Compravendita

La compravendita La compravendita: definizione, tipologie, caratteristiche, effetti, forma, obblighi del venditore e del compratore e pagamento

Cos’è la compravendita

La compravendita è un contratto disciplinato dal codice civile italiano, precisamente dagli articoli 1470-1547. La finalità di questo contratto consiste nel trasferire la proprietà di un bene o di un altro diritto da un venditore a un compratore, in cambio di un prezzo. Questo contratto ha origini molto antiche, che risalgono all’epoca romana, e oggi rappresenta uno degli istituti giuridici più importanti e frequenti.

Tipologie di compravendita

Il contratto di compravendita può variare notevolmente a seconda dell’oggetto e delle condizioni concordate.

  • Compravendita immobiliare: ha per oggetto i beni immobili come terreni, case o appartamenti. La legge richiede che questo tipo di contratto sia redatto per iscritto, spesso come atto pubblico o scrittura privata autenticata, e che venga registrato nei registri immobiliari per essere opponibile a terzi.
  • Compravendita mobiliare: si riferisce alla vendita di beni mobili, tra cui veicoli, elettrodomestici, mobili o qualsiasi altro bene non immobile. Generalmente, questa forma di compravendita non richiede formalità specifiche e si perfeziona con il semplice accordo tra le parti. Per i beni mobili registrati (come le automobili), è comunque necessaria la forma scritta ai fini della trascrizione nei pubblici registri.
  • Compravendita con riserva di proprietà: questa tipologia è comune nelle vendite a rate. Il compratore entra subito in possesso del bene. La proprietà effettiva del bene però rimane al venditore fino a quando il compratore non paghi l’intero prezzo, in caso di contrario, il venditore può riprendersi il bene.
  • Compravendita con patto di riscatto: il venditore può riacquistare il bene venduto entro un determinato termine stabilito, restituendo al compratore il prezzo pagato e rimborsando gli le spese sostenute. Questa clausola è tipicamente utilizzata quando il venditore ha l’interesse a poter rientrare in possesso del bene in futuro.

Contratto di compravendita: caratteristiche

La compravendita è a titolo oneroso, entrambe le parti infatti traggono un vantaggio economico: il venditore riceve il prezzo, e il compratore ottiene la proprietà del bene.

Il contratto è consensuale, il che significa che si perfeziona con il semplice accordo tra le parti, senza che sia necessaria la consegna fisica della cosa. Il trasferimento della proprietà, quindi, avviene per effetto del solo consenso (principio consensualistico).

Un’altra caratteristica fondamentale è il vincolo sinallagmatico, dove le prestazioni delle parti (il trasferimento del bene e il pagamento del prezzo) sono strettamente legate l’una all’altra. Questo legame rende applicabili istituti come la risoluzione del contratto, nel caso in cui una delle parti non adempia alla propria obbligazione.

La compravendita: effetti

Di norma, la compravendita ha effetti reali: la proprietà del bene passa dal venditore al compratore nel momento stesso in cui il contratto viene concluso. Tuttavia, esistono casi in cui l’effetto traslativo della proprietà è differito a un momento successivo, dando vita alle vendite a effetti obbligatori. In queste situazioni, infatti, il contratto genera inizialmente solo un’obbligazione per il venditore di fare acquistare la proprietà al compratore. Vediamo qualche esempio di vendite a effetti obbligatori.

  • Vendita di cose generiche: la proprietà si trasferisce quando il bene, determinato solo nel genere (ad esempio, 100 quintali di grano), in seguito viene specificato o individuato.
  • Vendita di cosa futura: l’effetto traslativo si ha quando la cosa viene a esistere (ad esempio, un immobile ancora da costruire o i frutti di un terreno non ancora raccolti).
  • Vendita di cosa altrui: il venditore si assume l’impegno di procurarsi la proprietà del bene da un terzo per trasferirla poi al compratore.

Forma del contratto di compravendita

Per quanto riguarda la forma, la compravendita è generalmente libera e può avvenire anche oralmente. Tuttavia, in alcuni casi, come la vendita di beni immobili, è necessaria la forma scritta a pena di nullità. Questi atti devono essere redatti come atto pubblico o scrittura privata autenticata e sono soggetti a trascrizione nei registri immobiliari.

Obblighi del venditore e del compratore

Il contratto di compravendita impone precisi obblighi a entrambe le parti.

Obblighi del compratore: il dovere principale del compratore è quello di pagare il prezzo stabilito e di sostenere le spese del contratto, a meno che non sia stato diversamente pattuito.

Obblighi del venditore: il venditore invece ha tre obblighi principali:

    • consegnare la cosa: ossia trasferire fisicamente il bene al compratore:
    • garantire dall’evizione ossia proteggere l’acquirente nel caso in cui un terzo rivendichi la proprietà o un altro diritto reale sul bene venduto. Se il compratore perde il bene a causa di una rivendicazione di terzi, il venditore deve risarcire il danno.
    • Garantire per i vizi: assicurare il compratore che il bene è privo di difetti tali da renderlo inidoneo all’uso o da diminuirne significativamente il valore. Per i beni di consumo, la normativa più recente introduce anche la garanzia di conformità, che assicura che il bene risponda alle caratteristiche stabilite nel contratto.

Modalità di pagamento  

Il pagamento può avvenire con diverse modalità (bonifico, assegno, contanti) e in tempi diversi, che possono essere anticipati, immediati o posticipati, a seconda degli accordi. Il contratto può anche includere clausole particolari che danno luogo a tipi speciali di vendita, come quelli trattati sopra.

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Codice dei contratti pubblici

Il codice dei contratti pubblici Codice dei contratti pubblici o degli appalti pubblici: risultato, fiducia, accesso al mercato, sostenibilità e digitalizzazione

Codice dei contratti pubblici aggiornato al 2025

Il panorama normativo degli appalti pubblici in Italia ha subito una significativa evoluzione con l’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 36/2023, il nuovo Codice dei Contratti Pubblici, destinato a modernizzare e semplificare le procedure di affidamento di lavori, servizi e forniture.  Di recente sono state apportate diverse modifiche al testo da parte del “correttivo” al Codice Appalti (D.Lgs. 209/2024), del Decreto PA n. 25/2025, dalla Legge n. 42/2025 e dalla Legge n. 40/2025, che riguarda la ricostruzione post-calamità.

Principi fondamentali e obiettivi del codice degli appalti

Il Codice dei contratti pubblici, o Codice degli appalti, si basa su una serie di principi cardine volti a garantire la concorrenza, la trasparenza, l’efficienza e l’economicità nell’utilizzo delle risorse pubbliche. Tra questi spiccano:

  • il risultato: l’affidamento e l’esecuzione dei contratti pubblici devono perseguire il risultato concreto, misurabile e rispondente al fabbisogno della collettività;
  • la fiducia: l’azione amministrativa nel settore dei contratti pubblici è improntata alla reciproca fiducia tra stazioni appaltanti e operatori economici;
  • l‘accesso al mercato: si promuove la massima partecipazione degli operatori economici, nel rispetto dei principi di parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza;
  • la sostenibilità: negli affidamenti si tiene conto di criteri ambientali, sociali ed economici, in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile;
  • la digitalizzazione: l’utilizzo di strumenti elettronici è incentivato in tutte le fasi del ciclo di vita del contratto.

Le novità introdotte dal D.Lgs. 209/2024, dal dl n. 25/2025 e dalla l. n. 42/2025

Le recenti modifiche legislative hanno introdotto importanti integrazioni e chiarimenti al Codice degli Appalti.

D.Lgs. 209/2024 (Correttivo al Codice Appalti): questo decreto, in vigore dal 31 dicembre 2024, ha apportato modifiche significative al Codice, intervenendo su diversi aspetti:

  • equo compenso: maggiore tutela dell’equo compenso nelle gare di progettazione;
  • revisione dei prezzi: meccanismi di revisione dei prezzi più chiari e definiti;
  • digitalizzazione e BIM: razionalizzazione dei requisiti tecnici per la redazione digitale dei documenti e ridefinizione delle regole per l’utilizzo di metodi e strumenti di gestione informativa digitale delle costruzioni (BIM);
  • incentivi per funzioni tecniche: eliminata l’esclusione del personale dirigenziale dai beneficiari degli incentivi;
  • subappalto: chiarimenti e possibili modifiche alle condizioni di subappalto;
  • RUP (Responsabile Unico del Progetto): possibilità per le stazioni appaltanti con carenza di organico qualificato di individuare il RUP tra il personale di altra pubblica amministrazione;
  • termini procedurali: riduzione dello stand still a 32 giorni.
  • contratti di manutenzione: semplificazione dell’iter.

Decreto PA (D.L. 25/2025): questo decreto-legge focalizza le modifiche all’allegato I.11, al fine di rendere più efficiente il Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici (CSLP) attraverso la semplificazione dei requisiti per la presentazione di progetti e  dei documenti di fattibilità delle alternative progettuali e con l’introduzione di un contributo economico per la verifica tecnica. In pratica, si alleggerisce la burocrazia per ottenere i pareri del CSLP e si finanzia la sua attività di controllo tecnico.

Legge n. 42/2025: sebbene il suo focus principale non siano i contratti pubblici in generale, questa legge contiene disposizioni che possono avere un impatto indiretto, ad esempio, sul trattamento economico del personale del comparto difesa e sicurezza che svolge funzioni tecniche nelle procedure di affidamento.

Struttura e articolazione del Codice dei contratti pubblici

Il Codice dei contratti pubblici, si articola in diverse parti, dedicate a disciplinare in modo organico le varie fasi del ciclo di vita di un contratto pubblico:

  • principi generali: definiscono i principi fondamentali e gli obiettivi del codice;
  • disciplina dei contratti pubblici: regolamenta le procedure di affidamento, distinguendo tra contratti di lavori, servizi e forniture e definendo le diverse tipologie di procedure (aperta, ristretta, competitiva con negoziazione, negoziata senza pubblicazione, ecc.);
  • esecuzione del contratto: disciplina le modalità di esecuzione, le responsabilità delle parti, le modifiche contrattuali e le procedure di collaudo;
  • contenzioso: regolamenta le procedure di risoluzione delle controversie in materia di contratti pubblici;
  • disposizioni transitorie e finali: definiscono le modalità di passaggio al nuovo regime normativo e abrogano la precedente normativa.

Focus sulle procedure di affidamento

Le procedure di affidamento rappresentano il cuore del codice degli appalti. Le modifiche del 2025 hanno ulteriormente delineato e semplificato le diverse tipologie, con un maggiore ricorso a procedure negoziate, soprattutto per i contratti di importo inferiore alle soglie europee. La trasparenza e la tracciabilità rimangono elementi centrali, con l’obbligo di pubblicazione degli atti di gara e l’utilizzo di piattaforme telematiche.

Codice del contratti pubblici: impatto e prospettive future

Il nuovo Codice dei Contratti Pubblici, così come aggiornato dalle leggi del 2025, rappresenta uno strumento fondamentale per la modernizzazione della pubblica amministrazione e per la ripresa economica del Paese. La semplificazione delle procedure, la maggiore attenzione alla qualità e alla sostenibilità, e la spinta alla digitalizzazione sono elementi chiave per rendere il sistema degli appalti pubblici più efficiente, trasparente e al servizio delle esigenze della collettività. Tuttavia, la piena attuazione del codice e delle sue recenti modifiche richiederà un impegno costante da parte di tutti gli attori coinvolti, dalle stazioni appaltanti agli operatori economici, per garantire che i principi e gli obiettivi del legislatore si traducano in risultati concreti e duraturi.

 

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garanzia per evizione

Garanzia per evizione Garanzia per evizione: cos’è, a quale contratto si riferisce, come funzione, prescrizione dell’azione, tipologie e Cassazione 2025

Garanzia per evizione: definizione

La garanzia per evizione è specificatamente disciplinata dal Codice Civile in materia di compravendita. Essa rappresenta una forma di protezione per il compratore, assicurandogli che il bene acquistato sia immune da vizi giuridici che possano comprometterne la proprietà.

Evizione: cos’è

L’evizione si verifica quando il compratore perde, in tutto o in parte, la proprietà del bene a causa di un diritto preesistente di un terzo. In sostanza, un giudice accerta che il venditore non aveva il pieno diritto di trasferire la proprietà.

Come funziona la garanzia per evizione

La garanzia per evizione non è un’obbligazione di fare o non fare, ma di garanzia appunto. Il venditore infatti si assume il rischio di dover indennizzare il compratore qualora il suo diritto di proprietà risulti viziato. Un presupposto essenziale perché la garanzia operi è che un terzo agisca in giudizio e vinca la causa, dimostrando di avere un diritto prevalente sul bene.

Garanzia per evizione: modificabilità

Le parti però possono, in autonomia, modificare gli effetti della garanzia, aumentandoli, diminuendoli o addirittura escludendola. Tuttavia, l’art. 1487 c.c prevede che la garanzia non possa essere esclusa se l’evizione dipende da un fatto proprio del venditore, qualsiasi patto contrario è considerato nullo.

Prescrizione 

Il diritto di azione per l’evizione si prescrive in dieci anni, che decorrono dal momento in cui il diritto del terzo viene accertato incontrovertibilmente.

Tipologie di evizione

Esistono tre principali tipologie di evizione, ognuna con conseguenze diverse.

Evizione totale (art. 1483 c.c.): si verifica se il compratore perde completamente la proprietà del bene. In questo caso, il venditore è tenuto a risarcire il danno, rimborsando il prezzo pagato, le spese sostenute per la vendita e le eventuali spese di manutenzione. Il venditore inoltre dovrà riconoscere al compratore il valore dei frutti che deve restituire al terzo e le spese legali sostenute. La finalità consiste nel ripristinare la situazione economica del compratore anteriore della vendita.

Evizione parziale (art. 1484 c.c.): si verifica quando il compratore perde solo una parte del bene. L’acquirente ha la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto, ma deve dimostrare che non avrebbe mai acquistato il bene senza quella parte specifica. In alternativa, ha diritto a una riduzione del prezzo, fermo il al risarcimento dei danni come per l’evizione totala.

Evizione limitativa (art. 1489 c.c.): in questo caso il diritto di proprietà del compratore non viene perso, ma limitato da oneri o diritti reali (come una servitù) che non erano apparenti o dichiarati nel contratto. Il compratore può richiedere che il contratto venga risolto o che il prezzo venga ridotto, oltre all’eventuale risarcimento del danno.

Casi particolari di evizione

Evizione evitata (art. 1486 c.c.): il compratore riesce a evitare l’evizione pagando una somma di denaro al terzo. In questo caso, il venditore può liberarsi dalla garanzia rimborsando al compratore la somma pagata, gli interessi e le spese sostenute.

Evizione invertita: si ha quando il compratore, venuto a conoscenza del diritto di un terzo, acquista direttamente la proprietà da quest’ultimo. In questo caso si applica la stessa disciplina dell’evizione evitata, permettendo al venditore di rimborsare le spese sostenute per liberarsi dalla garanzia.

Cassazione 2025 sulla garanzia per evizione

Recentemente, la Corte di Cassazione ha chiarito alcuni aspetti fondamentali della garanzia per evizione.

Cassazione n. 20316/2025: la garanzia opera a prescindere dalla colpa del venditore o dalla buona fede del compratore. Anche se l’acquirente era a conoscenza della possibile causa di evizione, se questa si verifica, la garanzia è comunque dovuta.

Cassazione n. 18498/2025: nell’ipotesi di limitazione del godimento (come nel caso di una servitù non dichiarata) si applica l’art. 1489 c.c., che consente anche il solo risarcimento del danno.

Cassazione n. 2330/2025: l’evizione si verifica quando l’acquisto del diritto è impedito, senza che sia necessario che il compratore perda anche il possesso effettivo del bene. Il trasferimento del diritto di proprietà è l’essenza del contratto di vendita, e la sua inefficacia è ciò che fa scattare la garanzia.

 

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Responsabilità della Pubblica amministrazione

Responsabilità della Pubblica Amministrazione Responsabilità della pubblica amministrazione: principi, tipologie, conseguenze giuridiche e riparto di giurisdizionale

Responsabilità della pubblica amministrazione

La responsabilità della pubblica amministrazione è un concetto giuridico fondamentale per garantire legalità, imparzialità ed efficienza dell’azione amministrativa. Essa rappresenta l’obbligo dell’amministrazione di rispondere delle proprie condotte illecite o dannose sotto il profilo civile, penale, amministrativo-contabile e disciplinare.

Il principio di responsabilità della pubblica amministrazione

Alla base dell’ordinamento democratico e dello Stato di diritto vi è il principio secondo cui anche la Pubblica Amministrazione (PA) è soggetta alla legge e deve rispondere delle conseguenze derivanti dalla propria attività.

Tale principio trova fondamento:

  • nell’art. 28 della Costituzione italiana, secondo cui i funzionari e i dipendenti pubblici sono direttamente responsabili, civilmente, penalmente e amministrativamente, degli atti compiuti in violazione dei diritti;
  • nell’art. 2043 del codice civile, che stabilisce il generale principio di responsabilità aquiliana (extracontrattuale);
  • nel principio di buona amministrazione sancito dall’art. 97 Costituzione;
  • nella giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte dei Conti.

La responsabilità della PA può derivare sia da atti illegittimi che da omissioni, e può essere azionata dai cittadini, dalle imprese e da altri enti che abbiano subito un danno ingiusto.

Responsabilità civile della pubblica amministrazione

La responsabilità civile può essere di due tipi:

1. Responsabilità extracontrattuale (ex art. 2043 c.c.)

È il caso più frequente: si verifica quando l’attività illegittima della PA provoca un danno ingiusto a un soggetto, lesivo di un interesse tutelato dall’ordinamento. Per configurarsi, devono sussistere tre presupposti:

  • condotta illecita della PA o del suo agente;
  • danno ingiusto subito dal privato;
  • nesso di causalità tra la condotta e il danno.

Un esempio classico è la responsabilità da ritardo nell’emissione di provvedimenti amministrativi o da mancata esecuzione di sentenze.

2. Responsabilità contrattuale (es. in caso di appalti o convenzioni)

Meno frequente, ma può insorgere quando la PA stipula contratti con soggetti privati e non adempie correttamente agli obblighi assunti, incorrendo così nella responsabilità da inadempimento.

Responsabilità penale della pubblica amministrazione

I funzionari pubblici, nell’esercizio delle loro funzioni, possono incorrere in responsabilità penale nei casi previsti dal codice penale e da leggi speciali. I principali reati contro la Pubblica Amministrazione sono disciplinati dal Titolo II del Libro II del codice penale.

Tra i reati più rilevanti si segnalano:

  • abuso d’ufficio (art. 323 c.p.);
  • corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.) e per atto contrario ai doveri d’ufficio (art. 319 c.p.);
  • peculato (art. 314 c.p.);
  • concussione (art. 317 c.p.);
  • omissione o rifiuto di atti d’ufficio (art. 328 c.p.).

È importante sottolineare che, in ambito penale, la responsabilità non è mai collettiva, ma personale: ricade sul singolo funzionario che ha tenuto la condotta illecita, anche se in rappresentanza della PA.

Responsabilità amministrativo-contabile

È la forma di responsabilità peculiare dei dipendenti e funzionari pubblici quando recano un danno erariale al patrimonio pubblico con dolo o colpa grave.

Rientrano in questa categoria:

  • l’indebito pagamento di somme;
  • l’acquisto di beni o servizi a prezzi maggiorati;
  • l’omessa riscossione di crediti pubblici;
  • la mancata vigilanza che comporta un danno alle finanze pubbliche.

Questa responsabilità è personale e patrimoniale, è sottoposta alla giurisdizione della Corte dei Conti, e può comportare l’obbligo di risarcimento del danno all’erario.

Responsabilità disciplinare

Oltre alle responsabilità civile, penale e contabile, i dipendenti pubblici sono soggetti anche a responsabilità disciplinare per violazione dei doveri d’ufficio, secondo quanto previsto dai codici di comportamento e dai contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) del pubblico impiego.

Le sanzioni disciplinari possono variare:

  • dal richiamo scritto alla sospensione,
  • fino al licenziamento per giusta causa.

Il principio dell’autoresponsabilità

La giurisprudenza ha sviluppato il principio secondo cui la PA risponde in giudizio come qualsiasi altro soggetto giuridico, senza privilegi o immunità particolari, in ossequio al principio di uguaglianza (art. 3 Costituzione.).

Competenza dei giudici nella azioni di responsabilità

Semplificando all’estremo, le azioni risarcitorie nei confronti della PA vengono proposte:

  • dinanzi al giudice ordinario, quando il privato stato leso in suo diritto soggettivo. Un esempio tipico di lesione di diritto soggettivo si verifica quando un soggetto viene leso nell’affidamento riposto nell’attendibilità di una attestazione della PA sull’edificabilità di un’area, che poi si rivela erronea;
  • dinanzi al giudice amministrativo (TAR), quando il danno deriva dalla lesione di interessi legittimi nelle materie affidate a questa autorità giudiziaria in via esclusiva. La nota sentenza della Cassazione n. 500/1999 ha chiarito però che affinché vi sia tutela risarcitoria la lesione dell’interesse legittimo non è sufficiente, è necessaria la lesione del bene della vita collegato all’interesse legittimo.

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condotta irreprensibile

Condotta irreprensibile avvocato già “specchiatissima e illibata” Condotta irreprensibile avvocato: cos’è, normativa, chi la valuta e cosa dice il CNF in caso di cancellazione e richiesta di reiscrizione

Condotta irreprensibile: requisito per l’iscrizione all’albo

La condotta irreprensibile dell’avvocato, definita prima del 2012 con i termini “specchiatissima e illibata” è uno dei requisiti richiesti dalla legge per l’iscrizione all’albo.

L’articolo 17 della legge n. 247/2012, contenente la “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense” al comma 1 lettera h) richiede infatti la “condotta irreprensibile secondo i canoni previsti dal codice deontologico” tra i requisiti di cui l’avvocato deve essere in possesso per potersi iscrivere all’albo.

Che cosa si intende per condotta irreprensibile?

La definizione e i confini della condotta irreprensibile li fornisce il CNF nella sentenza n. 214/2017. In questa decisione il Consiglio nazione Forense precisa che quando si valuta l’affidabilità di un avvocato, le condotte moralmente apprezzabili che rilevano non sono quelle della sua vita privata, ma piuttosto quelle che sono pertinenti alla sua capacità di svolgere correttamente i compiti assegnati.

E’ fondamentale inoltre non prendere in considerazione o valutare condotte che, per la loro natura, occasionalità, distanza nel tempo, o qualsiasi altro motivo, non siano ragionevolmente in grado di influenzare l’affidabilità attuale dell’avvocato rispetto alla sua specifica funzione o attività. In altre parole, si devono considerare solo i comportamenti che hanno un impatto concreto e attuale sulla sua professionalità e integrità in quel contesto specifico.

Valutazione della condotta irreprensibile dell’avvocato

La sentenza n. 214/2017 del CNF, richiamando quanto sancito da due sue precedenti sentenze, ricorda che spetta al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati (C.O.A) valutare in modo autonomo e indipendente la “condotta irreprensibile”. Questa valutazione però non deve essere automaticamente condizionata dall’esito di un eventuale procedimento penale che abbia coinvolto l’interessato. Di conseguenza, una condanna penale non comporta un automatico impedimento all’iscrizione. Il C.O.A deve considerare tutti gli elementi per determinare se la condotta dell’individuo sia compatibile con la dignità e il decoro della professione forense, indipendentemente da sentenze penali.

Giurisprudenza recente sulla condotta irreprensibile

Sempre il CNF in tre recenti sentenze si è espresso sulla “condotta irreprensibile” dell’avvocato fornendo così importanti indicazioni.

La reiscrizione all’albo di un altro COA è una nuova iscrizione

Nella sentenza n. 473/2024, il CNF si trova a decidere sul ricorso presentato da un avvocato, che dopo essere stato cancellato dall’albo di del COA Pordenone in seguito alla sua detenzione, si è visto rigettare l’iscrizione presso il COA di Belluno a causa dell’assenza della condotta irreprensibile e dell’assenza del legame territoriale, ossia il domicilio, all’interno del circondario.

Nel rigettare il ricorso il CNF ricorda, prima di tutto, che per la reiscrizione all’albo degli avvocati, l’interessato deve aver rimosso le cause della precedente cancellazione, ma anche dimostrare di possedere ancora i requisiti originali di iscrizione. Il COA quindi deve riesaminare tutti i requisiti previsti dall’articolo 17, commi da 1 a 7, della Legge 247/2012, inclusa la condotta irreprensibile. Per principio consolidato il COA può cancellare d’ufficio un iscritto condannato per reati che compromettano tale condotta, indipendentemente da un procedimento disciplinare.

La reiscrizione è considerata infatti una nuova iscrizione, richiedendo la verifica di tutti i requisiti legali richiesti per essere inseriti nell’albo.

Il CNF ha sancito lo stesso principio nella sentenza n. 477/2024. Il Consiglio ha infatti rigettato il ricorso di un avvocato, originariamente iscritto all’albo di Pordenone, che dopo la detenzione e l’affidamento in prova, si è visto rigettare l’iscrizione al COA di Rovigo.

Reiscrizione allo stesso albo: tutti i requisiti di cui al co.1, art. 17, Legge n. 247/2012

Nella sentenza n. 475/2024 il CNF si è espresso su un ricorso presentato da un avvocato che, dopo essere stato cancellato dall’albo dopo un periodo di detenzione, si è visto rigettare la reiscrizione allo stesso albo del COA di Pordenone per assenza di condotta irreprensibile, incertezza del domicilio professionale e permanenza dello stato di esecuzione della pena nella forma dell’affidamento in prova.

Il CNF anche nel caso della richiesta di reiscrizione allo stesso albo enuncia lo stesso principio esposto nei due casi precedenti. Per la reiscrizione all’albo dopo la cancellazione verificatasi a causa della pena detentiva irrogata all’avvocato, non è sufficiente la condotta irreprensibile. Il COA infatti deve valutare il possesso di tutti i requisiti che l’articolo 17 della legge 24772012 richiede, per procedere all’iscrizione.

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scambio elettorale politico mafioso

Scambio elettorale politico mafioso Scambio letterale politico-mafioso: guida al reato che punisce l'accettazione di voti promessi da appartenenti ad associazioni mafiose

Scambio elettorale politico mafioso: cos’è

Il delitto di scambio elettorale politico mafioso è un reato cruciale nella lotta contro le infiltrazioni mafiose nella vita democratica del Paese. Esso è previsto e punito dall’articolo 416 ter del Codice penale.

Cosa prevede l’articolo 416 ter c.p

La norma stabilisce che chiunque accetta la promessa di voti da parte di soggetti appartenenti ad associazioni mafiose (ai sensi dell’art. 416-bis c.p.) o tramite le modalità tipiche del metodo mafioso, in cambio di denaro, di altre utilità, o della disponibilità a soddisfare gli interessi dell’associazione, è punito con la stessa pena prevista per l’associazione mafiosa (art. 416-bis c.p.), ovvero la reclusione da 10 a 15 anni.. La medesima pena si applica anche a chi promette tali voti. Se il politico che ha accettato la promessa viene eletto, la pena è aumentata della metà, e in caso di condanna scatta sempre l’interdizione perpetua dai pubblici uffici.

Bene giuridico tutelato

Il bene giuridico tutelato da questa fattispecie non è solo l’ordine pubblico, ma anche il sistema democratico, con particolare riferimento al libero esercizio del diritto di voto, elemento fondamentale della sovranità popolare.

I soggetti dello scambio elettorale politico mafioso

Il soggetto attivo del reato può essere di due tipi. Da un lato, c’è chi accetta la promessa di voti, un “reato comune” che può essere commesso da “chiunque” purché non sia un membro dell’associazione mafiosa stessa (che annullerebbe il carattere sinallagmatico dello scambio). Sebbene il reato sia incentrato sul fenomeno elettorale, non è richiesta la qualifica formale di candidato, anche se l’effettiva elezione costituisce un’aggravante.

Dall’altro lato, c’è il procacciatore di voti. Originariamente, si richiedeva l’uso del “metodo mafioso”. La riforma del 2019 ha affiancato a questa ipotesi quella in cui la promessa provenga da soggetti appartenenti ad associazioni mafiose, anche per contrastare il fenomeno delle “mafie silenti” dove l’intimidazione è meno evidente. Anche in questo caso si tratta di un reato comune, poiché può essere commesso anche da chi non è un associato, ma agisce con metodi mafiosi.

Il soggetto passivo del reato invece è soprattutto lo Stato e, secondo parte della dottrina, anche l’ente territoriale interessato dalle elezioni.

Condotta criminosa: in cosa consiste

La condotta criminosa consiste nell’accordo tra il candidato e i soggetti mafiosi (o che agiscono con metodo mafioso), direttamente o tramite intermediari. In virtù di questo patto, i soggetti si impegnano a procurare voti in cambio di denaro, altre utilità, o la disponibilità del politico a soddisfare gli interessi della mafia.

Oggetto dello scambio elettorale politico mafioso

Come specificato anche dalla sentenza della Cassazione n. 23810/2025 “Il reato di scambio elettorale politico mafioso ha per oggetto la – promessa di procurare voti da parte di soggetti appartenenti alle associazioni di cui all’articolo 416 bis o mediante le modalità di cui al terzo comma dell’articolo 416 bis- e si consuma con la mera stipulazione dell’intesa illecita.”

Tipologia di reato

È un reato di pericolo, perché è sufficiente la “promessa” di procurare voti, non è richiesto l’effettivo procacciamento o l’erogazione di denaro. Le vicende successive all’accordo non incidono sul perfezionamento del reato, ma possono aggravarne la pena. Per “altra utilità” si intendono tutti i vantaggi, economici o meno, diversi dal denaro (es. posti di lavoro, appalti, provvedimenti amministrativi).

Elemento soggettivo dello scambio  elettorale politico mafioso

L’elemento soggettivo del reato è il dolo generico: la volontà dell’accordo delittuoso. Il reato è istantaneo e si consuma nel momento dell’accettazione della promessa da parte del politico e della formulazione della promessa da parte del procacciatore di voti, indipendentemente dalla loro realizzazione. Essendo un reato di pericolo, non è configurabile il tentativo.

Aggravante a effetto speciale

Infine, il comma 3 dell’art. 416-ter c.p. prevede un’aggravante a effetto speciale che aumenta la pena della metà se il politico, a seguito dell’accordo mafioso, viene effettivamente eletto. Questa circostanza, pur rilevante, è spesso complessa da dimostrare in giudizio, soprattutto nel determinare l’effettivo impatto del contributo mafioso sul risultato elettorale.

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garanzia per i vizi

Garanzia per i vizi Garanzia per i vizi della cosa venduta: definizione, normativa civilistica, effetti e termini per denuncia e azione

Garanzia per i vizi della cosa venduta: cos’è

Il codice civile italiano stabilisce una garanzia per vizi come obbligo fondamentale del venditore nel contratto di compravendita. Questa garanzia tutela il compratore nel caso in cui il bene acquistato presenti difetti che lo rendano inidoneo all’uso cui è destinato o ne diminuiscano il valore.

Garanzia per i vizi: art. 1490 c.c.

L’articolo 1490 del Codice Civile sancisce infatti che il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi. Questi vizi possono essere di due tipi:

  • quelli che impediscono al bene di essere utilizzabile per lo scopo previsto;
  • quelli che, pur non compromettendone l’uso, ne riducono in maniera apprezzabile il valore.

La legge presume che un bene sia idoneo all’uso normale per cui è stato progettato. La presenza di difetti, anche non evidenti, rende il venditore inadempiente. La garanzia si basa sull’idea che il compratore ha diritto a ricevere un bene che rispetti le sue aspettative economiche e funzionali.

Garanzia e malafede del venditore

In alcune circostanze la garanzia può essere limitata o esclusa, con particolari eccezioni. L’articolo 1490, al comma 2, sancisce che un eventuale accordo finalizzato a escludere o a limitare la garanzia non ha effetto qualora il venditore abbia agito in malafede, cioè abbia intenzionalmente nascosto i vizi al compratore. La malafede, in questo contesto, richiede la prova che il venditore fosse a conoscenza dei difetti e li abbia taciuti. La semplice negligenza o l’ignoranza dovuta a disattenzione non sono sufficienti per annullare il patto di esclusione.

Casi di esclusione della garanzia

L’articolo 1491 del Codice civile specifica invece che la garanzia non è dovuta se, nel momento in cui le parti hanno stipulato il contratto, il compratore era già a conoscenza dei vizi o se, in ogni caso, erano facilmente riconoscibili con la normale diligenza, a meno che il venditore abbia specificamente dichiarato che il bene era esente da vizi.

Garanzia per i vizi: effetti

Se la garanzia è dovuta, l’articolo 1492 offre al compratore due opzioni principali.

  • Risoluzione del contratto (azione redibitoria): il compratore può richiedere cioè l’annullamento della vendita. In questo caso, come stabilito dall’articolo 1493, il venditore è tenuto a restituire il prezzo e a rimborsare tutte le spese legittimamente sostenute per l’acquisto (es. spese notarili, di registrazione). Il compratore, a sua volta, deve restituire il bene, a meno che non sia perito a causa dei vizi stessi. Se il bene è perito per caso fortuito o per colpa del compratore, o se è stato da lui alienato o trasformato, la risoluzione non è più possibile. In questi casi il compratore può chiedere solo la riduzione del prezzo.
  • Riduzione del prezzo (azione estimatoria o quanti minoris): il compratore può chiedere una riduzione del prezzo pagato, in modo da adeguarlo al valore reale del bene viziato.

La scelta tra risoluzione e riduzione è irrevocabile una volta che viene fatta la domanda giudiziale.

Risarcimento del danno

L’articolo 1494 prevede inoltre che il venditore è tenuto in ogni casoal risarcimento del danno, a meno che non riesca a dimostrare di aver ignorato i vizi senza sua colpa. Il venditore deve inoltre risarcire i danni che i vizi hanno causato al compratore o a terzi (es. lesioni personali o danni a beni).

Termini per  la denuncia dei vizi e per l’azione 

L’articolo 1495 sancisce precisi oneri procedurali per il compratore. Questi deve denunciare i vizi al venditore entro un termine di otto giorni dalla loro scoperta, a meno che non sia previsto un termine diverso per contratto o per legge. La mancata denuncia entro questo termine comporta la decadenza del diritto alla garanzia. Questo onere non è necessario se il venditore ha riconosciuto l’esistenza del vizio o lo ha intenzionalmente nascosto. L’azione legale per far valere la garanzia invece si prescrive in un anno dalla consegna del bene. Un’eccezione a questo termine di prescrizione si ha quando il compratore viene citato in giudizio per l’esecuzione del contratto: in tal caso, può eccepire la garanzia, a condizione che i vizi siano stati denunciati entro otto giorni dalla scoperta e prima dello scadere dell’anno.

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fermo amministrativo

Fermo amministrativo Fermo amministrativo: cos'è,  normativa di riferimento, iscrizione, effetti, cancellazione, veicoli esclusi, impugnazione e giurisprudenza 

Cos’è il fermo amministrativo

Il fermo amministrativo è una misura cautelare imposta dalla Pubblica Amministrazione, per mezzo dall’Agenzia delle Entrate – Riscossione, per obbligare il cittadino a saldare un debito fiscale o amministrativo non pagato. Il fermo colpisce beni mobili registrati, in primis veicoli a motore, e impedisce al destinatario del provvedimento di circolare legalmente.

Normativa di riferimento

La disciplina del fermo amministrativo si fonda:

  • sull’art. 214 del Codice della Strada che vieta la circolazione dei veicoli sottoposti a fermo e art. 214 bis che disciplina l’alienazione dei veicoli in caso di fermo;
  • sul Codice civile, per le norme generali in materia di esecuzione forzata.

Procedura di iscrizione

  1. notifica della cartella esattoriale per il pagamento del debito (es. tassa auto, multe, tributi);
  2. in caso di mancato pagamento, l’ente può procedere, dopo 60 giorni, all’iscrizione del fermo;
  3. l’intimazione avviene tramite un preavviso di fermo;
  4. trascorsi ulteriori 30 giorni senza adempimenti, si iscrive il fermo al Pubblico Registro Automobilistico (PRA).

Effetti del fermo amministrativo

Il fermo produce le seguenti conseguenze:

  • il veicolo non può circolare su strada pubblica;
  • il veicolo non può essere venduto, demolito o esportato fino alla cancellazione del fermo;
  • il mezzo può essere custodito in area privata, ma non può essere utilizzato;
  • se il mezzo viene posto in circolazione, in violazione del fermo, è prevista una sanzione pecuniaria e confisca del mezzo.

Cancellazione del fermo: come si ottiene

Per rimuovere il fermo amministrativo bisogna:

  • pagare integralmente il debito o presentare un piano di rateizzazione approvato;
  • ottenere la revoca del fermo dall’agente della riscossione;
  • presentare formale ricorso contro il fermo amministrativo;
  • presentare la documentazione all’ACI – PRA per ottenere la cancellazione formale.

Il pagamento può essere anche spontaneo, ma serve la quietanza dell’Agenzia per cancellare il vincolo.

Veicoli esclusi dal fermo amministrativo

Non tutti i veicoli possono essere sottoposti a fermo. Sono esenti:

  • veicoli strumentali all’attività di impresa o professione;
  • mezzi usati da persone con disabilità, iscritti nei registri sanitari;
  • veicoli destinati a uso pubblico o di emergenza.

Per ottenere l’esclusione è necessario documentare l’uso funzionale e richiederla prima dell’iscrizione del fermo.

Impugnazione e ricorsi

Il destinatario del fermo può:

  • presentare istanza in autotutela all’Agenzia delle Entrate;
  • proporre ricorso al Giudice di Pace, alla Corte di Giustizia Tributaria di primo grado o al Tribunale ordinario, a seconda del tipo di credito.

Il ricorso deve essere tempestivo e fondato principalmente su vizi di notifica e prescrizione del debito.

Giurisprudenza sul fermo amministrativo

Danno da fermo amministrativo

Cassazione n. 13173/2023: il danno derivante da un fermo amministrativo illegittimo si configura con la concreta indisponibilità del bene, e può comportare il risarcimento di diverse tipologie di pregiudizio. Tuttavia, a differenza di un “danno in re ipsa” (che si presume esista per il solo verificarsi di un evento dannoso), l’esistenza e l’ammontare di questo danno non sono automatici, ma devono essere provati da chi lo richiede. Tale prova è soggetta agli ordinari oneri probatori, che possono essere soddisfatti anche tramite il ricorso a presunzioni. Queste presunzioni possono, ad esempio, confermare l’intenzione del proprietario di utilizzare il proprio bene secondo la sua destinazione normale, dimostrando così il reale pregiudizio subito.

Fermo amministrativo e competenza territoriale riscossione Tributi

Cassazione n. 23889/2024: un provvedimento di fermo amministrativo è da considerarsi illegittimo se emesso da un ufficio provinciale del concessionario che opera in un ambito territoriale diverso dal domicilio fiscale del contribuente. La ragione risiede nel fatto che, nell’attività di riscossione dei tributi, l’Agenzia delle Entrate deve seguire precisi criteri di competenza territoriale. Da un lato, ogni atto impositivo deve essere emesso dall’ufficio che ha la competenza territoriale sul domicilio fiscale del contribuente, come stabilito dall’articolo 31, comma 2, del d.P.R. n. 600 del 1973. Dall’altro, l’ufficio competente consegna il ruolo (ovvero l’elenco dei crediti da riscuotere) al concessionario che opera nello specifico ambito territoriale a cui tale ruolo si riferisce, in conformità all’articolo 24 del d.P.R. n. 602 del 1973.

Fermo amministrativo e valore del bene

Cassazione n. 32062/2024: in materia di fermo amministrativo, la giurisprudenza ha stabilito che non è rilevante la sproporzione tra il valore del debito o della sanzione e il valore del bene su cui viene applicato il fermo. Questo perché l’articolo 86 del D.P.R. n. 602 del 1973, che disciplina il fermo amministrativo, non prevede alcun limite di proporzionalità o di valore del credito come requisito per l’applicazione di questa misura.

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Pubblico impiego

Il pubblico impiego  Pubblico impiego: cos’è, come è disciplinato, chi sono le amministrazioni pubbliche datrici e chi decide in caso di controversia

Cos’è il pubblico impiego

Il pubblico impiego è il rapporto di lavoro che si instaura tra una persona fisica e la pubblica amministrazione.

Pubblico impiego: riferimenti normativi 

Il pubblico impiego è disciplinato dal Decreto legislativo n. 165 del 30 marzo 2001, che contiene le norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze della amministrazioni pubbliche.

Questa normativa, nel corso degli anni, ha subito numerose modifiche da parte di numerosi interventi normativi.

Tra gli ultimi interventi di modifica merita di essere segnalato il recente decreto legge n. 25/2025 specialmente al fine di introdurre misure più attrattive peri giovani, superate il precariato e definire misure finalizzate ad applicare in modo omogeneo le procedure per il reclutamento del personale.

Le amministrazioni pubbliche

La pubblica amministrazione, nell’ambito del rapporto del pubblico impiego, rappresenta quindi il datore di lavoro del dipendente. Occorre quindi chiarire che cosa si intende per pubbliche amministrazioni. La definizione di pubbliche amministrazioni la fornisce l’articolo 2 del decreto legislativo n. 165/2001:

  • le amministrazioni statali (comprese le scuole, gli istituti e le istituzioni educative di ogni ordine e grado);
  • le aziende e le amministrazioni dello Stato con ordinamento autonomo;
  • gli Enti pubblici territoriali come i Comuni, le province, le Regioni, le comunità montane (compresi i loro consorzi e associazioni);
  • le università;
  • gli istituì autonomi case popolari;
  • le Camere di Commercio e le loro associazioni;
  • gli enti pubblici non economici;
  • le amministrazioni, le aziende e gli enti del servizio sanitario nazionale;
  • l’ARAN;
  • le Agenzie di cui al decreto legislativo n. 300/1990.

Il rapporto di pubblico impiego: disciplina

Il rapporto di lavoro dei dipendenti delle amministrazioni pubbliche elencate sono disciplinati dalle regole contenute nel codice civile e dalle leggi che regolano il rapporto di lavoro subordinato nelle imprese, ad eccezione delle regole di carattere imperative previste dal decreto legislativo n. 165/2001. I rapporti di lavoro sono quindi regolati da un contratto. Gli accordi collettivi nazionali possono derogare leggi, regolamenti e statuti contenenti discipline riservate ai dipendenti (o categorie di dipendenti) delle pubbliche amministrazioni.

Regime di diritto pubblico per categorie determinate

La normativa privatistica  contenuta nel codice civile non è applicata a tutti i dipendenti pubblici.

Sono infatti assoggettati alle regole dei rispettivi ordinamenti i seguenti dipendenti pubblici:

  • i magistrati ordinari, amministrativi e contabili;
  • gli avvocati e procuratori dello Stato;
  • il personale militare e delle Forze di polizia di Stato;
  • il personale della carriera diplomatica e della carriera prefettizia;
  • il rapporto di impiego del personale, anche di livello dirigenziale, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, esclusi il personale volontario e il personale volontario di leva;
  • il personale della carriera dirigenziale penitenziaria.

Il rapporto di impiego dei professori e dei ricercatori universitari a tempo indeterminato o determinato, che rimane disciplinato dalle disposizioni in vigore, in attesa di una disciplina che regoli la materia in modo organico e nel rispetto dei principi della autonomia universitaria.

Codice di comportamento  

Ogni amministrazione pubblica definisce un proprio codice di comportamento dei dipendenti, sulla cui applicazione vigilano dirigenti responsabili. Ogni anno poi le pubbliche amministrazioni verificano l’applicazione dei codici e organizzano le attività formative necessarie per il personale affinché il codice venga rispettato.

Disciplina delle controversie per i dipendenti della PA

In caso di controversie relative al contratto di lavoro intercorrente tra i dipendenti delle pubbliche amministrazione e la PA datrice, la competenza è del giudice ordinario che può adottare i provvedimenti di accertamento, costituivi e di condanna, necessari per la tutela dei diritti in gioco. Le sentenze hanno il potere di costituire, estinguere il rapporto di lavoro, disporre la reintegra del dipendente nel posto di lavoro, condannare la pubblica amministrazione a risarcire il dipendente e a pagare i contributi assistenziali e previdenziali.

Il Giudice ordinario è competente inoltre per le controversie che insorgano a causa delle condotte antisindacali del dipendente pubblico e per quelle promosse dall’ARAN, dalle amministrazioni pubbliche e dalle organizzazioni sindacali.

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ricorso per saltum

Ricorso per saltum: il ricorso immediato in Cassazione Ricorso per saltum: cos'è, come è disciplinato, come funziona, quali sono gli esiti possibili, vantaggi e svantaggi

Ricorso per saltum: cos’è

Il sistema processuale penale italiano prevede diversi strumenti per contestare le decisioni del giudice. Tra questi, spicca il ricorso immediato in Cassazione, noto anche come ricorso “per saltum”. Questo strumento consente a una parte di impugnare direttamente una sentenza di primo grado davanti alla Corte di Cassazione, saltando il tradizionale giudizio di appello. La giurisprudenza richiede però l’accordo di tutte le parti.

L’articolo 569 del codice di procedura penale 

La norma che disciplina il ricorso per saltum nei processi penali è l’articolo 569 c.p.p, che così dispone:

1. La parte che ha diritto di appellare la sentenza di primo grado può proporre direttamente ricorso per cassazione.

2. Se la sentenza è appellata da una delle altre parti, si applica la disposizione dell’articolo 580. Tale disposizione non si applica se, entro quindici giorni dalla notificazione del ricorso, le parti che hanno proposto appello dichiarano tutte di rinunciarvi per proporre direttamente ricorso per cassazione. In tale caso, l’appello si converte in ricorso e le parti devono presentare entro quindici giorni dalla dichiarazione suddetta nuovi motivi, se l’atto di appello non aveva i requisiti per valere come ricorso.

3. La disposizione del comma 1 non si applica nei casi previsti dall’articolo 606 comma 1 lettere d) ed e). In tali casi, il ricorso eventualmente proposto si converte in appello.

4. Fuori dei casi in cui nel giudizio di appello si sarebbe dovuta annullare la sentenza di primo grado, la corte di cassazione, quando pronuncia l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata a norma del comma 1, dispone che gli atti siano trasmessi al giudice competente per l’appello.”

Ricorso per saltum: come funziona?

Dalla lettura dell’articolo 569 c.p.p emerge che chi ha il diritto di appellare una sentenza di primo grado può presentare, in via alternativa, il ricorso immediato per Cassazione. Questa opzione si applica però solo alle sentenze che normalmente sarebbero appellabili. Le sentenze inappellabili, infatti, si possono impugnare solo con il ricorso ordinario per Cassazione.

Il ricorso per saltum non può però pregiudicare i diritti delle altre parti a un processo su tre gradi. Difatti se una parte propone ricorso immediato in Cassazione e le altre parti appellano la medesima sentenza, il ricorso”per saltum” si trasforma in appello. Questa conversione avviene secondo l’articolo 580 c.p.p.

Alle altre parti però non può essere negato il diritto di riflettere sulla convenienza del ricorso “per saltum”. Se, entro quindici giorni dalla notifica del ricorso, tutte le parti che hanno proposto appello dichiarano di voler rinunciare, l’appello si converte in ricorso. In questo caso però le parti devono presentare nuovi motivi entro quindici giorni dalla dichiarazione, se l’atto di appello iniziale non rispettava i requisiti necessari per valere come un ricorso in Cassazione.

Ricorso immediato: in quali casi non si applica

Il ricorso “per saltum” però non è sempre possibile. Esso non si può utilizzare se i motivi di impugnazione riguardano:

  • la mancata assunzione di una prova decisiva richiesta durante l’istruzione dibattimentale;
  • la mancanza, la contraddittorietà o l’illogicità manifesta della motivazione. Questo vale quando il vizio emerge dal testo del provvedimento o da altri atti specificamente indicati.

In queste situazioni, il ricorso “per saltum” eventualmente proposto si trasforma in appello.

Esiti possibili del ricorso per saltum

La Cassazione può accogliere il ricorso o rigettarlo.

Quando lo accoglie è regola che disponga l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio al giudice dell’appello, fuori dai casi in cui nel giudizio di appello si sarebbe dovuta annullare la sentenza di primo grado.

Se invece la Cassazione rigetta il ricorso, la sentenza di primo grado impugnata viene confermata.

Vantaggi e svantaggi

Il ricorso “per saltum” offre il vantaggio di far risparmiare tempo e ridurre i costi.

Tuttavia, presenta anche degli svantaggi. Le parti perdono l’opportunità di presentare nuovi argomenti o prove in un eventuale secondo grado di giudizio.

Da precisare infine che il ricorso “per saltum” si ammette generalmente solo per motivi di diritto. Si può contestare cioè la corretta applicazione delle norme, mentre non si può ricorrere per questioni relative all’acquisizione o alla valutazione delle prove.

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