fondo patrimoniale

Fondo patrimoniale: la guida completa Fondo patrimoniale: cos’è, come e chi lo costituisce, proprietà, amministrazione, vincoli, opponibili ai creditori e scioglimento

Fondo patrimoniale: cos’è

Il fondo patrimoniale è un istituto giuridico che permette ai coniugi o a un terzo di destinare specifici beni per soddisfare i bisogni della famiglia.

Normativa di riferimento

La normativa di riferimento del fondo patrimoniale è contenuta nel Codice civile, che ne disciplina le vicende fondamentali.

  • Art. 167 – Costituzione del fondo patrimoniale
  • Art. 168 – Impiego e amministrazione del fondo
  • Art. 169 – Alienazione dei beni del fondo
  • Art. 170 – Esecuzione sui beni e sui frutti
  • Art. 171 – Cessazione del fondo

Costituzione del fondo patrimoniale

Il fondo patrimoniale può essere costituito:

  • da uno o entrambi i coniugi tramite un atto pubblico, ovvero un documento redatto da un notaio;
  • da un terzo sia con un atto tra vivi (cioè una donazione, che richiede l’accettazione dei coniugi) che per testamento. In questo caso, il fondo diventa effettivo solo con l’accettazione dei coniugi, che può avvenire in un momento successivo.

La costituzione del fondo può avvenire sia prima che durante il matrimonio e ha lo scopo principale di proteggere i beni destinati ai bisogni della famiglia da eventuali creditori personali dei coniugi.

Cosa può comprendere

I beni che possono essere inclusi nel fondo patrimoniale sono:

  • i beni immobili come case, terreni o appartamenti;
  • i beni mobili registrati, ossia veicoli, come automobili, moto o imbarcazioni, che sono iscritti in registri pubblici;
  • i titoli di credito come azioni od obbligazioni, che devono essere resi nominativi e vincolati specificamente al fondo, per garantire che non possano essere usati per scopi diversi da quelli familiari.

Proprietà e amministrazione

Salvo diversa indicazione nell’atto di costituzione, la proprietà dei beni del fondo patrimoniale è di entrambi i coniugi. Questo significa che marito e moglie ne sono comproprietari, a meno che l’atto costitutivo non preveda diversamente (per esempio, specificando che la proprietà resta al solo coniuge che ha conferito il bene).

Per quanto riguarda l’amministrazione, si applicano le stesse regole previste per la comunione legale dei beni. Questo vuol dire che la gestione ordinaria spetta a entrambi i coniugi congiuntamente, e per gli atti di straordinaria amministrazione o per la vendita dei beni è richiesto il consenso di entrambi.

Destinazione dei frutti del fondo patrimoniale

Tutto ciò che i beni del fondo producono, come ad esempio, gli affitti di un appartamento o gli interessi di un titolo, deve essere usato esclusivamente per soddisfare i bisogni della famiglia. Questo rafforza lo scopo del fondo, che è proprio quello di sostenere la vita familiare.

Vincoli del fondo patrimoniale

I beni che fanno parte del fondo patrimoniale sono vincolati. Questo significa che non possono essere venduti, ipotecati o dati in garanzia senza il consenso di entrambi i coniugi.

Se nella famiglia sono presenti figli minori, la situazione si complica: oltre al consenso dei genitori, è necessaria l’autorizzazione del giudice. Il tribunale concede il permesso solo in casi di “necessità o utilità evidente” per la famiglia. Questo significa che il bene può essere venduto, ipotecato o vincolato solo se l’operazione è chiaramente utile per i figli, per esempio per sostenere le loro spese mediche o l’istruzione.

Fondo patrimoniale e creditori

I creditori non possono pignorare i beni o i frutti del fondo patrimoniale se sanno che i debiti sono stati contratti per scopi che non hanno nulla a che vedere con i bisogni della famiglia.

Questo significa che il fondo protegge i beni da tutti i debiti che uno dei coniugi ha contratto per motivi personali (ad esempio, per un’attività lavorativa o per un hobby), a meno che il creditore non riesca a dimostrare di non essere a conoscenza della natura extra-familiare del debito.

Con l’ordinanza n. 12247/2025 la Cassazione ha chiarito che i creditori non possono contestare la creazione di un fondo patrimoniale accusando i coniugi di simulazione, poiché questo atto è considerato lecito e protetto dalla legge. Lo scopo del fondo patrimoniale è quello di destinare alcuni beni ai bisogni della famiglia, sottraendoli così alla disponibilità generale dei creditori. Per tutelare i loro diritti questi soggetti hanno la possibilità di utilizzare l’azione revocatoria ordinaria per impugnare la costituzione del fondo, ma non devono essere trascorsi 5 anni dalla sua creazione.

Opponibilità del fondo patrimoniale

Come precisato da diverse Cassazioni, menzionate dalla recente n. 17638/2025: “il fondo patrimoniale non annotato sull’atto di matrimonio non è opponibile ai terzi (Cass. 10/07/2008, n. 18870; Cass. 08/10/2008, n. 24798), è privo di effetti nei loro confronti, con la conseguenza, che per i creditori i beni conferiti nel fondo patrimoniale non sono in realtà mai stati conferiti, e dunque sono rimasti nel patrimonio dei debitore, che il creditore può, nelle forme ordinarie, aggredire (…) la circostanza che, in difetto di annotazione a margine dell’atto di matrimonio, l’atto costitutivo non sia opponibile ai creditori non vale ad elidere il fatto che la convenzione è stata comunque posta in essere e che la stessa potrebbe divenire, in ogni momento, opponibile ai creditori tramite una successiva annotazione»; ciò in quanto «la destinazione del bene nel fondo patrimoniale, a prescindere dalla annotazione, può essere sufficiente a rendere più incerta e difficile la realizzazione del diritto.”

Scioglimento del fondo

Il fondo patrimoniale si estingue quando il matrimonio finisce. Questo si può verificare in seguito all’annullamento o al divorzio.

Tuttavia, se ci sono figli minori, il fondo non si scioglie subito. Continua a esistere fino a quando anche l’ultimo figlio non raggiunge la maggiore età. In questo periodo, il giudice può intervenire per stabilire come i beni devono essere amministrati.

Inoltre, il giudice può decidere di assegnare ai figli una parte dei beni del fondo, in modo che possano goderne o addirittura diventarne proprietari, tenendo conto delle condizioni economiche della famiglia e di altre circostanze rilevanti.

Se non ci sono figli, la gestione e lo scioglimento del fondo seguono le stesse regole previste per la comunione legale dei beni.

Leggi anche: Fondo patrimoniale: vale per la famiglia nucleare

conduttore condannato

Conduttore condannato: negare le visite all’immobile costa il risarcimento l Tribunale di Roma ha condannato un conduttore al pagamento di sei mensilità di canone per aver impedito al locatore le visite all’immobile dopo il recesso dal contratto

Conduttore condannato: il caso portato in Tribunale

Conduttore condannato al risarcimento per aver negato le visite all’immobile. La controversia nasce dal recesso esercitato da un conduttore, il quale aveva comunicato l’intenzione di lasciare l’immobile il 30 settembre 2021, ma lo aveva riconsegnato solo il 21 ottobre 2021.
Durante questo periodo, nonostante l’espresso obbligo contrattuale, il conduttore aveva negato le visite all’immobile richieste dal locatore per reperire nuovi inquilini.

La domanda del locatore

Il proprietario chiedeva il risarcimento pari a sei mensilità di canone (1.600 euro ciascuna) per l’impossibilità di locare tempestivamente l’appartamento, oltre al rimborso di ulteriori danni agli interni dell’immobile.

La decisione del Tribunale di Roma

Il giudice, dott.ssa Chiara Salvatori della VI sezione civile, ha ritenuto fondata la domanda del locatore.
In particolare, è stato accertato che:

  • il contratto di locazione, regolarmente sottoscritto dalle parti, prevedeva all’art. 13 l’obbligo del conduttore di consentire due visite settimanali;

  • il documento prodotto dal conduttore, privo di firme e con clausole diverse, non poteva essere considerato;

  • il rifiuto del conduttore non poteva essere giustificato né dall’emergenza sanitaria, né dall’invio di video parziali dell’immobile, che non sostituivano le visite in presenza.

La condanna del conduttore

Il Tribunale ha quindi stabilito che:

  • al conduttore non spettava la restituzione del deposito cauzionale, già rimborsato in via monitoria;

  • l’inadempimento contrattuale giustificava la condanna al risarcimento pari a sei mensilità di canone;

  • il conduttore doveva inoltre farsi carico delle spese di lite.

Il principio ribadito dal giudice

La sentenza sottolinea che il conduttore non può sottrarsi all’obbligo di consentire le visite, trattandosi di una clausola contrattuale vincolante volta a tutelare l’interesse del locatore a non subire vuoti locativi.
Il mancato rispetto di tale obbligo costituisce un inadempimento contrattuale che legittima il risarcimento dei danni.

Compravendita

La compravendita La compravendita: definizione, tipologie, caratteristiche, effetti, forma, obblighi del venditore e del compratore e pagamento

Cos’è la compravendita

La compravendita è un contratto disciplinato dal codice civile italiano, precisamente dagli articoli 1470-1547. La finalità di questo contratto consiste nel trasferire la proprietà di un bene o di un altro diritto da un venditore a un compratore, in cambio di un prezzo. Questo contratto ha origini molto antiche, che risalgono all’epoca romana, e oggi rappresenta uno degli istituti giuridici più importanti e frequenti.

Tipologie di compravendita

Il contratto di compravendita può variare notevolmente a seconda dell’oggetto e delle condizioni concordate.

  • Compravendita immobiliare: ha per oggetto i beni immobili come terreni, case o appartamenti. La legge richiede che questo tipo di contratto sia redatto per iscritto, spesso come atto pubblico o scrittura privata autenticata, e che venga registrato nei registri immobiliari per essere opponibile a terzi.
  • Compravendita mobiliare: si riferisce alla vendita di beni mobili, tra cui veicoli, elettrodomestici, mobili o qualsiasi altro bene non immobile. Generalmente, questa forma di compravendita non richiede formalità specifiche e si perfeziona con il semplice accordo tra le parti. Per i beni mobili registrati (come le automobili), è comunque necessaria la forma scritta ai fini della trascrizione nei pubblici registri.
  • Compravendita con riserva di proprietà: questa tipologia è comune nelle vendite a rate. Il compratore entra subito in possesso del bene. La proprietà effettiva del bene però rimane al venditore fino a quando il compratore non paghi l’intero prezzo, in caso di contrario, il venditore può riprendersi il bene.
  • Compravendita con patto di riscatto: il venditore può riacquistare il bene venduto entro un determinato termine stabilito, restituendo al compratore il prezzo pagato e rimborsando gli le spese sostenute. Questa clausola è tipicamente utilizzata quando il venditore ha l’interesse a poter rientrare in possesso del bene in futuro.

Contratto di compravendita: caratteristiche

La compravendita è a titolo oneroso, entrambe le parti infatti traggono un vantaggio economico: il venditore riceve il prezzo, e il compratore ottiene la proprietà del bene.

Il contratto è consensuale, il che significa che si perfeziona con il semplice accordo tra le parti, senza che sia necessaria la consegna fisica della cosa. Il trasferimento della proprietà, quindi, avviene per effetto del solo consenso (principio consensualistico).

Un’altra caratteristica fondamentale è il vincolo sinallagmatico, dove le prestazioni delle parti (il trasferimento del bene e il pagamento del prezzo) sono strettamente legate l’una all’altra. Questo legame rende applicabili istituti come la risoluzione del contratto, nel caso in cui una delle parti non adempia alla propria obbligazione.

La compravendita: effetti

Di norma, la compravendita ha effetti reali: la proprietà del bene passa dal venditore al compratore nel momento stesso in cui il contratto viene concluso. Tuttavia, esistono casi in cui l’effetto traslativo della proprietà è differito a un momento successivo, dando vita alle vendite a effetti obbligatori. In queste situazioni, infatti, il contratto genera inizialmente solo un’obbligazione per il venditore di fare acquistare la proprietà al compratore. Vediamo qualche esempio di vendite a effetti obbligatori.

  • Vendita di cose generiche: la proprietà si trasferisce quando il bene, determinato solo nel genere (ad esempio, 100 quintali di grano), in seguito viene specificato o individuato.
  • Vendita di cosa futura: l’effetto traslativo si ha quando la cosa viene a esistere (ad esempio, un immobile ancora da costruire o i frutti di un terreno non ancora raccolti).
  • Vendita di cosa altrui: il venditore si assume l’impegno di procurarsi la proprietà del bene da un terzo per trasferirla poi al compratore.

Forma del contratto di compravendita

Per quanto riguarda la forma, la compravendita è generalmente libera e può avvenire anche oralmente. Tuttavia, in alcuni casi, come la vendita di beni immobili, è necessaria la forma scritta a pena di nullità. Questi atti devono essere redatti come atto pubblico o scrittura privata autenticata e sono soggetti a trascrizione nei registri immobiliari.

Obblighi del venditore e del compratore

Il contratto di compravendita impone precisi obblighi a entrambe le parti.

Obblighi del compratore: il dovere principale del compratore è quello di pagare il prezzo stabilito e di sostenere le spese del contratto, a meno che non sia stato diversamente pattuito.

Obblighi del venditore: il venditore invece ha tre obblighi principali:

    • consegnare la cosa: ossia trasferire fisicamente il bene al compratore:
    • garantire dall’evizione ossia proteggere l’acquirente nel caso in cui un terzo rivendichi la proprietà o un altro diritto reale sul bene venduto. Se il compratore perde il bene a causa di una rivendicazione di terzi, il venditore deve risarcire il danno.
    • Garantire per i vizi: assicurare il compratore che il bene è privo di difetti tali da renderlo inidoneo all’uso o da diminuirne significativamente il valore. Per i beni di consumo, la normativa più recente introduce anche la garanzia di conformità, che assicura che il bene risponda alle caratteristiche stabilite nel contratto.

Modalità di pagamento  

Il pagamento può avvenire con diverse modalità (bonifico, assegno, contanti) e in tempi diversi, che possono essere anticipati, immediati o posticipati, a seconda degli accordi. Il contratto può anche includere clausole particolari che danno luogo a tipi speciali di vendita, come quelli trattati sopra.

Leggi anche gli articoli collegati a questo argomento 

garanzia per evizione

Garanzia per evizione Garanzia per evizione: cos’è, a quale contratto si riferisce, come funzione, prescrizione dell’azione, tipologie e Cassazione 2025

Garanzia per evizione: definizione

La garanzia per evizione è specificatamente disciplinata dal Codice Civile in materia di compravendita. Essa rappresenta una forma di protezione per il compratore, assicurandogli che il bene acquistato sia immune da vizi giuridici che possano comprometterne la proprietà.

Evizione: cos’è

L’evizione si verifica quando il compratore perde, in tutto o in parte, la proprietà del bene a causa di un diritto preesistente di un terzo. In sostanza, un giudice accerta che il venditore non aveva il pieno diritto di trasferire la proprietà.

Come funziona la garanzia per evizione

La garanzia per evizione non è un’obbligazione di fare o non fare, ma di garanzia appunto. Il venditore infatti si assume il rischio di dover indennizzare il compratore qualora il suo diritto di proprietà risulti viziato. Un presupposto essenziale perché la garanzia operi è che un terzo agisca in giudizio e vinca la causa, dimostrando di avere un diritto prevalente sul bene.

Garanzia per evizione: modificabilità

Le parti però possono, in autonomia, modificare gli effetti della garanzia, aumentandoli, diminuendoli o addirittura escludendola. Tuttavia, l’art. 1487 c.c prevede che la garanzia non possa essere esclusa se l’evizione dipende da un fatto proprio del venditore, qualsiasi patto contrario è considerato nullo.

Prescrizione 

Il diritto di azione per l’evizione si prescrive in dieci anni, che decorrono dal momento in cui il diritto del terzo viene accertato incontrovertibilmente.

Tipologie di evizione

Esistono tre principali tipologie di evizione, ognuna con conseguenze diverse.

Evizione totale (art. 1483 c.c.): si verifica se il compratore perde completamente la proprietà del bene. In questo caso, il venditore è tenuto a risarcire il danno, rimborsando il prezzo pagato, le spese sostenute per la vendita e le eventuali spese di manutenzione. Il venditore inoltre dovrà riconoscere al compratore il valore dei frutti che deve restituire al terzo e le spese legali sostenute. La finalità consiste nel ripristinare la situazione economica del compratore anteriore della vendita.

Evizione parziale (art. 1484 c.c.): si verifica quando il compratore perde solo una parte del bene. L’acquirente ha la facoltà di chiedere la risoluzione del contratto, ma deve dimostrare che non avrebbe mai acquistato il bene senza quella parte specifica. In alternativa, ha diritto a una riduzione del prezzo, fermo il al risarcimento dei danni come per l’evizione totala.

Evizione limitativa (art. 1489 c.c.): in questo caso il diritto di proprietà del compratore non viene perso, ma limitato da oneri o diritti reali (come una servitù) che non erano apparenti o dichiarati nel contratto. Il compratore può richiedere che il contratto venga risolto o che il prezzo venga ridotto, oltre all’eventuale risarcimento del danno.

Casi particolari di evizione

Evizione evitata (art. 1486 c.c.): il compratore riesce a evitare l’evizione pagando una somma di denaro al terzo. In questo caso, il venditore può liberarsi dalla garanzia rimborsando al compratore la somma pagata, gli interessi e le spese sostenute.

Evizione invertita: si ha quando il compratore, venuto a conoscenza del diritto di un terzo, acquista direttamente la proprietà da quest’ultimo. In questo caso si applica la stessa disciplina dell’evizione evitata, permettendo al venditore di rimborsare le spese sostenute per liberarsi dalla garanzia.

Cassazione 2025 sulla garanzia per evizione

Recentemente, la Corte di Cassazione ha chiarito alcuni aspetti fondamentali della garanzia per evizione.

Cassazione n. 20316/2025: la garanzia opera a prescindere dalla colpa del venditore o dalla buona fede del compratore. Anche se l’acquirente era a conoscenza della possibile causa di evizione, se questa si verifica, la garanzia è comunque dovuta.

Cassazione n. 18498/2025: nell’ipotesi di limitazione del godimento (come nel caso di una servitù non dichiarata) si applica l’art. 1489 c.c., che consente anche il solo risarcimento del danno.

Cassazione n. 2330/2025: l’evizione si verifica quando l’acquisto del diritto è impedito, senza che sia necessario che il compratore perda anche il possesso effettivo del bene. Il trasferimento del diritto di proprietà è l’essenza del contratto di vendita, e la sua inefficacia è ciò che fa scattare la garanzia.

 

Leggi anche gli altri articoli di diritto civile

Responsabilità della Pubblica amministrazione

Responsabilità della Pubblica Amministrazione Responsabilità della pubblica amministrazione: principi, tipologie, conseguenze giuridiche e riparto di giurisdizionale

Responsabilità della pubblica amministrazione

La responsabilità della pubblica amministrazione è un concetto giuridico fondamentale per garantire legalità, imparzialità ed efficienza dell’azione amministrativa. Essa rappresenta l’obbligo dell’amministrazione di rispondere delle proprie condotte illecite o dannose sotto il profilo civile, penale, amministrativo-contabile e disciplinare.

Il principio di responsabilità della pubblica amministrazione

Alla base dell’ordinamento democratico e dello Stato di diritto vi è il principio secondo cui anche la Pubblica Amministrazione (PA) è soggetta alla legge e deve rispondere delle conseguenze derivanti dalla propria attività.

Tale principio trova fondamento:

  • nell’art. 28 della Costituzione italiana, secondo cui i funzionari e i dipendenti pubblici sono direttamente responsabili, civilmente, penalmente e amministrativamente, degli atti compiuti in violazione dei diritti;
  • nell’art. 2043 del codice civile, che stabilisce il generale principio di responsabilità aquiliana (extracontrattuale);
  • nel principio di buona amministrazione sancito dall’art. 97 Costituzione;
  • nella giurisprudenza della Corte di Cassazione e della Corte dei Conti.

La responsabilità della PA può derivare sia da atti illegittimi che da omissioni, e può essere azionata dai cittadini, dalle imprese e da altri enti che abbiano subito un danno ingiusto.

Responsabilità civile della pubblica amministrazione

La responsabilità civile può essere di due tipi:

1. Responsabilità extracontrattuale (ex art. 2043 c.c.)

È il caso più frequente: si verifica quando l’attività illegittima della PA provoca un danno ingiusto a un soggetto, lesivo di un interesse tutelato dall’ordinamento. Per configurarsi, devono sussistere tre presupposti:

  • condotta illecita della PA o del suo agente;
  • danno ingiusto subito dal privato;
  • nesso di causalità tra la condotta e il danno.

Un esempio classico è la responsabilità da ritardo nell’emissione di provvedimenti amministrativi o da mancata esecuzione di sentenze.

2. Responsabilità contrattuale (es. in caso di appalti o convenzioni)

Meno frequente, ma può insorgere quando la PA stipula contratti con soggetti privati e non adempie correttamente agli obblighi assunti, incorrendo così nella responsabilità da inadempimento.

Responsabilità penale della pubblica amministrazione

I funzionari pubblici, nell’esercizio delle loro funzioni, possono incorrere in responsabilità penale nei casi previsti dal codice penale e da leggi speciali. I principali reati contro la Pubblica Amministrazione sono disciplinati dal Titolo II del Libro II del codice penale.

Tra i reati più rilevanti si segnalano:

  • abuso d’ufficio (art. 323 c.p.);
  • corruzione per l’esercizio della funzione (art. 318 c.p.) e per atto contrario ai doveri d’ufficio (art. 319 c.p.);
  • peculato (art. 314 c.p.);
  • concussione (art. 317 c.p.);
  • omissione o rifiuto di atti d’ufficio (art. 328 c.p.).

È importante sottolineare che, in ambito penale, la responsabilità non è mai collettiva, ma personale: ricade sul singolo funzionario che ha tenuto la condotta illecita, anche se in rappresentanza della PA.

Responsabilità amministrativo-contabile

È la forma di responsabilità peculiare dei dipendenti e funzionari pubblici quando recano un danno erariale al patrimonio pubblico con dolo o colpa grave.

Rientrano in questa categoria:

  • l’indebito pagamento di somme;
  • l’acquisto di beni o servizi a prezzi maggiorati;
  • l’omessa riscossione di crediti pubblici;
  • la mancata vigilanza che comporta un danno alle finanze pubbliche.

Questa responsabilità è personale e patrimoniale, è sottoposta alla giurisdizione della Corte dei Conti, e può comportare l’obbligo di risarcimento del danno all’erario.

Responsabilità disciplinare

Oltre alle responsabilità civile, penale e contabile, i dipendenti pubblici sono soggetti anche a responsabilità disciplinare per violazione dei doveri d’ufficio, secondo quanto previsto dai codici di comportamento e dai contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL) del pubblico impiego.

Le sanzioni disciplinari possono variare:

  • dal richiamo scritto alla sospensione,
  • fino al licenziamento per giusta causa.

Il principio dell’autoresponsabilità

La giurisprudenza ha sviluppato il principio secondo cui la PA risponde in giudizio come qualsiasi altro soggetto giuridico, senza privilegi o immunità particolari, in ossequio al principio di uguaglianza (art. 3 Costituzione.).

Competenza dei giudici nella azioni di responsabilità

Semplificando all’estremo, le azioni risarcitorie nei confronti della PA vengono proposte:

  • dinanzi al giudice ordinario, quando il privato stato leso in suo diritto soggettivo. Un esempio tipico di lesione di diritto soggettivo si verifica quando un soggetto viene leso nell’affidamento riposto nell’attendibilità di una attestazione della PA sull’edificabilità di un’area, che poi si rivela erronea;
  • dinanzi al giudice amministrativo (TAR), quando il danno deriva dalla lesione di interessi legittimi nelle materie affidate a questa autorità giudiziaria in via esclusiva. La nota sentenza della Cassazione n. 500/1999 ha chiarito però che affinché vi sia tutela risarcitoria la lesione dell’interesse legittimo non è sufficiente, è necessaria la lesione del bene della vita collegato all’interesse legittimo.

Leggi anche gli altri articoli dedicati alla pubblica amministrazione

garanzia per i vizi

Garanzia per i vizi Garanzia per i vizi della cosa venduta: definizione, normativa civilistica, effetti e termini per denuncia e azione

Garanzia per i vizi della cosa venduta: cos’è

Il codice civile italiano stabilisce una garanzia per vizi come obbligo fondamentale del venditore nel contratto di compravendita. Questa garanzia tutela il compratore nel caso in cui il bene acquistato presenti difetti che lo rendano inidoneo all’uso cui è destinato o ne diminuiscano il valore.

Garanzia per i vizi: art. 1490 c.c.

L’articolo 1490 del Codice Civile sancisce infatti che il venditore è tenuto a garantire che la cosa venduta sia immune da vizi. Questi vizi possono essere di due tipi:

  • quelli che impediscono al bene di essere utilizzabile per lo scopo previsto;
  • quelli che, pur non compromettendone l’uso, ne riducono in maniera apprezzabile il valore.

La legge presume che un bene sia idoneo all’uso normale per cui è stato progettato. La presenza di difetti, anche non evidenti, rende il venditore inadempiente. La garanzia si basa sull’idea che il compratore ha diritto a ricevere un bene che rispetti le sue aspettative economiche e funzionali.

Garanzia e malafede del venditore

In alcune circostanze la garanzia può essere limitata o esclusa, con particolari eccezioni. L’articolo 1490, al comma 2, sancisce che un eventuale accordo finalizzato a escludere o a limitare la garanzia non ha effetto qualora il venditore abbia agito in malafede, cioè abbia intenzionalmente nascosto i vizi al compratore. La malafede, in questo contesto, richiede la prova che il venditore fosse a conoscenza dei difetti e li abbia taciuti. La semplice negligenza o l’ignoranza dovuta a disattenzione non sono sufficienti per annullare il patto di esclusione.

Casi di esclusione della garanzia

L’articolo 1491 del Codice civile specifica invece che la garanzia non è dovuta se, nel momento in cui le parti hanno stipulato il contratto, il compratore era già a conoscenza dei vizi o se, in ogni caso, erano facilmente riconoscibili con la normale diligenza, a meno che il venditore abbia specificamente dichiarato che il bene era esente da vizi.

Garanzia per i vizi: effetti

Se la garanzia è dovuta, l’articolo 1492 offre al compratore due opzioni principali.

  • Risoluzione del contratto (azione redibitoria): il compratore può richiedere cioè l’annullamento della vendita. In questo caso, come stabilito dall’articolo 1493, il venditore è tenuto a restituire il prezzo e a rimborsare tutte le spese legittimamente sostenute per l’acquisto (es. spese notarili, di registrazione). Il compratore, a sua volta, deve restituire il bene, a meno che non sia perito a causa dei vizi stessi. Se il bene è perito per caso fortuito o per colpa del compratore, o se è stato da lui alienato o trasformato, la risoluzione non è più possibile. In questi casi il compratore può chiedere solo la riduzione del prezzo.
  • Riduzione del prezzo (azione estimatoria o quanti minoris): il compratore può chiedere una riduzione del prezzo pagato, in modo da adeguarlo al valore reale del bene viziato.

La scelta tra risoluzione e riduzione è irrevocabile una volta che viene fatta la domanda giudiziale.

Risarcimento del danno

L’articolo 1494 prevede inoltre che il venditore è tenuto in ogni casoal risarcimento del danno, a meno che non riesca a dimostrare di aver ignorato i vizi senza sua colpa. Il venditore deve inoltre risarcire i danni che i vizi hanno causato al compratore o a terzi (es. lesioni personali o danni a beni).

Termini per  la denuncia dei vizi e per l’azione 

L’articolo 1495 sancisce precisi oneri procedurali per il compratore. Questi deve denunciare i vizi al venditore entro un termine di otto giorni dalla loro scoperta, a meno che non sia previsto un termine diverso per contratto o per legge. La mancata denuncia entro questo termine comporta la decadenza del diritto alla garanzia. Questo onere non è necessario se il venditore ha riconosciuto l’esistenza del vizio o lo ha intenzionalmente nascosto. L’azione legale per far valere la garanzia invece si prescrive in un anno dalla consegna del bene. Un’eccezione a questo termine di prescrizione si ha quando il compratore viene citato in giudizio per l’esecuzione del contratto: in tal caso, può eccepire la garanzia, a condizione che i vizi siano stati denunciati entro otto giorni dalla scoperta e prima dello scadere dell’anno.

Leggi anche gli altri articoli dedicati al contratto di compravendita

negozio di accertamento

Negozio di accertamento: cos’è, requisiti, normativa Cos’è il negozio di accertamento, quando è ammesso, quali requisiti deve avere e come si distingue dagli altri negozi, esempi e riferimenti normativi

Cos’è il negozio di accertamento

Il negozio di accertamento è una figura atipica del diritto civile, non espressamente disciplinata nel Codice Civile, attraverso cui le parti accertano l’esistenza o l’insussistenza di un rapporto giuridico preesistente, senza creare, modificare o estinguere diritti, ma solo stabilizzando una situazione giuridica controversa o incerta.

Il suo obiettivo è quindi di rimuovere l’incertezza giuridica con un atto vincolante, che rende il rapporto accertato inattaccabile da parte delle stesse parti.

Natura e funzione

Il negozio di accertamento ha funzione dichiarativa, non dispositiva. Le parti si limitano a riconoscere e dichiarare una realtà giuridica preesistente, producendo effetti vincolanti sul piano dell’autonomia privata.

A differenza del contratto tipico, questo negozio non ha per oggetto prestazioni o trasferimenti patrimoniali, ma si configura come uno strumento di stabilizzazione giuridica utile a prevenire o evitare liti.

Normativa di riferimento e inquadramento giuridico

Il nostro ordinamento non prevede una disciplina codificata per questo negozio, che viene riconosciuto in via interpretativa e giurisprudenziale come legittima espressione dell’autonomia privata (art. 1322 c.c.).

In base all’art. 1322 c.c., comma 2, i privati possono concludere contratti atipici purché siano meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico, e questo negozio rientra tra questi, se risponde a una finalità di certezza e stabilità del diritto.

Esempi di negozio di accertamento

1. Negozio ricognitivo tra coniugi

Due coniugi separati sottoscrivono un documento in cui accertano che una determinata somma già versata costituisce saldo e stralcio degli obblighi patrimoniali reciproci. Non creano nuovi diritti, ma accertano quanto già esistente.

2. Accordo fra eredi

Gli eredi di un defunto si accordano per riconoscere la quota ereditaria spettante a ciascuno sulla base di testamenti e atti preesistenti, senza modificarne i contenuti.

3. Dichiarazione tra soci

Due soci si accordano per accertare l’entità delle rispettive quote sociali in base agli apporti già effettuati, senza dar luogo a trasferimenti o modifiche societarie.

Differenze rispetto ad altri negozi

Negozio di accertamento vs. contratto

Il contratto produce effetti modificativi (costituisce, estingue, trasferisce diritti), mentre il negozio di accertamento si limita a riconoscere uno stato giuridico già esistente.

Negozio di accertamento vs. transazione

Nella transazione (art. 1965 c.c.) le parti rinunciano reciprocamente a diritti incerti per evitare una lite o porvi fine. Il negozio di accertamento, invece, non comporta rinunce o concessioni, ma solo una dichiarazione condivisa di certezza.

Requisiti e limiti di ammissibilità del negozio di accertamento

Per essere valido, il negozio di accertamento deve rispettare alcuni requisiti impliciti:

  • autonomia delle parti: i soggetti devono essere titolari del rapporto giuridico da accertare;
  • certezza dell’oggetto: l’oggetto dell’accertamento deve essere determinato e determinabile;
  • corrispondenza con la realtà giuridica: le dichiarazioni non possono falsare il contenuto del rapporto;
  • meritevolezza: deve perseguire una funzione giuridica lecita e tutelabile.

Il negozio non può avere ad oggetto diritti indisponibili (es. status personale, ordine pubblico) e non può essere utilizzato per eludere norme imperative.

Giurisprudenza di rilievo

Cassazione n. 14618/2012: Il negozio di accertamento è finalizzato a eliminare l’incertezza su una situazione giuridica preesistente, rendendola definitiva e vincolante. Non ha la funzione di creare o trasferire nuovi diritti, ma presuppone l’esistenza di un rapporto giuridico precedente. L’obiettivo principale del negozio di accertamento è quindi quello di rendere certa una situazione giuridica precedentemente incerta. Questo significa che le parti concordano su come interpretare o riconoscere un rapporto già esistente, senza modificarlo o crearne uno nuovo. Un negozio di accertamento può essere considerato nullo per mancanza di causa solo in due casi: quando le parti hanno erroneamente o volutamente accertato una situazione che in realtà non esiste affatto; quando la situazione preesistente esisteva, ma era già certa e quindi non c’era alcuna incertezza da eliminare.

Cassazione n. 13014/2025: “non è mai da ritenersi idoneo un negozio di mero accertamento, il quale può eliminare incertezze sulla situazione giuridica, ma non sostituire il Corte di Cassazione – copia non ufficiale 8 di 10 titolo costitutivo, essendo necessario, invece, un contratto con forma scritta dal quale risulti la volontà attuale delle parti di determinare l’effetto traslativo, sicché è pure irrilevante che una delle parti, anche in forma scritta, faccia riferimento ad un precedente rapporto qualora questo non sia documentato (Cass. Sez. 2, 11/04/2016, n. 7055; Cass. Sez. 3, 18/06/2003, n. 9687). Ciò significa che, già in astratto, un negozio di accertamento non può rilevare come titolo traslativo contrario all’operatività della presunzione di Condominio ex art. 1117 c.c.”

Leggi anche gli altri articoli di diritto civile

vendita con patto di riscatto

Vendita con patto di riscatto Vendita con patto di riscatto: cos’è, ratio del patto, caratteristiche, termini e modalità del riscatto, effetti

Cos’è la vendita con patto di riscatto

La vendita con patto di riscatto è un tipo di contratto di compravendita, disciplinato dall’articolo 1500 e seguenti del Codice civile, che concede al venditore la possibilità di riacquistare la proprietà del bene venduto. Questo diritto potestativo di riscatto, che consente al venditore di esercitarlo unilateralmente senza il consenso del compratore, è una condizione risolutiva che fa retroagire gli effetti della vendita. In altre parole, una volta esercitato il riscatto, la vendita si considera come mai avvenuta e il bene torna nel patrimonio del venditore.

Caratteristiche e finalità del patto

Il patto di riscatto risponde all’esigenza del venditore di alienare un bene per necessità economiche urgenti, con la speranza di poterlo riavere una volta superata la difficoltà. Per legge il prezzo da restituire al compratore non può essere superiore a quello pattuito inizialmente. Un patto che preveda un prezzo superiore è nullo per l’eccedenza, a tutela del venditore che si trova in una posizione di debolezza. Questa clausola ha lo scopo specifico di evitare che il compratore possa approfittare dello stato di bisogno dell’alienante.

Termini per il riscatto

Il diritto di riscatto non può essere esercitato indefinitamente. La legge fissa dei termini perentori e non prorogabili: due anni per i beni mobili e cinque anni per i beni immobili. Se le parti stabiliscono un termine maggiore, questo viene automaticamente ridotto al limite legale.

Modalità di esercizio del riscatto

Per esercitare il riscatto, il venditore deve rispettare due condizioni fondamentali:

– entro il termine stabilito, deve comunicare al compratore la sua intenzione di riscattare il bene. Per i beni immobili, questa dichiarazione deve essere fatta in forma scritta a pena di nullità;

deve restituire al compratore il prezzo di vendita, oltre a rimborsare le spese sostenute per la vendita (come l’atto notarile e le tasse), per le riparazioni necessarie e quelle che hanno aumentato il valore del bene (fino all’importo dell’aumento). In caso di rifiuto del compratore a ricevere il pagamento, il venditore ha otto giorni per fare un’offerta reale altrimenti decade dal suo diritto.

Vendita con patto di riscatto: effetti del riscatto

Una volta che il venditore esercita il diritto di riscatto, la vendita viene annullata con effetto retroattivo. Di conseguenza:

il venditore può riavere il bene anche da eventuali acquirenti successivi. Questa opponibilità è possibile solo se il patto di riscatto è stato reso noto ai terzi con mezzi idonei per legge, come la trascrizione per i beni immobili e la data certa per i beni mobili. Se il venditore non è a conoscenza dell’alienazione a un terzo, può comunque esercitare il riscatto nei confronti del primo acquirente;

– il venditore riacquista la proprietà del bene libera da ipoteche e altri pesi costituiti dal compratore. Fanno eccezione le locazioni fatte in buona fede, che il venditore è tenuto a rispettare se hanno data certa e una durata non superiore a tre anni.

Vendita con patto di riscatto con più venditori o più compratori

Il Codice Civile disciplina anche la vendita con patto di riscatto in cui vi siano più soggetti coinvolti:

  • riscatto di parte indivisa (art. 1506 c.c);
  • vendita congiuntiva di cosa indivisa (art. 1507 c.c.);
  • vendita separata di cosa indivisa (art. 1508 c.c.);
  • riscatto contro gli eredi del compratore (art. 1509 c.c.).

Figure similari alla vendita con patto di riscatto

È importante infine, per evitare di fare confusione, distinguere il patto di riscatto da altre figure similari.

Patto di retrovendita: a differenza del patto di riscatto, che ha natura reale e risolve la vendita automaticamente, il patto di retrovendita ha natura obbligatoria. Esso implica l’obbligo, per l’acquirente, di rivendere il bene all’alienante tramite un nuovo contratto entro un tempo determinato.

“In diem addictio”: questa clausola stabilisce invece che la vendita si risolve se il venditore trova, entro un certo termine, un nuovo compratore che offre condizioni migliori.

Leggi anche: Vendita con riserva o rent to buy: quale scegliere

errore di fatto

Errore di fatto ed errore di diritto Errore di fatto ed errore di diritto: cosa sono, disciplina del codice civile, effetti sul contratto, conservazione e giurisprudenza

L’errore in diritto civile: definizione

Prima di procedere all’analisi dell’errore di fatto e l’errore di diritto è necessario premettere che in diritto civile, l’errore è un vizio del consenso che può provocare l’annullamento del contratto. In questo modo il soggetto che ha espresso la volontà “viziata” viene tutelato. Lo prevede l’articolo 1427 del Codice civile. In base a questa norma infatti il contraente che ha dato il consenso per errore, può chiedere l’annullamento del contratto.

Errore vizio ed errore ostativo

Esistono due tipi di errore: l’errore vizio e l’errore ostativo.

  • L’errore vizio incide sulla formazione della volontà. Chi stipula il contratto ha cioè una falsa rappresentazione della realtà.
  • L’errore ostativo, invece, non riguarda la volontà, che si è formata correttamente, ma si verifica nel momento della sua dichiarazione o trasmissione.

Sebbene i due tipi di errore abbiano origini diverse, la legge li tratta allo stesso modo, stabilendo che entrambi possano portare all’annullamento del contratto, sempre che siano essenziali e riconoscibili.

Riconoscibilità ed essenzialità 

A prescindere dalla sua natura, infatti, affinché l’errore possa provocare l’annullamento del contratto, deve essere essenziale e riconoscibile dall’altra parte, come stabilito dall’articolo 1428 del Codice Civile.

  • L’essenzialità si ha quando l’errore è così determinante da spingere una persona a concludere un contratto che altrimenti non avrebbe stipulato.
  • La riconoscibilità sussiste quando, in base a circostanze specifiche del contratto o alla qualità dei contraenti, una persona di normale diligenza avrebbe potuto accorgersi dell’errore.

Errore di fatto ed errore di diritto

L’errore vizio si distingue a sua volta in errore di fatto ed errore di diritto.

Errore di fatto

L’errore di fatto si ha quando la falsa rappresentazione della realtà riguarda una circostanza materiale o concreta. L’articolo 1429 del Codice Civile elenca i casi in cui un errore di fatto è considerato essenziale, ossia quando lo stesso ricade:

  • sulla natura o sull’oggetto del contratto: credere di stipulare un contratto di locazione quando invece si tratta di un usufrutto;
  • sull’identità o sulle qualità dell’oggetto del contratto: acquistare un terreno credendo che sia edificabile quando in realtà è agricolo;
  • sull’identità o sulle qualità della persona dell’altro contraente: questo è particolarmente importante nei contratti cosiddetti intuitu personae, dove la persona del contraente è fondamentale per la conclusione del contratto.

Errore di diritto

L’errore di diritto invece si ha quando la falsa rappresentazione riguarda una norma giuridica. L’errore di diritto può essere causa di annullamento del contratto solo quando è stata la ragione unica o principale del consenso. Ciò significa che la parte non avrebbe stipulato il contratto se avesse avuto una corretta conoscenza della norma.

Conservazione del contratto

Un aspetto importante della disciplina dell’errore è la possibilità di conservare il contratto rettificato, anche in presenza di un errore. L’articolo 1432 del Codice Civile stabilisce infatti che la parte in errore non possa chiedere l’annullamento del contratto se, prima che le derivi un pregiudizio, l’altra parte si offre di eseguirlo in modo conforme a ciò che la parte in errore intendeva stipulare. Questa disposizione mira a salvaguardare il contratto, in linea con il principio di conservazione del contratto, e di tutela della buona fede contrattuale.

Errore di fatto ed errore di diritto: Cassazione

La Corte di Cassazione ha affrontato il tema dell’errore come vizio del consenso in ambito contrattuale in numerosissime sentenze. Vediamone alcune.

Cassazione n. 2622/2021: per poter annullare un contratto, l’errore deve aver viziato la formazione della volontà del contraente. L’onere della prova di tale vizio spetta a chi lo deduce.

Cassazione n. 20321/2019: riguarda l’errore nella determinazione del canone di locazione per un immobile non abitativo. Per contestare il pagamento è necessario agire per l’annullamento del contratto, dimostrando che l’errore ha viziato il consenso fin dall’inizio.

Cassazione n. 27916/2017: se le parti hanno stipulato un contratto di compravendita ignorando che il terreno non fosse edificabile, si rientra nell’ errore di fatto e il contratto può essere annullato.

 

Leggi anche: Negozio giuridico: cos’è, differenze, elementi e vizi

norme imperative o cogenti

Norme imperative o cogenti Norme imperative o cogenti: cosa sono, che caratteristiche hanno, quali sono e come si distinguono dalle norme relative o derogabili

Norme giuridiche: tipologie in base all’efficacia

Le norme imperative o cogenti fanno parte del nostro ordinamento giuridico, un sistema complesso, composto da un insieme di regole che disciplinano la vita sociale. Non tutte le norme, però, hanno la stessa forza o lo stesso grado di obbligatorietà.

In base alla loro efficacia, infatti, le norme giuridiche possono essere distinte in:

  • norme assolute (o cogenti o imperative);
  • norme relative (o derogabili).

Comprendere questa distinzione è fondamentale per capire come funziona il nostro sistema legale e quali margini di manovra hanno i cittadini nel regolare i propri rapporti.

Norme imperative o cogenti o assolute o inderogabili

Le norme cogenti, dette anche imperative o assolute, sono quelle disposizioni a cui non è possibile sottrarsi. La loro forza vincolante è tale che la volontà dei privati non può in alcun modo modificarle o disapplicarle. Esse esprimono principi fondamentali e valori essenziali per l’ordinamento, la cui violazione comporterebbe un danno per la collettività o per diritti irrinunciabili.

Norme imperative o cogenti: diritto penale

Un esempio lampante è rappresentato dalle norme di diritto penale, che impongono precetti quali “non uccidere”, “non rubare”, “non truffare”. È impensabile che due individui possano accordarsi per rendere legale un omicidio o un furto; la legge vieta tali azioni in modo categorico, e la loro violazione comporta sanzioni penali.

Norma imperative o cogenti di diritto civile

Ma le norme imperative non si limitano al diritto penale. Anche nel diritto civile ne troviamo molte. Si pensi alle norme che regolano la validità di un contratto. L’articolo 1418 c.c., tanto per fare un esempio, prevede la nullità del contratto quando questo viola una norma inderogabile.

Un altro esempio molto chiaro è rappresentato dalla norma che vieta l’applicazione di tassi usurari nei prestiti. Anche se le parti fossero d’accordo, un interesse superiore al limite legale renderebbe la clausola nulla. Questo perché la norma contro l’usura è imperativa e tutela un interesse pubblico.

Riassumendo, le norme imperative contengono un comando che si deve rispettare obbligatoriamente, senza che i privati vi possano derogare. In caso di mancatosi può incorrere in una sanzione penale o nella nullità dell’atto compiuto.

Norme relative o derogabili 

Le norme relative o derogabili si suddividono in due sotto categorie: le norme dispositive e le norme suppletive.

Norme dispositive

Le norme dispositive disciplinano una certa fattispecie, ma permettono alle parti di accordarsi per l’applicazione di una disciplina diversa. Un esempio classico è la norma del Codice Civile che prevede il pagamento degli interessi in un contratto di mutuo. Questa norma è dispositiva perché le parti possono stabilire di comune accordo che il mutuo sia gratuito e che, di conseguenza, non siano dovuti interessi. La norma è presente nell’ordinamento, ma la sua applicazione può essere “disattivata” dalla volontà concorde delle parti.

Norme suppletive

Le norme suppletive invece, sono quelle che si applicano solo qualora le parti non abbiamo disposto nulla in relazione a una certa circostanza. In altre parole, mentre le norme dispositive devono essere espressamente derogate dalle parti, le norme suppletive intervengono solo per “supplire” (cioè “sostituire” o “integrare”) una lacuna lasciata dall’accordo tra i privati.

Un esempio chiarificatore è quello relativo al luogo di esecuzione di una prestazione. Se le parti non hanno specificato nel contratto dove deve essere eseguita la prestazione, o se il luogo non può desumersi dalla natura della prestazione o dagli usi, allora si applicano le norme stabilite dalla legge. Il codice, quindi, dà prevalenza alla volontà delle parti; solo in sua assenza interviene la norma suppletiva per evitare che la situazione rimanga priva di regolamentazione.

 

Leggi gli ultimi articoli pubblicati