per realizzare condotte truffaldine, finalizzate al reperimento di risorse poi distratte.

La Suprema Corte ha, in primo luogo, ritenuto che il giudice di secondo grado abbia fatto buon governo degli elementi fin qui richiamati, attribuendo correttamente all’imputato la qualifica di amministratore di fatto della società poi fallita, e, in secondo luogo, ricordando un condivisibile orientamento della giurisprudenza di legittimità, ha affermato che non è censurabile in sede di legittimità la sentenza che indichi con adeguatezza e logicità le circostanze e le emergenze processuali che siano state determinanti per la formazione del convincimento del giudice e che consentano l’individuazione dell’iter logico-giuridico seguito per addivenire alla statuizione adottata.

Nel caso di specie, avendo ritenuto corretta l’attribuzione, operata dai giudici di merito, all’imputato della qualità di amministratore di fatto della società fallita, utilizzata quale schermo per commettere i reati fallimentari e tributari a lui ascritti, la Cassazione ha rigettato il ricorso.

 

(*Contributo in tema di “Bancarotta fraudolenta: individuazione dei soggetti di cui agli artt. 216 e 223 Legge Fallimentare”, a cura di Stella Maria Liguori e Claudia Nitti, estratto da Obiettivo Magistrato n. 79 / Novembre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

avvocato e grafologo

Avvocato e grafologo: c’è incompatibilità? Il parere del Consiglio Nazionale Forense sulla compatibilità tra la professione di avvocato e l'attività di grafologo

Compatibilità avvocato e grafologo

Avvocato e grafologo: il Consiglio Nazionale Forense (CNF), con il parere n. 41/2024, ha fornito una chiara risposta al quesito posto dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati (COA) di Perugia in merito alla compatibilità tra l’esercizio della professione di avvocato e l’attività libero-professionale di grafologo. La questione si inserisce nel quadro normativo delineato dall’articolo 18 della legge n. 247/2012, che disciplina le ipotesi di incompatibilità con l’iscrizione all’albo forense.

La normativa di riferimento

La professione di grafologo è regolamentata dalla legge n. 4/2013, che disciplina le professioni non organizzate in ordini o collegi. Secondo l’articolo 1, comma 2, di tale legge, queste professioni consistono in “attività economiche, anche organizzate, volte alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitate abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo, con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell’articolo 2229 del codice civile”.

La stessa legge prevede, all’articolo 3, che i professionisti esercenti tali attività possano costituire associazioni professionali di natura privatistica su base volontaria. Tuttavia, l’iscrizione a tali associazioni non configura un’iscrizione ad un albo professionale, come previsto dall’articolo 18, lettera a), della legge n. 247/2012.

Il parere del CNF

Richiamandosi al proprio precedente parere n. 36/2017, il CNF ha ribadito che l’attività di grafologo non comporta incompatibilità con la professione forense. Questo perché:

  1. Non si tratta di un’attività riservata a soggetti iscritti in albi o collegi: la professione di grafologo rientra tra quelle disciplinate dalla legge n. 4/2013, che regolamenta le professioni non organizzate in ordini o collegi.
  2. L’iscrizione a un’associazione professionale è facoltativa: il professionista può scegliere liberamente se aderire a un’associazione professionale, senza che tale scelta condizioni la legittimità dell’attività svolta.
  3. Non si integra una causa di incompatibilità ai sensi dell’articolo 18 della legge n. 247/2012: l’iscrizione ad un’associazione professionale, non essendo equivalente a quella ad un albo professionale, non rientra tra le ipotesi di incompatibilità previste dalla normativa forense.

Avvocato e grafologo, nessuna incompatibilità

Il CNF ha dunque fornito una risposta positiva al quesito del COA di Perugia, chiarendo che un avvocato può esercitare anche l’attività di grafologo senza incorrere in incompatibilità. Tuttavia, rimangono ferme le altre cause di incompatibilità previste dall’articolo 18 della legge n. 247/2012, che devono essere rispettate.

tirocini alla corte europea

Tirocini alla Corte Europea Come funzionano e a chi sono rivolti i tirocini alla Corte Europea e come fare domanda per partecipare

Tirocini alla Corte Europea: come funzionano

I neolaureati o i magistrati nazionali hanno l’opportunità di svolgere un programma di tirocinio (stage) presso la Corte di giustizia dell’Unione europea, l’istituzione giudiziaria dell’UE che garantisce il rispetto del diritto dell’Unione per 450 milioni di cittadini. Si tratta di un programma che consente di arricchire la propria formazione, contribuendo altresì alle attività della Corte, in un contesto stimolante, europeo e multilingue. Inoltre, si legge sul sito della Curia, “sarà possibile conoscere altri neolaureati tirocinanti o magistrati, condividendo i valori comuni dell’Unione fondati sulla democrazia, lo Stato di diritto e il rispetto dei diritti fondamentali”.

Tirocini per neolaureati

L’obiettivo dei tirocini per neolaureati è la formazione del tirocinante alle attività dell’istituzione e lo svolgimento da parte del tirocinante di compiti a beneficio di quest’ultima.

È offerto un numero limitato di tirocini, circa 200 all’anno. Essi possono essere svolti nei gabinetti dei Membri (giudici e avvocati generali) e hanno una durata dai 3 ai 5 mesi, oppure nei servizi dell’istituzione, avendo una durata di 5 mesi.

Il tirocinante è soggetto a un obbligo di riservatezza, nel corso e al termine del suo tirocinio, in merito ai fatti e ai documenti interni dell’istituzione di cui ha avuto conoscenza.

Tirocini nei gabinetti dei giudici e avvocati generali

I tirocini nei gabinetti si rivolgono in particolare ai neolaureati in giurisprudenza che dispongono idealmente di una formazione in diritto dell’Unione. Nell’ambito delle sue funzioni, il tirocinante sarà chiamato a partecipare all’attività del gabinetto, svolgendo compiti diversi in relazione alle cause seguite dal Membro presso il cui gabinetto il tirocinante è stato assegnato e che non sono ancora in fase di deliberazione.

Tirocini nei servizi

Presso i servizi dell’Istituzione che accolgono tirocinanti, come la direzione delle risorse umane, del bilancio (ecc.), questi ultimi hanno la possibilità di scoprire le particolari funzioni svolte in essi e di applicare le conoscenze acquisite nel corso dei loro studi. Essi partecipano attivamente allo svolgimento dei compiti che sono loro assegnati in tale contesto, sotto la supervisione di funzionari esperti.

I tirocini presso il servizio dell’Interpretazione

I tirocini presso il servizio dell’Interpretazione, della durata da dieci a dodici settimane, si rivolgono in particolare ai neolaureati in interpretazione di conferenza. L’obiettivo è quello di consentire ai giovani interpreti di essere seguiti nel loro perfezionamento nell’interpretazione, segnatamente di contenuti giuridici, che implica, nel contempo, la preparazione dei fascicoli, un lavoro di ricerca terminologica ed esercitazioni pratiche in «cabina muta». I candidati devono possedere almeno la conoscenza di due lingue passive o di una seconda lingua attiva. Si richiede la conoscenza del francese letto. La selezione dei candidati viene effettuata una volta all’anno per l’intero anno giudiziario (deposito delle candidature dal 1º luglio al 15 settembre di ogni anno).

Requisiti di ammissione

Tra i requisiti di ammissione è indispensabile:

– Essere cittadino di uno Stato membro dell’Unione europea, fatte salve deroghe debitamente giustificate.

– Essere in possesso di un diploma di laurea in giurisprudenza, in scienze politiche o in economia o in un settore affine (o, in ipotesi eccezionali, di una formazione equivalente).

– Avere una conoscenza approfondita di una lingua ufficiale dell’Unione europea e una buona conoscenza di un’altra lingua ufficiale dell’Unione europea. Per ragioni di servizio, è auspicabile una buona conoscenza del francese.

– Non aver già beneficiato di un tirocinio (retribuito oppure no) presso un’istituzione o un organo dell’Unione.

Retribuzione

L’importo netto della borsa riconosciuta ammonta ad euro 1554,00 al mese. Esso non è sottoposto al regime fiscale applicabile ai funzionari e agli altri agenti dell’Unione europea. Ai tirocinanti il cui luogo di residenza è situato a una distanza geografica di 200 km o più dalla sede della Corte di giustizia dell’Unione europea viene corrisposto un contributo alle spese di viaggio pari ad EUR 150,00.

Come candidarsi

Per i tirocini che si svolgono nel periodo compreso tra il 1º marzo e il 31 luglio, le candidature devono essere depositate dal 1º luglio al 15 settembre dell’anno precedente.

Per i tirocini che si svolgono nel periodo compreso tra il 16 settembre e il 15 febbraio (per i tirocini nei gabinetti) o dal 1º ottobre a fine febbraio (per i tirocini nei servizi), le candidature devono essere depositate dal 1º febbraio al 15 aprile dello stesso anno.

Le candidature devono essere presentate tramite l’applicazione EU CV Online ed essere corredate di un curriculum vitae dettagliato.

Tirocini per i magistrati nazionali

La Corte accoglie, in qualità di tirocinanti, magistrati nazionali nell’ambito del programma di scambi organizzato dalla Rete europea di formazione giudiziaria (European Judicial Training Network; EJTN), entro un massimo di 15 magistrati all’anno.

I tirocini dei magistrati nazionali si svolgono nei gabinetti dei Membri della Corte di giustizia e del Tribunale o presso la Direzione della Ricerca e della documentazione (DRD). Essi hanno una durata di 6 o 12 mesi. I magistrati nazionali sono chiamati a svolgere le stesse funzioni esercitate, a seconda del contesto del tirocinio, dai referendari o dagli amministratori della DRD.

Il magistrato nazionale è soggetto ad un obbligo di riservatezza, nel corso e al termine del suo tirocinio, in merito a tutti i fatti e documenti interni di cui ha avuto conoscenza. Egli si impegna a non pubblicare né a far pubblicare alcun documento in relazione al suo tirocinio.

Requisiti di ammissione

I requisiti di ammissione necessari sono i seguenti:

– Aver svolto le funzioni di magistrato (giudice o pubblico ministero) in uno Stato membro dell’Unione europea per almeno un anno.

– Avere una certa conoscenza del diritto dell’Unione.

– Avere una perfetta conoscenza di una lingua ufficiale dell’Unione europea e un livello adeguato di conoscenza della lingua francese al fine di essere in grado di collaborare con i Membri della Corte di giustizia e del Tribunale nel trattamento dei fascicoli e nella redazione delle decisioni.

Retribuzione

Il magistrato nazionale scelto per un tirocinio non è retribuito né indennizzato da parte della Corte. Egli percepisce un’indennità giornaliera finanziata dall’EJTN.

Come presentare la propria candidatura

Le candidature devono essere presentate presso l’EJTN – tirocini di lunga durata

piattaforma send

Piattaforma Send per le notifiche digitali L'Inps ha reso nota l'adesione alla Piattaforma Send per le notifiche digitali degli atti della Pubblica amministrazione

Piattaforma Send per le notifiche

L’Inps con il messaggio n. 4121 del 5 dicembre 2024 ha reso nota l’adesione alla Piattaforma Send per la notificazione degli atti della pubblicazione amministrazione.

La piattaforma, prevista dall’art. 1 comma 402 della legge finanziaria 2020, è stata prevista dal decreto Semplificazioni (dl n., 76/2020) ed è accessibile dai destinatari direttamente (tramite Spid) o App IO,
Attraverso Send si garantisce, spiega l’Inps, la “certezza degli effetti giuridici della notifica anche se è stato depositato in piattaforma il relativo avviso di mancato recapito o in caso di irreperibilità assoluta del destinatario”.

Le prime notifiche tramite SEND sono effettuate a partire da dicembre 2024 relative ai provvedimenti di Riscatti, Ricongiunzioni e Rendite della gestione privata; a seguire, di rinuncia, rigetto, decadenza, revoca ADI/SFL 2024 e recuperi di somme non dovute quali bonus indennità una tantum Area Pensioni.

notifica al difensore

Notifica al difensore e non al detenuto: nullità sanabile La notifica al difensore è possibile ex art. 161 comma 4 c.p.p. se la notifica al domicilio dichiarato è impossibile

Notifica al difensore e non al detenuto

La notifica effettuata al difensore non al detenuto integra una nullità sanabile (cfr. art. 161 comma 4 c.p.p.). Questo si ricava dalla sentenza n. 35786/2024 della sesta sezione penale della Cassazione.

La vicenda

Nella vicenda, la Corte di appello di Potenza confermava la condanna emessa a carico del ricorrente in ordine al reato di cui all’art. 570, comma secondo, n. 2, cod. pen., commesso mediante l’omesso versamento dell’assegno mensile di mantenimento disposto in favore del figlio minore.
Avverso tale sentenza, il ricorrente adiva il Palazzaccio lamentando tra le altre cose, oltre allo stato di disoccupazione, l’omesso riconoscimento della particolare tenuità del fatto, in relazione alla quale era positivamente valutabile il suo stato di indigenza, nonchè l’omessa notifica del decreto di citazione per il giudizio di appello, posto che la notifica presso il domicilio eletto non si perfezionava, né andava a buon fine la notifica agli ulteriori indizi presso i quali si riteneva che l’imputato potesse essere rintracciato.

La decisione

Per gli Ermellini, il ricorso è manifestamente infondato. Rigettate tutte le doglianze correttamente valutate dalla Corte di merito, sul fronte della corretta vocatio in iudicium per il giudizio di appello, i giudici della S.C. evidenziano che la doglianza, tuttavia, risulta del tutto generica e non si confronta con la puntuale specificazione contenuta nella sentenza d’appello, dove si dà atto che il tentativo di notifica del decreto di citazione a giudizio presso il domicilio dichiarato è risultato impossibile. A fronte dell’inidoneità del domicilio dichiarato, pertanto, la notifica è stata correttamente eseguita ai sensi dell’art. 161, comma 4, cod, proc. pen.

Il ricorso è quindi dichiarato inammissibile e il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

Allegati

spese sanità

Spese sanità: prima vanno sacrificate le altre spese Prima di sacrificare le spese per la sanità, afferma la Consulta vanno prioritariamente ridotte le altre spese indistinte

Spese sanità: l’intervento della Consulta

Spese sanità: prima di sacrificarle devono essere prioritariamente ridotte le altre spese indistinte. In un contesto di risorse scarse, «per fare fronte a esigenze di contenimento della spesa pubblica dettate anche da vincoli euro unitari, devono essere prioritariamente ridotte le altre spese indistinte, rispetto a quella che si connota come funzionale a garantire il “fondamentale” diritto alla salute di cui all’art. 32 Cost., che chiama in causa imprescindibili esigenze di tutela anche delle fasce più deboli della popolazione, non in grado di accedere alla spesa sostenuta direttamente dal cittadino, cosiddetta out of pocket». È quanto si legge nella sentenza n. 195/2024, con cui la Corte costituzionale ha deciso il ricorso della Regione Campania avverso l’art. 1, commi 527 e 557, della legge 30 dicembre 2023, n. 213 (Bilancio di previsione dello Stato per l’anno finanziario 2024 e bilancio pluriennale per il triennio 2024-2026).

Spese sanità: le questioni

La Corte ha dichiarato non fondate diverse questioni, che riguardavano la legittimità della misura, le modalità e la durata del concorso delle regioni agli obiettivi di finanza pubblica, stabilite dalla legge di bilancio 2024 nelle more della nuova governance economica europea, che, peraltro, mostrano la volontà del legislatore statale di non far gravare il suddetto contributo sulle spese relative alla missione 12, Diritti sociali, politiche sociali e famiglia, e alla missione 13, Tutela della salute.

La sentenza ha però sollecitato il legislatore, al fine di «scongiurare l’adozione di “tagli al buio”», ad «acquisire adeguati elementi istruttori sulla sostenibilità dell’importo del contributo da parte degli enti ai quali viene richiesto» e a non trascurare, per garantire maggiore effettività al principio di leale collaborazione, il coinvolgimento della Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica, di cui l’art. 5 della legge 5 maggio 2009, n. 42.

Illegittimità costituzionale art. 1, co. 527, legge bilancio 2024

La sentenza ha poi dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 527, quinto periodo, della legge di bilancio per il 2024, ma solo nella parte in cui non esclude dalle risorse che è possibile ridurre, a seguito del mancato versamento del contributo dovuto da parte delle regioni, quelle spettanti per il finanziamento dei diritti sociali, delle politiche sociali e della famiglia e, in particolare, della tutela della salute.

Ciò in quanto, «nemmeno nel caso in cui la regione non abbia versato la propria quota del contributo alla finanza pubblica, lo Stato può “rispondere” tagliando risorse destinate alla spesa costituzionalmente necessaria, tra cui quella sanitaria – già, peraltro, in grave sofferenza per l’effetto, come si è visto, delle precedenti stagioni di arditi tagli lineari – dovendo quindi agire su altri versanti che non rivestono il medesimo carattere»: il diritto alla salute, infatti, «coinvolgendo primarie esigenze della persona umana», non può essere sacrificato «fintanto che esistono risorse che il decisore politico ha la disponibilità di utilizzare per altri impieghi che non rivestono la medesima priorità».

Illegittimità costituzionale art. 1 comma 557 l. 213/2023

Da ultimo, la sentenza ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 557 dell’art. 1 della legge n. 213 del 2023, nella parte in cui non prevede che il decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, diretto a individuare i criteri e le modalità di riparto, nonché il sistema di monitoraggio dell’impiego delle somme, del «Fondo per i test di Next-Generation Sequencing per la diagnosi delle malattie rare», sia adottato d’intesa con la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome di Trento e di Bolzano.

pignoramento della pensione

Pignoramento della pensione: limiti Il pignoramento della pensione è soggetto a specifici limiti per garantire al titolare il minimo vitale per il suo sostentamento

Cos’è il pignoramento della pensione

Il pignoramento della pensione è un argomento di grande interesse per molti pensionati italiani, soprattutto per coloro che si trovano in difficoltà economiche e rischiano di vedere una parte della propria pensione decurtata per estinguere alcuni debiti.

In questo contesto, l’articolo 545 del Codice di Procedura Civile stabilisce i limiti e le modalità con cui è possibile procedere al pignoramento delle somme erogate come pensione.

Cosa dice l’articolo 545 del Codice di Procedura Civile

L’articolo 545 del Codice di procedura civile regola il pignoramento dei crediti che il debitore vanta nei confronti di terzi, tra i quali rientrano anche le pensioni. Questo articolo prevede specifiche limitazioni per tutelare il diritto alla sussistenza del debitore, affinché non si vedano compromessi i mezzi di sostentamento minimo necessari per vivere dignitosamente.

La legge cerca infatti di bilanciare la necessità di soddisfare i crediti con il diritto del debitore a conservare una parte delle proprie entrate, soprattutto quando queste derivano dai trattamenti pensionistici.

La pensione, infatti, può essere pignorata solo in parte. Il comma 7 statuisce che: “Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dellassegno sociale, con un minimo di 1.000 euro. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, dal quarto e dal quinto comma nonché dalle speciali disposizioni di legge”. 

Pignoramento della pensione: il minimo “vitale”

Il minimo vitale è un concetto fondamentale nella regolamentazione del pignoramento della pensione. L’articolo 545 stabilisce infatti che una parte della pensione debba sempre rimanere intoccabile, per garantire che il pensionato non resti senza i mezzi necessari per il suo sostentamento.

Se l’importo della pensione è già basso e il pignoramento ridurrebbe eccessivamente la somma disponibile per il mantenimento, il giudice può intervenire per ridurre l’ammontare pignorabile, sempre tenendo conto delle esigenze di vita del pensionato.

Dal 2022 il minimo della pensione impignorabile è di euro 1.000,00. Questo significa che le pensioni inferiori a 1.000,00 mensili non possono essere pignorate; le pensioni di importo superiore possono essere pignorate, ma solo per la parte eccedente.

Ad ogni modo, per limporto eccedente il minimo vitale, il pignoramento è possibile solo per un quinto delleccedenza (e non per l’intera eccedenza).

I crediti impignorabili

L’art. 545 del Codice di procedura civile “elenca” i crediti impignorabili, stabilendo al comma 1, che “Non possono essere pignorati i crediti alimentari, tranne che per cause di alimenti, e sempre con lautorizzazione del presidente del Tribunale o di un giudice da lui delegato e per la parte dal medesimo determinata mediante decreto”, e al successivo comma 2 che “Non possono essere pignorati crediti aventi ad oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nellelenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattia o funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza. 

Inoltre, alcuni tipi di pensione sono esenti da pignoramento in determinati casi. Per esempio, le pensioni di invalidità civile, le indennità di accompagnamento e le altre prestazioni assistenziali non possono essere pignorate, poiché sono destinate a garantire la sussistenza del beneficiario in situazioni di difficoltà o invalidità. Queste indennità sono, infatti, tutelate da leggi specifiche che le rendono impignorabili, a prescindere dall’importo.

Pignoramento Agenzia delle Entrate

Qualora il pignoramento sia effettuato dall’agente della riscossione, la vigente normativa prevede ulteriori limiti: la quota pignorabile non deve superare un decimo se la pensione è inferiore o pari a euro 2.500, un settimo se è compresa tra 2.500 e 5.000 euro e un quinto se è maggiore di 5.000 euro.

Nel caso in cui i creditori pignoranti sono più di uno e i crediti eterogenei, si può pignorare fino al doppio quinto della pensione: quindi si può arrivare sino al 40% della parte eccedente il minimo vitale.

 

Leggi anche: Pignoramento pensioni

giurista risponde

Appropriazione indebita: quando si consuma il reato Ai fini della individuazione del tempus commissi delicti con riferimento al reato di appropriazione indebita, a rilevare è il momento in cui viene realizzata la prima condotta appropriativa o il momento in cui la persona offesa viene a conoscenza del comportamento illecito?

Quesito con risposta a cura di Stella Maria Liguori e Claudia Nitti

 

Il delitto di appropriazione indebita è reato istantaneo che si consuma con la prima condotta appropriativa, nel momento in cui l’agente compie un atto di dominio sulla cosa con la volontà espressa o implicita di tenere questa come propria, con la conseguenza che il momento in cui la persona offesa viene a conoscenza del comportamento illecito è irrilevante ai fini della individuazione della data di consumazione del reato e di inizio della decorrenza del termine di prescrizione (Cass., sez. II, 27 settembre 2024 n. 36177).

Nel caso di specie, la Suprema Corte è stata chiamata a valutare se il reato ascritto all’imputato si fosse estinto, prima dell’emanazione della sentenza di primo grado, per intervenuta prescrizione.

In primo e secondo grado i giudici di merito avevano considerato il reato non estinto per prescrizione, individuando quale data di commissione del medesimo quella in cui l’imputato aveva negato alle parti civili la restituzione delle somme di denaro richiestegli, ritenendo inoltre, alla luce di tale data, tempestiva la proposizione della querela.

Viene proposto quindi ricorso per Cassazione, contestando l’erronea individuazione del tempus commissi delicti, nonché la tardività nella proposizione della querela.

In particolare, si obiettava che il reato di appropriazione indebita doveva considerarsi perfezionato alla data della scadenza del contratto di deposito irregolare, dovendo ritenersi, in primo luogo, tardiva la proposizione della querela da parte dei titolari delle somme di denaro di cui si chiedeva la restituzione e, in secondo luogo, il reato estinto per intervenuta prescrizione, già prima della emanazione della sentenza di primo grado.

La Suprema Corte, nella decisione de qua, dichiarando inammissibile il ricorso alla luce della manifesta infondatezza delle censure proposte, ha ricordato quando stabilito da una risalente ma sempre attuale pronunzia di legittimità (Cass. pen., sez. II, 2 febbraio 1972, n. 6872), secondo cui l’inutile scadenza del termine di adempimento di una obbligazione civilistica che imponga la restituzione di una cosa altrui non determina, né prova, di per sé, la consumazione del reato di appropriazione indebita; perché ciò avvenga è necessario che, in base a concludenti circostanze di fatto (che possono anche essere diverse dal dare alla cosa una destinazione incompatibile con il titolo del suo precedente e legittimo possesso, e possono consistere anche nel rifiuto ingiustificato della restituzione), sia rivelato il carattere intenzionale (caratterizzante l’elemento soggettivo del reato) della omessa restituzione, nel senso che in quest’ultima coincida, in uno con l’elemento materiale del reato (intrinsecamente inerente alla protrazione non più giustificata del possesso nella persona dell’agente), anche l’elemento soggettivo, inerente alla volontà di invertire il titolo del possesso medesimo appropriandosi della cosa al fine di trarne ingiusto profitto.

Nel caso di specie, il tempus commissi delicti, come correttamente valutato dai giudici di merito, era coinciso con la data in cui l’imputato aveva spedito una lettera raccomandata alle parti civili, ricusando la loro richiesta di restituzione degli importi detenuti e con la quale veniva di fatto esteriorizzato l’animus domini dell’odierno imputato in merito alle somme di denaro detenute, restando del tutto irrilevante, ai fini penalistici, la scadenza del termine entro la quale andava adempiuta l’obbligazione civilistica restitutoria.

Ritenendo quindi corrette le valutazioni operate dai giudici di merito, la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso e infondate le censure prospettate.

(*Contributo in tema di “Appropriazione indebita: quando si consuma il reato”, a cura di Stella Maria Liguori e Claudia Nitti, estratto da Obiettivo Magistrato n. 79 / Novembre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

inps sui social

Inps sui social: ecco i canali dell’istituto Disponibili i canali Inps sui social: Facebook, WhatsApp, Instagram, X e LinkedIn, un ponte tra istituzione e cittadini

Inps sui social

Disponibili i canali social INPS su Facebook, WhatsApp, Instagram, X e LinkedIn. Lo rende noto l’Inps con un comunicato sul proprio sito.

L’Istituto si è impegnato, infatti, a utilizzare i social network per avvicinarsi ai cittadini, semplificando l’accesso ai propri servizi e rafforzando la fiducia attraverso una comunicazione chiara e immediata.

Questo approccio mira a fornire informazioni accurate e complete in un contesto sempre più vulnerabile alla disinformazione.

Ecco le pagine tematiche e come funzionano:

Facebook

A partire dal 2025, l’INPS sarà presente su Facebook con due pagine tematiche:

  • INPS per la Famiglia;
  • INPS – Credito e Welfare Dipendenti Pubblici.

Questi profili offriranno notizie aggiornate sui servizi, le prestazioni e, in generale, sul mondo del welfare.Per garantire una comunicazione più efficace e contrastare la diffusione di profili non ufficiali, le precedenti pagine INPS per i Lavoratori Migranti e INPS Giovani saranno integrate nelle pagine verificate.

WhatsApp

Da circa un anno, l’INPS è attivo su WhatsApp con il canale ufficiale INPS per tutti, dedicato a imprese, pensionati, lavoratori, famiglie e cittadini.

Questo canale consente di ricevere informazioni tempestive su temi attuali e rilevanti.

Instagram

Il profilo Instagram inps_social racconta l’Istituto principalmente attraverso immagini.

Grazie a visual tematici, fotografie, storie e quiz, l’account si propone di rendere la cultura previdenziale accessibile anche alle generazioni più giovani.

X

Il canale X @INPS_it offre aggiornamenti e notizie in tempo reale sui servizi e le iniziative dell’Istituto.

LinkedIn

I profili LinkedIn INPS_official e Ufficio Stampa INPS pubblicano aggiornamenti sui servizi dell’Istituto e promuovono iniziative di studio e ricerca, come il progetto VisitINPS, oltre a opportunità di lavoro tramite bandi di concorso pubblico.

Canali ufficiali

Questi sono i canali e i profili social ufficiali gestiti dalla comunicazione dell’Istituto. Qualsiasi altro profilo che utilizzi il nome o il logo dell’INPS, avvisa l’istituto, potrebbe fornire informazioni errate, incomplete o inaffidabili.