giurista risponde

Annullamento provvedimenti cautelari o disciplinari Sono restituibili le retribuzioni in conseguenza dell’annullamento giurisdizionale dei provvedimenti cautelari o disciplinari?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

Si, in caso di annullamento giurisdizionale di provvedimenti cautelari o disciplinari l’amministrazione datrice di lavoro è tenuta alla restituzione in integrum. – Cons. Giust. Amm. Reg. Sicilia, 25 maggio 2023, n. 367.

I Giudici del Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Sicilia evidenziano che, colgono nel segno le censure articolate dall’appellante avverso la decisione di prime cure, secondo cui l’Amministrazione, in attuazione del giudicato di annullamento della sanzione della sospensione irrogata, non avrebbe potuto rinnovare il procedimento disciplinare per le medesime condotte, sebbene per giungere alla irrogazione di una sanzione meno afflittiva, avendo il giudice amministrativo escluso in radice la loro rilevanza disciplinare e la conseguenziale responsabilità dell’incolpato.

Per indirizzo giurisprudenziale consolidato (Cons. Stato, sez. II, 21 gennaio 2022, n. 394; Id., 16 marzo 2022, n. 1854) in caso di annullamento giurisdizionale di provvedimenti cautelari o disciplinari che hanno comportato effetti negativi sul rapporto di servizio del pubblico dipendente, sia in termini giuridici che economici, l’Amministrazione datrice di lavoro è tenuta alla restitutio in integrum, di talché il dipendente ha diritto a vedersi attribuire la retribuzione per i periodi di lavoro non prestato a causa dell’illegittima sospensione o interruzione del rapporto di servizio.

Nel caso di specie, è pacifico che l’appellante sia stato riammesso in servizio dopo l’annullamento del provvedimento di destituzione, ma – in ossequio all’indirizzo giurisprudenziale sopra richiamato – avrebbe dovuto percepire tutte le retribuzioni per i periodi in cui il suo rapporto di lavoro è stato illegittimamente sospeso in virtù dei provvedimenti di sospensione cautelare e disciplinare e, successivamente, interrotto con il provvedimento di destituzione (da esse potendo detrarsi, ossia compensarsi, unicamente gli importi corrispondenti alle sanzioni pecuniarie successivamente inflitte al ricorrente e non annullate in questa sede; nonché, ovviamente, gli importi degli assegni alimentari che furono pagati al dipendente durante i periodi di sospensione).

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. II, 21 gennaio 2022, n. 394; Id., 16 marzo 2022, n. 1854;
Cons. Giust. Amm. Reg. Sicilia, 16 luglio 2015, n. 539
giurista risponde

Regime escussione cauzione provvisoria È possibile l’incameramento della cauzione provvisoria quale conseguenza automatica dell’esclusione automatica di un operatore economico?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

La V Sezione del Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di giustizia UE la questione. – Cons. Stato, sez. V, ord. 7 giugno 2023, n. 5618.

La quinta Sezione del Consiglio di Stato ha rimesso alla Corte di Giustizia la questione sulla compatibilità col diritto dell’Unione Europeo di una norma interna che prevede l’applicazione dell’incameramento della cauzione provvisoria, quale conseguenza automatica dell’esclusione di un operatore economico.

In particolare, se gli artt. 16, 49, 50 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, l’art. 4, Protocollo 7, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo – CEDU., l’art. 6 del TUE, i principi di proporzionalità, concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi di cui agli articoli gli artt. 49, 50, 54 e 56 del TFUE, ostino a una norma interna che preveda l’applicazione dell’incameramento della cauzione provvisoria, quale conseguenza automatica dell’esclusione di un operatore economico da una procedura di affidamento di un contratto pubblico, altresì a prescindere dalla circostanza che lo stesso sia o meno risultato aggiudicatario della gara.

giurista risponde

Estensione validità temporale offerta RTI È possibile l’estensione della validità temporale dell’offerta presentata dall’R.T.I. modificando in riduzione la compagine del raggruppamento?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

Il Consiglio di Stato con ordinanza ha rimesso alla Corte di giustizia UE la questione. – Cons. Stato, Sez. V, ord., 16 giugno 2023, n. 5950.

La quinta Sezione del Consiglio di Stato interroga la Corte di giustizia sulla compatibilità con l’ordinamento dell’Unione Europea della disciplina interna (delle disposizioni del D.Lgs. 163/2006) sulle modificazioni soggettive dei raggruppamenti temporanei di imprese, nella parte in cui detta disciplina è nel senso della esclusione, in caso di scadenza del termine di validità dell’offerta originariamente presentata da un raggruppamento temporaneo di imprese costituendo, della possibilità di ridurre, all’atto dell’estensione della validità temporale della medesima offerta, la originaria compagine del raggruppamento.

Più nel dettaglio, i Giudici di Palazzo Spada hanno rimesso alla Corte di giustizia dell’Unione Europea le seguenti questioni pregiudiziali ai sensi dell’art. 267 TFUE:

a) “se la direttiva 2004/18/CE, gli artt. 16 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, i principi di proporzionalità, concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi di cui agli artt. 49, 50, 54 e 56 del TFUE, ostino a norme interne (artt. 11 comma 6, 37 commi 8, 9, 10, 18 e 19, 38, comma 1, lett. f) del D.Lgs. 163/2006) che escludono, in caso di scadenza del termine di validità dell’offerta originariamente presentata da un raggruppamento temporaneo di imprese costituendo, la possibilità di ridurre, all’atto dell’estensione della validità temporale della medesima offerta, la originaria compagine del raggruppamento; in particolare, se tali disposizioni nazionali siano compatibili con i principi generali del diritto dell’Unione europea di libera iniziativa economica ed effetto utile, nonché con l’articolo 16 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea”;

b) “se la direttiva 2004/18/CE, gli artt. 16, 49, 50 e 52 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, l’art. 4, Protocollo 7, della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo – CEDU, l’art. 6 del TUE, i principi di proporzionalità, concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi di cui agli artt. 49, 50, 54 e 56 del TFUE, ostino a norme interne (artt. 38, comma 1, lett. f), 48 e 75 del D.Lgs. 163/2006) che prevedano l’applicazione della sanzione d’incameramento della cauzione provvisoria, quale conseguenza automatica dell’esclusione di un operatore economico da una procedura di affidamento di un contratto pubblico di servizi, altresì a prescindere dalla circostanza che lo stesso sia o meno risultato aggiudicatario dell’affidamento medesimo”.

Per quanto attiene alla prima questione pregiudiziale, il Consiglio di Stato ha chiarito che l’esclusione del raggruppamento si profila quale atto dovuto, sia in quanto violativo del principio di immodificabilità del RTI – qualora non sia dimostrata la sussistenza di esigenze organizzative dell’intero raggruppamento a base del recesso esercitato dal singolo operatore aderente al raggruppamento – sia laddove il recesso si profili come operato con finalità elusiva, in quanto volto a evitare una sanzione di esclusione della gara per difetto dei requisiti in capo al componente del RTI che viene meno per effetto dell’operazione riduttiva. Inoltre, il combinato disposto degli artt. 11, comma 6, 37, commi 8, 9, 10, 18 e 19 e 38, comma 1, lett. f), D.Lgs. 163/2006, come interpretati dalla giurisprudenza del Consiglio di Stato, costringendo i componenti del RTI a rimanere vincolati all’offerta presentata per un periodo indefinito di tempo, anche in caso di plurime scadenze della sua vincolatività, in presenza di gare complesse di lunga durata – con la sola possibilità di non conferma dell’offerta da parte di tutti gli originari componenti del RTI – è apparso al Collegio di dubbia compatibilità con il principio di libertà di impresa di cui all’art. 16 della Carta dei diritti Fondamentali dell’Unione Europea secondo cui “è riconosciuta la libertà di impresa, conformemente al diritto dell’unione e alle legislazioni e prassi nazionali” nonché con i principi di proporzionalità di cui all’art. 52 della medesima Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, nonché di proporzionalità, concorrenza, libertà di stabilimento e libera prestazione di servizi di cui agli artt. 49, 50, 54 e 56 del TFUE.

Con riferimento alla seconda questione pregiudiziale, il Collegio evidenzia che in ragione dell’entità e assoluta rilevanza del sacrificio patrimoniale imposto a parte appellante, per la stessa l’escussione delle cauzioni provvisorie verrebbe ad acquisire i connotati di una sanzione cui non può che necessariamente riconoscersi carattere penale, secondo l’accezione cristallizzata nell’interpretazione della Corte EDU: l’automatico incameramento delle garanzie provvisorie integrerebbe gli estremi di una evidente violazione del principio di proporzionalità delle sanzioni.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. VI, ord., 20 ottobre 2014, n. 5167; Id., 9 ottobre 2014, n. 5030;
Id., 9 luglio 2014, n. 3496, 3498 e 3499
giurista risponde

Risarcimento danno per mancata aggiudicazione gara La revoca degli atti di gara, quale atto di autotutela, comporta l’interruzione del nesso causale tra l’annullamento dell’atto di aggiudicazione e i danni subiti?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

Si, interrompe il nesso causale tra l’annullamento dell’atto di aggiudicazione e i danni subiti dall’impresa aggiudicataria. – Cons. Stato, sez. III, 23 giugno 2023, n. 6208.

Preliminarmente è opportuno precisare che l’irragionevolezza di un provvedimento di revoca non può essere desunta dalla difesa, effettuata dalla p.a. in giudizio, degli atti revocati, attesa la diversità tra il soggetto che è tenuto a difendere, in giudizio, le scelte già adottate dalla p.a., esercitando il ministero del difensore, e gli organi di amministrazione attiva, tenuti invece ad adeguare l’assetto provvedimentale alle mutevoli valutazioni circa la sua aderenza al quadro dei fatti e degli interessi rilevanti venuto a determinarsi nella realtà socio-economica.

Per quanto attiene alla revoca degli atti di gara da parte della stazione appaltante, quale atto di autotutela, essa comporta l’interruzione del nesso causale tra l’annullamento dell’atto di aggiudicazione e i danni subiti dall’impresa aggiudicataria in quanto la situazione giuridica che può essere tutelata sotto il profilo del risarcimento risulta unitaria, di conseguenza qualora l’interesse a conseguire l’aggiudicazione dell’appalto sia paralizzato a seguito dell’atto di autotutela che abbia posto nel nulla il procedimento di evidenza pubblica, e quest’ultimo sia risultato legittimo sotto il profilo giuridico così come da valutazione del giudice amministrativo, il predetto provvedimento di revoca non potrà essere posto a fondamento di una pretesa risarcitoria per perdita di opportunità.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. III, 11 ottobre 2021, n. 6820
giurista risponde

Nullità sentenza primo grado per motivazione apparente Può dichiararsi nulla la sentenza di primo grado per motivazione apparente?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

Il Consiglio di Stato si esprime sulla nullità di una sentenza di primo grado per motivazione apparente. – Cons. Stato, sez. III, 28 giugno 2023, n. 6309.

Il Consiglio di Stato ha affermato che: «È nulla, per motivazione apparente, la sentenza in cui si faccia riferimento, in modo assolutamente vago e generico, alle “circostanze” relative all’affidabilità professionale dell’operatore economico, le cui dichiarazioni sarebbero state omesse o non sarebbero state correttamente vagliate dalla stazione appaltante, senza mai indicarle specificamente e analiticamente, o quanto meno senza connotarne il contenuto distintivo, nemmeno in modo riassuntivo, sintetico o allusivo».

I Giudici di Palazzo Spada hanno accolto l’appello, ricordando il principio espresso dall’Adunanza Plenaria (Cons. Stato, Ad. Plen. 10 e 11/2018), secondo cui costituisce un’ipotesi di nullità della sentenza che giustifica l’annullamento con rinvio al giudice di primo grado il difetto assoluto di motivazione. Dunque, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione, tale anomalia si identifica, oltre che nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili, nella motivazione meramente assertiva oppure obiettivamente incomprensibile: quando, cioè, le anomalie argomentative sono di gravità tale da collocare la motivazione al di sotto delle previsioni costituzionali di cui all’art. 111, comma 5, Cost.

Nel caso in esame, il riferimento del tutto vago alle “circostanze” relative all’affidabilità professionale ha portato in secondo grado le parti a riproporre integralmente le deduzioni nel merito formulate in primo grado, elencando tutte le vicende rilevanti. Pertanto, si è determinata di fatto la trasformazione del giudizio di appello in un iudicium novum. Di qui, il carattere apparente della motivazione e dunque l’annullamento della sentenza con rinvio al giudice di primo grado.

giurista risponde

Eccesso colposo di legittima difesa Quali sono i profili di intersecazione tra la fattispecie dell’eccesso colposo di legittima difesa, la provocazione e le concrete modalità operative del fatto illecito?

Quesito con risposta a cura di Matteo Castiglione e Federica Lavanga

 

La fattispecie dell’eccesso colposo ricorre qualora l’agente, minacciato da un pericolo attuale di un’offesa che, se non neutralizzata tempestivamente, sfocia nella lesione del diritto, abbia posto in essere la necessaria difesa del bene giuridico minacciato, ma, per errore determinato da colpa, abbia ecceduto rispetto alla necessaria proporzione tra difesa ed offesa. – Cass. I, 13 giugno 2023, n. 41552.

La fattispecie concreta posta al vaglio della Suprema Corte ha riguardato la configurabilità di un eccesso colposo di legittima difesa in luogo della fattispecie di tentato omicidio, reato per il quale il soggetto ricorrente è stato condannato sia in primo che in secondo grado, con rilevanti effetti sia sul piano qualificatorio che sanzionatorio.

Nello specifico, il caso storico ha riguardato un alterco intercorrente tra due condomini, sfociato poi per futili motivi nell’aggressione con arma da taglio dell’uno nei confronti dell’altro.

La difesa ha quindi eccepito i vizi di violazione di legge e difetto di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui la stessa non teneva in considerazione la sussistenza o meno della causa di giustificazione della legittima difesa, ancorché nella forma dell’eccesso colposo, sulla scorte della relazione del consulente medico e della ricostruzione delle modalità esecutive degli atti lesivi.

Elemento collegato e prodromico all’azione reazionaria difensiva sarebbe inoltre stata la provocazione della persona offesa nei confronti dell’attuale condannato; secondo la difesa, i giudici di prime cure non avrebbero valorizzato i pregressi contrasti tra l’imputato e la persona offesa, contrassegnati anche da una violenta aggressione subita dall’imputato, elementi significativi del fatto che l’imputato, nell’occorso, avesse agito in uno stato d’ira, covato nel corso degli anni ed esploso in occasione di un ultimo, ed ennesimo, diverbio.

Il collegio adito della questione ha dichiarato inammissibile il ricorso, sulla scorta delle seguenti ragioni:

Relativamente alla sussistenza dell’attenuante della provocazione, la Corte ha richiamato le motivazioni della sentenza d’appello secondo cui la condotta dell’agente sarebbe stata preceduta da un acceso diverbio nel corso del quale ambedue i concorrenti si sarebbero rivolti reciproche accuse circa passati episodi, di tal che, l’esplosione della summenzionata ira, maturata nel corso del tempo, non sarebbe stata determinata da un fatto ingiusto altrui – come esplicitamente richiamato dalla norma codicistica relativa alle circostanze attenuanti – quanto piuttosto da un futile motivo.

Secondo giurisprudenza costante, infatti, il “fatto ingiusto altrui” ex art. 62, n. 2, c.p. deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell’ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell’imputato e alla sua sensibilità personale (così Cass. 2 dicembre 2013, n.47840).

Per ciò che concerne la configurabilità dell’eccesso colposo di legittima difesa, la Corte ha ricostruito l’istituto che ricorre quando l’agente, minacciato da un pericolo attuale di un’offesa che, se non neutralizzata tempestivamente, sfocia nella lesione del diritto, abbia posto in essere la necessaria difesa del bene giuridico minacciato, ma, per errore determinato da colpa, abbia ecceduto rispetto alla necessaria proporzione tra difesa ed offesa.

Da ciò ne consegue che i presupposti della fattispecie di cui all’art. 55 c.p. in relazione alla legittima difesa sono, da una parte, la sussistenza dei requisiti della causa di giustificazione e, dall’altra, il superamento solo colposo, e non volontario, del limite costituito dalla proporzione tra il bene giuridico minacciato dall’offesa altrui e quello leso dalla reazione difensiva.

L’accertamento compiuto in primo e secondo grado ha rilevato come la direzione dei colpi, frontali e non dal basso verso l’alto, fossero incompatibili con la ricostruzione offerta dall’imputato e con le modalità esecutive di un’azione difensiva; pertanto, ritenendo tali provvedimenti adeguatamente motivati, attendibili e scevri da qualsivoglia fallacia logico-giuridica, la Suprema Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cass. pen., sez. I, 24 settembre 1997, n. 8999;
Cass. pen., sez. I, 13 febbraio 2019, n. 9463
giurista risponde

Estorsione e danno patrimoniale La nozione di danno patrimoniale richiesta dal delitto di estorsione ricomprende anche la perdita dell’aspettativa di conseguire un vantaggio economico (cd. chance) determinata dal reato di turbata libertà degli incanti?

Quesito con risposta a cura di Matteo Castiglione e Federica Lavanga

 

Il patrimonio non è un insieme di beni materiali, ma un insieme di rapporti giuridici attivi e passivi aventi contenuto economico, unificati dalla legge in considerazione dell’appartenenza al medesimo soggetto, per cui qualsiasi situazione possa incidere negativamente sull’assetto economico di un individuo, comprese la delusione di aspettative e chance future di arricchimento o di consolidamento dei propri interessi, è destinata a rientrare nel concetto di danno di cui all’art. 629 cod. pen. – Cass. VI, 11 luglio 2023, n. 41379.

A seguito di condanna in appello per i reati di turbata libertà degli incanti e di estorsione, la difesa ha proposto ricorso per Cassazione deducendo il difetto di motivazione nella parte in cui non veniva approfondito il requisito del danno, richiesto per il reato di cui all’art. 629, avendolo concretizzato in una perdita di chance e trascurando nel caso in esame che gli aggiudicatari provvisori non sarebbero stati titolari di un diritto patrimoniale sub condicione, come sostenuto dall’accusa e dal giudice.

Secondo la Corte adita, le doglianze avanzate devono essere sottoposte al vaglio delle Sezioni Unite del Supremo Consesso in ragione degli orientamenti contrastanti in tal senso, al fine di definire la nozione di perdita di chance e la possibilità che essa integri, oltre al reato di turbativa d’asta anche quello di estorsione.

La risoluzione del contrasto eliminerebbe fattori di imprevedibilità circa l’ambito applicativo delle due richiamate fattispecie di reato e ingiustificate, casuali, disparità di trattamento, contrastanti con il principio della certezza del diritto (o “legal certainty” o “sécurité juridique”), riaffermato reiteratamente dalla Corte europea dei diritti dell’uomo quale valore fondamentale, benché non espressamente codificato, inteso innanzitutto come esigenza di stabilità delle situazioni giuridiche e di affidamento del pubblico nella giustizia (Corte eur. dir. uomo, sez. II, 9 febbraio 2016).

Un orientamento ritiene infatti che il fine del conseguimento di un ingiusto profitto con altrui danno patrimoniale, elemento costitutivo del reato di estorsione, è del tutto estraneo al reato di cui all’art. 353 c.p., connotato, invece, dal dolo generico; ulteriormente, il reato di turbata libertà degli incanti si consuma nel momento e nel luogo in cui, con l’uso di uno dei mezzi previsti dalla legge, si è impedita o turbata la gara, senza che occorra né la produzione di un danno, né il conseguimento di un profitto.

Tuttavia, alcune pronunce hanno ricondotto il danno dell’estorsione nella lesione dell’autonomia negoziale, ossia nella libertà di regolamentare i propri interessi, idonee in astratto a dar luogo a problemi incidenti alla configurabilità del concorso dei reati in questione.

Una isolata pronuncia (Cass., sez. VI, 3 marzo 2004, n. 19607) ha escluso il concorso di reati facendo leva sulla natura pluri-offensiva del reato di cui all’art. 353 cod. pen., idonea a comprendere anche gli interessi sottesi all’art. 629 cod. pen., piuttosto che sul confronto degli elementi costitutivi dei due reati.

Secondo altre, invece, il danno del reato potrebbe consistere nella perdita di chance. Alcune, nell’affermare che il danno del delitto di estorsione possa individuarsi nella perdita dell’aspettativa del soggetto di conseguire vantaggi economici favorevoli, non aggiungono altro, al fine di descrivere meglio e il significato della categoria indicata, facendo quindi riferimento a qualsiasi chance.

Altre sentenze, invece, nel dare rilievo alla chance, precisano che deve trattarsi di una situazione connotata da una consistente probabilità di successo: definizione, questa, che evoca l’approdo cui sono pervenute la dottrina e la giurisprudenza civile riguardo a tale categoria.

Più nello specifico, si è affermato che la lesione di una legittima aspettativa e il danno patrimoniale conseguente sarebbe dovuto essere inteso come danno futuro, consistente non già nella perdita di un vantaggio economico, ma della mera possibilità di conseguirlo, secondo una valutazione da formularsi ex ante e da ricondursi, diacronicamente, al momento in cui il comportamento illecito ha inciso su tale possibilità in termini di conseguenza dannosa potenziale.

La Corte adita coglie inoltre l’occasione per approfondire il significato del termine chance, citando altresì la sentenza civile 24050/2023: l’etimologia della parola chance deriva infatti dall’espressione latina cadentia, che indica il cadere dei dadi e sta a significare la “buona probabilità di riuscita”, delineando due categorie per le quali occorre distinguere fra probabilità di riuscita (chance risarcibile) e mera possibilità di conseguire l’utilità sperata (chance irrisarcibile), dando quindi rilevanza alla chance intesa come una situazione teleologicamente orientata verso il conseguimento di un’utilità o di un vantaggio, caratterizzata da una possibilità di successo presumibilmente non priva di consistenza.

Alla luce del contrasto posto all’attenzione della Corte, questa ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite, al fine di definire se nella nozione di danno patrimoniale di cui all’art. 629 c.p. possa rientrare anche la perdita dell’aspettativa di conseguire un vantaggio economico, con conseguenti ripercussioni sulla sussistenza o meno di un danno rilevante ai sensi dell’art. 629 c.p. e, quindi, sulla configurabilità del concorso del delitto di estorsione con quello di turbata libertà degli incanti, nell’ipotesi di allontanamento, con violenza o minaccia, di offerenti da una gara nei pubblici incanti o nelle licitazioni private.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cass., sez. II, 27 aprile, 2016 n. 41433; Cass., sez. V, 16 febbraio, 2017 n. 18508
Difformi:      Cass., sez. VI, 3 marzo 2004, n. 19607
giurista risponde

Reati permanenti e particolare tenuità del fatto È applicabile la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto ai reati permanenti?

Quesito con risposta a cura di Matteo Castiglione e Federica Lavanga

 

In tema di reati permanenti, è preclusa l’applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto finché la permanenza non sia cessata, in ragione della perdurante compressione del bene giuridico per effetto della condotta delittuosa. – Cass., sez. F, 31 agosto 2023, n. 37048.

Il caso sottoposto al vaglio di legittimità della Suprema Corte riguarda l’invasione di un terreno appartenente al demanio stradale di un Comune, reato previsto dal combinato disposto degli artt. 633 e 639bis del codice penale, commesso mediante la realizzazione di un muro di recinzione a chiusura dello stesso.

La difesa, impugnando la sentenza di grado precedente, ne lamenta la violazione di legge in relazione alla mancata applicazione dell’art. 131bis per avere la Corte d’Appello erroneamente negato l’esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto in ragione della natura permanente del reato e nonostante la particolare tenuità dell’offesa, atteso che l’invasione aveva avuto a oggetto una striscia di terreno di modesta estensione e inutilizzabile per altri fini.

L’art. 131bis prevede infatti l’esclusione della punibilità in occasione di offese di particolari tenuità, dettando ulteriori specificazioni per i casi in cui la stessa non sia considerabile tale; tra gli altri, qualora si proceda per reati che abbiano avuto ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.

La sezione feriale della Corte di Cassazione ha aderito alle motivazioni della sentenza d’appello secondo cui il fatto di cui all’esame non potesse considerarsi di particolare tenuità avuto riguardo al considerevole arco di tempo durante il quale si sarebbe protratta l’occupazione ed il reiterato inadempimento dell’imputato nei confronti dell’intimazione di rilascio più volte intimato dal Comune.

Secondo infatti l’orientamento nettamente maggioritario della Corte di cassazione, il reato di invasione di terreni o edifici, di cui all’art. 633 cod. pen., ha natura permanente quando l’occupazione si protrae nel tempo, determinando un’immanente limitazione della facoltà di godimento che spetta al titolare del bene; permanenza che cessa soltanto con l’allontanamento dell’occupante o con la sentenza di condanna di primo grado.

Ulteriormente viene ribadito che, secondo consolidata giurisprudenza, in tema di reati permanenti, è preclusa l’applicazione della causa di non punibilità per la particolare tenuità del fatto finché la permanenza non sia cessata, in ragione della perdurante compressione del bene giuridico per effetto

della condotta delittuosa.

Pertanto, nel caso di specie, la mancata cessazione della permanenza dell’occupazione arbitraria avrebbe costituito una situazione tale da escludere un’offesa di particolare tenuità a causa del lungo arco di tempo di protrazione dell’occupazione del terreno, destinato a fini pubblici di circolazione, e dell’altresì reiterato inadempimento alle intimazioni.

Sulla scorta di tali motivazioni, la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cass pen., sez. II, 13 febbraio 2019, n. 16363
Difformi:      Cass. pen., sez. III, 12 marzo 2021, n. 15029
giurista risponde

Gravità fattispecie penale e art. 34 D.Lgs. 274/2000 La gravità della fattispecie penale violata può orientare il giudice di pace nell’applicazione dell’art. 34, D.Lgs. 274/2000?

Quesito con risposta a cura di Matteo Castiglione e Federica Lavanga

 

La particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 34, D.Lgs. 274/2000 consegue all’accertamento in concreto dell’esiguità del danno o del pericolo derivanti dalla commissione del reato, dall’occasionalità della violazione e dal ridotto grado di colpevolezza dell’imputato rispetto all’interesse tutelato dalla norma violata.

La Cassazione precisa che i presupposti applicativi della predetta causa di non procedibilità vanno riscontrati in relazione al concreto dipanarsi dei fatti, prescindendo dalla natura e dalla gravità intrinseca della fattispecie in astratto considerata. – Cass. pen., sez. I, 12 ottobre 2023, n. 41544.

Il D.Lgs. 274/2000 disegna un sottosistema per gli illeciti penali di competenza del giudice di pace che si connota per la precipua finalità conciliativa, giustificativa degli istituti di semplificazione applicabili nel corso del procedimento.

La Consulta, nel riconoscere la legittimità costituzionale di una disciplina penale settoriale, ha più volte riconosciuto che al giudice di pace è istituzionalmente assegnato il compito di favorire, per quanto possibile, la conciliazione tra le parti (Corte cost. ord. 349/2009; ord. 27/2007).

La ratio conciliativa, in uno con l’esigenza deflattiva del contenzioso penale relativo ad una serie di violazioni ad alto tasso di diffusività, hanno spinto il legislatore a positivizzare una particolare causa di esclusione della procedibilità correlata alla particolare tenuità del fatto.

Ai sensi dell’art. 34, D.Lgs. 274/2000, infatti, il giudice può, durante le indagini preliminari, dichiarare con decreto d’archiviazione di non doversi procedere per la particolare tenuità del fatto, quando ovviamente non risulti un interesse della persona offesa alla prosecuzione del procedimento. Se è stata esercitata l’azione penale, la particolare tenuità del fatto può essere dichiarata con sentenza solo se l’imputato e la persona offesa non si oppongono

Il legislatore fissa i parametri per considerare il fatto di particolare tenuità, rimettendo al giudice una valutazione, rispetto all’interesse tutelato, sull’esiguità del danno o del pericolo che ne è derivato, sulla sua occasionalità e sul grado della colpevolezza, che devono essere tali da non giustificare l’esercizio dell’azione penale, tenuto conto anche del pregiudizio che l’ulteriore corso del procedimento può recare alle esigenze di lavoro, di studio, di famiglia o di salute della persona sottoposta a indagini o dell’imputato.

La causa di esclusione in parola è applicabile alle sole fattispecie di reato espressamente individuate dal D.Lgs. 274/2000, ritenute ex lege di limitata offensività.

Si tratta, dunque, di un istituto processuale inerente a fatti di reato tipici, antigiuridici, offensivi e colpevoli, che, in presenza dei presupposti, vengono espunti dal circuito penale per ragioni di opportunità procedimentale e di politica criminale. L’art. 34, difatti, attiene, per espressa previsione legislativa, alla procedibilità e all’esecuzione dell’azione penale.

La predetta causa di esclusione della procedibilità, prima facie, sembra ricalcare la causa di esclusione della punibilità prevista dall’art. 131bis c.p., ma tra le due disposizioni non sussiste un rapporto di specialità tale da condurre all’applicazione di una sola delle due prescrizioni favorevoli al reo in presenza dei presupposti di entrambe le norme.

La giurisprudenza, infatti, nel dirimere il contrasto ingeneratosi sul rapporto tra le due fattispecie, ha ritenuto che anche nel procedimento penale davanti al giudice di pace possa applicarsi l’art. 131bis c.p. stante l’assenza di una indicazione normativa che conforti la tesi negativa ed in ragione della diversa funzione delle due prescrizioni, l’una a valenza processuale e l’altra di matrice sostanziale (Sez. Un. 53683/2017).

Un punto di incontro tra i due istituti, passibili di applicazione congiunta, risiede nel potere di valutazione rimesso al giudice. Affinché il giudice di pace proceda all’archiviazione della notizia di reato occorre che il fatto, comprensivo dell’offesa al bene giuridico protetto, sia valutato in concreto come fatto di particolare tenuità, occasionale e scarsamente lesivo dell’interesse della persona offesa, la quale gode di un diritto potestativo di opposizione preclude l’immediata definizione del procedimento.

La tenuità emerge dal grado di offensività della condotta in relazione alle conseguenze cagionate e dal grado di colpevolezza dell’agente del caso concreto, prescindendo da considerazioni relative al bene giuridico protetto. Ciò consente di dare una più ampia applicazione alla causa di esclusione della procedibilità in parola, contribuendo attivamente alla deflazione del contenzioso e alla conciliazione delle liti.

Nel caso di specie il giudice di pace territoriale, travalicando i margini di valutazione di cui all’art. 34, D.Lgs. 274/2000, ha ritenuto che l’alto valore del bene giuridico presidiato dalle norme incriminatrici in materia di immigrazione illegale ostasse all’applicazione della causa di improcedibilità.

La Cassazione, confermando che le valutazioni del giudice debbano effettuarsi in concreto, rifuggendo da sterili formalismi, ha chiarito che il bene tutelato dalla norma violata non rientra tra i presupposti ostativi alla tenuità del fatto di cui all’art. 34, D.Lgs. 274/2000.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cass. pen., sez. V, 7 maggio 2009, n. 34227
giurista risponde

Lesioni personali e competenza dopo la riforma Cartabia Come va individuata la competenza in materia di lesioni personali a seguito della Riforma Cartabia, che ha operato un ampliamento della cognizione del giudice di pace, in assenza di una disciplina transitoria?

Quesito con risposta a cura di Matteo Castiglione e Federica Lavanga

 

Per le lesioni personali guaribili in un intervallo di tempo compreso tra i venti ed i quaranta giorni sussiste la competenza per materia del giudice di pace, dovendo, il mancato coordinamento dell’art. 2, comma 1, lett. b), D.Lgs. 150/2022 con l’art. 4, comma 1, lett. a), D. Lgs. 274/2000, essere risolto attraverso l’interpretazione estensiva di tale ultima disposizione, conformemente alla volontà del legislatore di ampliare la cognizione del giudice onorario con conseguente applicazione di una pena più favorevole al reo o deve permanere la competenza in capo al tribunale? Della questione sono state investite le Sezioni Unite. – Cass. pen., sez. V, ord. 19 ottobre 2023, n. 42858.

 

L’avvento della riforma Cartabia ha inciso sulla competenza per materia, ampliando gli ambiti della cognizione del giudice di pace per la necessità di snellire il carico dei tribunali e favorire soluzioni conciliative e più rapide per gli illeciti penali di minore allarme sociale aventi minore portata offensiva.

L’art. 582 c.p., nella versione vigente prima delle modifiche apportate col D.Lgs. 150/2022, non presentava problemi di coordinamento con l’art. 4, D.Lgs. 274/2000. Infatti l’art. 582, comma  2, c.p. rientrava nella competenza del giudice di pace, ad esclusione dei fatti commessi contro uno dei soggetti elencati dall’art. 577, comma 2, c.p. ovvero contro il convivente in ragione dell’esigenza di repressione della violenza di genere.

La gravità di alcuni episodi di violenza commessi i soggetti elencati al n. 1, comma 1 dell’art. 577 c.p. ha indotto la Corte costituzionale a dichiarare l’illegittimità costituzionale della competenza per materia riservata al giudice di pace per tali fatti (Corte cost. 236/2018).

La riforma Cartabia ha inciso sul delitto di lesioni volontarie quanto al regime di procedibilità stabilendone la punibilità a querela come regola e facendo divenire la perseguibilità d’ufficio eccezionale, salvo che per i casi di cui all’art. 577, comma 1, n. 1 e comma 2, c.p. In particolare, la procedibilità a querela viene estesa alle c.d. lesioni lievi – malattia compresa tra 21 e 40 giorni, mentre restano procedibili d’ufficio le lesioni gravi – malattia superiore a 40 giorni) e le lesioni gravissime, di cui all’art. 583 c.p. È fatta, altresì, salva la procedibilità d’ufficio in tutte le ipotesi in cui è già prevista in presenza di concorrenti circostanze aggravanti. Si è reso necessario, però, comprendere come andasse coordinato il nuovo regime dell’art. 582 c.p. con l’art. 4, D.Lgs. 274/2000 per la ripartizione di competenza tra tribunale e giudice di pace.

In assenza di una disciplina transitoria si è reso necessario trovare una soluzione interpretativa che evitasse di disinnescare l’intento deflattivo della Riforma. Si è, pertanto, ritenuto che il delitto di lesioni personali, che hanno comportato una malattia della durata di giorni 21 e fino a 40, divenuto procedibile a querela debba considerarsi di competenza del giudice di pace e, dunque, punibile con le sole sanzioni previste dall’art. 52, D. Lgs. 274/2000.

Dalla competenza del giudice onorario discendono ulteriori conseguenze dal punto di vista sanzionatorio, che rivela un assetto più favorevole al reo dal momento che nel procedimento dinanzi al giudice di pace risultano insussistenti i presupposti per applicare misure precautelari e cautelari.

Tale orientamento è stato affermato sull’assunto che il rinvio al comma 2 dell’art. 582 c.p. da parte dell’art. 4, D. Lgs. 274/2000 fosse un “rinvio mobile”, che “collega la disposizione rinviante a quella richiamata non solo nella formulazione attuale al momento del rinvio, ma anche in quelle eventualmente succedutesi a seguito della sua modifica” (Sez. Un. 17615/2023).

Non è, tuttavia, mancato un opposto filone interpretativo secondo cui si esclude, sulla base dell’interpretazione letterale del combinato disposto del nuovo art. 582, comma 2, c.p. e dell’art. 4, D.Lgs. 274/2000, che al giudice di pace sia rimasta la competenza per alcuna delle ipotesi di lesioni personali perseguibili a querela, poiché queste si trovano ora nel comma 1, dell’art. 582 c.p. che è estraneo al rinvio.

L’accoglimento della tesi restrittiva della competenza del giudice di pace non trova ostacoli nella eventuale modifica in peius del trattamento sanzionatorio, dovendosi comunque applicare il precedente trattamento, più favorevole alle condotte consumate prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 150/2022, che ha inciso sulla competenza in maniera irretroattiva.

Della questione sono state investite le Sezioni Unite.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cass. pen., sez. V, 13 aprile 2023, n. 15517;
Cass. pen., sez. V, 11 ottobre 2023, n. 41372
Difformi:      Cass. pen., sez. V, 6 ottobre 2023, n. 40719