vietato usare femminile ddl

Vietato usare il “femminile”: ddl ritirato Il ddl sui nomi femminili del leghista Potenti che prevedeva anche multe fino a 5mila euro in caso di violazioni è stato ritirato

DDL sui nomi femminili: ritirato

Il  disegno di legge sui nomi femminili proposto in data 11 luglio 2024 dal senatore leghista Manfredi Potenti è stato ritirato.  Lo si evince alla pagina del Senato dedicata all’atto n. 1191 che riporta espressamente la dicitura: “ritirato 22 luglio 2024”.

Il senatore con questo disegno di legge intitolato “Disposizioni per la tutela della lingua italiana, rispetto alle differenze di genere” avrebbe voluto vietare per legge l’utilizzo dei nomi al femminile di alcune professioni dagli atti pubblici.

Per il proponente l’utilizzo del femminile nei documenti ufficiali sarebbe irrispettoso verso le istituzioni per cui è “necessario un intervento normativo che implichi un contenimento della creatività nelluso della lingua italiana nei documenti delle istituzioni”.

Preservare la PA da deformazioni letterali

Come previsto dall’articolo 1 del testo l’obiettivo della proposta di legge è quello di “preservare la pubblica amministrazione dalle deformazioni letterali derivanti dalla necessità di affermare la parità di genere nei testi pubblici”.

Per il ddl occorre “preservare l’integrità della lingua italiana ed in particolare, evitare l’impropria modificazione dei titoli pubblici, come “Sindaco”, “Prefetto”, “Questore”, “Avvocato” dai tentativi simbolici di adattarne la loro definizione alle diverse sensibilità del tempo”.

Vietato usare il “femminile”

Il divieto di utilizzo del femminile era previsto espressamente dall’articolo 3 della proposta di legge che così disponeva: “divieto del ricorso discrezionale al femminile o sovra esteso o a qualsiasi sperimentazione linguistica. È ammesso l’uso della doppia forma od il maschile universale, da intendersi senza neutro e senza alcuna connotazione sessista.”

Nello specifico il disegno di legge avrebbe voluto vietare l’utilizzo negli atti pubblici del “genere femminile per neologismi applicati ai titoli istituzionali dello Stato, ai gradi militari, ai titoli professionali, alle onorificenze, e dagli incarichi individuati dati aventi forza di legge”.

Fino a 5.000 euro di multa in caso di violazione

In caso di inadempimento, l’articolo 5 del testo avrebbe previsto multe salate “la violazione degli obblighi di cui la presente legge comporta l’applicazione di una sanzione pecuniaria amministrativa consistente nel pagamento di una somma da 1000 a 5000 euro”.  

Il parere dell’Accademia della Crusca

Il Professor Paolo d’Achille, Presidente dell’Accademia della Crusca, nel commentare il disegno di legge del Senatore Manfredi Potenti ricorda che da un punto di vista puramente tecnico qualunque nome declinato al maschile può essere volto al femminile e che non sempre è possibile il contrario.

In una risposta del 2023 riferita all’individuazione di regole finalizzate allo sviluppo di un linguaggio giuridico di tipo inclusivo, il professor d’Achille aveva precisato di usare la lingua italiana nel rispetto della parità di genere, ricordando la correttezza dell’uso del genere femminile per i titoli professionali che si riferiscono alle donne.

 

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omicidio lorena quaranta

Omicidio Lorena Quaranta: sentenza annullata per stress da Covid La Cassazione penale annulla la sentenza di condanna all'ergastolo del fidanzato della vittima. Per i giudici è da valutare "lo stress da lockdown e pandemia" - Il testo della sentenza in pdf

Femminicidio Lorena Quaranta: sentenza annullata

Fa scalpore, ma fa anche discutere e indignare la sentenza della prima sezione penale della Corte di Cassazione n. 27115-2024 che riguarda l’omicidio della giovane Lorena Quaranta.

La sentenza della Corte di Assise che ha disposto la condanna all’ergastolo del fidanzato per omicidio volontario aggravato dalla commissione contro una persona legata a lui da una stabile convivenza affettiva, deve essere annullata nella parte in cui nega il riconoscimento delle circostanze attenuanti.

Per la Cassazione i giudici di merito non hanno verificato compiutamente se, dato il contesto “possa ed in quale misura  ascriversi all’imputato di non avere «efficacemente tentato di contrastare» lo stato di angoscia del quale era preda e, parallelamente, se la fonte del disagio, evidentemente rappresentata dal sopraggiungere dell’emergenza pandemica; con tutto ciò che essa ha determinato sulla vita di ciascuno e, quindi, anche dei protagonisti della vicenda, e, ancor più, la contingente difficoltà di porvi rimedio costituiscano fattori incidenti sulla misura della responsabilità penale.” Lo stress che ha colpito l’omicida, come tutti durante il lockdown, potrebbe comportare una riduzione della pena.

Lockdown: marcata concitazione emotiva

Nella sentenza si legge che nei giorni che hanno preceduto l’omicidio, caratterizzati dalle restrizioni imposte dalla pandemia, il fidanzato della Quaranta ha manifestato una forte preoccupazione per l’affezione delle vie respiratorie che aveva colpito la compagna. Dalla fine del mese di marzo il disagio si sarebbe così aggravato che l’uomo, senza preoccuparsi della fidanzata bisognosa di cure, si sarebbe allontanato per recarsi dai suoi familiari, che però lo convincevano a tenere un comportamento più responsabile e a tornare a casa dalla ragazza.

L’arrivo a casa non ha portato nessun beneficio al suo stato emotivo, una vicina ha riferito di averlo visto salire e scendere le scale in modo frenetico. Dopo qualche ora di calma l’omicida tornava ad agitarsi, tanto che alle 4 di notte contattava telefonicamente il padre. Alle 6 del mattino arriva la lite con la compagna, i colpi alla fronte con un oggetto contundente, la mano sulla bocca e sul naso, la stretta al collo e infine l’arresto cardio circolatorio per asfissia della giovane donna. All’episodio segue il tentativo di suicidio dell’uomo, dapprima tramite il taglio dei polsi e poi tramite il getto del phon della vasca in cui si era immerso e che ha comportato l’attivazione del salvavita e infine il contatto delle forze dell’ordine.

Esclusione delle attenuanti

La Cassazione rileva in fatto come la Corte di Assise di Appello non abbia riconosciuto le attenuanti generiche perchè la perizia del CTU ha escluso la presenza di una patologia psichiatrica in grado di inficiare la capacità di intendere e di volere dell’imputato. Per il giudice dell’appello l’imputato, nel compiere l’omicidio, ha agito con determinazione e crudeltà, modalità espressive che non sono ricollegabili allo stato d’ansia in cui versava quando ha commesso l’omicidio e che lo stesso non ha tentato di contrastare.

Motivazione contraddittoria

Preso atto del quadro probatorio emerso nei precedenti gradi di giudizio gli Ermellini ritengono però fondato il motivo di doglianza relativo al diniego delle attenuanti generiche. Le ragioni del rigetto sono il frutto di un percorso argomentativo che per la Corte di Cassazione si caratterizza per aporie e contraddizioni non marginali. Non convincono le conclusioni della Corte dell’impugnazione, per la quale lo “stato d’ansia e di irrequietezza, comunque manifestato dall’imputato nelle ore immediatamente precedenti al delitto, non solo, come ampiamente argomentato, non ha compromesso la sua capacità di intendere e di volere, ma non ha certamente determinato, né giustificato, la furia, l’odio e l’efferatezza rivolti dal contro la povera (che non può escludersi abbiano tratto origine da un movente rimasto inesplorato).”

In un punto della sentenza infatti la Corte di merito, in contraddizione con le suddette conclusioni, afferma di rendersi conto implicitamente del fatto che “lo stato emotivo manifestato dall’imputato nei momenti antecedenti all’omicidio abbia influito concretamente sulla misura della responsabilità penale e sia, pertanto, valutabile positivamente ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche”.

L’angoscia incide sulla responsabilità penale?

L’omicida, a causa del lockdown e della pandemia ha vissuto un disagio sempre crescente, che è sfociato in angoscia, che lo ha portato a un certo punto a rifuggire alle sue responsabilità e a lasciare sola la compagna. Una scelta che probabilmente, secondo la sua visione, era l’unica possibile considerata l’impossibilità di accedere alle strutture sanitarie. Quando poi ha desistito dal suo progetto di fuga per recarsi dai familiari ha vissuto un dissidio interiore, che ha provocato le condotte altalenati successive del pomeriggio, della notte e della mattina dell’omicidio.

I giudici avrebbero omesso pertanto di verificare se, alla luce del contesto, sia possibile escludere che l’imputato non abbia tentato efficacemente di contrastare lo stato di angoscia di cui era preda e che traeva origine dall’emergenza pandemica e se la difficoltà contingente di rimediare a questa angoscia sono in grado di incidere sulla responsabilità penale.

Parola al giudice del rinvio

Da qui l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente al punto concernente l’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di assise di appello di Reggio Calabria.

 

Leggi anche Violenza donne: la legge n. 168/2023

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stop mantenimento figlio

Stop mantenimento al figlio iscritto da 14 anni all’università Linea dura della Cassazione contro i figli "bamboccioni": non spetta il mantenimento al figlio ultratrentenne che in 14 anni di università ha dato solo un esame

Mantenimento figlio maggiorenne

Il figlio ultratrentenne, che ha trascorso 14 anni all’università sostenendo un solo esame, non ha più diritto all’assegno di mantenimento a carico del padre. Lo stesso non è stato in grado di dimostrare di essersi impegnato nel conseguire una qualificazione professionale o nella ricerca di un impiego per collocarsi nel mondo del lavoro e acquisire la propria indipendenza economica. Lo ha stabilito la corte di Cassazione nell’ordinanza n. 19955-2024.

Revoca mantenimento figlio

Nell’ambito di una procedura di separazione coniugale il Tribunale stabilisce a carico del padre l’obbligo di versare al figlio maggiorenne, ma non economicamente autosufficiente, il mantenimento di 500 euro mensili, oltre al pagamento del 70% delle spese straordinarie.

Alla separazione segue il divorzio e la sentenza riduce a 350 euro mensili il mantenimento dovuto dal padre al figlio maggiorenne, ma conserva il contributo nella misura del 70% delle spese straordinarie e l’assegnazione della casa familiare alla moglie, che convive con il figlio.

Il padre appella la decisione, chiedendo anche la revoca dell’assegno di mantenimento per il figlio.

Mancata ricerca di un lavoro

La Corte d’appello però respinge la richiesta, limitandosi a ridurre il mantenimento per il figlio a 200 euro mensili.

Per la Corte il mantenimento al figlio non deve essere ancorato al raggiungimento della maggiore età, ma a quello della autosufficienza economica. Per far cessare l’obbligo del mantenimento è sufficiente che il figlio percepisca delle entrate, anche derivanti da un lavoro non stabile o che lo stesso possegga un patrimonio tale da garantirgli un reddito corrispondente alla professionalità acquisita e che abbia un’appropriata collocazione nel contesto economico in cui lo stesso è inserito adeguata alle attitudini e alle aspirazioni.

Incontestato che il ragazzo ormai ultratrentenne risulti privo di un’occupazione lavorativa in grado di garantirgli la propria indipendenza economica. Lo stesso ha più volte cambiato percorso di studi e ha cercato lavoro, prestando attività presso la Croce Rossa senza però conseguire una stabilità lavorativa. In seguito ha lasciato l’università, è  tornato a vivere con la madre, ma ha avuto difficoltà a inserirsi nel mondo del lavoro anche a causa della sopravvenuta pandemia. Lo stesso è stato anche vittima di un infortunio, che ha comportato un intervento chirurgico e una prognosi di 60 giorni. Queste le ragioni per le quali la Corte, in considerazione dell’età del figlio, si è limitata a ridurre il mantenimento a 200 euro, lasciando invariata la misura del contributo per le spese straordinarie.

Il padre, insoddisfatto della decisione della Corte di Appello, la impugna di fronte alla Cassazione.

Onere della prova

Gli Ermellini ritengono fondato il motivo del ricorso con il quale il padre lamenta la mancata revoca del mantenimento dovuto al figlio. Per il ricorrente il fatto che il figlio abbia sostenuto un solo esame in 14 anni di università sufficiente a giustificare la revoca del mantenimento. Di fatto il figlio non ha mai dimostrato di aver messo in atto dei tentativi seri per trovare un’occupazione e collocarsi in modo stabile nel mondo del lavoro.

La Cassazione ricorda di aver affermato di recente che l’onere della prova relativa alle ragioni che fondano il mantenimento sono a carico del richiedente. Spetta infatti al figlio dimostrare di aver curato con impegno la propria preparazione professionale e tecnica o di essersi attivato nella ricerca di un lavoro. È sempre onere del richiedente inoltre provare la mancanza di indipendenza economica perché pre-condizione necessaria ai fini della richiesta del mantenimento.

L’onere della prova dei presupposti necessari per il mantenimento però è più facile quando il figlio ha da poco superato la maggiore età e negli anni successivi, soprattutto se ha iniziato un percorso di studi, perché in questo modo dimostra l’impegno di entrare a far parte del mondo degli adulti. Con l’avanzare dell’età l’onere della prova diventa più gravoso. La decisione sul mantenimento rende necessaria la valutazione del caso concreto e un’indagine sulle scelte di vita compiute e sull’impegno del figlio nell’acquisire una qualificazione professionale.

La decisione

Nel caso di specie la Corte di merito ha ritenuto conclusa la formazione universitaria del figlio anche senza il conseguimento di un risultato e ha ritenuto incontestato il fatto che lo stesso,  ultratrentenne, fosse senza lavoro e senza autonomia economica. La Corte non ha indagato se nel corso di tutti questi anni abbia comunque cercato una sua collocazione nel mondo del lavoro. La stessa si è accontentata nel considerare come esistenti e giustificate le difficoltà riscontrate negli ultimi anni e imputate al COVID, all’infortunio e alla crisi del mercato.

 

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tregua fiscale sintesi misure

Tregua fiscale: sintesi delle misure Tregua fiscale: sintesi delle misure adottate dallo Stato per consentire ai contribuenti di regolarizzare la propria posizione fiscale in maniera agevolata

Tregua fiscale: cos’è

La tregua fiscale consiste in una serie di misure straordinarie con le quali lo Stato permette ai contribuenti e alle imprese che siano in ritardo nei pagamenti delle imposte, di porre rimedio alla propria situazione debitori versando importi ridotti grazie a sconti significativi e facilitazioni nei pagamenti rateali.

Negli ultimi anni lo Stato ha previsto tutta una serie di agevolazioni per i contribuenti al fine di favorire la ripresa dell’economia e di superare le difficoltà di natura economica e finanziaria che hanno colpito il paese a partire dalla pandemia del 2020.

Definizione agevolata comunicazioni d’irregolarità

La Legge di Bilancio 2023 consente una definizione agevolata delle comunicazioni degli esiti del controllo automatizzato delle dichiarazioni. Questo riguarda i pagamenti rateali in corso al 1° gennaio 2023, con una riduzione delle sanzioni al 3% dell’imposta residua dopo i versamenti rateali effettuati entro il 31 dicembre 2022.

Definizione irregolarità formali

Le irregolarità formali, che non influenzano la determinazione della base imponibile per imposte sui redditi, IVA e IRAP, possono essere sanate con un pagamento di 200 euro per ciascun periodo d’imposta. Il pagamento può essere effettuato entro il 31 ottobre 2023, o in due rate entro il 31 ottobre 2023 e il 31 marzo 2024. La regolarizzazione richiede il pagamento delle somme dovute e la rimozione delle irregolarità.

Rottamazione debiti

Il decreto legge n. 51/2023 ha esteso al 30 giugno 2023 il termine per presentare domanda di adesione alla Definizione agevolata (Rottamazione-quater). La comunicazione delle somme dovute sarà trasmessa entro il 30 settembre 2023. Il pagamento delle prime tre rate è previsto entro il 15 marzo 2024, con scadenze successive il 31 maggio, il 31 luglio e il 30 novembre 2024. Gli interessi al 2% annuo decorrono dal 1° novembre 2023.

Leggi anche Rottamazione e procedure art. 13 Dlgs 74/2000

Definizione agevolata atti procedimento di accertamento

La legge di Bilancio 2023 permette la definizione agevolata degli atti del procedimento di accertamento con una riduzione delle sanzioni a 1/18 del minimo previsto. Questa agevolazione si applica agli accertamenti con adesione, agli avvisi di accertamento, rettifica e liquidazione non impugnati e impugnabili al 1° gennaio 2023.

Definizione agevolata liti pendenti

La legge permette di definire agevolmente le liti pendenti al 1 gennaio 2023 con l’Agenzia delle Entrate, pagando un importo pari al valore della controversia. Le domande devono essere presentate entro il 30 settembre 2023.

Stralcio debiti fino a mille euro

La legge prevede l’annullamento automatico, al 31 marzo 2023, dei debiti fino a mille euro affidati all’Agente della riscossione tra il 1° gennaio 2000 e il 31 dicembre 2015. Per enti diversi dalle amministrazioni statali, è possibile deliberare lo stralcio integrale entro il 31 marzo 2023. 

Conciliazione giudiziale controversie tributarie

La legge introduce una conciliazione agevolata delle controversie tributarie pendenti al 15 febbraio 2023. Le sanzioni sono ridotte a 1/18 del minimo e si può rateizzare in 5 anni. L’accordo per la conciliazione deve essere sottoscritto entro il 30 settembre 2023.

Ravvedimento speciale delle violazioni tributarie

Questo istituto permette di regolarizzare le violazioni relative alle dichiarazioni fiscali fino al periodo d’imposta al 31 dicembre 2021. La sanzione è ridotta a 1/18 del minimo. La procedura di regolarizzazione deve essere perfezionata entro il 31 maggio 2024.

Regolarizzazione omessi pagamenti rate

La normativa consente di regolarizzare i pagamenti omessi o carenti relativi a rate di accertamenti con adesione, avvisi di accertamento, rettifica, liquidazione e conciliazioni giudiziali. I versamenti devono essere scaduti al 1° gennaio 2023 e non ancora oggetto di cartella di pagamento con conseguente notifica o atto di intimazione.

 

Per tutte le informazioni di dettaglio su normative, circolari e schede informative si consiglia di visitare la pagina dedicata del sito dell’Agenzia delle Entrate

sospeso avvocato non paga affitto

Sospeso l’avvocato che non paga l’affitto

Illecito disciplinare avvocato

Va sospeso l’avvocato che non paga l’affitto. Commette, infatti, un illecito disciplinare l’avvocato che non adempie le obbligazioni verso terzi derivanti da un contratto di locazione, causando un debito di oltre 50.000 euro per bollette di utenze e canoni insoluti. Il Consiglio Nazionale Forense (CNF) nella sentenza n. 118/2024 ha ritenuto che tale comportamento violi l’art. 64 del Codice Deontologico Forense. Gli avvocati invero hanno il dovere di adempiere a tutte le loro obbligazioni, anche verso i terzi. La violazione di tale dovere può comportare l’applicazione di sanzioni disciplinari, come la sospensione dall’attività professionale.

Canoni e bollette non pagate: procedimento disciplinare per l’avvocato

Un avvocato viene sottoposto a un procedimento disciplinare a cui consegue la sanzione disciplinare della sospensione dall’attività professionale per 4 mesi. Il legale è stato ritenuto responsabile del mancato pagamento dei canoni di locazione dell’unità immobiliare adibita a studio, delle utenze di acqua e gas e degli oneri condominiali.

Il legale si è reso responsabile anche della violazione degli obblighi di custodia e di manutenzione degli impianti, occupando i locali in violazione della normativa sulla sicurezza, per poi abbandonarli lasciandoli in un grave stato di degrado, inagibilità e inutilizzabilità con conseguenti danni e oneri a carico del locatore.

L’avvocato impugna la decisione del Consiglio Distrettuale di Disciplina davanti al CNF invocando  la propria assenza di responsabilità, eccependo il travisamento dei fatti e il difetto di prova e contestando l’eccessività della sanzione.

L’avvocato che non paga i canoni lede l’immagine della categoria

Per il CNF però il ricorso dell’avvocato è infondato e va rigettato.

L’avvocato ha il dovere di adempiere puntualmente alle proprie obbligazioni, anche nei confronti dei terzi. Tale dovere deriva sia da norme giuridiche che deontologiche. L’articolo 64 del Codice di deontologia forense obbliga l’avvocato ad adempiere le obbligazioni che lo stesso assume in confronti dei terzi. Il mancato adempimento di detti obblighi crea un danno all’affidamento dei terzi nella capacità dell’avvocato di rispettare i propri doveri professionali. Tale condotta inoltre, danneggia l’immagine della professione forense nel suo complesso.

L’illecito risulta ancora più grave perché l’avvocato non ha adempiuto ai propri obblighi contrattuali neanche dopo aver ricevuto protesti, sentenze, atti di precetto e richieste di pignoramento.

Corretta la sanzione applicata, la violazione del solo articolo 64 del codice deontologico prevede infatti la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione da un minimo di 2 a un massimo di 6 mesi. Sulla misura della sanzione hanno inciso la durata a delle condotte, i danni economici arrecati al locatore, i precedenti disciplinari del legale e il discredito che tali condotte hanno arrecato all’immagine della categoria forense nel suo complesso.

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Autovelox: basta la segnalazione Per la Cassazione, non è necessario che il cartello segnali che l'apparecchio rilevi la velocità media del veicolo

Autovelox: è sufficiente che il cartello lo segnali

Per l’autovelox basta la segnalazione. L’obbligo è assolto, infatti, se il cartello avverte che la strada è sottoposta al controllo elettronico della velocità, senza necessità di dover specificare che l’apparecchiatura effettua il calcolo della velocità media. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 19377-2024.

Autovelox non segnalato

Una società si oppone al verbale con cui le è stata contestata, a un automezzo di sua proprietà, la violazione del superamento del limite di velocità su un tratto di strada. Il ricorso viene rigettato dal Giudice di Pace. La società appella la decisione e il tribunale annulla la sanzione. Per il giudice dell’impugnazione la violazione è stata accertata con un’apparecchiatura elettronica che misura la velocità dei veicoli in relazione alla velocità media tenuta in un determinato tratto stradale. Questa caratteristica di rilevamento però non è stata adeguatamente segnalata agli automobilisti. Il cartello riporta infatti solo la dicitura “controllo elettronico della velocità”, senza fare alcun riferimento al calcolo della velocità media. La rilevazione della velocità effettuata in questo modo quindi è illegittima perché:

  • non preceduta da idonea segnalazione, come previsto dall’articolo 142, comma 6 del codice della strada;
  • l’apparecchio ha preso in considerazione due punti del tratto stradale, uno iniziale e uno finale, di cui però solo il primo può essere visibile.

A dire della ricorrente, il controllo basato sulla velocità media non è idoneo a invitare i conducenti alla prudenza e neppure a far affidamento sul controllo elettronico, che normalmente viene eseguito su un punto fisso.

Cartello autovelox deve segnalare solo controllo velocità

Il Comune opposto contesta la decisione del Tribunale e la Cassazione accoglie il ricorso.

Per gli Ermellini il Tribunale ha errato nel considerare inadeguato il cartello di segnalazione dell’apparecchio elettronico per il rilevamento della velocità per la mancata indicazione del controllo mediante il calcolo della velocità media.

Tale ragionamento non può essere condiviso perché non è conforme alla normativa in materia.

Il codice della strada consente infatti l’utilizzo delle apparecchiature elettroniche per il controllo della velocità anche per calcolare la velocità media su determinati tratti di strada, stabilendo che le stesse debbano essere segnalate con impiego di cartelli o dispositivi luminosi.

Per la legge quindi l’uso di questi apparecchi richiede solo un’adeguata segnalazione. La normativa non prevede regole distinte per gli apparecchi che rilevano la velocità media su determinati tratti stradali e quelli che compiono il controllo su un punto fisso.

L’obbligo di segnalazione pertanto deve ritenersi soddisfatto quando è presente un cartello che avverte che quel tratto di strada è sottoposto al controllo elettronico della velocità, senza ulteriori specificazioni.

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pensioni anticipate termini

Pensioni anticipate: i nuovi termini di decorrenza Pensioni anticipate 2024: alla luce delle novità introdotte dalla legge di bilancio, l'Inps comunica i nuovi termini di decorrenza

Pensioni anticipate: le novità della legge di bilancio 2024

Pensioni anticipate e nuovi termini di decorrenza. E’ quanto comunica l’Inps con apposita circolare illustrando le novità della legge di bilancio 2024 che ha introdotto modifiche significative alle pensioni anticipate degli statali, con l’introduzione di nuove aliquote di rendimento, un meccanismo di rivalutazione per alcune categorie di lavoratori e nuove regole per le decorrenze.

La circolare INPS n. 78 del 3 luglio 2024 premette innanzitutto che la manovra (l. n. 213/2023) ha introdotto importanti novità per le pensioni anticipate 2024 in Italia, in particolare per quelle erogate dalle Casse pensioni per gli enti locali (CPDEL), per il personale sanitario (CPS), per gli insegnanti dell’asilo e delle scuole elementari (CPI) e per gli ufficiali giudiziari (CPUG).

In sostanza si tratta degli iscritti alle casse della ex INPDAP, ossia l’istituto nazionale per la previdenza dei dipendenti della pubblica amministrazione.

Nuove aliquote di rendimento per il sistema retributivo

Alle pensioni anticipate calcolate con il sistema retributivo e con anzianità contributiva inferiore a 15 anni al 31.12.1995, si applica l’aliquota prevista nella tabella dell’allegato II della legge di bilancio 2024.

Alle quote di pensione liquidate invece in base al sistema retributivo che si riferiscono ad anzianità pari o superiori a 15 anni al 31.12.1995 si applicano invece le aliquote di rendimento contenute nell’allegato a) della legge n. 965/1965 e le aliquote di cui alla tabella a) allegata alla legge n. 16/1986 solo per gli iscritti CPUG.

Le nuove aliquote di rendimento previste dalla legge di bilancio 2024 si applicano per la liquidazione della pensione anticipata art. 24 comma 10 del decreto legge n. 201/2011 e a quella dei lavoratori precoci art. 17 comma 1 del decreto legge n. 4/2019.

Le nuove regole non possono determinare un aumento del trattamento pensionistico rispetto a quello vigente prima della entrata in vigore della legge di bilancio 2024.

Riduzione per infermieri e personale CPDEL

Per gli infermieri iscritti alla CPS e per il personale che cessa dal servizio come infermiere iscritto alla CPDEL, la riduzione della pensione anticipata derivante dalle nuove aliquote è mitigata da un meccanismo di rivalutazione: la pensione diminuisce di un trentesimo per ogni mese di posticipo dell’accesso al pensionamento rispetto alla prima data utile.

Esclusioni dalla nuova disciplina

Le nuove aliquote di rendimento previste dalla legge di bilancio 2024 non si applicano:

  • a coloro che maturano i requisiti per la pensione entro il 31 dicembre 2023;
  • a chi cessa dal servizio per raggiunti limiti di età o di servizio;
  • a chi è collocato a riposo d’ufficio per raggiunta anzianità massima di servizio.

Effetti sul riscatto dei periodi contributivi

Per le domande di riscatto presentate a partire dal 1° gennaio 2024, l’onere di riscatto dei periodi da valutare nel sistema retributivo è determinato utilizzando le nuove aliquote di rendimento.

Modifiche alle decorrenze della pensione anticipata

Per le pensioni anticipate di cui all’articolo 24, comma 10, del decreto-legge n. 201/2011 e per le pensioni per lavoratori precoci di cui all’articolo 17, comma 1, primo periodo, del decreto-legge n. 4/2019, sono introdotte nuove decorrenze, con periodi di attesa che variano da 3 a 9 mesi a seconda dell’anno di maturazione dei requisiti contributivi ossia se il diritto è maturato entro il 31 dicembre del 2024, 2025, 2026, 2027 o 2028.

Le nuove decorrenze non si applicano alle pensioni anticipate e ai lavoratori precoci con il cumulo dei periodi assicurativi.

 

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avvocato problemi salute mandato

L’avvocato con problemi di salute deve rinunciare al mandato Per il CNF, l'avvocato che ha problemi di salute deve dismettere il mandato se non può assolvere la professione nel rispetto delle regole

Problemi di salute non scriminano gli illeciti disciplinari

Il CNF nella sentenza n. 127-2024, pubblicata il 15 luglio 2024 sul sito del Codice deontologico, precisa che l’avvocato con problemi di salute deve rinunciare al mandato; non è giustificato e quindi è comunque punibile se ha commesso plurimi illeciti disciplinari connotati da una certa gravità. I problemi personali e familiari possono rilevare al limite solo ai fini del trattamento sanzionatorio. Confermata quindi la sospensione dalla professione per 4 anni.  

Avvocato: sospensione dalla professione per 4 anni

Nella vicenda, un avvocato viene sottoposto a diversi procedimenti disciplinari per vari capi di incolpazione. I procedimenti vengono riuniti e conclusa l’istruttoria dibattimentale l’avvocato viene sanzionato con la sospensione dall’attività professionale per 4 anni  a causa del numero e della gravità delle contestazioni a sua carico, di preesistenti procedimenti disciplinari e di altri ancora aperti.

L’avvocato ricorre al CNF per eccepire la prescrizione di alcuni procedimenti, per chiedere la sospensione in relazione ad alcuni capi di incolpazione, ma soprattutto per chiedere l’assoluzione dagli addebiti che gli sono stati contestati e in subordine la riduzione della sanzione disciplinare applicata.

Problemi di salute e familiari non considerati

Il CNF fissa l’udienza pubblica per la trattazione del ricorso, ma la difesa dell’incolpato presenta istanza di rinvio per legittimo impedimento dell’interessato a causa di un ricovero ospedaliero per un intervento chirurgico.

Avviato e istruito il procedimento il CNF respinge il ricorso dell’avvocato perché infondato. Il ricorrente nel difendere la propria posizione si duole del fatto che non siano state prese in considerazione le sue condizioni di salute (problemi cardiaci) e i suoi problemi familiari (separazione dalla moglie) a giustificazione delle manchevolezze del suo operato professionale.

Problemi di salute e personali non scriminano illeciti gravi

Il CNF però dichiara di condividere il pensiero e le conclusioni del Consiglio territoriale. I problemi di salute e familiari possono infatti incidere, al limite, sul trattamento sanzionatorio da applicare, ma non sulla punibilità dell’illecito disciplinare.

Nel caso specie, inoltre, non si possono trascurare gli innumerevoli capi di incolpazione conseguenti alla contestazione di gravi inadempienze, tra le quali assumono particolare rilievo quelle che si sono tradotte in veri e propri raggiri commessi in danno dei clienti. Le condotte contestate al legale sono risultate sistematiche, ripetute e seriali, frutto di una condotta connotata dalla volontà di raggirare, che reca un danno enorme al prestigio e alla immagine della classe forense nel suo complesso.

Avvocato deve dismettere il mandato

Il CNF ribadisce quindi che i problemi di salute o personali non possono giustificare le condotte dell’avvocato. Quando l’avvocato vive situazioni così gravi da ostacolare lo svolgimento della professione e a compromettere l’adempimento di tutti i doveri che la stessa comporta, il professionista deve dismettere il mandato e rifiutare eventuali nuovi incarichi se riconosce di non poterli adempiere adeguatamente.

Atteggiamento psicologico teso al raggiro e alla menzogna

Nessun problema di salute può giustificare così tanti illeciti come quelli commessi dal ricorrente, che ha dimostrato spregiudicatezza nel mentire e ingannare i clienti con raggiri e informazioni non veritiere sui contenziosi avviati.

Nel rigettare il ricorso il CNF sottolinea infatti l’atteggiamento psicologico del legale caratterizzato dal disprezzo per la sfera giuridica altrui, per il rapporto di colleganza e per la fiducia che i clienti avevano riposto in lui.

Il CNF sottolinea infatti che “Nella presente vicenda, al di là delle contestate fattispecie tipizzate di illecito deontologico, riveste particolare importanza la gravità della violazione ai principi ed alle norme generali di correttezza, lealtà, dignità, probità, decoro oltre che al rapporto fiduciario”. 

Va quindi confermata la sospensione dall’esercizio della professione per la durata di 4 anni a causa della gravità e del numero degli illeciti commessi dall’avvocato ricorrente.

Allegati

lavoratori cassa integrazione caldo

Lavoratori in cassa integrazione se fa troppo caldo La legge di conversione del decreto agricoltura, in vigore dal 14 luglio 2024, prevede la CIGO in caso di temperature elevate

Legge conversione decreto agricoltura 2024 in vigore

Lavoratori in cassa integrazione se le temperature sono troppo elevate. E’ una delle novità del ddl di conversione del decreto legge n. 63/2024, contenente le disposizioni urgenti per le imprese agricole della pesca, dell’acquacoltura e di quelle che rivestono un interesse strategico a livello nazionale, che ha ricevuto il via libera definitivo della Camera l’11 luglio 2024, dopo l’approvazione della fiducia al Governo con 181 voti a favore e 111 contrari.

Il provvedimento vieta l’installazione dei pannelli fotovoltaici in alcune aree agricole, prevede disposizioni sull’amministrazione straordinaria di Ilva S.p.a. e incrementa le risorse per sostenere i settori produttivi e le aree in maggiore difficoltà.

La nuova legge-101-2024 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 13 luglio ed è in vigore dal 14 luglio 2024.

Vediamo le novità di maggiore rilievo.

Ammortizzatori sociali per le temperature elevate

Il testo prevede la possibilità di ricorrere agli ammortizzatori sociali in caso di sospensione o interruzione del lavoro a causa di situazioni climatiche eccezionali come quelle collegate alle ondate di calore.

La disposizione, frutto di un emendamento approvato dalla Commissione industria del Senato nel corso della seduta dell’1 luglio 2024 riconosce ai datori di lavoro, in presenza di un’emergenza climatica, di poter accedere alla cassa integrazione ad ore fino alla fine del mese di dicembre 2024, in deroga ai limiti di durata massima previsti dalla normativa.

Della CIGO possono beneficiare gli operai agricoli che subiscono una riduzione dell’attività lavorativa pari alla metà dell’orario giornaliero previsto contrattualmente nel periodo compreso tra la data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto n. 63/2024 e il 31 dicembre del 2024. I benefici tuttavia potranno essere riconosciuti nel limite di spesa di 2 milioni per il 2024 e saranno concessi dall’INPS territorialmente competente.

Le altre misure per il lavoro

Previsti interventi di integrazione salariale di tipo straordinario per le imprese della Basilicata che operano in aree soggette alla crisi industriale.

Per il periodo compreso tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2024 è prevista una riduzione della contribuzione previdenziale pari al 68% a favore delle imprese agricole dell’Emilia-Romagna, delle Marche e della Toscana colpite dalle alluvioni verificatesi dal 1° maggio 2023.

Il contrasto allo sfruttamento del lavoro agricolo si rafforza grazie all’istituzione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali del Sistema informativo per la lotta al caporalato, che si basa sulla condivisione delle informazioni acquisite da parte dell’amministrazioni statali e regionali.

Presso l’INPS viene istituita una banca dati degli appalti in agricoltura per aumentare i controlli nel settore agricolo.

Contributi alle imprese agricole

Per contrastare la crisi economica delle imprese agricole, della pesca e dall’acquacoltura sono previsti diversi interventi:

  • moratoria sui mutui e sui finanziamenti per le imprese interessate dal provvedimento;
  • allargamento delle imprese che potranno accedere ai finanziamenti garantiti dall’ISMEA;
  • più risorse per il Fondo per la sovranità alimentare;
  • 5 milioni di euro saranno destinati alla ristrutturazione delle imprese agricole che coltivano gli olivi, producono olio, coltivano agrumi e producono latte e formaggi di origine ovina e caprina;
  • 32 milioni di euro del fondo per lo sviluppo e il sostegno delle filiere agricole, della pesca e della acquacoltura andranno ai produttori di grano duro, a quelli della filiera cerealicola, alle imprese e ai consorzi della pesca e dell’acquacoltura anche per contrastare la crisi economica derivante dal granchio blu;
  • contributi agli imprenditori agricoli che allevano specie e razze autoctone a rischio di estinzione o che hanno una diffusione limitata;
  • sostegni per le imprese che hanno subito danni alle produzioni di kiwi nel 2023, alle quali sono destinati anche le risorse che vanno incrementare il fondo di solidarietà nazionale;
  • incrementato il fondo mutualistico per la copertura dei danni derivanti dalle catastrofi climatiche;
  • 30 milioni di euro saranno destinati all’imprese agricole danneggiate dal batterio della xylella al fine di reimpiantare e riconvertire le coltivazioni degli olivi;
  • possibilità di accesso al fondo di solidarietà nazionale per le imprese agricole siciliane che hanno subito danni a causa della siccità nel periodo compreso da luglio 2023 a maggio 2024;
  • ristori particolari per il settore agricolo delle regioni colpite dalle frane come l’Emilia, la Toscana e le Marche.

Commissari straordinari

Diverse le nomine e le proroghe degli incarichi affidati ai commissari straordinari. Prevista la nomina di un Commissario straordinario, che resterà in carica fino al 31 dicembre 2026, per adottare misure urgenti per limitare la diffusione del granchio blu.

Prevista anche la nomina di un Commissario straordinario per contrastare la brucellosi e la tubercolosi.

Prorogata la durata dell’incarico del commissario straordinario destinato a risolvere il problema della scarsità idrica.

Le altre misure

Al fine di garantire un miglior controllo della produzione agricola vengono definiti specifici obblighi di comunicazione a carico delle aziende che acquistano e vendono cereali nazionali ed esteri. Vengono rafforzate le sanzioni in caso di violazione delle norme sulla rintracciabilità degli alimenti, sulla commercializzazione dell’olio d’oliva e sul rispetto delle indicazioni geografiche e le denominazioni di origine.

Provvedimenti ulteriori mirano a scoraggiare le pratiche commerciali scorrette all’interno della filiera agricola e alimentare.

Disposte infine misure per il monitoraggio della produzione del latte e dell’acquisto dei prodotti caseari con latte importato da paesi europei e terzi.

taglio compensi avvocato

Taglio compensi avvocato del 70% per le cause ripetitive Per la Cassazione, nella vigenza del DM 55/2014, il compenso dell'avvocato può anche essere tagliato del 70%, ossia sotto i valori minimi

Taglio compensi avvocato del 70%

Il compenso dell’avvocato  può essere ridotto anche del 70%, ossia sotto i valori minimi, se le cause non sono particolarmente complicate, se sono ripetitive e se hanno esito negativo. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 19025-2024, puntando l’accento sulla discrezionalità del giudice nella determinazione del compenso del legale.

Richiesta pagamento compensi

Un avvocato con ricorso 702 bis c.p.c. chiede la condanna della società che ha assistito in giudizio e che è stata posta in amministrazione e custodia giudiziaria al pagamento dei propri compensi pari a  86.668,00 euro, detratti gli acconti, poiché lo stesso dichiara di aver patrocinato per la S.r.l ben 10 procedimenti giudiziari.

La S.r.l costituitasi in giudizio contesta il compenso richiesto, ma Tribunale accoglie in parte la domanda dell’avvocato, liquidando un importo di 8.558,95 euro a titolo di onorario, oltre accessori.

Il ricorso in Cassazione

L’avvocato insoddisfatto dell’esito del giudizio ricorre in Cassazione sollevando 5 motivi di doglianza:

  • con il primo lamenta la riduzione del compenso nella misura del 70% in relazione ai ricorsi in opposizione agli atti esecutivi, perché calcolati sulla base dee tariffe minime ridotte poi del 70%. Nel calcolare le competenze, a suo dire, sono state violate le norme del DM n. 27/2018 perché le stesse consentivano la riduzione delle tariffe medie ma in misura non superiore al 50%;
  • con il secondo contesta al Tribunale di non aver calcolato il compenso per ogni procedimento, come richiesto, ma di aver effettuato un calcolo complessivo, con conseguente obbligo a carico dell’avvocato di dover restituire gli acconti versati e mai contestati dalla controparte;
  • con il terzo disapprova la mancata valutazione delle prove prodotte in relazione al valore di determinate controversie;
  • con il quarto discute la violazione di alcune disposizioni del DM n. 55/2014 perché in relazione alle opposizioni l’autorità giudicante ha ridotto i compensi del 70% rispetto ai valori minimi, mentre il giudice avrebbe dovuto applicare i valori medi e diminuirli eventualmente del 50%;
  • con il quinto e ultimo motivo infine contesta al giudice di aver omesso di prendere in considerazione alcune circostanze, tra l’altro pacifiche e non contestate, come la corresponsione di acconti e quindi l’indicazione in parcella delle somme dovute a saldo. I Giudici avrebbero dovuto considerare l’attività svolta e già pagata con gli acconti senza indicare importi inferiori a quelli già incassati.

Corretto il taglio compensi avvocato del 70% per cause simili e con esito negativo

La S.C. accoglie il ricorso dell’avvocato in virtù della fondatezza del secondo motivo sollevato, con conseguente cassazione dell’ordinanza e rinvio al Tribunale in diversa composizione per statuire anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Tuttavia, per gli Ermellini il primo motivo di ricorso è infondato perché il giudice, nel determinare il compenso dell’avvocato, ha un potere discrezionale, se motivato ed esercitato conformemente alle tariffe professionali. Tale potere gli permette di aumentare o ridurre il compenso purché non al di sotto dei minimi tariffari senza che rilevi l’istanza del professionista. Il professionista non può lamentare la violazione del principio della domanda solo perchè i giudici hanno ridotto gli importi al di sotto di quanto richiesto dalla società convenuta.

Fondato invece il secondo motivo perché i giudici hanno violato il principio secondo cui la liquidazione dei compensi, nel rispetto del DM 55/2014, deve avvenire per ogni fase del giudizio. Essi hanno inoltre travalicato i limiti della domanda, visto che l’avvocato aveva richiesto solo la liquidazione delle spettanze relative alla fase decisionale.

In parte inammissibile e in parte infondato è il terzo motivo del ricorso perché se è possibile adeguare gli onorari al valore effettivo e sostanziale della controversia, il giudice deve anche verificare l’attività svolta nel caso specifico, per stabilire se in effetti il valore della domanda è un parametro di riferimento idoneo o se, al contrario, lo stesso  risulta del tutto inadeguato. Nel caso di specie l’avvocato ricorrente non ha precisato i termini esatti della controversia ossia i fatti posti a fondamento della domanda e il diritto reale a cui si riferiva l’esercizio del possesso, per verificare la correttezza o meno della scaglione di riferimento per cui nulla può lamentare.

Valori minimi compensi

Infondato invece il quarto motivo perché nel caso di specie non si può applicare la sbarramento previsto dal DM n. 55/2014 modificato dal DM n. 37/2018, che vieta al giudice di scendere sotto i valori minimi e inderogabili.

Nel caso di specie trova applicazione il DM n. 55/2014 nella versione precedente alla riforma del 2018, che consentiva al giudice di diminuire i valori medi fino al 70% per la fase istruttoria, evitando tuttavia di ridurre  fino al punto di riconoscere all’avvocato compensi puramente simbolici e comunque motivando la propria decisione. I giudici di merito hanno infatti calcolato il compenso in base al valore dello scaglione minimo e lo hanno ridotto del 70% perché

  • tutte le opposizioni si riferivano a contestazioni del credito molto simili tra loro;
  • le stesse hanno avuto un esito negativo;
  • la società era soggetta a custodia giudiziaria;
  • le cause non presentavano questioni di fatto o di diritto particolarmente complesse.

La riduzione del 70% del compenso quindi non viola la legge anche perchè la decisione è stata adeguatamente  motivata.

Infondato infine anche il quinto motivo perché l’omesso esame di elementi istruttori non integra l’omesso esame di un fatto storico e perché le questioni indicate dal ricorrente nella censura non sono “fatti storici”. Il Tribunale ha considerato tutti gli elementi utili, comprese le prestazioni eseguite e gli acconti versati, al fine di determinare la somma corretta da erogare, per cui il motivo sollevato è del tutto infondato.

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