vendita all'incanto o all'asta

Vendita all’incanto o all’asta Vendita all’incanto o all’asta: cos'è, come funziona e applicazione nella vendita dei beni mobili e immobili

Vendita all’incanto o all’asta: cos’è?

La vendita all’incanto o all’asta è quella in cui i partecipanti presentano le proprie offerte in modo competitivo. Questo procedimento può avvenire in diverse modalità:

  • fisicamente in un’aula di tribunale,
  • presso lo studio del delegato alla vendita o in una sala d’aste,
  • virtualmente su piattaforme dedicate.

L’incanto, quindi, definisce il procedimento competitivo tipico di questo tipo di asta, distinguendola da altre forme di vendita giudiziaria.

Vendita all’incanto o all’asta e vendita senza incanto: differenze

Nell’asta con incanto, i partecipanti sono coinvolti in una competizione in tempo reale, personalmente o in modalità online, per aggiudicarsi un bene. Un banditore gestisce le offerte, che devono superare la precedente, e l’aggiudicazione avviene quando non ci sono più rilanci.

Nell’asta senza incanto invece, i partecipanti presentano le rispettive offerte in una busta chiusa o in formato telematico. Questa procedura è più formale e mira alla massima trasparenza. Il modulo di partecipazione richiede una serie di informazioni obbligatorie. A questo è necessario allegare una copia del documento d’identità e un assegno circolare per il pagamento della cauzione.

Le offerte possono essere anche inferiori al prezzo base, ma non meno di una certa percentuale. Dopo la scadenza del termine per la presentazione, le buste vengono aperte. Se c’è una sola offerta, il proponente si aggiudica il bene. Se le offerte sono più di una, si apre una vera e propria gara tra gli offerenti, a partire dall’offerta più alta. In questo caso, i rilanci avvengono in modo competitivo, simile a un’asta con incanto, e l’aggiudicazione va al miglior offerente. Questa modalità è oggi la più comune nei tribunali per la vendita di beni pignorati.

Espropriazione e vendita all’asta o all’incanto

La vendita all’incanto, disciplina dal codice di procedura civile, presenta regole specifiche a seconda che oggetto dell’espropriazione sia un bene mobile o un bene immobile del debitore.

Vendita di beni mobili

In una vendita giudiziaria con pubblici incanti di beni mobili il giudice dell’esecuzione stabilisce le modalità della vendita (giorno, ora e luogo) e ne affida lo svolgimento a un professionista delegato (cancelliere, ufficiale giudiziario, notaio, avvocato o commercialista).

Il prezzo base dell’incanto viene stabilito in base al valore di mercato (se esiste un listino ufficiale) o, in assenza di questo, viene fissato dal giudice, che può anche avvalersi di uno stimatore. In alternativa, in casi specifici, il giudice può autorizzare la vendita al miglior offerente senza un prezzo minimo.

Durante l’incanto, i beni possono essere offerti singolarmente o a lotti. L’aggiudicazione avviene in favore di chi offre di più quando non vengono presentate offerte superiori dopo due richiami del prezzo raggiunto.

Se un bene rimane invenduto, viene fissato un nuovo incanto con un prezzo base inferiore di un quinto rispetto al precedente.

Vendita di beni immobili

La procedura dell’incanto relativa i beni immobili si svolge in aula davanti al giudice dell’esecuzione. Le offerte sono considerate valide solo se superano il prezzo base o l’offerta precedente sin base alle condizioni stabilite. L’immobile viene aggiudicato all’ultimo offerente se, dopo tre minuti, non ci sono offerte superiori. Ciascun offerente non è più vincolato dalla sua offerta se viene superata da un’altra.

Entro il termine di dieci giorni dall’incanto, è possibile presentare offerte in aumento: Queste però devono superare di almeno un quinto il prezzo di aggiudicazione. In questo caso, il giudice indice una nuova gara tra l’aggiudicatario e i nuovi offerenti. Se nessuno di questi ultimi si presenta alla gara, l’aggiudicazione iniziale diventa definitiva e gli offerenti inadempienti perdono la cauzione.

L’aggiudicatario ha un termine per versare il prezzo stabilito.

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resto al sud

Resto al Sud Resto al Sud: cos'è, quali requisiti occorrono, cosa finanzia e per quali settori, come funziona e come fare domanda

Resto al Sud: cos’è?

Il programma Resto al Sud è frutto di un’iniziativa governativa ed è gestito da Invitalia, per sostenere la nascita e lo sviluppo di attività imprenditoriali e professionali nel Sud e nel Centro Italia. Lanciato con il Decreto Legge 20 giugno 2017, n. 91, il bando offre finanziamenti a fondo perduto e finanziamenti a tasso zero.

In particolare, il finanziamento copre il 100% dei costi ammissibili del progetto: il 50% a fondo perduto e il restante 50% come finanziamento a tasso zero, con gli interessi interamente a carico di Invitalia.

Requisiti e aree geografiche interessate

I requisiti principali per l’accesso sono:

  • un’età compresa tra i 18 e i 55 anni;
  • l’attività deve essere situata in una delle regioni del Mezzogiorno (Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia) o nelle aree del cratere sismico del Centro Italia (Lazio, Marche, Umbria);
  • l’impresa deve essere nuova;
  • i richiedenti non devono: avere debiti con la pubblica amministrazione, essere titolari di altre forme di aiuto o agevolazioni nazionali, essere titolari di partita Iva nei 12 mesi che precedono la domanda se il comparto per il quale si chiede il finanziamento è quello libero professionale, essere titolari di un contratto di lavoro a tempo indeterminato.

Il bando è “a sportello”, il che significa che non ha una scadenza fissa, ma rimane aperto fino all’esaurimento dei fondi disponibili.

Settori di attività finanziabili

Resto al Sud finanzia una vasta gamma di settori.

  • Turismo: bed and breakfast, agriturismi, ristoranti, bar e negozi di souvenir.
  • Agroalimentare: produzione e vendita di prodotti tipici locali come vino, olio, formaggi.
  • Servizi alla persona: cliniche odontoiatriche, fisioterapia, case di cura per anziani.
  • Servizi alle imprese: consulenze, formazione, marketing.
  • Tecnologia e innovazione: sviluppo software, app, startup tecnologiche.
  • Artigianato locale: ceramica, tessitura, lavorazione del legno.
  • Energia rinnovabile: pannelli solari o turbine eoliche.

Resto al Sud: progetti finanziabili

Le spese che possono essere finanziate coprono un ampio spettro di investimenti necessari per l’avvio e la crescita dell’impresa. Tra queste rientrano:

  • avvio o espansione;
  • creazione di nuovi posti di lavoro;
  • acquisto di attrezzature e tecnologie avanzate;
  • promozione di attività turistiche e culturali.

Il finanziamento massimo erogabile per la creazione di nuove imprese è di 200.000 euro.

Come fare domanda

Per presentare la domanda, è necessario compilare un modulo disponibile sul sito di Invitalia e fornire una serie di documenti, tra cui un business plan dettagliato. Sebbene sia possibile presentare la domanda in autonomia, molti scelgono di avvalersi di consulenti esperti per aumentare le probabilità di successo. L’istruttoria delle domande si conclude nel termine di 120 giorni dalla presentazione.

In questa pagina di Invitalia trovi tutte le informazioni per fare domanda

Resto al Sud: supporto di coach e tutor

Un elemento di grande valore del programma è il supporto di un tutor e di un coach aziendale, che affiancano gli imprenditori nello sviluppo del business plan e li aiutano a identificare le migliori strategie di crescita.

Resto al Sud 2.0 e Autoimpiego Centro Nord Italia

Il Decreto Coesione (D.L. n. 60/2024, convertito con modificazioni dalla legge n. 95/2024), ha previsto due nuovi interventi:

  • Resto al Sud 2.0
  • Autoimpiego Centro Nord Italia

Un decreto direttoriale stabilirà il termine per l’avvio delle domande, quello per la richiesta del saldo e i moduli necessari da presentare per le varie istanze previste.

Come funzionano Resto al Sud 2.0 e Autoimpiego Centro Nord Italia

Il decreto attuativo del 9 luglio 2025 contiene sia disposizioni comuni, che disposizioni dedicate a ciascuno dei due interventi.

Le due misure sono finanziate con un totale di 800 milioni di euro e mirano a sostenere l’avvio di iniziative economiche da parte di giovani tra i 18 e i 35 anni non compiuti. I beneficiari devono essere inoccupati, disoccupati o inattivi, inclusi i disoccupati GOL e le persone in condizioni di vulnerabilità. Le agevolazioni, gestite da Invitalia, sono rivolte a chi avvia un’impresa individuale, una società, un’attività di lavoro autonomo o libero professionale.

I contributi sono erogati in due forme:

  • voucher a fondo perduto fino a €30.000 per il Centro-Nord e fino a €40.000 per il Sud e le Isole, con incrementi per beni tecnologici;
  • contributi per programmi di investimento dal 60% al 75% dell’investimento complessivo, in base all’importo e alla regione.

Il processo di domanda, gestito da Invitalia tramite una piattaforma online, prevede anche servizi di tutoring e formazione per i beneficiari, quest’ultima in collaborazione con l’Ente Nazionale per il Microcredito (ENM).

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sorpassometro

Sorpassometro: funzionamento, sanzioni e ricorso Sorpassometro: definizione, normativa di riferimento, funzionamento, regole di installazione, sanzioni e contestazione

Sorpassometro: cos’è?

Il sorpassometro è un sistema di rilevazione elettronico, che viene impiegato soprattutto su strade considerate a rischio e che accerta le infrazioni legate al divieto di sorpasso. Esso si concentra infatti sul movimento dei veicoli e sull’attraversamento della linea continua.

Il sorpassometro è uno strumento tecnologico efficace per la sicurezza stradale, ma la sua validità giuridica rimane parzialmente vulnerabile a causa dell’ambiguità normativa che circonda la differenza tra approvazione e omologazione.

Normativa di riferimento

L’uso dei sorpassometri è regolato da diversi decreti ministeriali.

Il primo decreto del 2008 è stato aggiornato nel 2011 (modello SV2) e, più di recente, dal Decreto n. 603 dell’11 dicembre 2024. Quest’ultimo ha approvato i dispositivi di ultima generazione (modello SV3) e ha esteso la loro installazione su strade con un limite di velocità fino a 90 km/h, ampliandone così l’ambito di applicazione.

Come funziona il soprassometro

Il funzionamento del sorpassometro si basa su una combinazione di tecnologie.

  • Dei sensori posizionati nel manto stradale rilevano il passaggio di un veicolo sulla corsia opposta, attivando un sistema di telecamere ad alta risoluzione.
  • Queste telecamere registrano un breve filmato (di circa 15 secondi) che documenta l’intera manovra di sorpasso.
  • I dati, inclusa la targa, vengono trasmessi in tempo reale al comando della Polizia Locale.
  • Un operatore esamina il filmato per convalidare l’infrazione prima di emettere la multa.
  • Non è prevista la contestazione immediata. L’articolo 201 del Codice della Strada prevede infatti la possibilità di elevare l’infrazione in modalità differita.

Regole di installazione per il sorpassometro

L’installazione di questi dispositivi richiedono l”autorizzazione formale del Prefetto, la quale deve fondarsi su dati oggettivi in grado di dimostrare un’elevata incidentalità nel tratto stradale interessato. I sorpassometri infatti sono presenti soprattutto in zone pericolose (curve cieche, dossi e rettilinei caratterizzati da segnaletica insufficiente).

Sanzioni previste

Le sanzioni per il sorpasso vietato, sono regolamentate dall’articolo 148 del Codice della Strada:

  • multa da 167 a 665 euro e decurtazione di 10 punti dalla patente;
  • la sanzione può arrivare a 327-1.308 euro se l’infrazione avviene in curve, dossi o incroci;
  • i neopatentati rischiano anche la sospensione della patente da 1 a 3 mesi in caso di recidiva;
  • le multe infine vengono aumentate di un terzo qualora l’infrazione venga commessa tra le 22:00 e le 7:00.

L’attraversamento della striscia continua senza l’esecuzione di un sorpasso effettivo prevede invece una sanzione minore e la decurtazione di 2 punti dalla patente.

Quando e come fare ricorso

Come per tutte le sanzioni amministrative, anche le multe elevate per la violazione del divieto di sorpasso rilevate con il soprassometro possono essere contestate entro 60 giorni al Prefetto o entro 30 giorni al Giudice di Pace. Oltre ai vizi formali classici, un ricorso può essere fondato su due elementi chiave:

  • assenza di segnaletica: la presenza del sorpassometro deve essere annunciata da un cartello ben visibile. In assenza la multa può essere annullata;
  • mancata omologazione: la legge distingue tra “approvazione” (autorizzazione ministeriale generica) e “omologazione” (certificazione tecnica rigorosa). Sebbene il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti tenda a equiparare i due concetti, la Corte di Cassazione ha stabilito che per la validità delle multe è necessaria l’omologazione. Questo punto, ancora oggetto di dibattito, rappresenta una via efficace per contestare la sanzione.

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vendita con patto di riscatto

Vendita con patto di riscatto Vendita con patto di riscatto: cos’è, ratio del patto, caratteristiche, termini e modalità del riscatto, effetti

Cos’è la vendita con patto di riscatto

La vendita con patto di riscatto è un tipo di contratto di compravendita, disciplinato dall’articolo 1500 e seguenti del Codice civile, che concede al venditore la possibilità di riacquistare la proprietà del bene venduto. Questo diritto potestativo di riscatto, che consente al venditore di esercitarlo unilateralmente senza il consenso del compratore, è una condizione risolutiva che fa retroagire gli effetti della vendita. In altre parole, una volta esercitato il riscatto, la vendita si considera come mai avvenuta e il bene torna nel patrimonio del venditore.

Caratteristiche e finalità del patto

Il patto di riscatto risponde all’esigenza del venditore di alienare un bene per necessità economiche urgenti, con la speranza di poterlo riavere una volta superata la difficoltà. Per legge il prezzo da restituire al compratore non può essere superiore a quello pattuito inizialmente. Un patto che preveda un prezzo superiore è nullo per l’eccedenza, a tutela del venditore che si trova in una posizione di debolezza. Questa clausola ha lo scopo specifico di evitare che il compratore possa approfittare dello stato di bisogno dell’alienante.

Termini per il riscatto

Il diritto di riscatto non può essere esercitato indefinitamente. La legge fissa dei termini perentori e non prorogabili: due anni per i beni mobili e cinque anni per i beni immobili. Se le parti stabiliscono un termine maggiore, questo viene automaticamente ridotto al limite legale.

Modalità di esercizio del riscatto

Per esercitare il riscatto, il venditore deve rispettare due condizioni fondamentali:

– entro il termine stabilito, deve comunicare al compratore la sua intenzione di riscattare il bene. Per i beni immobili, questa dichiarazione deve essere fatta in forma scritta a pena di nullità;

deve restituire al compratore il prezzo di vendita, oltre a rimborsare le spese sostenute per la vendita (come l’atto notarile e le tasse), per le riparazioni necessarie e quelle che hanno aumentato il valore del bene (fino all’importo dell’aumento). In caso di rifiuto del compratore a ricevere il pagamento, il venditore ha otto giorni per fare un’offerta reale altrimenti decade dal suo diritto.

Vendita con patto di riscatto: effetti del riscatto

Una volta che il venditore esercita il diritto di riscatto, la vendita viene annullata con effetto retroattivo. Di conseguenza:

il venditore può riavere il bene anche da eventuali acquirenti successivi. Questa opponibilità è possibile solo se il patto di riscatto è stato reso noto ai terzi con mezzi idonei per legge, come la trascrizione per i beni immobili e la data certa per i beni mobili. Se il venditore non è a conoscenza dell’alienazione a un terzo, può comunque esercitare il riscatto nei confronti del primo acquirente;

– il venditore riacquista la proprietà del bene libera da ipoteche e altri pesi costituiti dal compratore. Fanno eccezione le locazioni fatte in buona fede, che il venditore è tenuto a rispettare se hanno data certa e una durata non superiore a tre anni.

Vendita con patto di riscatto con più venditori o più compratori

Il Codice Civile disciplina anche la vendita con patto di riscatto in cui vi siano più soggetti coinvolti:

  • riscatto di parte indivisa (art. 1506 c.c);
  • vendita congiuntiva di cosa indivisa (art. 1507 c.c.);
  • vendita separata di cosa indivisa (art. 1508 c.c.);
  • riscatto contro gli eredi del compratore (art. 1509 c.c.).

Figure similari alla vendita con patto di riscatto

È importante infine, per evitare di fare confusione, distinguere il patto di riscatto da altre figure similari.

Patto di retrovendita: a differenza del patto di riscatto, che ha natura reale e risolve la vendita automaticamente, il patto di retrovendita ha natura obbligatoria. Esso implica l’obbligo, per l’acquirente, di rivendere il bene all’alienante tramite un nuovo contratto entro un tempo determinato.

“In diem addictio”: questa clausola stabilisce invece che la vendita si risolve se il venditore trova, entro un certo termine, un nuovo compratore che offre condizioni migliori.

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ricongiungimento familiare

Ricongiungimento familiare Ricongiungimento familiare: cos’è, chi ne ha diritto, come funziona la procedura, il ricongiungimento per i rifugiati

Cos’è il ricongiungimento familiare

Il ricongiungimento familiare è un diritto fondamentale riconosciuto ai cittadini stranieri legalmente soggiornanti in Italia, che consente di far entrare e stabilire nel territorio nazionale determinati familiari. Si tratta di un istituto volto a tutelare l’unità familiare, come garantito dall’art. 29 del Testo Unico sull’Immigrazione (Decreto legislativo n. 286/1998) e dall’art. 8 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU).

Il ricongiungimento familiare è la procedura amministrativa che consente al cittadino extracomunitario regolarmente soggiornante in Italia di richiedere il permesso d’ingresso per i propri familiari stretti rimasti nel Paese d’origine o in un altro Stato estero.

Non si tratta di una facoltà discrezionale dell’amministrazione, bensì di un diritto soggettivo, esercitabile in presenza di specifici requisiti anagrafici, reddituali e abitativi.

Chi ha diritto al ricongiungimento familiare

Possono richiedere il ricongiungimento:

I cittadini extracomunitari titolari di permesso di soggiorno di almeno un anno per motivi di:

  • lavoro subordinato o autonomo;
  • asilo o protezione sussidiaria;
  • motivi familiari;
  • studio o motivi religiosi (solo in alcuni casi particolari).

È necessario che il richiedente sia regolarmente soggiornante in Italia e possa dimostrare di disporre di:

  • un alloggio idoneo secondo i parametri igienico-sanitari e abitativi previsti dalla legge;
  • un reddito minimo annuale sufficiente a mantenere sé stesso e i familiari da ricongiungere;
  • un’assicurazione sanitaria o di un altro titolo idoneo.

Il reddito minimo è pari all’importo annuo dell’assegno sociale, aumentato della metà dell’importo dello stesso per ogni familiare.

Per quali familiari si può richiedere

Il ricongiungimento familiare può essere richiesto per i seguenti familiari stretti:

  1. il coniuge non legalmente separato e non minore;
  2. i figli minori del richiedente o del coniuge, anche adottivi, non coniugati;
  3. i figli maggiorenni a carico, se inabili in modo permanente al lavoro per gravi disabilità;
  4. i genitori a carico, se non hanno altri figli nel Paese di origine o, se presenti, non possono provvedere al loro mantenimento per gravi motivi di salute certificati.

Non è ammesso il ricongiungimento con fratelli, sorelle o altri parenti diversi da quelli elencati, salvo casi molto specifici e documentati.

Come si fa la domanda di ricongiungimento familiare

La procedura si articola in due fasi principali:

1. Richiesta del nulla osta

La domanda va presentata telematicamente attraverso lo sportello online del Ministero dell’Interno (portale ALI – Sportello Unico Immigrazione)

Il richiedente dovrà allegare, tra i vari documenti richiesti:

  • il documento d’identità valido;
  • il permesso di soggiorno;
  • il certificato del reddito e contratto di lavoro (o dichiarazione dei redditi);
  • il certificato di idoneità alloggiativa rilasciato dal Comune;
  • la documentazione attestante il legame di parentela (tradotta e legalizzata);
  • il certificato di nascita dei figli o certificato di matrimonio.

Il nulla osta viene rilasciato dalla Prefettura – Sportello Unico per l’Immigrazione, previa verifica dei requisiti. In caso di silenzio amministrativo per oltre 90 giorni, si può fare ricorso al TAR.

2. Richiesta del visto

Una volta ottenuto il nulla osta, il familiare deve presentarsi presso l’Ambasciata o Consolato italiano nel Paese d’origine, dove verrà rilasciato il visto per ricongiungimento familiare.

Dopo l’ingresso in Italia, entro 8 giorni il familiare deve richiedere il permesso di soggiorno presso la Questura.

Tempi della procedura

In condizioni ordinarie, i tempi per la procedura di ricongiungimento familiare sono:

  •   30 giorni per l’emissione del visto da parte dell’autorità competente, che decorrono dalla richiesta;
  • I tempi possono per allungarsi se è necessario procedere a verifiche ulteriori.

Ricongiungimento familiare e rifugiati

Per i titolari di protezione internazionale (asilo o protezione sussidiaria), il ricongiungimento è soggetto a una disciplina semplificata. Non sono richiesti requisiti reddituali, di alloggio e assicurativi, ma è necessario dimostrare il legame familiare con:

  • il coniuge o il partner unito da legame stabile;
  • i figli minori;
  • i genitori a carico.

Considerazioni conclusive

Il ricongiungimento familiare è uno strumento giuridico fondamentale per la tutela dell’unità familiare e il rispetto dei diritti umani. In presenza dei requisiti previsti, il cittadino straniero ha diritto soggettivo all’ingresso dei propri familiari in Italia, senza discrezionalità da parte dell’autorità amministrativa.

La corretta presentazione della domanda e la completezza della documentazione sono essenziali per evitare ritardi o rigetti. In caso di diniego, è possibile presentare ricorso al TAR.

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guida troppo piano

Multa anche per chi guida troppo piano Chi guida troppo piano rischia la multa se non rispetta i limiti minimi di velocità presenti in alcuni tipi di strade o intralcia il traffico

Anche chi guida troppo piano rischia la multa

Potrà sembrare strano, ma anche chi guida piano rischia la multa. Quante volte capita di avere fretta e di trovarsi davanti un conducente fin troppo prudente che blocca il traffico. Ecco, anche questa situazione per il Codice della Strada rappresenta una possibile fonte di pericolo. Andare troppo piano infatti impedisce al traffico di scorre in modo fluido, perché crea rallentamenti e inutili ingorghi.

Chi guida troppo piano intralcia il traffico

Lo dice anche il Codice della Strada nell’articolo 141 dedicato alla velocità di circolazione. Il comma 6 di questa norma stabilisce infatti che: “Il conducente non deve circolare a velocità talmente ridotta da costituire intralcio o pericolo per il normale flusso della circolazione.”

Chi non rispetta questa regola pertanto è soggetto a una sanzione minima di 42 euro, che può arrivare fino a un massimo di 173, come previsto dal comma 11 dello stesso articolo 141.

In casi come questi quindi le forze di polizia hanno il potere di fermare e sanzionare il conducente troppo prudente se:

  • nel tratto stradale è imposta una velocità minima che non viene rispettata;
  • la velocità minima di circolazione non viene rispettata in autostrada, destinata notoriamente allo scorrimento veloce;
  • il veicolo crea intralcio alla circolazione rallentando l’andamento regolare anche degli altri mezzi.

Regole generali sulla velocità di guida

Se guidare oltre i limiti di velocità è pericoloso, lo è altrettanto quindi anche guidare troppo piano. Del resto il comma 1 dell’articolo 141 del Codice della Strada stabilisce che il conducente è obbligato ad adeguare la velocità di marcia, nel rispetto delle seguenti variabili:

  • caratteristiche, stato e carico del veicolo;
  • caratteristiche e condizioni della strada;
  • caratteristiche e condizioni e del traffico;
  • ogni altra circostanza di qualsiasi natura;
  • visibilità e condizioni meteo.

Limiti di velocità minimi

A parte le regole generali sulla velocità di guida che impongono di non guidare troppo piano per non creare ingorghi e impedire il flusso della circolazione stradale, ci sono anche veri e propri limiti minimi di velocità da rispettare in certi tipi di strada.

  • In autostrada ad esempio, chi guida sulla corsia di destra deve rispettare i limiti generali appena visti e prescritti dall’articolo 141.
  • Chi guida invece nella corsia centrale dell’autostrada non può circolare a una velocità inferiore ai 60 chilometri orari.
  • Chi poi decide di compiere un sorpasso in autostrada e quindi di percorrere la corsia di sinistra non può tenere una velocità inferiore ai 90 chilometri orari.
  • In altri tipi di strada invece i limiti minimi di velocità da rispettare sono indicati all’interno di specifici cartelli con sfondo blu e numero bianco.

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bonus sociale rifiuti

Bonus sociale rifiuti 2026 Bonus sociale rifiuti 2026: cos’è, chi lo ha deciso, chi ne beneficerà, come ottenerlo, e quale sarà il suo impatto sul costo della TARI

Bonus sociale rifiuti dal 2026

Da gennaio 2026 verrà introdotto il bonus sociale rifiuti. Trattasi di una nuova misura per aiutare circa 4 milioni di famiglie in difficoltà economica. La decisione, annunciata con un comunicato stampa del 1° agosto 2025, è stata presa da ARERA (Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente) con la delibera 355/2025/R/rif, corredata dall’Allegato A contenete il “testo Unico per la regolazione delle modalità applicative per riconoscimento del bonus sociale Rifiuti TUBR”. La delibera ha stabilito nello specifico le procedure per l’erogazione di uno sconto automatico del 25% sulla tassa sui rifiuti.

Chi può beneficiarne 

Il bonus è destinato a due categorie di famiglie:

  • quelle con un ISEE inferiore a 9.530 euro;
  • le famiglie numerose con almeno quattro figli a carico e con un ISEE fino a 20.000 euro.

Come si ottiene il bonus sociale rifiuti

Il processo per ottenere lo sconto è completamente automatico. Non sarà necessario presentare alcuna domanda specifica, ma sarà sufficiente aver compilato la Dichiarazione Sostitutiva Unica (DSU) all’INPS per l’anno 2025. Un sistema digitale incrocerà automaticamente i dati ISEE con quelli dei gestori del servizio rifiuti, applicando lo sconto direttamente in bolletta. L’automatizzazione del processo, che si affianca a quella già in uso per i bonus di luce, gas e acqua, garantisce la protezione dei dati personali, in linea con il GDPR.

Impatto e risparmio

La TARI è la tassa comunale destinata a coprire i costi della gestione dei rifiuti solidi urbani, e il suo costo medio nazionale nel 2024 è stato di circa 329 euro per una famiglia tipo. Tuttavia, le tariffe variano notevolmente a seconda del Comune di residenza. Lo sconto del 25% si tradurrà in un risparmio annuale stimato tra 50 e 150 euro, a seconda della zona. Questo bonus sarà particolarmente vantaggioso per le famiglie che vivono in Comuni dove il costo della TARI è più elevato.

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dati personali

Dati personali: oscuramento nelle sentenze  Dati personali: la normativa privacy e la giurisprudenza sull'oscuramento nelle sentenze tra esigenze pubblicitarie e privacy

Oscuramento dei dati nelle sentenze: disciplina

L’oscuramento dei dati personali nelle sentenze è disciplinato dall’articolo 52 del Codice in materia di protezione dei dati personali, contenuto nel decreto legislativo n. 196/2003.

Questa norma introduce e rafforza in particolare i meccanismi volti a garantire la riservatezza dei dati personali all’interno delle sentenze e dei provvedimenti giurisdizionali, bilanciando il principio di pubblicità degli atti giudiziari con il diritto alla privacy degli interessati.

La norma consente all’interessato di richiedere l’apposizione di un’annotazione sull’originale della sentenza o del provvedimento. Tale richiesta, motivata da legittimi motivi, deve essere depositata nella cancelleria o segreteria dell’ufficio giudiziario competente prima della definizione del grado di giudizio. L’obiettivo dell’annotazione è di precludere l’indicazione delle generalità e di altri dati identificativi dell’interessato in caso di riproduzione o diffusione del provvedimento.

L’autorità giudiziaria che pronuncia la sentenza o adotta il provvedimento valuta la richiesta e provvede con decreto in calce, senza ulteriori formalità. È altresì prevista la possibilità per la medesima autorità di disporre l’apposizione dell’annotazione d’ufficio, qualora ritenga necessario tutelare i diritti o la dignità degli interessati.

Una volta disposta l’annotazione, la cancelleria o la segreteria appone e sottoscrive sul documento originale la dicitura: “In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi di….”, con indicazione degli estremi normativi. Questa disposizione comporta un obbligo di oscuramento per chiunque diffonda la sentenza o il provvedimento (o le relative massime giuridiche), incluso l’utilizzo da parte di terzi.

Indipendentemente dalla presenza di specifiche annotazioni, la norma impone un obbligo generale di omissione delle generalità, altri dati identificativi o dati indirettamente riconducibili all’identità di minori o delle parti nei procedimenti in materia di rapporti di famiglia e di stato delle persone. Questa previsione rafforza la tutela per le categorie più vulnerabili e per le materie intrinsecamente sensibili.

Le medesime disposizioni trovano applicazione anche in ambito arbitrale, estendendosi ai lodi depositati ai sensi dell’articolo 825 c.p.c. Le parti possono formulare la richiesta di riservatezza agli arbitri prima della pronuncia del lodo, i quali sono tenuti ad apporre l’annotazione prevista.

Al di fuori dei casi specificamente individuati da questa normativa, la diffusione del contenuto, anche integrale, delle sentenze e degli altri provvedimenti giurisdizionali rimane liberamente ammessa, mantenendo il principio di pubblicità degli atti giudiziari come regola generale.

Dati personali oscurati: cosa dice la giurisprudenza

Sull’oscuramento dei dati personali nei provvedimenti giudiziari così come in altri atti si è espressa in diverse occasioni la giurisprudenza, fornendo importanti precisazioni sulla normativa:

Tar Lazio nella sentenza n. 7625/2025: la diffusione integrale dei provvedimenti giudiziari è permessa, a meno che la legge o il giudice stesso non impongano l’anonimizzazione dei dati personali. Nonostante l’importanza della privacy, l’accesso alle sentenze è un diritto che va bilanciato dall’autorità giudiziaria, non dalla pubblica amministrazione. Di conseguenza, un oscuramento generalizzato dei dati personali da parte di un’amministrazione non è legittimo, poiché invaderebbe una sfera decisionale propria del giudice. Solo il giudice può valutare caso per caso la necessità di anonimizzare i dati, salvo specifiche eccezioni di legge.

Leggi l’articolo dedicato al commento di questa sentenza Anonimizzazione delle sentenze: il Tar dice no

Corte di Cassazione, sentenza Sezioni Unite n. 36764/2024: la legge non definisce i “motivi legittimi” per l’anonimizzazione dei dati nei provvedimenti giudiziari. Tuttavia, la giurisprudenza si rifà alle linee guida del Garante della Privacy (2010), che indicano la natura sensibile dei dati o la delicatezza della vicenda come criteri. La delicatezza si lega alle conseguenze negative sulla vita sociale e relazionale dell’interessato (es. in famiglia o lavoro). Il giudice deve bilanciare questo diritto alla privacy con la pubblicità delle sentenze, valore costituzionale, valutando caso per caso la specificità della richiesta e la reale incidenza che la diffusione dei dati avrebbe sulla vita del soggetto.

Corte di Cassazione, ordinanza n. 25173/2023: da rigettare l’istanza di anonimizzazione presentata dalla società ricorrente. Le modifiche legislative stabiliscono che solo le persone fisiche possono richiedere l’anonimizzazione dei dati nei provvedimenti giudiziari, se sussistono motivi legittimi (opportuni). Nel caso specifico, mancava il presupposto soggettivo (essendo una società) e quello oggettivo, poiché le questioni relative a dazi e sanzioni tributarie non sono considerate dati sensibili o di particolare riservatezza tali da giustificare l’oscuramento, né la società ha fornito ragioni valide.

decreto semplificazioni 2025

Decreto semplificazioni 2025 per imprese, fisco e lavoro Decreto semplificazioni 2025: approvato dal CdM il disegno di legge che semplifica lavoro, fisco, ambiente, agricoltura e trasporti

Decreto semplificazioni 2025: arrivato il sì del CdM

Il decreto semplificazioni 2025 è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il 4 agosto 2025, con l’obiettivo di snellire la burocrazia e gli adempimenti fiscali e amministrativi. Questo provvedimento rientra nel piano del PNRR e mira a raggiungere 600 procedure semplificate entro il 2026. Il testo interviene su vari settori, tra cui fisco, lavoro, ambiente e sviluppo economico.

Semplificazioni fiscali 

Per quanto riguarda il fisco, le fatture per i crediti d’imposta Transizione 4.0 e 5.0 non richiederanno più il lungo riferimento normativo, ma un più semplice codice identificativo. I contribuenti le cui dichiarazioni fiscali vengano scartate per errori tecnici non saranno sanzionati, a patto di ritrasmetterle correttamente entro un termine prestabilito. Inoltre, per chi decide di rinunciare al contenzioso su sanzioni relative a imposta di registro, successioni e donazioni, è prevista una riduzione a un terzo.

Lavoro e attività economiche: “once only”

Nell’ambito del lavoro e delle attività economiche, viene introdotto il principio del “once only” per le comunicazioni obbligatorie, riducendo le duplicazioni. Le microimprese con meno di cinque dipendenti beneficeranno di adempimenti sulla privacy semplificati e di una procedura più agile per la nomina di un responsabile tecnico temporaneo. Le autorizzazioni per insegne commerciali e distributori automatici vengono semplificate grazie all’uso della SCIA.

Ambiente, agricoltura e trasporti

Le procedure di bonifica ambientale diventeranno più rapide, specialmente per i progetti PNRR. Le imprese già in possesso di un’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA) non dovranno più certificare di non svolgere attività insalubri. Anche il riutilizzo delle acque reflue e le norme su classificazione e trasporto dei rifiuti subiscono una semplificazione.

Limitatamente ai primi cinque anni di attività i nuovi imprenditori agricoli professionali (IAP) beneficeranno non dovranno dimostrare i requisiti di reddito. Gli autotrasportatori potranno utilizzare lo stesso veicolo per conto proprio e per conto terzi.

Decreto semplificazioni 2025: le altre novità

Sono inoltre previste misure per supportare le aree colpite da crisi produttive e un decreto legge separato per la giustizia. I contratti di sviluppo saranno più efficienti grazie alla semplificazione e alla rapidità delle procedure e a protocolli d’intesa con le associazioni di categoria.

 

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polizze catastrofali

Polizze catastrofali: per grandi, medie, piccole e micro imprese Polizze catastrofali: cosa sono e in cosa consiste l’obbligo della stipula per le imprese di grandi, medie, piccole e micro dimensioni

Polizze catastrofali: cosa sono

Le polizze catastrofali sono polizze assicurative che la legge di bilancio 2024 (n. 213/2023) ha reso obbligatorie per tutte le imprese che hanno la sede legale in Italia, per proteggerle da eventi catastrofici e calamità naturali (Cat Nat). La normativa è conseguente ai fenomeni climatici che negli ultimi anni si sono abbattuti sul territorio italiano con ripercussioni negative anche sulle attività economiche e produttive.

Il decreto attuativo, DM n. 18 del 30 gennaio 2025 ha dettato le modalità di attuazione e di operatività degli schemi assicurativi dei rischi catastrofali.

Polizze catastrofali: il termine del 31 marzo 2025

L’articolo 1 comma 101 e successivi della legge di bilancio n. 213/2023 aveva stabilito l’obbligo di adeguamento al 31 dicembre 2024.

Il decreto Milleproroghe ha rinviato però tale obbligo al 31 marzo 2025.

Rinvio per medie, piccole e micro imprese

Il Senato il 21 maggio 2025 con 78 voti a favore, nessuno contrario e 53 astenuti ha approvato in via definitiva il “ddl di conversione con modificazioni, del decreto-legge 31 marzo 2025, n. 39, recante misure urgenti in materia di assicu­razione dei rischi catastrofali.” Il testo della nuova legge n. 78/2025 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale per entrare in vigore il 31 maggio 2025.

Fatta questa necessaria premessa, che cosa stabilisce il testo definitivo? Chi e quando deve sottoscrivere le polizze catastrofali?

Imprese obbligate e termini per la stipula

Le grandi imprese, con più di 250 dipendenti, devono stipulare dette polizze entro il termine del 30 giugno 2025, anche se l’obbligo è in vigore dal 31 marzo 2025. Il decreto infatti ha previsto per queste imprese un periodo transitorio di 90 giorni, fino al 30 giugno, per permettere alle aziende prive di contratto di adeguarsi.

Le medie imprese con un minimo di 50 dipendenti fino a un massimo di 250, hanno invece altri sei mesi di tempo, ossia fino al 1° ottobre 2025, per stipulare i contratti assicurativi.

Per le micro e piccole imprese l’obbligo è  posticipato al 31 dicembre 2025.

La mancata stipula comporterà il mancato accesso a incentivi statali e risorse pubbliche per sviluppare l’attività. Le imprese che intendono chiedere determinati aiuti dovranno infatti dimostrare di essere in regola con la stipula.

Obbligo assicurativo: eccezioni

Sono esclusi dall’obbligo assicurativo gli immobili che non possono essere assicurati perchè:

  • costruiti o ampliati in assenza di un titolo edilizio valido o ultimati quando il titolo non era obbligatorio;
  • oggetto di sanatoria o con procedimento di sanatoria o condono in corso.

Indennizzo assicurativo

L’indennizzo spettante in caso di evento catastrofale spetta al proprietario dell’immobile se l’imprenditore assicura beni di proprietà altrui impiegati per l’attività di impresa, comunicando al proprietario la stipula della polizza. L’indennizzo, una volta corrisposto, deve essere impiegato solo per ripristinare i beni danneggiati. Se questa regola non viene rispettata all’imprenditore spetta comunque una somma per la riparazione del lucro cessante nel limite del 40% dell’indennizzo massimo indennizzabile.

Polizze catastrofali: le faq del MIMIT

Sul sito Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) sono presenti le FAQ sulle polizze assicurative contro eventi catastrofali. Le risposte chiariscono aspetti essenziali in merito all’obbligo assicurativo per le imprese e agli effetti sull’accesso ai benefici pubblici.

Obbligo assicurativo e incentivi pubblici

Il Ministero precisa che la norma relativa allobbligo per le imprese di stipulare polizze assicurative contro calamità naturali – prevista dall’art. 1, comma 102 della Legge n. 213/2023 – non è immediatamente applicabile in modo automatico. Infatti, la disposizione stabilisce che la mancata sottoscrizione della polizza deve essere tenuta in considerazione nella concessione di contributi, agevolazioni e sovvenzioni pubbliche, ma non ne definisce in modo vincolante gli effetti.

Questo significa che l’inadempimento all’obbligo assicurativo non comporta automaticamente lesclusione dai benefici pubblici, ma richiede un’espressa valutazione da parte dell’ente erogatore, secondo i criteri stabiliti nei singoli provvedimenti attuativi.

Nessuna retroattività della norma

Il MIMIT chiarisce inoltre che la disciplina in questione non ha efficacia retroattiva. Pertanto, l’obbligo assicurativo e le eventuali conseguenze sulla concessione di agevolazioni pubbliche si applicano solo a partire dalla data di recepimento della norma da parte delle specifiche misure di incentivazione o dalle eventuali diverse decorrenze indicate nei relativi atti.

Polizze catastrofali: incentivi per chi si adegua all’obbligo

Con il decreto del Ministro delle Imprese e del Made in Italy del 18 giugno 2025, di cui è stato dato avviso il 28 luglio 2025, si subordinano tutta una serie di incentivi e di agevolazioni all’adempimento dell’obbligo assicurativo “fermi restando i requisiti di ammissibilità e la disciplina delle cause di esclusione propri della normativa di attuazione di ciascun incentivo.” 

La disciplina riguarda sia le imprese che hanno la sede legale nel territorio italiano che quelle che hanno la sede legale all’estero, ma che hanno in Italia un’organizzazione stabile e che sono tenute all’iscrizione nel registro delle imprese.

Nel rispetto delle scadenze previste per adempiere l’obbligo assicurativo, ossia il 30 giugno 2025 per le grandi imprese, il 1° ottobre 2025 per le medie imprese e il 31 dicembre 2025 per le piccole imprese, il decreto stabilisce che le disposizioni si applicheranno alle domande per gli incentivi che verranno presentate rispettivamente a partire dal 30 giugno, dal 2 ottobre e dal 1° gennaio 2026.

Il comma 3 dell’articolo 1 precisa che l’obbligo assicurativo deve sussistere anche in sede di erogazione degli incentivi elencati nel successivo comma 4.

Per fornire importanti chiarimenti relativi all’applicazione della disciplina prevista dal decreto il MIMIT interviene con un avviso del 5 agosto 2025. 

In esso il Ministero delle Imprese e del Made in Italy precisa che il decreto si riferisce solo alle agevolazioni che sono di competenza della Direzione Generale regolamentati dai decreti del solo Ministero. L’elenco dei vari incentivi previsti dal decreto quindi non è tassativo, presto infatti la disciplina sarà adeguata agli altri incentivi sempre di competenza della Direzione, ma definiti insieme ad altri Ministeri.