Tenore di vita accertabile con elementi presuntivi Il tenore di vita può essere accertato anche con elementi presuntivi per quantificare l'assegno di mantenimento

Tenore di vita assegno di mantenimento

Per stabilire l’assegno di separazione, la valutazione del tenore di vita durante il matrimonio e delle condizioni economiche dei coniugi dopo la separazione può basarsi su indizi e deduzioni. È fondamentale però che tale valutazione sia fondata su un’analisi specifica e dettagliata delle circostanze reali. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 11611/2025.

Nessun mantenimento per la moglie

Una donna ricorre in appello contro due sentenze che, in virtù della separazione dal marito le assegnavano la casa familiare, le addebitavano la separazione e obbligavano l’ex marito a versare 1.000 euro mensili per il mantenimento del figlio, oltre all’80% delle spese straordinarie. La donna contestava l’addebito della separazione a suo carico e chiedeva il mantenimento in suo favore.

Tenore di vita: moglie impossibilitata a conservarlo

La Corte d’Appello riforma la decisione di primo grado. Essa respinge la richiesta di addebito della separazione alla moglie e riconosce alla donna un assegno di mantenimento di 800 euro mensili (oltre rivalutazione Istat). Il resto della decisione viene confermato. Per la Corte il tenore di vita matrimoniale era sostenuto principalmente dal reddito dell’uomo. Lo stesso aveva infatti revocato i mandati professionali alla moglie (avvocato) e si era appropriato dei risparmi comuni. Nonostante la capacità professionale della donna e la futura divisione dei beni, la Corte riconosce una riduzione delle sue disponibilità economiche e la sua incapacità di mantenere le precedenti condizioni di vita. L’assegno di 800 euro appare pertanto equo. L’uomo a questo punto ricorre in Cassazione.

Assegno mantenimento: rileva il tenore di vita

La Cassazione accoglie il primo motivo del ricorso e dichiara assorbiti tutti gli altri. Nella motivazione ricorda che l’articolo 156, comma 1, del codice civile stabilisce che il coniuge a cui non sia addebitabile la separazione ha diritto a ricevere dall’altro quanto necessario per mantenere il tenore di vita goduto durante il matrimonio, qualora non abbia redditi adeguati.

In sede di separazione (a differenza del divorzio), il parametro per valutare l’adeguatezza dei redditi è il mantenimento del tenore di vita matrimoniale. Questo perché il vincolo coniugale permane e sussiste ancora il dovere di assistenza materiale.

Tenore di vita accertabile con elementi presuntivi

Per quantificare l’assegno, il giudice di merito deve quindi necessariamente accertare il tenore di vita della coppia durante la convivenza. Nel compiere questa valutazione deve considerare i redditi dichiarati fiscalmente, altri elementi economici come il patrimonio (anche mobiliare), uno stile di vita agiato, o redditi non dichiarati. Tale accertamento può basarsi anche su elementi presuntivi, ma deve essere concreto.

Nel caso specifico, la Cassazione critica la Corte d’Appello per aver stabilito la prevalenza del contributo economico dell’uomo nel determinare il tenore di vita coniugale senza descrivere in alcun modo quale fosse tale tenore di vita.

Peggioramento delle condizioni di vita della moglie da specificare

Allo stesso modo, la Corte territoriale ha ritenuto peggiorate le condizioni economiche della donna dopo la separazione senza specificare quali fossero prima e dopo. La Corte di Cassazione contesta quindi alla Corte d’Appello di aver espresso un’opinione sulla maggiore incidenza del reddito dell’uomo nel sostenere il tenore di vita familiare e sul peggioramento della situazione economica della donna senza aver prima chiaramente definito e valutato le reali circostanze economiche in cui versava la famiglia e ciascun coniuge. La mancanza di una precisa determinazione delle effettive condizioni di vita dei coniugi ha portato la Corte d’Appello a decidere sull’obbligo e sull’entità dell’assegno di mantenimento senza avere una comprensione concreta del loro pregresso tenore di vita familiare e delle loro attuali risorse individuali. Alla Corte d’Appello in diversa composizione il compito di decidere su questi punti nel rispetto di quanto affermato in sentenza.

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Il Ministero risarcisce gli alunni abusati dal prof Gli alunni abusati dagli insegnanti devono essere risarciti dal Ministero, gli abusi non sono sono imprevedibili nei rapporti di cura

Alunni abusati: il Ministero deve risarcire

La Cassazione torna a occuparsi di alunni abusati, precisando che quando un insegnante commette abusi sessuali sui suoi allievi a scuola, il Ministero deve risarcire il danno. Questo perché, secondo la legge, la condotta criminosa dell’insegnante, pur essendo contraria agli scopi educativi della scuola, non è considerata un evento così inatteso o impossibile da escludere la responsabilità dell’amministrazione pubblica. Il rischio che un abuso possa avvenire in un contesto scolastico non è così remoto da sollevare il Ministero dal suo dovere di risarcire le vittime. Lo ha chiarito la Cassazione nella sentenza n. 11614/2025.

Il Ministero risarcisca i danni agli alunni

I famigliari di alcuni alunni abusati da un loro insegnante citano in giudizio il MIUR (ora MIM), affermando la responsabilità civile del Ministero per abusi di un docente sui loro figli minori. Il docente infatti è stato condannato definitivamente per abusi su minori (anni 2003-2006) e gli attori si erano già costituiti parte civile nel processo penale contro il docente. Il Ministero però non aveva partecipato al processo penale come responsabile civile. Nell’incardinato giudizio civile però lo stesso si costituisce, eccependo la prescrizione dell’azione, deducendo l’inopponibilità del giudicato penale, rilevando l’erroneo richiamo all’art. 2049 c.c ed evidenziando la carenza delle allegazioni avversarie.

Ministero condannato in primo e secondo grado

Il Tribunale di Genova però condanna il Ministero e con la sentenza n. 2122/2021 riconosce il risarcimento per danno biologico e morale agli attori. La Corte d’appello di Genova riforma parzialmente la decisione di primo grado, ricalcola il danno e detrae le provvisionali già liquidate agli attori, confermando nella parte restante la decisione di primo grado. Gli attori ricorrono in Cassazione e il MIM resiste con controricorso.

Responsabilità ministero: nesso di causalità

La Cassazione nel rigettare il ricorso incidentale e accogliere quello degli attore fornisce importanti indicazioni interpretative. La stessa ricorda che la pronuncia a Sezioni Unite n. 13246/2019 ha chiarito che l’art. 2049 c.c.configura una responsabilità oggettiva per fatto altrui, un’applicazione moderna del principio cuius commoda eius et incommoda, in base al quale chi si avvale dell’attività di un altro ne subisce anche i danni. L’ordinamento in questo modo rialloca i costi delle condotte dannose, ponendoli a carico di chi si avvale dell’operato altrui.

A fondare la responsabilità del preponente è il nesso di occasionalità necessaria e lo stesso sussiste se le funzioni esercitate agevolano l’illecito. È irrilevante il superamento dei limiti o il dolo del dipendente, occorre che la condotta non costituisca uno sviluppo anomalo della funzione. Il contesto scolastico richiede accorgimenti preventivi, la dirigenza e tutto il personale devono adottarli e gli stessi vanno attuati in base all’età degli allievi e alle circostanze.

Alunni abusati: anomalia prevedibile

Le situazioni di affidamento di minori sono sicuramente insidiose. La normativa penale infatti distingue le condotte verso minori e aggrava le pene per chi ha compiti di cura, educazione o custodia. L’art. 609-quater c.p, che punisce gli atti sessuali con minori, prevede un trattamento specifico quando tra reo e vittima esiste un rapporto di fiducia o di autorità.

La Convenzione di Lanzarote all’art. 18 prevede sanzioni per chi commette abusi quando riveste posizioni di fiducia. L’abuso che viene attuato all’interno delle relazioni con figure professionali come insegnanti e medici merita un’attenzione particolare.

I minori in queste relazioni vanno protetti, anche se hanno raggiunto l’età per i rapporti sessuali e anche se non vi è coercizione. Le relazioni di cura o istruzione possono evolvere in abuso e questo non costituisce un’anomalia imprevedibile.  Statisticamente, chi abusa di minori spesso è proprio chi se ne occupa. L’assunzione di compiti di cura favorisce quindi i predatori sessuali.

Le condotte delittuose commesse ai danni dei ricorrenti quindi, nel caso di specie, non possono essere considerati “improbabili”. Esse non costituiscono un’anomalia imprevedibile e la Pubblica Amministrazione ha il dovere di prevenire i reati, adottando le misure opportune durante le prestazioni scolastiche.  La reiterazione degli abusi nell’ambiente scolastico evidenzia carenze nel controllo.

 

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decreto anziani

Decreto anziani: cosa prevede il correttivo Approvato dal CdM il correttivo al “Decreto Anziani”, che promuove la dignità e l’autonomia della popolazione anziana

Correttivo al decreto Anziani

Il Consiglio dei Ministri, dopo il via libera preliminare di marzo, il 30 aprile scorso, ha approvato in via definitiva il decreto legislativo che apporta modifiche al Dlgs 29/2024, riguardante le politiche a favore degli anziani. Queste nuove disposizioni, in attuazione della delega prevista dalla Legge n. 33/2023, mirano a semplificare e accelerare l’accesso ai servizi sanitari e sociali per la popolazione anziana, rendendo il sistema più efficiente e accessibile. Il correttivo approvato tiene conto dei pareri espressi dalla Conferenza unificata e dalle Commissioni parlamentari competenti.

Modifiche agli artt. 6 e 25 del D.Lgs. n. 29/2024

Le norme, tra l’altro, si legge nel comunicato stampa di palazzo Chigi, apportano talune modifiche all’articolo 6 del decreto legislativo n. 29 del 2024, dove si fa riferimento alle iniziative avviate dalle istituzioni scolastiche, nonché all’articolo 25 del medesimo decreto legislativo, nella parte in cui vengono citate le organizzazioni del Terzo settore e le associazioni di volontariato, al fine di eliminare termini non corretti;

Rinviati i termini di adozione dei regolamenti

Inoltre, il decreto proroga di sei mesi il termine per l’adozione del regolamento che definirà i criteri per l’individuazione delle priorità di accesso PUA, la composizione e le modalità di funzionamento delle unità di valutazione multidimensionale unificata (UVM) e lo strumento della valutazione multidimensionale unificata (VMU) omogeneo a livello nazionale. Questa proroga consentirà una definizione più accurata delle procedure e garantirà una maggiore uniformità nell’erogazione dei servizi su tutto il territorio nazionale.

Politiche anziani: fase pilota di 12 mesi per la VMU

Un’altra iniziativa significativa è l’introduzione di una procedura sperimentale della durata di dodici mesi, a partire dal 1° gennaio 2026. Questa fase pilota prevede l’applicazione provvisoria e a campione delle disposizioni relative alla valutazione multidimensionale unificata, prevedendo la partecipazione di una provincia per ogni regione italiana, con modalità demandate ad un decreto ad hoc del ministro della Salute.

L’obiettivo è testare l’efficacia delle nuove procedure e assicurare che il sistema di valutazione risponda adeguatamente alle esigenze degli anziani nelle diverse aree del paese.

 

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affido condiviso

Affidamento condiviso: il ddl di riforma Affidamento condiviso: il ddl che riforma l'istituto prevede importanti novità su responsabilità, obblighi genitoriali e mediazione

Affidamento condiviso: la riforma 

Il disegno di legge n. 832 che contiene “Modifiche al codice civile, al codice di procedura civile e al codice penale in materia di affidamento condiviso” e che è composto da 18 articoli, mira a rafforzare la disciplina dell’affido condiviso e della responsabilità genitoriale, ponendo sempre al centro l’interesse superiore del minore.

Il ddl pone l’accento sull’affido condiviso come modello prioritario, sulla pariteticità della responsabilità genitoriale e sulla tutela del diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori. Introduce strumenti come la mediazione familiare obbligatoria in una fase preliminare e la figura del coordinatore genitoriale per gestire la conflittualità e favorire l’attuazione del piano genitoriale. Rafforza inoltre gli strumenti a disposizione del giudice per intervenire in caso di inadempienze e comportamenti pregiudizievoli per il minore. Analizziamo nel dettaglio cosa prevede la riforma.

Domicilio, obblighi paritetici e responsabilità

Il disegno di legge stabilisce che, in caso di affido condiviso, il minore abbia il domicilio di entrambi i genitori, sottolineando così la pariteticità del ruolo genitoriale anche a livello formale. La cura, l’educazione, l’istruzione e l’assistenza morale dei figli diventano obblighi paritetici di entrambi i genitori, indipendentemente dal loro stato civile. Si definisce la responsabilità genitoriale come l’insieme di diritti e doveri dei genitori finalizzati all’interesse dei figli. Eliminato il riferimento alla “residenza abituale” del minore, in coerenza con l’introduzione del domicilio presso entrambi i genitori in caso di affido condiviso.

Affidamento condiviso: genitori non coniugati

Per quanto riguarda i genitori non coniugati il nuovo art. 316-ter prevede che il padre contribuisca alle spese del parto non coperte dal sistema sanitario e al mantenimento della madre per tre mesi se priva di risorse. L’articolo 316-quater invece stabilisce un obbligo di mantenimento temporaneo a carico del genitore economicamente più forte verso l’altro genitore in difficoltà, per un massimo di due anni o fino al terzo anno di età del figlio. Viene infine ampliato il diritto a conservare i rapporti tra minori e ascendenti

Bigenitorialità e poteri del giudice

L’articolo 337-ter c.c, cuore della disciplina sull’affidamento condiviso, viene sostituito. La nuova norma afferma il diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i genitori, ricevendo cura, educazione e istruzione da entrambi con pari responsabilità e opportunità di frequentazione. L’affido condiviso diventa la modalità ordinaria, salvo eccezioni motivate dall’interesse del minore. Il giudice deve:

  • determinare le modalità specifiche della presenza dei figli presso ciascun genitore;
  • stabilire la residenza anagrafica e fissare il domicilio presso entrambi i genitori;
  • definire le modalità di contribuzione al mantenimento, tenendo conto della capacità di ciascun genitore e della valorizzazione economica dei compiti domestici e di cura.

In caso di disaccordo, il giudice decide. Viene ribadito il diritto dei minori a conservare rapporti significativi con gli ascendenti e i parenti di entrambi i rami genitoriali.

ISEE e cambio residenza

Si provvede ad adeguare il regolamento sull’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) per tenere conto delle modalità dell’affido condiviso e vengono abrogati i commi 6 e 7 dell’art. 6 della legge sul divorzio (n. 898/1970), che riguardano le disposizioni patrimoniali in caso di affidamento esclusivo.

Il ddl prevede che, qualora il cambio di residenza o domicilio del genitore interferisca con le modalità dell’affido, si possa procedere alla ridefinizione degli accordi o dei provvedimenti, inclusi quelli economici.

Figli maggiorenni e mantenimento

L’assegno perequativo per il mantenimento del figlio  maggiorenne spetta direttamente a quest’ultimo al raggiungimento della maggiore età, se non autosufficiente. In caso di inadempimento del genitore obbligato e inerzia del figlio, l’altro genitore è legittimato ad agire. Si prevede anche la possibilità di stabilire una quota mensile a carico di ciascun genitore in caso di mantenimento diretto precedente alla maggiore età.

Ascolto minore, mediazione e coordinatore

Rafforzato il diritto del minore a essere ascoltato. Il giudice deve valutare la fondatezza di un eventuale rifiuto del minore a essere ascoltato e procede all’ascolto dello stesso se ne fa domanda, anche in caso di omologazione di accordi tra i genitori. Si provvede a introdurre l’obbligo di un primo incontro informativo sulla mediazione familiare in caso di disaccordo sull’affido condiviso, prima di adire il giudice (salvo urgenze). Il primo incontro è gratuito e il giudice può anche segnalare l’opportunità della mediazione in fasi successive del giudizio. In caso di fallimento della mediazione o del suo rifiuto, il giudice invita le parti a redigere un piano genitoriale e si prevede la figura del coordinatore genitoriale, che può essere nominato dal giudice o dalle parti per facilitare l’attuazione del piano e risolvere eventuali disaccordi, anche con il potere di assumere decisioni di secondario rilievo.

Reato art. 570 bis esteso alle unioni civili

I poteri del giudice vengono rafforzati in caso di gravi inadempienze, inclusi i trasferimenti del minore senza consenso. In questi casi il giudice potrà disporre il rientro immediato e il risarcimento dei danni, valutando tale comportamento ai fini dell’affido.

Il reato di violazione degli obblighi economici in materia di separazione e affido condiviso – previsto dall’art. 570-bis del codice penale, viene esteso alle unioni civili.

 

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obbligo di informativa avvocato

L’avvocato deve informare il cliente sull’utilizzo dell’AI Obbligo di informativa avvocato se utilizza strumenti di intelligenza artificiale per lo svolgimento dell’attività professionale

Ddl intelligenza artificiale: obbligo avvocato

Obbligo di informativa avvocato: con l’approvazione in Senato del disegno di legge delega sull’Intelligenza Artificiale, ora all’esame della Camera, emerge l’argomento di rilievo dell’obbligo di informativa al cliente sull’utilizzo dell’AI.

L’Italia grazie alla normativa europea e a quella interna in fase di definizione, compie un passo significativo verso la regolamentazione dell’uso dell’AI nei settori chiave della società, tra cui quello delle professioni intellettuali.

Tra i punti centrali della normativa, l’articolo 13 introduce infatti obblighi specifici per avvocati e professionisti in merito all’impiego dell’intelligenza artificiale, stabilendo principi di trasparenza, supervisione e centralità dell’intervento umano.

Ruolo dell’AI nelle professioni forensi

L’articolo 13 del disegno di legge stabilisce in modo inequivocabile che l’intelligenza artificiale può essere utilizzata solo per attività strumentali e di supporto all’attività professionale. Questo significa che le decisioni, le valutazioni e l’elaborazione intellettuale restano prerogativa esclusiva del professionista umano.

Il testo chiarisce infatti che il “pensiero critico umano” deve sempre prevalere, e ciò vale anche sotto il profilo qualitativo della prestazione, garantendo così che l’uso dell’AI non svuoti di contenuto il lavoro dell’avvocato.

La norma si riferisce infatti agli articoli 2229-2238 del codice civile, che regolano il contratto di prestazione d’opera intellettuale. In questo contesto, l’articolo 2230 estende, dove applicabili, le norme sul contratto d’opera in generale (articoli 2222-2228). Quindi, l’articolo 13 riguarda specificamente i contratti per prestazioni d’opera intellettuale e non si applica ad accordi come i contratti di edizione, che riguardano la cessione o l’utilizzo di opere intellettuali già create senza un incarico specifico. Queste ultime rimangono escluse quindi dalle limitazioni previste dalla norma.

Obbligo di informativa chiara e trasparente  

Uno degli aspetti più innovativi e delicati della riforma è, come anticipato, l’introduzione dell’obbligo di informativa verso il cliente. L’avvocato che intende avvalersi di sistemi di AI nell’esecuzione del mandato deve comunicarlo in modo esplicito, utilizzando un linguaggio chiaro, semplice e completo. Questo obbligo non è soltanto una nuova previsione normativa, ma si pone in continuità con i principi già sanciti dal Codice deontologico forense, che impone doveri di trasparenza, competenza e correttezza nella comunicazione col cliente.

In attesa dell’entrata in vigore definitiva della norma, è auspicabile che gli studi legali provvedano ad aggiornare i propri modelli di incarico indicando al loro interno se e in quale fasi è previsto l’utilizzo di strumenti AI, quali misure sono adottate per tutelare la privacy dei clienti, con particolare riferimento ai dati sensibili e la garanzia che l’impiego dell’intelligenza artificiale è comunque sottoposto al controllo e alla supervisione del personale umano.

Tali indicazioni rappresentano un passo necessario per mantenere integro il rapporto fiduciario tra avvocato e assistito, che è alla base della professione forense.

Cultura dell’AI nel mondo legale

Oltre all’obbligo di informativa, il disegno di legge coinvolge gli Ordini professionali nella promozione di corsi di formazione sull’AI. L’obiettivo è duplice: da un lato garantire un uso competente e responsabile delle nuove tecnologie, dall’altro favorire una cultura professionale in grado di integrare l’innovazione senza rinunciare all’etica e alla qualità della prestazione.

Considerazioni conclusive

L’introduzione dell’obbligo di informativa sull’uso dell’intelligenza artificiale rappresenta un punto di equilibrio tra innovazione e responsabilità. Per gli avvocati, si apre una nuova fase in cui sarà essenziale saper governare strumenti sempre più potenti, mantenendo però saldi i principi fondamentali della professione. La trasparenza verso il cliente non sarà solo un dovere legale, ma anche un’opportunità per rafforzare la fiducia e la qualità del servizio offerto.

gratuito patrocinio

Gratuito patrocinio: iscrizione a ruolo con la sola istanza Gratuito patrocinio: per l'iscrizione a ruolo è sufficiente l'istanza di ammissione protocollata

Istanza gratuito patrocinio e iscrizione a ruolo

Con la circolare del 24 aprile 2025, protocollo n. 81673.U, la Direzione Generale degli Affari Interni del Dipartimento per gli Affari di Giustizia ha fornito importanti chiarimenti sulla procedura di iscrizione a ruolo nei casi di deposito dell’istanza di ammissione al patrocinio gratuito, priva della delibera di ammissione del Consiglio dell’Ordine. Si chiede alla direzione di chiarire in sostanza se si può procedere all’iscrizione della causa a ruolo con la sola istanza depositata, che deve essere  protocollata presso il Consiglio dell’Ordine competente.

Normativa sul gratuito patrocinio a spese dello Stato

Per fornire una risposta coerente con il quadro normativo e giurisprudenziale la Direzione richiama il Testo Unico sulle Spese di Giustizia che contiene anche la disciplina sull’ammissione al patrocinio gratuito. La normativa prevede in particolare che l’’interessato debba presenta l’istanza al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati competente, ossia quello del luogo dove ha sede il magistrato della causa, che decide sull’istanza entro dieci giorni dal deposito. E’ l’articolo 126 del D.P.R. n. 115/2002 a stabilire questo termine.

La Direzione rileva tuttavia che il termine di dieci giorni non viene sempre rispettato. Finora, infatti l’iscrizione a ruolo è stata effettuata con la sola istanza protocollata, con la riserva di provvedere al deposito del provvedimento di accoglimento successivamente. La Direzione Generale della Giustizia Civile del resto aveva implicitamente confermato questa prassi con la nota prot. DAG 103148.U del 14.07.2015.

Obbligo contributo unificato per l’iscrizione a ruolo

La Legge di Bilancio per il 2025 poi ha introdotto nuove disposizioni per cui è lecito domandarsi  se la prassi sia ancora valida. La legge n. 207/2024 ha previsto infatti l’obbligatorietà del versamento del contributo unificato minimo di 43,00 euro. Un importo minore è previsto infatti solo per specifici procedimenti.

Patrocinio gratuito, difesa e iscrizione a ruolo

La Direzione Generale risponde al quesito sottolineando prima di tutto come il diritto di accesso alla difesa sia fondamentale. La Costituzione lo garantisce all’articolo 24 ed eventuali ritardi nella valutazione dell’istanza di patrocinio non possono pregiudicare questo diritto. Se il ritardo non è imputabile alla parte, l’ufficio giudiziario deve procedere all’iscrizione a ruolo anche con la sola istanza di ammissione purché regolarmente depositata e protocollata dal Consiglio dell’Ordine competente.

La Cassazione sulla retroattività

Del resto la Suprema Corte di Cassazione di recente si è espressa sulla retroazione del provvedimento di ammissione con la sentenza la n. 6888/2025, chiarendo un principio di diritto consolidato. Se l’istanza respinta dal Consiglio dell’Ordine viene accolta dal giudice, gli effetti dell’ammissione retroagiscono dalla data di presentazione al Consiglio dell’Ordine. Lo Stato quindi deve farsi carico delle spese legali sostenute in questo intervallo di tempo.

Indicazioni operative istanza gratuito patrocinio

Alla luce della normativa e della giurisprudenza analizzate, la Direzione  stabilisce che gli uffici giudiziari debbano iscrivere a ruolo i procedimenti civili anche senza la delibera del Consiglio dell’Ordine. L’avvocato dovrà allegare l’istanza di ammissione regolarmente depositata e protocollata e la cancelleria dovrà aprire un foglio notizie. Se l’istanza dovesse essere respinta e non confermata dal magistrato, si procederà alla riscossione delle spese.

 

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Magistratura onoraria: la riforma La riforma della magistratura onoraria, pubblicata in GU, in vigore dal 1° maggio 2025: cambiano le regole su orari di lavoro, compensi e contributi

Magistratura onoraria: in vigore dal 1° maggio

La riforma della magistratura onoraria, collegata alla manovra finanziaria pubblica, è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 16 aprile 2025 per entrare in vigore dal 1° maggio 2025.

La nuova legge n. 51/2025, va a modificare alcune disposizioni del Decreto legislativo n. 116/2017.

Vedi il Dossier del Senato sulla Riforma

Orario di lavoro e disciplina

Al Presidente del tribunale o al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale è riconosciuto il compito di definire il programma di lavoro dei magistrati onorari, in conformità alle indicazioni del CSM, fissando comunque un limite alla durata di lavoro settimanale. Detto programma deve essere elaborato nel rispetto delle indicazioni fornite dal Consiglio superiore della magistratura.

La durata dell’orario di lavoro:

  • non deve superare le 36 ore per ogni settimanaper i magistrati che hanno optato per il regime di esclusività;
  • non deve superare le 16 ore per ogni settimana per i magistrati che non hanno optato per il regime di esclusivitàper assicurare la compatibilità con lo svolgimento di altre attività lavorative o professionali.

Compenso

Il compenso annuo spettante ai magistrati onorari confermati che svolgono le loro funzioni in via esclusiva, è di 58.840 euro, a cui si aggiunge un trattamento di fine rapporto.

Ai magistrati onorari che esercitano le funzioni in via non esclusiva, è corrisposto invece il compenso annuo di 25.000 euro (più elevato quindi rispetto agli iniziali 20.000 euro) oltre un trattamento di fine rapporto.

A questi magistrati onorari spettano anche i buoni pasto nella misura spettante al personale dell’amministrazione giudiziaria, qualora venga superata la soglia delle sei ore di presenza all’interno dell’ufficio giudiziario.

Le giornate dedicate alla formazione sono considerate combattività giurisdizionali a tutti gli effetti, anche di tipo economico.

Contributi e previdenza

Il provvedimento prevede specifiche disposizioni relative al regime contributivo e previdenziale.

  • I magistrati onorari confermati che svolgono l’attività in via esclusiva sono assicurati all’INAIL contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, sono iscritti al Fondo pensioni lavoratori dipendenti dell’assicurazione generale obbligatoria dell’INPS e sono iscritti a specifiche forme di previdenza e assistenza sociale.
  • I magistrati onorari confermati che non esercitano in via esclusiva, invece, sono iscritti alla Gestione separata INPS e assicurati all’INAIL contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali. Essi hanno anche titolo per l’iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense e mantengono l’iscrizione alla Cassa medesima. Se svolgono invece attività lavorative aggiuntive, diverse da quella forense, conservano  il corrispondente regime contributivo in relazione ai compensi o alle retribuzioni percepiti per quelle attività.

Incompatibilità

La causa di incompatibilità relativa all’esercizio della professione forense per conto di imprese assicurative, bancarie o di intermediazione finanziaria operanti nel circondario del giudice di pace viene modificata. Essa opera qualora, nei cinque anni antecedenti alla presentazione della domanda per diventare giudice di pace, l’interessato abbia esercitato in maniera abituale e prevalente l’attività di avvocato per tali enti.

I magistrati onorari che hanno optato per il regime di cui all’art. 29 del dlgs n.116/2017 non possono esercitare le loro funzioni in uffici giudiziari situati nel circondario del tribunale in cui il loro coniuge, convivente, parenti fino al secondo grado o affini entro il primo grado esercitano la professione forense.

Inoltre, magistrati onorari legati da tali vincoli familiari o di convivenza non possono essere assegnati al medesimo ufficio giudiziario. Queste disposizioni si estendono anche alle parti di un’unione civile.

Rimessione nei termini e conferma

Prevista infine una procedura di rimessione nei termini per la richiesta di conferma nella magistratura onoraria, riservata ai magistrati onorari che non l’avevano ancora presentata.

Tale procedura è applicabile quando, all’esito delle procedure di conferma già concluse, residuano risorse disponibili e il CSM bandisce, con delibera, una nuova procedura di valutazione per un numero di posti corrispondente alle risorse disponibili.

I magistrati onorari non confermati per la mancata partecipazione alle prove valutative concluse o per aver rinunciato a sostenere il colloquio orale, anche in presenza di domanda di conferma, possono fare domanda per partecipare alle nuove procedure valutative sino al compimento del settantesimo anno di età.

Per quanto riguarda l’opzione per l’esclusività, si prevede che i magistrati confermati possano chiedere di esercitare l’opzione entro il 31 luglio di ogni anno successivo a quello di immissione nel ruolo.

tax control framework

Tax control framework: avvocati e commercialisti certificatori Tax control framework: raggiunta l'intesa tra avvocati, commercialisti, ministero e Agenzia su competenze e titoli per i certificatori. Ecco il testo

Tax control framework: il protocollo d’intesa

Novità in materia di Tax control Framework. Il Consiglio Nazionale dei Commercialisti, il Consiglio Nazionale Forense, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate hanno siglato un protocollo d’intesa per definire come individuare i titoli e le competenze professionali necessarie per ottenere l’attestazione di certificatore del rischio fiscale.

Questa figura, riservata ad avvocati e commercialisti (iscritti alla sezione A dell’albo), è fondamentale per l’iscrizione all’elenco dei certificatori del sistema integrato di gestione e controllo del rischio fiscale.

Requisiti accesso elenco certificatori

L’iscrizione all’elenco richiede la partecipazione a un percorso formativo di almeno ottanta ore, suddiviso in tre moduli:

  • sistemi di controllo interno e gestione dei rischi (almeno la metà del corso);
  • principi contabili;
  • diritto tributario.

Al termine di ogni modulo è previsto un test di valutazione. I due Consigli nazionali attestano il superamento dei corsi e dei test per i propri iscritti. Lo svolgimento dei percorsi formativi e dei test è definito dai Consigli nazionali di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate.

Esoneri dalla frequenza dei test

Sono previste diverse esenzioni dalla frequenza e dai test. Ne beneficiano:

  • gli iscritti da almeno cinque anni (sezione A per i commercialisti) che hanno avuto incarichi formali nella progettazione di sistemi di controllo del rischio fiscale validati dall’Agenzia delle Entrate;
  • o che hanno collaborato per almeno cinque anni come responsabili dei rischi fiscali in imprese in adempimento collaborativo.
  • L’esonero si estende anche a chi, iscritto da almeno cinque anni, è stato membro di organismi di vigilanza o ha svolto audit aziendale per almeno due anni in società in adempimento collaborativo.
  • Esonerati anche i professori universitari di discipline economico-aziendali o di diritto tributario, iscritti da almeno cinque anni nei rispettivi albi (avvocati e commercialisti sezione A).

Esoneri totali da percorsi formativi e test

  • L’esenzione totale dalla frequentazione dei corsi e dai test è prevista per professori universitari abilitati e ricercatori a tempo determinato  nelle discipline economico aziendali o di diritto tributario, iscritti da almeno cinque anni agli albi, limitatamente ai moduli relativi al loro ambito disciplinare.
  • Stessa agevolazione per i revisori legali dei conti iscritti da almeno cinque anni (limitatamente al modulo sui principi contabili) e per chi ha conseguito un dottorato di ricerca o un master di II livello, sempre iscritti da almeno cinque anni e limitatamente ai moduli pertinenti al titolo.
  • Infine, sono esonerati gli iscritti da almeno cinque anni che per almeno due anni hanno ricoperto il ruolo di responsabile fiscale, supervisore di sistemi di controllo del rischio fiscale interno, di internal audit aziendale o di responsabile dei controlli II livello,  in grandi imprese con sede in Italia.

I due Consigli Nazionali gestiscono e aggiornano i rispettivi elenchi di certificatori, mentre l’Agenzia delle Entrate pubblica sul proprio sito l’elenco complessivo, distinto per avvocati e commercialisti.

 

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riforma della professione

Riforma della professione forense: cosa prevede Riforma della professione forense: pronto il testo elaborato da CNF, OCF e altre associazioni per porre rimedio alle difficoltà degli avvocati

Avvocati: in arrivo la riforma della professione

L’avvocatura italiana è in fase di trasformazione, pronta la riforma della professione forense.

I dati evidenziano del resto un calo degli iscritti alla Cassa Forense. Salgono invece l’età media e i redditi, ma non per tutti. Significative poi le disparità di genere e territoriali.

Proprio al fine di migliorare questo stato di cose, il Consiglio Nazionale Forense (CNF), in collaborazione con l’Organismo Congressuale Forense (OCF) e altre associazioni, ha completato una proposta di riforma dell’ordinamento professionale. Come annunciato nel corso dell’illustrazione del Rapporto del Censis sull’avvocatura 2025, l’obiettivo è di portarla in Parlamento entro quindici giorni per l’approvazione. La proposta è stata presentata ufficialmente il 29 aprile 2025 a Roma, nel corso dell’Agorà dei presidenti degli Ordini e delle unioni.

Tra le novità di maggiore rilievo spicca la possibilità per il professionista di accordarsi con il cliente e pattuire un compenso collegato al raggiungimento degli obiettivi, senza tuttavia superare il criterio di proporzionalità e il 20% del tetto massimo stabilito dai parametri in vigore.

Il rapporto Censis sull’avvocatura

Secondo il Rapporto Cassa Forense-Censis, presentato a Roma, gli avvocati iscritti nel 2024 sono  in calo dell’1,6% rispetto all’anno precedente. Dal 2020 la riduzione è di quasi 12.000 unità. Parallelamente, il numero di pensionati è aumentato di circa 5.000 unità, mentre gli iscritti attivi sono diminuiti di 15.000. L’età media degli avvocati ha raggiunto i 49 anni, confermando un progressivo invecchiamento della categoria.

Preoccupante anche il dato relativo alla professione: il 33% degli avvocati intervistati ha dichiarato di valutare l’idea di abbandonare l’attività, principalmente per difficoltà economiche e problemi di conciliazione tra vita professionale e familiare, soprattutto per le donne.

Redditi in crescita ma con forti disparità

Il reddito medio degli avvocati nel 2023 è stato di 47.678 euro, ma le differenze sono evidenti. Gli uomini hanno dichiarato in media 62.456 euro, mentre le donne si sono fermate a 31.115 euro. Le disparità emergono anche su base territoriale: in Lombardia il reddito medio è di 81.115 euro, mentre in Calabria scende a 24.203 euro.

Il nuovo Statuto dellAvvocatura

A tredici anni dalla legge professionale del 2012, il nuovo Statuto dell’Avvocatura è pronto. Tra le misure proposte, spicca l’obbligo per la Pubblica Amministrazione e le autorità giudiziarie di rispettare la parità di genere nell’assegnazione degli incarichi.

Arricchita la disciplina del segreto professionale che si estende ai nuovi supporti informatici, audio e video.

Nuove regole per chi decide di associarsi e disciplina dell’esercizio della professione tramite la partecipazione a contratti di rete tra avvocati o multidisciplinari. Apertura nei confronti delle collaborazioni continuative e coordinate per gli avvocati.

Cambia anche il percorso di formazione per esercitare la professione forense e la disciplina degli albi, degli elenchi e dei registri. Prevista anche una delega al Governo per riformare le difese d’ufficio.

Novità importanti e numerose in ambito disciplinare. Prevista la sospensione del procedimento disciplinare per i medesimi fatti per i quali viene aperta l’azione penale o vengono avviate le indagini penali.

Le comunicazioni, i provvedimenti e le notifiche del CDD avverranno a mezzo PEC, solo in mancanza si continueranno a effettuare a mezzo raccomandata A/R o ufficiale giudiziario. Cambia inoltre la disciplina della riabilitazione dell’avvocato che abbia commesso illeciti disciplinari, la quale verrà annotata nel fascicolo personale dell’iscritto.

La riforma è attesa con grande interesse dalla categoria, con la speranza che possa fornire strumenti concreti per garantire una professione più equa, sostenibile e attrattiva per le nuove generazioni.

 

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intercettazioni telefoniche

Intercettazioni telefoniche: per legge fino a 45 giorni Intercettazioni telefoniche: in vigore dal 24 aprile la legge che ha fissato a 45 giorni il termine di durata massimo, salvo eccezioni

Intercettazioni telefoniche: durata

In vigore dal 24 aprile 2025, la legge n. 47/2025 che impone il limite massimo di 45 giorni per le intercettazioni telefoniche. Il testo era stato approvato in via definitiva dalla Camera dei deputati nella giornata di mercoledì 19 marzo 2025 con 147 voti favorevoli, 67 contrari e un astenuto.

Durata limitata con eccezioni

La nuova norma stabilisce che le intercettazioni non possano superare il tetto di 45 giorni. Tuttavia, se emergono elementi concreti e specifici che ne rendano indispensabile la prosecuzione, il limite può essere esteso con un’esplicita motivazione. Questa regola si applica a tutte le operazioni di ascolto, salvo specifiche eccezioni previste dalla legge.

Il provvedimento prevede deroghe infatti per i reati di criminalità organizzata  e minacce telefoniche.

Modifiche al codice di procedura penale

Il provvedimento modifica l’articolo 267 del codice di procedura penale, introducendo il limite temporale alle intercettazioni. Inoltre, l’articolo 13 del decreto-legge n. 152 del 1991 viene aggiornato per escludere dall’applicazione del nuovo limite a reati gravi.

Cosa cambia nelle intercettazioni telefoniche

La nuova legge rappresenta un cambiamento significativo nella disciplina delle intercettazioni. Se da un lato introduce un controllo più stringente sulle operazioni investigative, dall’altro solleva dubbi sulla sua efficacia nel contrastare i reati più gravi. Il dibattito resta aperto tra chi la considera una misura di garanzia e chi, invece, teme un indebolimento delle indagini giudiziarie.

 

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