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Omicidio realizzato in occasione della commissione di reati sessuali Si fa riferimento all'ipotesi aggravata del delitto di omicidio disciplinata dall'art. 576 n. 5 c.p.

Omicidio realizzato in occasione di reati sessuali: evoluzione normativa

La norma a cui si fa riferimento costituisce ipotesi aggravata del delitto di omicidio, nello specifico disciplinata dall’art.576, n. 5. Nell’attuale formulazione, la norma sanziona penalmente, con la pena dell’ergastolo, l’omicidio realizzato in occasione della commissione di taluno dei delitti previsti dagli artt. 572, 583quinquies, 600bis, 600ter, 609bis, 609quater e 609octies. L’aggravante in esame è stata oggetto di correttivi dapprima ad opera del D.L. 23-2- 2009, n. 11, conv. in L. 23-4-2009, n. 38, e successivamente della L. 1-10-2012, n. 172.

Nella sua formulazione originaria, infatti, la norma faceva riferimento agli artt. 519, 520 e 521 c.p. Per comprendere il fondamento del primo dei segnalati correttivi, deve evidenziarsi che le figure delittuose richiamate nel testo previgente sono state integralmente abrogate dalla L. 66/1996, in occasione della «riscrittura» delle fattispecie di violenza sessuale.

Il legislatore del 2009 ha, dunque, inteso «attualizzare» i richiami della configurazione aggravata in commento, sostituendo i riferimenti alle fattispecie abrogate con quelli a previsioni neointrodotte, per tal via sanando una «dimenticanza» del legislatore del ’96.

Dottrina e giurisprudenza

Già, peraltro, prima di tale correttivo espresso, la citata abrogazione delle fattispecie in origine richiamate fece porre, in dottrina e giurisprudenza, il problema di stabilire se il rinvio potesse essere inteso alla fattispecie che aveva sostanzialmente recepito le citate previsioni abrogate, l’art. 609bis c.p.

La dottrina che si era occupata del problema ritenne che il rinvio contenuto nella norma in esame non dovesse intendersi agli articoli di legge, in quanto tali, ma alle condotte che essi descrivono, per cui se queste condotte non cessano di essere oggetto di previsione da parte della nuova norma penale che prende il luogo di quella abrogata, ma sono riproposte negli stessi termini in altre norme di legge, il rinvio implicito alle nuove norme deve essere ritenuto ammissibile, senza violazione del principio di stretta legalità dettato dall’art. 25, comma 2, della Costituzione.

Nel medesimo senso si era espressa concordemente la giurisprudenza della Cassazione, la quale, nel confermare che tale aggravante doveva trovare applicazione con riferimento a tutti i delitti di violenza sessuale di cui agli artt. 609bis e ss. c.p., aveva motivato tale asserto sostenendo che il richiamo agli articoli abrogati, contenuto nell’art. 576 rientrava nella figura del rinvio formale e non di quello recettizio, sicché quella abrogazione non aveva comportato una «abolitio criminis», ma solo un ordinario fenomeno di successione di leggi penali incriminatrici nel tempo, e il mancato adeguamento della formulazione di quest’ultima norma era ascrivibile a mero difetto di coordinamento legislativo.

Dopo tale opportuno correttivo di coordinamento, il legislatore, come segnalato, ha nuovamente inciso sulla portata precettiva di tale previsione, attraverso la L. 172/2012, di ratifica della Convenzione di Lanzarote per la tutela dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale. In particolare, nel riscrivere la lettera del n. 5) dell’art. 576, si è provveduto ad estendere le ipotesi di omicidio aggravato a quello commesso in occasione della realizzazione delle fattispecie di cui agli artt. 572, 600bis e 600ter (trattasi dei delitti di maltrattamenti contro familiari e conviventi, prostituzione e pornografia minorile, a loro volta riformulati dal legislatore del 2012), riconoscendo a tale tipologia omicidiaria analogo surplus di disvalore penale rispetto a quello che la norma già attribuiva alla condotta realizzata nell’atto di aggredire sessualmente taluno.

Correttivo nel Codice Rosso

Da ultimo, l’evoluzione normativa concernente l’aggravante in esame trova il suo epilogo nella L. 19-7-2019, n. 69, nota come «Codice rosso» (espressione mutuata dalla terminologia sanitaria, per alludere ad un percorso preferenziale e d’urgenza per la trattazione dei procedimenti in materia, funzionale alla tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, percorso procedurale introdotto proprio dal citato provvedimento), pur se deve osservarsi come il correttivo si limiti ad una estensione del margine di applicabilità della previsione al caso in cui il fatto omicidiario sia posto in essere in occasione della commissione del neointrodotto delitto di cui all’art. 583quinquies (al cui esame si rinvia).

In sostanza, si inserisce nel catalogo dei reati puniti con l’ergastolo anche il delitto di lesioni permanenti al viso (previsione che il legislatore, con modalità operativa analoga a quella già precedentemente seguita in tema di cd. omicidio stradale, trasforma in autonoma fattispecie di reato, rispetto al sistema previgente, dove era prevista come delitto aggravato, modificandone nel contempo il trattamento sanzionatorio in senso maggiormente afflittivo, mirando, per tal via, a frustrare il rischio di possibili attenuazioni sanzionatorie, conseguenti al meccanismo del bilanciamento delle circostanze, in una prospettiva di contenimento della discrezionalità del giudice), qualora da esso sia derivata la morte della vittima. Trattasi di valutazione che trova il suo condivisibile fondamento nel fatto che, da aggressioni poste in essere ai sensi del neointrodotto art. 583quinquies, possono derivare conseguenze irreversibili circoscritte non solo alla sfera dell’identità personale della vittima, ma anche alla stessa vita di quest’ultima.

In tale sede va, altresì, rammentato che il novero dei potenziali autori del delitto di omicidio aggravato, di cui all’art.576 c.p., è stato implementato proprio ad opera del D.L. 23-2-2009, n. 11, conv. in L. 23-4-2009, n. 38, norma con cui si è introdotto il delitto di «atti persecutori».

Orbene, per effetto del medesimo provvedimento, si è operato un correttivo alla norma in esame, disponendo che vada punito con l’ergastolo anche l’omicidio  commesso dall’autore del delitto previsto dall’art. 612bis (dunque del delitto di «stalking»), nei confronti della stessa persona offesa.

La giurisprudenza della Cassazione a Sezioni Unite

Su tale ipotesi aggravata, si segnala una significativa pronuncia, a Sezioni unite, della Cassazione (sent. 26-10-2021, n. 38402), per effetto della quale la fattispecie del delitto di omicidio, realizzata a seguito di quella di atti persecutori da parte dell’agente nei confronti della medesima vittima, contestata e ritenuta nella forma del delitto aggravato ai sensi degli artt. 575 e 576, comma 1, n. 5.1) c.p. – punito con la pena edittale dell’ergastolo – integra un reato complesso, ai sensi dell’art. 84, comma 1, c.p., in ragione della unitarietà del fatto, per tal via escludendo che le due fattispecie concorrano fra loro.

La norma si limita a richiedere che autore e vittima degli atti persecutori e dell’omicidio siano i medesimi, senza necessità di alcun legame cronologico o eziologico fra le due condotte criminose. Peraltro, in dottrina si tende a restringere la portata applicativa della previsione ai soli casi in cui l’omicidio rappresenti l’esito finale del delitto di «stalking», escludendola quando invece l’omicidio possa trovare motivazione in ragioni diverse dalla persecuzione.

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Omicidio Lorena Quaranta: sentenza annullata per stress da Covid La Cassazione penale annulla la sentenza di condanna all'ergastolo del fidanzato della vittima. Per i giudici è da valutare "lo stress da lockdown e pandemia" - Il testo della sentenza in pdf

Femminicidio Lorena Quaranta: sentenza annullata

Fa scalpore, ma fa anche discutere e indignare la sentenza della prima sezione penale della Corte di Cassazione n. 27115-2024 che riguarda l’omicidio della giovane Lorena Quaranta.

La sentenza della Corte di Assise che ha disposto la condanna all’ergastolo del fidanzato per omicidio volontario aggravato dalla commissione contro una persona legata a lui da una stabile convivenza affettiva, deve essere annullata nella parte in cui nega il riconoscimento delle circostanze attenuanti.

Per la Cassazione i giudici di merito non hanno verificato compiutamente se, dato il contesto “possa ed in quale misura  ascriversi all’imputato di non avere «efficacemente tentato di contrastare» lo stato di angoscia del quale era preda e, parallelamente, se la fonte del disagio, evidentemente rappresentata dal sopraggiungere dell’emergenza pandemica; con tutto ciò che essa ha determinato sulla vita di ciascuno e, quindi, anche dei protagonisti della vicenda, e, ancor più, la contingente difficoltà di porvi rimedio costituiscano fattori incidenti sulla misura della responsabilità penale.” Lo stress che ha colpito l’omicida, come tutti durante il lockdown, potrebbe comportare una riduzione della pena.

Lockdown: marcata concitazione emotiva

Nella sentenza si legge che nei giorni che hanno preceduto l’omicidio, caratterizzati dalle restrizioni imposte dalla pandemia, il fidanzato della Quaranta ha manifestato una forte preoccupazione per l’affezione delle vie respiratorie che aveva colpito la compagna. Dalla fine del mese di marzo il disagio si sarebbe così aggravato che l’uomo, senza preoccuparsi della fidanzata bisognosa di cure, si sarebbe allontanato per recarsi dai suoi familiari, che però lo convincevano a tenere un comportamento più responsabile e a tornare a casa dalla ragazza.

L’arrivo a casa non ha portato nessun beneficio al suo stato emotivo, una vicina ha riferito di averlo visto salire e scendere le scale in modo frenetico. Dopo qualche ora di calma l’omicida tornava ad agitarsi, tanto che alle 4 di notte contattava telefonicamente il padre. Alle 6 del mattino arriva la lite con la compagna, i colpi alla fronte con un oggetto contundente, la mano sulla bocca e sul naso, la stretta al collo e infine l’arresto cardio circolatorio per asfissia della giovane donna. All’episodio segue il tentativo di suicidio dell’uomo, dapprima tramite il taglio dei polsi e poi tramite il getto del phon della vasca in cui si era immerso e che ha comportato l’attivazione del salvavita e infine il contatto delle forze dell’ordine.

Esclusione delle attenuanti

La Cassazione rileva in fatto come la Corte di Assise di Appello non abbia riconosciuto le attenuanti generiche perchè la perizia del CTU ha escluso la presenza di una patologia psichiatrica in grado di inficiare la capacità di intendere e di volere dell’imputato. Per il giudice dell’appello l’imputato, nel compiere l’omicidio, ha agito con determinazione e crudeltà, modalità espressive che non sono ricollegabili allo stato d’ansia in cui versava quando ha commesso l’omicidio e che lo stesso non ha tentato di contrastare.

Motivazione contraddittoria

Preso atto del quadro probatorio emerso nei precedenti gradi di giudizio gli Ermellini ritengono però fondato il motivo di doglianza relativo al diniego delle attenuanti generiche. Le ragioni del rigetto sono il frutto di un percorso argomentativo che per la Corte di Cassazione si caratterizza per aporie e contraddizioni non marginali. Non convincono le conclusioni della Corte dell’impugnazione, per la quale lo “stato d’ansia e di irrequietezza, comunque manifestato dall’imputato nelle ore immediatamente precedenti al delitto, non solo, come ampiamente argomentato, non ha compromesso la sua capacità di intendere e di volere, ma non ha certamente determinato, né giustificato, la furia, l’odio e l’efferatezza rivolti dal contro la povera (che non può escludersi abbiano tratto origine da un movente rimasto inesplorato).”

In un punto della sentenza infatti la Corte di merito, in contraddizione con le suddette conclusioni, afferma di rendersi conto implicitamente del fatto che “lo stato emotivo manifestato dall’imputato nei momenti antecedenti all’omicidio abbia influito concretamente sulla misura della responsabilità penale e sia, pertanto, valutabile positivamente ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche”.

L’angoscia incide sulla responsabilità penale?

L’omicida, a causa del lockdown e della pandemia ha vissuto un disagio sempre crescente, che è sfociato in angoscia, che lo ha portato a un certo punto a rifuggire alle sue responsabilità e a lasciare sola la compagna. Una scelta che probabilmente, secondo la sua visione, era l’unica possibile considerata l’impossibilità di accedere alle strutture sanitarie. Quando poi ha desistito dal suo progetto di fuga per recarsi dai familiari ha vissuto un dissidio interiore, che ha provocato le condotte altalenati successive del pomeriggio, della notte e della mattina dell’omicidio.

I giudici avrebbero omesso pertanto di verificare se, alla luce del contesto, sia possibile escludere che l’imputato non abbia tentato efficacemente di contrastare lo stato di angoscia di cui era preda e che traeva origine dall’emergenza pandemica e se la difficoltà contingente di rimediare a questa angoscia sono in grado di incidere sulla responsabilità penale.

Parola al giudice del rinvio

Da qui l’annullamento della sentenza impugnata limitatamente al punto concernente l’applicabilità delle circostanze attenuanti generiche con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di assise di appello di Reggio Calabria.

 

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Allegati

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Violenza donne: la legge n. 168/2023 Le innovazioni della L. 168/2023, il clamore suscitato dal caso Cecchettin, l'iter legislativo e la ratio della legge

Il clamore suscitato dal «caso Cecchettin» e la L. 168/2023

L’aumento esponenziale degli omicidi di genere nel nostro Paese, spesso perpetrati con modalità agghiaccianti, come nel caso di Giulia Cecchettin, che ha destato sconcerto anche per la giovane età della vittima e per l’ambiente familiare in cui è maturato il delitto, ha indotto il Parlamento ad approvare celermente e all’unanimità la L. 168/2023.

In particolare, la L. 24-11-2023, n. 168, recante Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale 24-11-2023, in vigore dal 9-12-2023, impone, per la rilevanza dei temi affrontati e per le numerose disposizioni introdotte, un primo approfondimento per consentirne l’immediata e puntuale applicazione. Il provvedimento si compone di 19 articoli.

Alla luce dell’aumento esponenziale degli omicidi di genere nel nostro Paese, l’obiettivo perseguito dal Governo è quello di rendere, da una parte, più efficace la protezione preventiva, rafforzando le misure contro la reiterazione dei reati a danno delle donne e inasprendo le pene nei confronti dei recidivi; dall’altra, di ampliare la tutela, in generale, delle vittime di violenza. Riveste, infatti, particolare importanza l’attenzione verso la prevenzione della violenza sulle donne, soprattutto rispetto alla commissione dei cosiddetti «reati spia», ovvero delitti che rappresentano indicatori di una violenza di genere per evitare che possano degenerare in comportamenti più gravi.

Tra gli interventi di maggior rilievo, troviamo il rafforzamento della misura di prevenzione dell’ammonimento del Questore e di informazione alle vittime di violenza; l’applicazione delle misure di prevenzione della sorveglianza speciale e dell’obbligo di soggiorno nel Comune di residenza o di dimora, anche agli indiziati di reati legati alla violenza contro le donne e alla violenza domestica; l’introduzione di norme finalizzate a velocizzare i processi in materia di violenza di genere e domestica, l’applicazione di misura cautelare personale e la possibilità di disporre l’applicabilità del controllo tramite il cd. braccialetto elettronico.

Rivestono, inoltre, particolare interesse anche le iniziative formative in materia di contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica nonché l’introduzione di una provvisionale, ovvero una somma di denaro liquidata preventivamente a titolo di ristoro anticipato in favore delle vittime di violenza.

La legge contiene, infine, la clausola di invarianza finanziaria, per cui dall’attuazione del provvedimento non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.

Le principali modifiche contenute nella L. 168/2023

Si riportano di seguito, in maniera sintetica, le più rilevanti innovazioni disciplinari contenute nella legge, consistenti:

  • nell’ampliamento del novero dei reati per i quali il questore può disporre l’ammonimento del presunto responsabile di violenza domestica, ricomprendendovi anche i reati che possono assumere valenza sintomatica (cosiddetti «reati spia») quali le fattispecie di violenza privata, di minaccia aggravata, di atti persecutori, di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti (il cd. revenge porn), di violazione di domicilio e di danneggiamento;
  • nell’aumento, fino a 1/3, delle pene dei reati che configurano una violenza domestica, specificamente elencati, se il fatto è commesso da soggetto già ammonito;
  • nella procedibilità d’ufficio, anche per alcuni reati che oggi richiederebbero la querela, qualora il fatto che integra la fattispecie è commesso, nell’ambito di violenza domestica, da soggetto già ammonito;
  • nella facoltà riconosciuta al prefetto di adottare misure di vigilanza dinamica qualora, per fatti riconducibili a reati di violenza domestica, emerga il pericolo di reiterazione delle condotte.

Novità in materia di misure di prevenzione personali per indiziati di gravi reati

Ulteriori novità sono tese al potenziamento delle misure di prevenzione e si sostanziano in modifiche al Codice antimafia.

Tali modifiche, peraltro, estendono l’applicabilità delle misure di prevenzione personali anche ai soggetti indiziati di alcuni gravi reati che ricorrono nell’ambito dei fenomeni della violenza di genere e domestica (reati di omicidio, lesioni gravi, deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, violenza sessuale).

Tra le novità, viene ampliato l’utilizzo della misura della sorveglianza speciale con le modalità del braccialetto elettronico, rispetto al quale l’obbligo di verificare preventivamente la disponibilità degli apparati da parte della polizia giudiziaria viene sostituito con quello di accertare previamente la fattibilità tecnica.

L’applicazione del braccialetto elettronico è comunque soggetta al consenso dell’interessato; in caso di diniego, è imposta l’applicazione, anche congiunta, di ulteriori misure cautelari anche più gravi.

La priorità nei processi

Ulteriore elemento di novità è da individuarsi nel fatto che la L. 24-11-2023, n. 168 amplia le fattispecie per le quali è assicurata priorità nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi.

Detta priorità (già assicurata per i casi di maltrattamenti contro familiari e conviventi, violenza sessuale e atti persecutori) è estesa alle ipotesi di:

  • violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento;
  • costrizione o induzione al matrimonio, lesioni personali aggravate;
  • deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso;
  • interruzione di gravidanza non consensuale;
  • diffusione illecita di immagini o di video sessualmente espliciti;
  • stato di incapacità procurato mediante violenza laddove ricorrano circostanze aggravanti ad effetto speciale.

L’arresto in flagranza differita e la provvisionale anticipata

Per effetto del provvedimento in esame è stato, altresì, reso possibile l’arresto in flagranza differita nei casi di violazione dei provvedimenti di allontanamento dalla casa familiare e del divieto di avvicinamento ai luoghi frequentati dalla persona offesa, di maltrattamenti contro familiari e conviventi, nonché di atti persecutori.

Tra le novità della legge, infine, si segnala l’introduzione della possibilità di corrispondere in favore della vittima di violenza di genere, oppure degli aventi diritto in caso di morte della vittima, una provvisionale, vale a dire una somma di denaro liquidata dal giudice, come anticipo sull’importo integrale che le spetterà in via definitiva.

L’iter legislativo e la ratio della legge

Il provvedimento, composto da 19 articoli, è diretto soprattutto alla prevenzione per evitare che i cosiddetti «reati spia» possano poi degenerare in fatti più gravi. E infatti l’inasprimento riguarda soprattutto chi è già stato destinatario dell’ammonimento e ricade nella stessa condotta, i cosiddetti recidivi.

L’intento del Governo è quello di:

  • rendere più veloci le valutazioni preventive sui rischi che corrono le potenziali vittime di femminicidio o di reati di violenza;
  • rendere più efficaci le azioni di protezione preventiva; rafforzare le misure contro la reiterazione dei reati a danno delle donne e la recidiva;
  • migliorare la tutela complessiva delle vittime di violenza.

Per ciò che concerne l’iter legislativo, come si vedrà, caratterizzato da una rapida approvazione, il relativo disegno di legge di iniziativa governativa n. 1294, recante Disposizioni per il contrasto della violenza sulle donne e della violenza domestica veniva presentato alla Camera dei Deputati il 12-7-2023.

L’esame in Commissione Giustizia iniziava il 6-9-2023 e si concludeva in poco più di un mese, il 19-10-2023. La Camera approvava all’unanimità il testo il 26-10-2023.

La Commissione giustizia del Senato della Repubblica esaminava il testo nella sola seduta del 21-11-2023 e il Senato lo approvava definitivamente il giorno successivo, il 22-11-2023, con votazione unanime. Negli interventi in Commissione e in aula si segnalava l’urgenza dell’intervento: «con riguardo ai provvedimenti in materia di violenza contro le donne dimostra quanto il tema, anche alla luce dei tristi e frequenti episodi di cronaca, sia per tutte le forze politiche di priorità assoluta. Anche nel dibattito svoltosi ieri in Commissione giustizia, tutti i Commissari hanno ribadito all’unanimità l’assoluta urgenza che il Parlamento approvi il prima possibile il disegno di legge, che rappresenta una prima risposta alla drammatica escalation di femminicidi alla quale stiamo assistendo».

Il Presidente della Repubblica promulgava la legge il 24-11-2023; lo stesso giorno il testo veniva pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale.

La celerità dell’approvazione, le ragioni su indicate e l’unanimità della votazione costituiscono chiari elementi di cui l’interprete deve tenere conto sia nell’esame del significato delle nuove norme, sia nella concreta attuazione.

Quanto, invece, alla ratio della legge, fin dall’epigrafe, con la medesima, per la prima volta il legislatore indica espressamente il contrasto alla violenza sulle donne (e non solo alla violenza di genere o domestica), prendendo atto del contenuto e delle finalità della Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e contro la violenza domestica, ratificata ai sensi della L. 77/2013. La legge in esame, finalmente, menziona direttamente la citata Convenzione.

La relazione di accompagnamento al disegno di legge di iniziativa governativa n. 1294, poi divenuto legge con alcune modifiche, indica con chiarezza l’obiettivo: «contrastare il fenomeno della violenza sulle donne e della violenza domestica, spesso declassata a semplice conflittualità, e il reiterarsi di episodi di violenza che possono degenerare in condotte più gravi, finanche in femminicidi; il disegno di legge si muove […] nel solco delle considerazioni rappresentate nella Relazione finale (Doc. XXIIbis, n. 15, della XVIII legislatura) della Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio nonché su ogni forma di violenza di genere».

Conclusioni

Il contrasto alla violenza domestica ed in particolare sulla donna è – e deve restare – una priorità del Legislatore.

La violenza di genere, soprattutto in ambito domestico, come abbiamo innanzi annotato, continua a far rilevare dei dati allarmanti, nonostante la fine dell’emergenza pandemica e le novità introdotte dalla L. 69/2019 (cd. Codice Rosso). Infatti, continuano a essere tantissime le donne costrette a subire violenze di ogni genere, sia fisiche che psicologiche. Ogni condotta che mira ad annientare la donna nella sua identità e libertà, non soltanto fisicamente, ma anche nella sua dimensione psicologica, sociale e professionale, è una violenza di genere ed è su questa che si misura il grado di civiltà di una comunità. È necessaria una reazione di condanna forte e chiara. Non esiste tolleranza né giustificazione alcuna per le condotte che ledono i diritti delle donne e la consapevolezza condivisa della gravità del problema, come spesso succede nel campo dei comportamenti sociali, costituisce il presupposto indispensabile perché, davvero, si realizzi un concreto cambiamento.

A fronte di tale ineludibile esigenza, l’intervento normativo qui esaminato pone una specifica attenzione all’inasprimento del trattamento sanzionatorio e soprattutto cautelare, in linea con le esigenze pubbliche di sicurezza.

Vengono inoltre previste norme che, seppur prive di rilievo processuale, introducono una tempistica serrata nella valutazione del rilievo cautelare di vicende spesso nebulose, tempistica la cui violazione, seppur priva di alcun rilievo processuale, potrà determinare altre forme di responsabilità.

A fronte di tale esigenza securitaria, marcata invece è l’esigenza di una crescita culturale e sociale che passi dalle formazioni intermedie secondo quanto riportato nel preambolo della Convenzione di Istanbul:

  • riconoscendo che il raggiungimento dell’uguaglianza di genere de jure e de facto è un elemento chiave per prevenire la violenza contro le donne;
  • riconoscendo che la violenza contro le donne è una manifestazione dei rapporti di forza storicamente diseguali tra i sessi, che hanno portato alla dominazione sulle donne e alla discriminazione nei loro confronti da parte degli uomini e impedito la loro piena emancipazione;
  • riconoscendo la natura strutturale della violenza contro le donne, in quanto basata sul genere, e riconoscendo altresì che la violenza contro le donne è uno dei meccanismi sociali cruciali per mezzo dei quali le donne sono costrette in una posizione subordinata rispetto agli uomini.

La legge in questione costituisce certamente un passo in avanti per il contrasto dell’odioso fenomeno di cui trattasi. Tuttavia, come ormai riconosciuto da tutte le parti politiche, è indispensabile anche un’operazione socio-culturale, lunga e difficile, che richiede l’intervento coordinato di tutti gli attori istituzionali. In primo luogo, dovrà essere potenziata ulteriormente con adeguati finanziamenti l’attività dei Centri Antiviolenza che sono in prima linea nel contrasto a tale fenomeno.

In conclusione, il fenomeno della violenza di genere ha nel nostro Paese consolidate radici culturali e psicologiche che potranno essere estirpate o quantomeno ridotte, solo con una forte azione sinergica posta in essere da parte di tutti i settori della società civile e che deve trovare il suo fulcro nelle scuole e, quindi, nella formazione dei nostri giovani.

La violenza è l’ultimo rifugio degli incapaci, è una violazione dei diritti umani e dunque, come tale, si tratta di una battaglia non solo delle donne ma un impegno di tutti coloro, donne e uomini, che credono nell’eguaglianza, nei diritti della persona e nella democrazia.

corruzione di minorenni reato

Corruzione di minorenni: il reato ex art. 609-quinquies c.p. Il reato di corruzione di minorenni (art. 609-quinquies c.p.) è punito con la reclusione da uno a cinque anni

Corruzione di minorenni: interesse tutelato e normativa

A seguito dei correttivi operati sulla previsione di cui all’art. 609-quinquies c.p. dalla L. 172/2012, successivamente dal D.Lgs. 39/2014, nonché, da ultimo, dalla L. 238/2021 (cd. Legge europea 2019-2020), la norma in esame consta di quattro commi, i primi due costituenti le figure-base della fattispecie, mentre il terzo e quarto configurazioni aggravate.

In particolare, ai sensi della disposizione in commento, risponde penalmente chiunque compie atti sessuali in presenza di persona minore di anni quattordici, al fine di farla assistere (comma 1), nonché chiunque fa assistere una persona minore di anni quattordici al compimento di atti sessuali, ovvero mostra alla medesima materiale pornografico, al fine di indurla a compiere o a subire atti sessuali (comma 2).

Il bene giuridico tutelato nel delitto di corruzione di minorenni consiste nella salvaguardia di un sereno sviluppo psichico della sfera sessuale di soggetti di età minore, che non deve essere turbato dal trauma che può derivare dall’assistere ad atti sessuali compiuti con ostentazione da altri.

Corruzione di minorenni: l’ipotesi di cui al comma 1

Come anticipato, il comma 1 della disposizione sanziona penalmente chiunque compie atti sessuali in presenza di persona minore di anni quattordici, al fine di farla assistere.

L’elemento oggettivo di tale configurazione consiste nel compimento di atti sessuali in presenza del minore. Appare condivisibile quella dottrina che ritiene che la pura e semplice esibizione degli organi genitali al minore, qualunque sia la sua finalizzazione, non costituisca compimento di «atti sessuali» in senso stretto.

Per converso, in giurisprudenza si afferma che nella nozione di atto sessuale rilevante ai fini della configurabilità del reato in esame rientra qualsiasi comportamento, anche di mero intenzionale esibizionismo, collegabile alle manifestazioni della vita sessuale.

Basta la presenza del minore

Occorre, poi, sottolineare che il delitto in esame richiede la sola presenza del minore: infatti, se gli atti sessuali coinvolgono direttamente il minore infraquattordicenne, ovvero di età compresa fra i quattordici ed i sedici anni, se legato dai vincoli di parentela o di familiarietà all’agente previsti dall’art. 609quater, comma 1, n. 2), ricorrerà il reato di atti sessuali con minorenne.

È opportuno precisare che a differenza della fattispecie di cui all’art. 609bis, ai fini della sussistenza del reato di corruzione assumono rilievo anche gli atti di bestialità o necrofilia commessi alla presenza di un minore.

La rilevanza del consenso del minore

Si pone, infine, il problema della rilevanza o meno del consenso del minore. In particolare, se il minore volontariamente assiste al compimento di atti sessuali, non ricorrono i presupposti per l’applicazione della causa di giustificazione di cui all’art. 50 c.p. (atteso che il consenso proviene da persona incapace di prestarlo consapevolmente); se, invece, il minore infraquattordicenne viene costretto ad assistere agli atti sessuali ricorrerà tanto il reato di cui all’art. 609quinquies, tanto il reato mezzo commesso per coartare la volontà del minore (violenza privata, minaccia, sequestro di persona).

Esibizione di foto pedopornografiche

Ai fini della configurabilità del delitto, inoltre, è sufficiente l’esibizione, a persona minore degli anni 14, di foto pedopornografiche (ad esempio, minori con genitali in mostra), in modo tale da coinvolgere emotivamente la persona offesa e compromettere la sua libertà sessuale. Si afferma, altresì, che il delitto sia configurabile anche nel caso in cui tali atti, pur compiuti a distanza, siano condivisi con il minore mediante videochat, nel corso della loro commissione, posto che il mezzo di comunicazione telematica, volutamente utilizzato dall’agente, consente di ritenere gli atti commessi in presenza della persona offesa (Cass. 12-4-2023, n. 15261).

Corruzione di minorenni: l’ipotesi di cui al comma 2

Si è detto come, ai sensi del comma 2 della disposizione in commento, è sanzionato penalmente chiunque fa assistere una persona minore di anni quattordici al compimento di atti sessuali, ovvero mostra alla medesima materiale pornografico, al fine di indurla a compiere o a subire atti sessuali.

Trattasi di figura inedita, introdotta dalla L. 172/2012, nota come legge di ratifica della Convenzione di Lanzarote, ed avente carattere sussidiario, in quanto configurabile solo ove il fatto non costituisca più grave reato.

In particolare, attraverso tale disposto si sono ampliati i margini di tutela del minore, inserendo nella norma condotte oggettivamente più gravi. Se, infatti, in entrambe le configurazioni-base, il disvalore del reato si sostanzia essenzialmente nel fatto che un minore assista al compimento di atti sessuali, privo del necessario «bagaglio» di maturità psico-fisica, nella prima figura tale situazione costituisce lo scopo perseguito dal reo, mentre nella seconda la medesima situazione, come anche il mostrare materiale pornografico, sono finalizzati ad indurre il minore a compiere o subire atti sessuali.

Si tratta di un autonomo delitto comune doloso, la cui configurazione sostanzialmente colma lacune di tutela, in più occasioni, segnalate, presenti nella previgente corruzione di minorenni, della quale peraltro ripropone il medesimo trattamento sanzionatorio per come rimodulato dalla novella del 2012. Si afferma in giurisprudenza che le condotte poste in essere mediante comunicazione telematica – pur svolgendosi in assenza di contatto fisico con la vittima – sono riconducibili alla fattispecie di cui all’art. 609quinquies, comma 2, c.p., poiché il far assistere persona minore di anni 14 al compimento di atti sessuali o il mostrare alla medesima materiale pornografico al fine di indurla a compiere o a subire atti sessuali non richiede necessariamente la presenza fisica degli interlocutori (si pensi all’invio di materiale pornografico a mezzo di «whatsapp») (Cass. 11-5-2020, n. 14210).

Figure circostanziali aggravanti

La novità disciplinare dovuta, invece, al D.Lgs. 39/2014 si traduce nella previsione di talune figure circostanziali aggravanti. In particolare, per effetto del neointrodotto comma 3 della disposizione in esame, si prevede un incremento sanzionatorio, nel caso in cui il fatto sia commesso da più persone riunite, da persona che fa parte di un’associazione per delinquere e al fine di agevolarne l’attività, o con violenze gravi, ovvero ancora se dal fatto deriva al minore, a causa della reiterazione delle condotte, un pregiudizio grave.

Il novero di tali figure circostanziali è stato, da ultimo, integrato dalla cd. Legge europea 2019-2020, al caso in cui dal fatto deriva pericolo di vita per il minore. 

Come già per le fattispecie di cui agli artt. 602ter e 609ter, il legislatore opera analogo correttivo anche in relazione al delitto che si esamina. Ancora una volta, a trovare attuazione è il disposto dell’art. 9, lett. f) della Direttiva 2011/93/UE, il quale prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie affinché sia considerata quale aggravante, con riferimento ai reati sessuali su minori (specificamente indicati negli artt. da 3 a 7 della direttiva stessa) la circostanza per la quale «l’autore del reato, deliberatamente o per negligenza, ha messo in pericolo la vita del minore».

Sempre nel novero delle aggravanti rientra la norma (stavolta dovuta alla L. 172/2012) applicabile al caso in cui il colpevole sia l’ascendente, il genitore, anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato, o che abbia con quest’ultimo una relazione di stabile convivenza.

Elemento soggettivo

Sul piano soggettivo, in entrambe le configurazioni (quella originaria e quella frutto dei correttivi del 2012) rileva il dolo specifico, dovendo la cosciente e volontaria realizzazione delle condotte tipizzate essere finalizzata nei modi anzidetti. Si ritiene in giurisprudenza che tale dolo specifico sia incompatibile con la configurazione eventuale.

Si è precisato, altresì, che il delitto di corruzione di minorenne commesso mediante esibizione di materiale pornografico è caratterizzato, stante il fine di indurre il minore infraquattordicenne a compiere o subire atti sessuali, dal dolo specifico, la cui sussistenza può essere desunta anche dalle circostanze di tempo e luogo della condotta, laddove indicative delle specifiche finalità dell’atto (Cass. 2-8-2022, n. 30435).

Consumazione e tentativo

Il delitto si consuma col compimento degli atti sessuali alla presenza del minore. Il tentativo appare senz’altro configurabile. Si configura il reato anche nel caso di una presenza temporanea del minore in occasione dello svolgimento di un rapporto sessuale tra adulti.

Pena e procedibilità

La pena è la reclusione da 1 a 5 anni per le due configurazioni di base, aumentata fino ad un terzo, per l’ipotesi aggravante di cui al comma 3, e fino alla metà per quella di cui al comma 4.

L’arresto in flagranza è facoltativo mentre il fermo non è consentito.

Si procede d’ufficio e la competenza spetta al Tribunale monocratico.

Leggi anche Prostituzione minorile: art. 600-bis c.p.

costrizione o induzione al matrimonio

Matrimonio forzato: il reato ex art. 558-bis c.p. Il reato di costrizione o induzione al matrimonio di cui all'art. 558-bis c.p., introdotto dalla legge 69/2019 (Codice Rosso) è punito con la reclusione da uno a cinque anni, salvo aggravanti

Reato di costrizione o induzione al matrimonio

La figura di reato ex art. 558-bis c.p., introdotta dalla L. 19-7-2019, n. 69 (cd. «Codice rosso») ha natura di reato comune, potendo essere posto in essere da chiunque. Trattasi di norma che mira a tutelare le vittime dei cosiddetti «matrimoni forzati».

Soggetto attivo e interesse tutelato

Si tratta di una piaga che affligge in modo particolare alcune regioni del mondo «in via di sviluppo», specialmente Africa e Asia, ma è riscontrabile sempre più spesso anche nelle odierne società multiculturali e multietniche, sia in Europa, sia oltreoceano. Qui le vittime sono principalmente, anche se non esclusivamente, giovani donne provenienti da comunità e famiglie immigrate, spesso di seconda generazione, di varia origine. Con l’espressione «matrimonio forzato» (dall’inglese forced marriage) si definisce un matrimonio rispetto al quale il consenso manifestato da almeno una delle due parti non era in realtà libero e pieno ed è stato estorto tramite violenze, minacce o altre forme di coercizione.

Nella normativa sovranazionale, l’obbligo di sanzionare penalmente i matrimoni forzati è sancito dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e il contrasto alla violenza contro le donne e della violenza domestica, il cui art. 37 impone agli Stati firmatari di assicurare la repressione penale delle condotte consistenti nel «costringere un adulto o un minore a contrarre un matrimonio» e nell’«attirare un adulto o un minore nel territorio di uno Stato estero, diverso da quello in cui risiede, con lo scopo di costringerlo a contrarre un matrimonio». In Italia, diversamente da molti altri Paesi europei, non era ancora stata introdotta alcuna disposizione ad hoc per queste condotte, la cui repressione penale poteva essere in qualche modo assicurata, de iure condito, attraverso il ricorso ad alcune fattispecie (in particolare quelle degli artt. 572, 605, 610, 609bis, 609quater c.p.), i cui estremi possono risultare integrati nell’ambito di una vicenda di matrimonio forzato.

Quanto all’interesse tutelato, nonostante la collocazione sistematica della fattispecie tra i delitti contro il matrimonio, esso non è identificabile con la sola tutela dell’istituzione matrimoniale, ma è costituito, soprattutto, dalla salvaguardia della libertà individuale in relazione alle scelte di vita che coinvolgono la sfera affettiva.

Le condotte rilevanti

La disposizione si articola in due figure criminose distinte (disciplinate nei primi due commi della norma) ed egualmente sanzionate.

Nello specifico, ai sensi del comma 1 è punito chiunque, con violenza o minaccia, costringe una persona a contrarre matrimonio o unione civile.

La costrizione al matrimonio

Trattasi della cd. costrizione al matrimonio, figura criminosa che ricalca la struttura oggettiva del delitto di violenza privata, prevedendo unicamente la violenza e la minaccia come modalità di coercizione; la sola differenza è che il «fare», costituente l’evento del reato di cui all’art. 610 c.p., nel caso di tale disposizione (qualificabile come «speciale») è individuato nella contrazione di un matrimonio o di un’unione civile. Orbene, per alcuni, un limite della previsione andrebbe ravvisato proprio nel puntualizzare, quale evento lesivo, i soli «matrimonio o unione civile», senza che sia chiaro se la fattispecie abbracci soltanto vincoli con effetti civili, o anche riti considerati come matrimonio dagli agenti. L’espressa menzione di unione civile e matrimonio indurrebbero a ritenere, infatti, che vadano incluse nel novero delle ipotesi punibili unicamente le unioni dotate di effetti civili per l’ordinamento italiano. Una tale interpretazione, peraltro, rischierebbe di ridurre in modo considerevole la portata applicativo-precettiva della norma e la sua efficacia, posto che un gran numero di matrimoni contratti «forzatamente» – specialmente quelli celebrati all’estero – non ha effetti civili. Per evitare tale problema, parte della dottrina auspica una puntualizzazione normativa che conferisca un’accezione più ampia al termine «matrimonio», ricomprendendovi anche unioni valide ai sensi di ordinamenti stranieri, convivenze more uxorio e riti considerati come matrimonio nella comunità di riferimento, come del resto era previsto in uno dei disegni di legge, successivamente accantonati, in cui veniva impiegata la formula «vincolo di natura personale da cui derivano uno o più obblighi tipici del matrimonio o dell’unione civile» (soluzione, peraltro, già adottata nel 2014 in Inghilterra).

A norma del comma 2, viene, altresì, sanzionato penalmente chiunque, approfittando delle condizioni di vulnerabilità o di inferiorità psichica o di necessità di una persona, con abuso delle relazioni familiari, domestiche, lavorative o dell’autorità derivante dall’affidamento della persona per ragioni di cura, istruzione o educazione, vigilanza o custodia, la induce a contrarre matrimonio o unione civile.

L’induzione

Nella nozione di induzione rientrano quella per persuasione e quella mediante frode: la prima configurabile quando l’agente, abusando della qualità o dei poteri, fa leva su di essi per suggestionare, persuadere, convincere la propria vittima, persuasa allo scopo di evitare un male peggiore: in tale ipotesi, la volontà del privato cede il passo a causa della preminenza di colui che induce il quale, sia pure senza avanzare aperte ed esplicite pretese, ingenera nel soggetto privato la fondata persuasione di dover sottostare alle sue decisioni per evitare il rischio di subire un pregiudizio maggiore; la seconda si configura quando, in conseguenza di un inganno, il privato aderisce al modus operandi proposto da colui che induce, temendo le conseguenze derivanti dall’assunzione di una condotta non conforme alle esigenze artificiosamente palesate dal reo.

Orbene, nella lettera della previsione, le modalità coercitive son state tipizzate in modo tale da poter abbracciare tutte quelle ipotesi in cui il consenso della persona venga ottenuto attraverso violenze psicologiche più sottili e, in generale, abusando dell’autorità genitoriale o familiare. Ipotesi molto frequenti, se non addirittura «tipiche» del fenomeno in esame, che rendono difficile l’applicazione del reato di violenza privata e dunque parziale la tutela che questa norma sarebbe in grado di fornire.

Inoltre, l’impiego del termine «induzione» per descrivere la condotta dell’agente richiama, sul piano definitorio, una coercizione «anomala» e più lata, perseguita con mezzi meno diretti rispetto alle classiche violenze fisiche e minacce, ma che comunque hanno lo scopo ed il risultato di condizionare e viziare il consenso di una persona a contrarre un’unione in realtà non voluta. Il legislatore dunque, anziché prevedere in un’unica fattispecie tutte le possibili modalità di condotta con le quali si può imporre il matrimonio, ha preferito distinguere due forme, in base all’entità e alla tipologia della coazione esercitata, attribuendo però ad entrambe il medesimo trattamento sanzionatorio, a conferma del fatto che si tratta pur sempre, in entrambi i casi, di un consenso estorto con violenza, intesa nel senso estensivo anzidetto.

Circostanze aggravanti

I commi 3 e 4 della previsione in esame riconoscono la sussistenza di un surplus di disvalore penale, prevedendo una circostanza aggravante per il caso in cui uno i fatti indicati nei precedenti commi siano commessi in danno di minori (con risposa sanzionatoria ancor più intensa, e natura dell’aggravante «ad effetto speciale» ove trattasi di infraquattordicenni).

Nei commenti alla riforma, si è osservato, peraltro, che, ferma restando l’ovvia opportunità di un incremento sanzionatorio, in presenza di minore età della vittima (tra l’altro, in linea con i principi del nostro ordinamento), probabilmente sarebbe stato opportuno che il legislatore configurasse un’ipotesi delittuosa autonoma in cui, al di sotto di determinate soglie d’età, il reato fosse integrato a prescindere da condotte coercitive, anche in considerazione del fatto che i matrimoni precoci, contratti con persona minorenne, sono sempre considerati come «forzati» in tutti i numerosi strumenti normativi delle organizzazioni internazionali, salvo naturalmente le specifiche eccezioni disciplinate dalle leggi statali (ad esempio, in Italia, nei casi di «emancipazione»). L’adozione di tale opzione normativa – sul modello di quella scelta con il delitto di atti sessuali con minorenne, ex art. 609quater c.p. – si ritiene, potrebbe fornire una tutela ancora più ampia a coloro che, a causa della loro minore età, non sono in grado di esprimere un consenso pieno e libero rispetto ad un fatto della vita importante come un’unione coniugale (per tal via evitando il rischio, altresì, di veder neutralizzata la risposta sanzionatoria inasprita attraverso il gioco «perdente» del bilanciamento circostanziale con eventuali, concorrenti, circostanze attenuanti).

Limiti di applicabilità

La fattispecie si chiude precisando che le relative disposizioni trovano applicazione anche quando il fatto è commesso all’estero da cittadino italiano o da straniero residente in Italia ovvero in danno di cittadino italiano o di straniero residente in Italia. 

Trattasi di deroga al principio di territorialità, costruita sulla falsariga di quella, di analogo tenore, introdotta in occasione della creazione di un’altra fattispecie di reato dalle spiccate connotazioni internazionali: il delitto di «Pratiche di mutilazione degli organi genitali femminili», previsto e punito dall’art. 583bis c.p. Si è osservato come tale norma estensiva sia da ritenersi assolutamente condivisibile, allo scopo di reprimere efficacemente un fenomeno caratterizzato da una grande transnazionalità. L’evento tipizzato dalle figure criminose previste dalla norma, infatti, si realizza molto spesso all’estero, ai danni e ad opera di soggetti che risiedono stabilmente (e talvolta hanno avuto i loro natali) nel territorio dello Stato. Peraltro, la previsione di una deroga dal tenore anzidetto è espressamente richiesta anche dalla Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e il contrasto alla violenza contro le donne e della violenza domestica (in particolare all’art. 44, dedicato alla giurisdizione, paragrafo 2).

Elemento soggettivo e consumazione

Sotto il profilo soggettivo, la fattispecie è punibile a titolo di dolo generico, richiedendosi la cosciente e volontaria realizzazione delle condotte costrittivo-induttive anzidette, a prescindere dalle finalità concretamente perseguite dal reo. Il reato si consuma con la contrazione del matrimonio o dell’unione civile.

Pena e procedibilità

La pena è la reclusione da uno a cinque anni, aumentata fino ad un terzo se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni diciotto, mentre è la reclusione da due a sette anni se i fatti sono commessi in danno di un minore di anni quattordici.

L’arresto in flagranza è facoltativo ed il fermo consentito solo nella seconda ipotesi aggravata.

Si procede d’ufficio e la competenza spetta al Tribunale monocratico.

reato abuso ufficio

Abuso d’ufficio: addio definitivo Nel testo della riforma penale Nordio, approvata definitivamente dalla Camera il 10 luglio 2024, il reato di abuso d’ufficio scompare dal codice penale

Riforma penale Nordio: ok definitivo

Il disegno di legge Nordio sulla giustizia prevede, tra le varie novità, anche l’abolizione del reato di abuso d’ufficio. Il testo, approvato dal Senato, è stato sottoposto alla Commissione Giustizia della Camera, che ne ha concluso l’esame. Stante il rigetto di tutti gli emendamenti proposti il testo di legge è andato in Aula il 24 giugno 2024 nella stessa formulazione approvata dal Senato. Il 4 luglio, Montecitorio ha votato in via definitiva il primo articolo del ddl che abroga uno dei più classici reati contro la PA, l’abuso d’ufficio e il 10 luglio ha dato il via libera definitivo all’intero disegno di legge a firma del guardasigilli, che reca modifiche al codice penale, di procedura penale e all’ordinamento giudiziario, nonchè al codice dell’ordinamento militare.

Punto cardine del testo è senz’altro l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio a cui si aggiungono le altre misure.

Leggi anche Riforma penale Nordio è legge

Abuso d’ufficio: com’era

L’attuale versione letterale dell’articolo 323 del codice penale, che punisce il reato di abuso d’ufficio, prevede che, salvo che il fatto non costituisca più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di un servizio pubblico che nello svolgimento delle sue funzioni o del suo servizio, violando specifiche regole di condotta previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dai quali non  residuano margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti dalla legge, procuri intenzionalmente a sé o ad altri un vantaggio patrimoniale ingiusto ovvero arrechi ad altri un danno ingiusto è soggetto alla pena della reclusione da uno a quattro anni. La pena è aumentata qualora il vantaggio o il danno presentino il carattere di rilevante gravità.

Reato plurioffensivo

Il reato di abuso d’ufficio è un reato di tipo plurioffensivo perché il bene giuridico tutelato dalla norma è rappresentato sia dal buon andamento della pubblica amministrazione che dal patrimonio del terzo che viene danneggiato a causa del comportamento del funzionario pubblico. Trattasi di un reato proprio perché è previsto solo se commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato al pubblico servizio nello svolgimento della sua attività. Oggetto del reato sono i provvedimenti amministrativi e qualunque specie di atto o di attività posti in essere dal funzionario. L’abuso d’ufficio è un reato di evento e il disvalore si configura nei momenti in cui si produce un ingiusto vantaggio patrimoniale a favore del soggetto agente o un danno ingiusto nei confronti di terzi. Il vantaggio ingiusto è di natura patrimoniale, il danno che viene commesso nei confronti del terzo non viene specificato, per cui può essere rappresentato da una ingiusta aggressione sia alla sfera personale che  patrimoniale della vittima.

Per quanto riguarda l’abusività della condotta il legislatore ha previsto che la stessa si configuri nei momenti in cui il soggetto agente violi norme di legge o di regolamento o l’obbligo di astenersi da situazioni caratterizzate da un conflitto di interessi. L’elemento soggettivo del reato è il dolo generico.

Ragioni dell’abolizione dell’abuso d’ufficio

La riforma penale Nordio, nella versione definitiva (vedi fascicolo dell’iter del 16.06.2024) prevede l’abolizione del reato di abuso d’ufficio attraverso l’abrogazione dell’art. 323 c.p. che lo contiene.

Si ritiene che il reato di abuso d’ufficio abbia un’applicazione minimale. Il numero irrisorio delle condanne contrasta con il numero elevato di iscrizioni nel registro degli indagati. Si tratta di uno squilibrio costante nonostante le varie modifiche legislative, anche recenti, finalizzate a dare maggiore determinatezza alla disposizione. A questo deve aggiungersi l’elevato numero di interventi normativi finalizzati a prevenire comportamenti illeciti all’interno del settore pubblico.

Questo complesso sistema di rimedi preventivi e repressivi di natura penale, ma anche disciplinare, contabile, ed erariale, assicurano una protezione completa degli interessi pubblici. L’abolizione del reato consente il recupero di risorse, evitando che il sistema giudiziario si trovi impegnato inutilmente nel perseguire un reato con un numero di condanne irrisorie e che sia il soggetto coinvolto che la pubblica amministrazione subiscano inevitabili ripercussioni derivanti dalla persecuzione penale.

Abuso d’ufficio: pareri contrari all’abolizione

Non tutti ovviamente sono d’accordo nel procedere all’abolizione del reato di abuso d’ufficio per vari motivi. C’è chi ammette che il numero di condanne per il reato di abuso d’ufficio sia in effetti assai ridotto. Questo fenomeno si verifica anche per altri reati, questo però non comporta l’abolizione di tutte le fattispecie criminose che si concludono con un numero esiguo di condanne. Per altri invece, in relazione al reato di abuso d’ufficio, sarebbe stato più opportuno intervenire in modo più misurato, conservando il reato e apportando i correttivi necessari per conciliare la buona fede dei funzionari e dei pubblici ufficiali e il rigore in presenza di fenomeni di corruzione.

reato atti sessuali minorenne

Atti sessuali con minorenne L'art. 609quater c.p. punisce con la reclusione da sei a dodici anni chiunque compie atti sessuali con minori di anni 14 o di anni 16 quando il colpevole è un familiare o tutore

Nozione e scopo dell’art. 609quater c.p.

L’art. 609quater c.p. sanziona penalmente, con la pena prevista dall’art. 609bis, chiunque, al di fuori delle ipotesi previste in detto articolo, compie atti sessuali con persona che, al momento del fatto non ha compiuto gli anni quattordici (comma 1, n. 1) ovvero non ha compiuto gli anni sedici, quando il colpevole sia l’ascendente, il genitore anche adottivo, o il di lui convivente, il tutore, ovvero altra persona cui, per ragioni di cura, di educazione, di istruzione, di vigilanza o di custodia, il minore è affidato o che abbia, con quest’ultimo, una relazione di convivenza (comma 1, n. 2).

In tale ultima ipotesi, rileva il titolo dell’affidamento del minore, che determina l’instaurazione di un rapporto fiduciario che pone l’agente in una condizione di preminenza e di autorevolezza idonea a indurre il minore a prestare un consenso agli atti sessuali, e non il luogo in cui vengono consumati gli atti sessuali, che può essere diverso da quello in cui sussistono le ragioni di vigilanza e custodia dell’affidamento.

Il comma 2

Il comma 2 di tale previsione sanziona penalmente, ma in misura attenuata (e sempre fuori dai casi in cui sia configurabile una violenza sessuale ex art. 609bis c.p.) i medesimi soggetti elencati nel comma  1, n. 2), i quali, con l’abuso dei poteri connessi alla loro posizione, compiano atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni sedici.

Oggetto giuridico

Oggetto giuridico della tutela penale apprestata dalla norma è il corretto sviluppo della personalità sessuale del minore; in particolare, essa stabilisce l’assoluta intangibilità sessuale per il minore di quattordici anni, e quella relativa (in particolari situazioni) per il minore di anni sedici nei confronti del soggetto attivo in relazione di parentela, cura o vigilanza con il minore stesso.

Il legislatore muove, dunque, da una presunzione di incapacità di una consapevole prestazione del consenso al compimento di atti sessuali, delle persone che si trovano nelle condizioni indicate dalla norma in esame. Si parla, perciò, in tali casi di violenza sessuale presunta secondo una terminologia già in precedenza adoperata per le corrispondenti ipotesi previste e punite dall’art. 519 c.p. nn. 1) e 2).

Il delitto non è necessariamente caratterizzato dal contatto fisico fra l’agente e la vittima, risultando configurabile anche nel caso in cui l’uno trovi soddisfacimento sessuale dal fatto di assistere all’esecuzione di atti sessuali da parte dell’altra (Cass. 21-6-2023, n. 26809).

Atti sessuali con minorenne e legge n. 238/2021: l’inedito comma 3

Sulla portata precettiva della disposizione in esame ha inciso, da ultimo, la L. 23-12-2021, n. 238 (nota come Legge europea 2019-2020), correttivi tradottisi nell’introduzione di un inedito comma 3 e nella riscrittura (in senso estensivo) dell’originario comma 3, già introdotto dal cd. «Codice rosso» del 2019.

Partendo, dunque, dal primo dei segnalati correttivi, fuori dei casi di configurabilità delle ipotesi di reato appena descritte, viene sanzionato penalmente chiunque compie atti sessuali con persona minore che ha compiuto gli anni quattordici, abusando della fiducia riscossa presso il minore o dell’autorità o dell’influenza esercitata sullo stesso in ragione della propria qualità o dell’ufficio ricoperto o delle relazioni familiari, domestiche, lavorative, di coabitazione o di ospitalità.

La modifica deve ritenersi volta ad attuare quanto previsto dall’art. 3 della Direttiva 2011/93/UE, che al par. 5, lett. i), prevede che gli Stati membri adottino le misure necessarie affinché siano punite le condotte intenzionali di chi compie atti sessuali con un minore, e a tal fine abusa di una posizione riconosciuta di fiducia, autorità o influenza sul minore.

Il comma 4, dopo la legge europea

Come anticipato, il secondo dei correttivi dovuti alla cd. legge europea si è tradotto nella riscrittura dell’originario comma 3 della disposizione in commento, per effetto della quale si prevede un incremento sanzionatorio:

1) se il compimento degli atti sessuali con il minore che non ha compiuto gli anni quattordici avviene in cambio di denaro o di qualsiasi altra utilità, anche solo promessi;

2) se il reato è commesso da più persone riunite;

3) se il reato è commesso da persona che fa parte di un’associazione per delinquere e al fine di agevolarne l’attività;

4) se dal fatto, a causa della reiterazione delle condotte, deriva al minore un pregiudizio grave;

5) se dal fatto deriva pericolo di vita per il minore.

L’integrale sostituzione del comma 3 della previsione in commento si traduce, ad un tempo, nella conferma della preesistente aggravante ad efficacia comune, consistente nel mercimonio di atti sessuali con minori infraquattordicenni in cambio anche della mera promessa di denaro o utilità, già introdotta dalla L. 69/2019, cd. Codice rosso, cui si aggiunge una integrazione di figure aggravanti che rende, in tal parte, la norma sovrapponibile al comma 8 dell’art. 602ter, alla cui lettera si rinvia.

La causa di non punibilità di cui al comma 5

Il comma 5 prevede una causa di non punibilità a beneficio del minorenne che al di fuori delle ipotesi previste nell’art. 609bis, compie atti sessuali con un minorenne che abbia compiuto gli anni tredici, se la differenza di età tra i soggetti non è superiore a quattro anni.

La scelta di dar rilievo al consenso del minore ultratredicenne, pur incapace di agire (cfr. art. 2 c.c.), si inserisce nella più ampia tendenza al riconoscimento, nel mondo giuridico, delle capacità di autodeterminazione (sia pure a precise condizioni) dei minori. Per la migliore dottrina si tratta di una causa di non punibilità di carattere soggettivo.

Figure circostanziali (commi 6 e 7)

I commi 6 e 7 dell’art. 609quater prevedono una circostanza attenuante ed una aggravante: la prima ricorre nei casi di minore gravità, consentendo la diminuzione della pena in misura non eccedente i due terzi; la seconda ricorre quando la persona offesa non ha compiuto gli anni dieci.

Si afferma che, in tema di atti sessuali con minorenne, per l’applicazione dell’attenuante speciale prevista dall’art. 609quater, comma 6, c.p. il giudice deve valutare l’intensità dell’offesa all’integrità fisio-psichica del minore nella prospettiva di un corretto sviluppo della personalità sessuale, considerando tutte le caratteristiche oggettive e soggettive del fatto (Cass. 27-1-2021, n. 3241).

Più di recente, si è precisato che per il riconoscimento della suddetta attenuante è necessaria una valutazione globale del fatto in cui assumono rilievo i mezzi, le modalità esecutive, il grado di coartazione esercitato sulla vittima e le condizioni fisiche e psicologiche di quest’ultima, anche in relazione all’età, mentre, ai fini del suo diniego, è sufficiente la presenza anche di un solo elemento di conclamata gravità (Cass. 1-3-2023, n. 8735).

Elemento soggettivo

La fattispecie è punibile a titolo di dolo generico, che presuppone la volontà dell’atto sessuale con la coscienza di tutti gli elementi essenziali del fatto.

Consumazione e tentativo

Il delitto si consuma con il compimento dell’atto sessuale. In particolare, il reato ha natura istantanea, e non già abituale o permanente, in quanto si perfeziona con la realizzazione del fatto tipico, ossia con il compimento dell’atto sessuale che ne esaurisce l’offesa (Cass. 5-7-2022, n. 25619). È configurabile il tentativo del reato di atti sessuali con minorenne quando, pur in mancanza di un contatto fisico tra i soggetti coinvolti, la condotta tenuta dall’imputato presenta i requisiti della idoneità e della univocità dell’invito a compiere atti sessuali, in quanto la stessa è specificamente diretta a raggiungere l’appagamento degli istinti sessuali dell’agente attraverso la violazione della libertà di autodeterminazione della vittima nella sfera sessuale. Possono essere in astratto indici rivelatori dell’idoneità dell’azione la ripetitività degli episodi ed il modo pressante della richiesta. È, però, necessario, al fine di riscontrare anche l’estremo dell’univocità, inserire il comportamento nelle concrete modalità di spazio e di tempo, per verificarne la direzione all’effettiva perpetrazione dell’illecito e la coincidenza della fattispecie concreta con quella legale.

Pena ed istituti processuali

La pena prevista per il reato in esame è la stessa del reato di cui all’art. 609bis (da sei a dodici anni di reclusione) ma per il comma 2 è la reclusione da 3 a 6 anni (aumentata fino ad un terzo per la neointrodotta ipotesi aggravata).

Per il comma 3, la pena è la reclusione fino a 4 anni. Nei casi di minore gravità la pena è diminuita in misura non eccedente i due terzi. Si applica la pena di cui all’art. 609ter, comma 2, se la persona offesa non ha compiuto gli anni dieci. L’arresto è obbligatorio (commi 1 e 2) ed il fermo consentito (commi 1 e 7).

Si procede d’ufficio e la competenza spetta al Tribunale collegiale.

Cybersicurezza e reati informatici: legge in vigore dal 17 luglio La nuova legge sulla Cybersicurezza inasprisce le pene per i reati informatici e obbliga le pubbliche amministrazioni a segnalare gli attacchi entro 24 ore

Legge cybersicurezza in vigore dal 17 luglio

E’ stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 2 luglio, la legge n. 90/2024 sulla cybersicurezza e reati informatici, approvata in via definitiva dal Senato il 19 giugno scorso, in vigore dal 17 luglio. Il testo di legge, composto da 24 articoli, introduce anche modifiche al codice penale e al codice di procedura penale.

Il capo I contiene disposizioni per il rafforzamento della Cybersicurezza nazionale della pubblica amministrazione e del settore finanziario, disciplina le funzioni dell’Agenzia per la Cybersicurezza nazionale e regolamenta i contratti pubblici di beni e servizi informatici.

Il capo II invece contiene disposizioni specifiche per la prevenzione e la lotta ai reati informatici, prevede misure di contrasto in caso di attacchi a sistemi informatici o telematici, detta regole specifiche per la sicurezza delle banche dati degli edifici giudiziari.

Vediamo le novità più importanti della nuova legge.

Obbligo di notifica degli incidenti informatici

Le pubbliche amministrazioni, gli enti territoriali, le società di trasporto pubblico urbano ed extraurbano e le aziende sanitarie locali hanno l’obbligo di segnalare e notificare gli incidenti informatici in grado di impattare sulle reti sui sistemi informativi e sui servizi informatici.

Sono soggetti all’obbligo di segnalazione anche le società in house che forniscono servizi informatici, di trasporto, di raccolta, smaltimento e trattamento di acque reflue urbane domestiche industriali e che si occupano della gestione dei rifiuti.

Questi soggetti hanno l’obbligo di segnalare lincidente entro il termine massimo di 24 ore dal momento in cui ne hanno acquisito conoscenza. La segnalazione e la notifica devono essere effettuate con apposite procedure tramite il sito istituzionale dell’Agenzia per la Cybersicurezza nazionale. La reiterata inosservanza dell’obbligo di notifica da parte dei soggetti obbligati comporta l’avvio di ispezioni da parte dell’Agenzia nonché l’applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie fino a 125.000 euro.

L’Agenzi indica anche ai soggetti obbligati l’adozione di interventi risolutivi per contrastare la vulnerabilità informatica a cui sono esposti. La mancata adozione di detti interventi è punita con sanzione amministrativa.

Rafforzamento della resilienza delle PP.AA.

Le pubbliche amministrazioni, al fine di contrastare gli attacchi informatici, individuano una struttura che ha il compito di sviluppare politiche e procedure di sicurezza dell’informazione, di produrre e a aggiornare sistemi di analisi preventiva e i piani per gestire il rischio informatico, di redigere e aggiornare un documento che indichi i ruoli e l’organizzazione del sistema per la sicurezza delle informazioni, di predisporre e aggiornare un piano programmatico per la sicurezza dei dati, di pianificare e attuare attività di potenziamento per la gestione dei rischi informatici, di programmare  e attuare le misure previste dalle linee guida per la Cybersicurezza emanate dall’agenzia nazionale, di monitorare e valutare le minacce alla sicurezza per un pronto aggiornamento delle misure di sicurezza.

Presso la struttura individuata le pubbliche amministrazioni possono conferire l’incarico di referente per la Cybersicurezza a un dipendente, previa autorizzazione della pubblica amministrazione di appartenenza. Tale referente rappresenta un punto di contatto tra l’amministrazione e l’Agenzia per la Cybersicurezza nazionale, a cui pertanto deve essere comunicato il nominativo.

Crittografia per rafforzare le misure di sicurezza

Le strutture delle pubbliche amministrazioni con il compito di contrastare il rischio informatico sono tenute a verificare che i programmi e le applicazioni informatiche in uso siano dotate di soluzioni crittografiche e rispettino le linee guida sulla crittografia e sulla conservazione delle password adottate dall’Agenzia per la Cybersicurezza nazionale e dal Garante per la protezione dei dati personali. L’articolo 10 del testo prevede il riconoscimento all’Agenzia per la Cybersicurezza nazionale di una serie di funzioni in materia di crittografia, finalizzata a promuoverne l’utilizzo a vantaggio della tecnologia blockchain.

Pene più severe per i reati informatici

La legge  introduce e definisce nuovi reati informatici, come l’accesso abusivo a sistemi informatici o telematici e l’installazione di software dannosi per danneggiare o interrompere sistemi informatici.

Vengono introdotte aggravanti per la truffa cyber, con previsione della confisca obbligatoria di beni e strumenti informatici utilizzati per il reato, oltre al profitto derivante dallo stesso.

Il reato di estorsione mediante reati informatici viene punito in modo specifico, mentre la pena per il danneggiamento di sistemi informatici o telematici di pubblica utilità è aumentata da 2 a 6 anni di reclusione. Introdotte anche attenuanti per chi collabora con la giustizia.

reato resistenza pubblico ufficiale

Resistenza a pubblico ufficiale Il reato di resistenza a pubblico ufficiale di cui all’art. 337 del codice penale. Differenze con il reato di violenza e minacce e rassegna giurisprudenziale

Il reato di resistenza a pubblico ufficiale

Il reato di resistenza a pubblico ufficiale sanziona chi si oppone all’azione di un pubblico ufficiale (o del privato che, richiesto, gli presti assistenza) nel momento in cui quest’ultimo sta compiendo un atto del proprio ufficio.

Nel concetto di resistenza sono ricompresi, come vedremo tra breve, quei comportamenti che mirano a impedire il compimento dell’atto di ufficio, e questa circostanza vale a distinguere il reato di resistenza da quello di violenza o minaccia a pubblico ufficiale.

I caratteri del reato: violenza e minacce

A norma dell’art. 337 del codice penale, per aversi resistenza a pubblica ufficiale occorre che l’opposizione a quest’ultimo debba avere i caratteri della violenza o minaccia.

A questo riguardo, è opportuno precisare quando ricorrano tali caratteri, per comprendere quando si possa configurare il reato in oggetto. Ad esempio, la semplice fuga da un agente di polizia intenzionato ad eseguire controlli non integra resistenza, non ricorrendo violenza né minaccia.

Diversamente, se la fuga è accompagnata da minacce e da violenza – ad esempio, il tentativo di forzare con la propria auto un posto di blocco o l’esecuzione di manovre tese a impedire l’inseguimento in auto e foriere di pericolo per gli inseguitori – si ha resistenza a pubblico ufficiale, poiché si crea ostacolo al compimento degli atti da parte degli agenti, indipendentemente dall’esito di tale azione (Cass. pen. n. 5459/20).

La giurisprudenza sull’art. 337 c.p.

Altre pronunce giurisprudenziali ci aiutano a definire meglio i contorni di tale concetto.

Resistenza passiva

Ad esempio, la Corte di Cassazione, VI sez. penale, con sentenza n. 6604/22, ha chiarito, nel solco di pacifica giurisprudenza legittimità (cfr., tra tante, Cass. sez. VI, n. 10136/13), che la semplice resistenza passiva non vale a integrare il reato di cui all’art. 337 c.p., con tale locuzione intendendosi, ad esempio, l’atto del semplice divincolarsi del soggetto fermato dall’agente di polizia, attraverso l’uso di gesti di moderata violenza non diretta contro il pubblico ufficiale.

Parimenti, non fa resistenza il soggetto fermato dal pubblico ufficiale che si appoggi al telaio dell’auto della polizia per cercare di non essere condotto all’interno del veicolo (Cass. sez. VI, 6069/2015: si tratta di un altro esempio di resistenza passiva).

In definitiva, per integrarsi resistenza ai sensi dell’art. 337 c.p., occorre che il soggetto intenda porre in atto un condizionamento diretto dell’azione del pubblico ufficiale, opponendosi ad essa con violenza e minaccia e con lo scopo di impedirla.

La minaccia

In ogni caso, non è sempre facile ricostruire i confini di tale condotta; quanto alla minaccia, ad esempio, essa non deve essere generica, ma ingiusta, per quanto non necessariamente diretta verso la persona del pubblico ufficiale, né su una cosa. Si pensi, ad esempio, che la Suprema Corte ha ritenuto sussistente la resistenza a pubblico ufficiale in un caso in cui il soggetto fermato ha minacciato di darsi fuoco, non ritenendo la Corte necessaria una minaccia diretta o personale, essendo sufficiente una minaccia morale tale da costituire ostacolo all’azione del pubblico ufficiale (Cass. 26869/17).

Differenza tra resistenza a p.u. e violenza ex art. 336 c.p.

Il criterio per distinguere il reato di resistenza a pubblico ufficiale da quello di violenza o minaccia ai danni dello stesso (art. 336 c.p.) è quello temporale, in quanto la resistenza si configura quando si cerca di impedire un atto del pubblico ufficiale mentre questi lo sta compiendo, mentre il reato di violenza o minaccia si configura quando queste ultime sono perpetrate prima che il pubblico ufficiale compia il proprio atto d’ufficio o di servizio (cfr, Cassazione, Vi sez. pen., n. 37749/10).

Esimente al reato di resistenza a pubblico ufficiale

Va ricordato, infine, che il reato in oggetto è escluso quando la resistenza sia conseguenza di un’azione arbitraria del pubblico ufficiale che ecceda i limiti delle proprie attribuzioni (v. Cass. pen., n. 18841/2011, secondo cui tale esimente ricorre, ad esempio, quando la perquisizione personale sia disposta dal pubblico ufficiale in assenza degli elementi normativamente previsti che la giustifichino).

Il delitto di resistenza a pubblico ufficiale è procedibile d’ufficio – cioè senza necessità di querela – ed è sanzionato con la pena della reclusione da sei mesi a cinque anni.

giurista risponde

Messaggi via social e reato di molestie L’invio di messaggi tramite le piattaforme Instagram e Facebook integra gli estremi di cui all’art. 660 c.p.?

Quesito con risposta a cura di Matteo Castiglione e Federica Lavanga

 

L’espressione “col mezzo del telefono” dell’art. 660 c.p. deve essere riferita all’uso delle linee telefoniche e non del telefono quale dispositivo elettronico in quanto tale. Nel rispetto del principio di legalità, dunque, l’equiparazione tra un sistema di messaggistica telematica disponibile tramite smartphone e il sistema di comunicazioni tradizionali effettuate col mezzo del telefono non si giustifica, anche in ragione del fatto che l’invasività della comunicazione improvvisa dipende da una scelta del soggetto che la riceve, il quale può disattivare le notifiche. – Cass. pen., sez. I, 3 ottobre 2023, n. 40033.

Il reato di molestia integrato col mezzo del telefono è, di recente, stato esaminato dalla giurisprudenza, chiamata a verificare la compatibilità con la condotta descritta dalla fattispecie del comportamento dell’agente che, tramite Facebook, ha cercato di mettersi in contatto con i figli naturali, contattando persone a loro vicine, ivi compresi i genitori adottivi.

A seguito della condanna è stata contestata la qualificazione giuridica del fatto, che, pur concretizzatosi avvalendosi delle linee telefoniche, non si sostanzia nella condotta di molestia o di disturbo alle persone descritta dalla contravvenzione di cui all’art. 660 c.p.

Il predetto illecito punisce una condotta molesta dell’agente idonea a turbare la persona offesa, la cui sfera personale viene ad essere invasa e perturbata improvvisamente, senza alcuna possibilità di limitare o bloccare l’ingerenza altrui.

Per quanto concerne la molestia adoperata col mezzo del telefono, tale condotta è stata oggetto di continui mutamenti nel corso del tempo in ragione del progresso tecnologico, succedendosi una serie di orientamenti.

Sebbene in un primo momento con tale espressione si è inteso lo strumento di comunicazione tradizionale agganciato alla rete telefonica, si è poi passati a considerare tale anche il dispositivo mobile e lo smartphone. Ciò che connota la molestia telefonica è l’impossibilità della persona offesa di arginare la condotta lesiva dell’agente, giacché non era possibile limitare il traffico telefonico. Invero con l’avvento di apparecchiature telefoniche sempre più sofisticate e con la diffusione di strumenti alternativi, ma idonei alla comunicazione telefonica, come i tablet, si è rappresentata la possibilità di filtrare le telefonate e i messaggi ricevuti mediante sistemi di blocco de traffico in entrata.

Tale considerazione ha comportato una rilettura del mezzo telefonico da intendersi alla stregua di linea telefonica, di rete mobile di telecomunicazione, anche al fine di evitare che la fattispecie divenisse anacronistica. Da questo ultimo punto di vista si è assistito al graduale confronto della giurisprudenza con varie ipotesi di molestia telematica, che hanno contribuito a ridisegnare l’assetto della fattispecie.

Punto di partenza della speculazione della Cassazione sono state le comunicazioni di posta elettronica. Premesso che la comunicazione epistolare era già stata distinta da quella telefonica, sul punto si è precisato che il principio di stretta legalità e di tipizzazione impedisce che l’interpretazione dell’espressione “col mezzo del telefono” possa essere dilatata sino a comprendere anche le modalità di comunicazione asincrona, quale l’invio di messaggi di posta elettronica, poiché differiscono dagli sms che costringono il destinatario, sia de auditu che de visu, a percepirli con corrispondente turbamento della quiete e tranquillità psichica, prima di poterne individuare il mittente, arrecandosi disturbo al destinatario (Cass. pen., sez. III, 28680/2004).

Un successivo orientamento ha sostenuto che anche l’invio di un messaggio di posta elettronica può realizzare in concreto una diretta e sgradita intrusione del mittente nella sfera delle attività del destinatario, allorquando il destinatario non possa impedirne la percezione e la comunicazione sia accompagnata da un avvertimento acustico, che ne indichi l’arrivo in forma petulante, con un’intensità tale da condizionare la tranquillità del ricevente (Cass. pen.,, sez. I, 36799/2011).

“Col mezzo del telefono” va, pertanto, inteso come rete telefonica e l’art. pe c.p. sanziona le condotte moleste perpetrate mediante una comunicazione di carattere invasivo cui il destinatario non può sottrarsi (Cass. pen., sez. I, 24510/2010).

Con specifico riguardo alla messaggistica istantanea, ossia di messaggi Whatsapp, si è affermato che l’interazione indesiderata si ha ogniqualvolta assieme al segnale acustico di notifica si accompagni l’anteprima del testo. Sarebbe irrilevante la circostanza che il destinatario di messaggi non desiderati possa evitarne la ricezione, senza compromettere la propria libertà di comunicazione, escludendo o bloccando il contatto indesiderato, poiché un simile comportamento preventivo si traduce comunque in una limitazione del destinatario.

La diffusività della messaggistica istantanea e la sua invasività costituiscono il fulcro delle riflessioni da ultimo maturate dalla giurisprudenza, che ha superato il precedente orientamento con cui si estendeva l’applicazione della fattispecie fino a ricomprendervi anche i casi in cui il destinatario potesse essere avvertito con sistemi di alert e preview e potesse procedere al blocco dell’utenza molesta.

Si è osservato che tanto l’attivazione di sistemi di blocco della ricezione di messaggi quanto della installazione di meccanismi di notifica ed anteprima del messaggio non dipendono, invero, dalla volontà dell’agente, bensì da quella del destinatario dei messaggi. La possibilità per il destinatario della comunicazione di sottrarsi all’interazione immediata con il mittente e di porre un filtro alla comunicazione rende tale forma di comunicazione oggettivamente meno invasiva e più vicina a quella epistolare.

Ne consegue che i comportamenti molesti perpetrati tramite messaggi inviati con Instagram e Facebook, le cui notifiche possono essere attivate per scelta libera dal soggetto che li riceve non è sussumibile nella fattispecie penale dell’art. 660 cod. pen., in quanto non commesso “col mezzo del telefono”, nel significato attribuito a questa locuzione dalla giurisprudenza di legittimità.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cass. pen., sez. III, 1° luglio 2004, n. 28680
Difformi:      Cass. pen., sez. I, 22 ottobre 2021, n. 37974; Cass pen., sez. I, 23 luglio 2021, n. 28959