innovazioni in condominio

Innovazioni in condominio Cosa sono le innovazioni condominiali, quali sono le maggioranze necessarie per deliberarle e quali diritti ha il condomino dissenziente

Cosa sono le innovazioni in condominio

Le innovazioni in condominio sono quegli interventi che migliorano o rendono più comode da utilizzare le cose comuni.

Trattandosi di interventi che vanno oltre la semplice manutenzione del bene, mutandone, invece, in qualche modo la natura o la destinazione sostanziale, le innovazioni sono soggette ad una particolare disciplina codicistica e possono essere deliberate solo con maggioranze qualificate, individuate dall’art. 1120 del codice civile.

Quale maggioranza per le innovazioni?

Nel dettaglio, per l’approvazione di un intervento innovativo sulle parti comuni è necessario il voto della maggioranza degli intervenuti in assemblea, che rappresenti almeno i due terzi del valore dell’edificio.

La legge n. 220 del 2012, però, ha introdotto alcune ipotesi, corrispondenti ad innovazioni oggettivamente meritevoli di apprezzamento, per le quali è sufficiente, per l’approvazione assembleare, la consueta maggioranza di cui all’art. 1136 c.c. secondo comma (cioè la maggioranza degli intervenuti che rappresenti la metà del valore dell’edificio).

Le ipotesi

Tali ipotesi sono le seguenti:

  • interventi che migliorino la sicurezza e la salubrità dell’edificio o dei suoi impianti;
  • interventi tesi all’eliminazione delle barriere architettoniche;
  • innovazioni mirate al miglioramento dell’efficienza energetica dell’edificio;
  • realizzazione di posti auto al servizio delle unità immobiliari;
  • realizzazione di impianti di produzione di energia con fonti rinnovabili;
  • realizzazione di impianti centralizzati per la ricezione radiotelevisiva, anche via satellite o cavo.

Richiesta di innovazioni in condominio

La richiesta di realizzazione di un intervento che costituisca innovazione condominiale può provenire anche da un singolo condomino.

A fronte di tale richiesta, l’amministratore è tenuto a convocare apposita assemblea entro trenta giorni.

Il proponente deve indicare il contenuto specifico della propria istanza, descrivendo anche le possibili modalità di esecuzione dell’intervento. Se l’amministratore non ritiene sufficientemente precisa la richiesta, deve chiedere le opportune integrazioni al condomino.

Quali sono le innovazioni vietate ex art. 1120 c.c.

Un aspetto importante della disciplina relativa alle innovazioni condominiali è quello individuato dall’ultimo comma dell’art. 1120 c.c., che vieta tutti quegli interventi suscettibili di mettere in pericolo la stabilità o la sicurezza del fabbricato o che ne ledano il decoro architettonico (peggiorandone, cioè, il suo aspetto estetico e il suo carattere di pregio).

Altrettanto vietate, in base alla norma appena citata,  sono le innovazioni che renderebbero inservibili alcune parti comuni anche per un solo condomino.

Quali sono le innovazioni voluttuarie

La disciplina codicistica delle innovazioni condominiali è completata dalle disposizioni dell’art. 1121 c.c., secondo il quale ciascun condomino ha il diritto di essere esonerato dalla relativa spesa, quando l’innovazione comporti una spesa molto gravosa o sia da considerare innovazione voluttuaria rispetto alle condizioni dell’edificio.

Resta fermo il diritto dell’esonerato e dei suoi eredi, in qualunque tempo, di decidere di partecipare ai vantaggi offerti dall’opera, versando in un momento successivo gli importi corrispondenti alle spese di esecuzione e manutenzione.

L’esonero di cui sopra, però, è previsto solo se l’innovazione consista in opere o impianti che possono essere utilizzati separatamente dai vari condomini. Diversamente, in caso di opera non suscettibile di utilizzo separato, la sua realizzazione non è consentita, a meno che la maggioranza dei condomini che la desiderano non intendano sopportarne integralmente la spesa.

In chiusura, va segnalato che molti degli aspetti sopra descritti coinvolgono la discrezionalità dell’interprete (e cioè dei condomini, dell’amministratore e dello stesso giudice, qualora dalla realizzazione dell’innovazione derivi una controversia legale). Starà a questi ultimi, cioè, di volta in volta, cercare di capire, innanzitutto, se l’intervento rappresenti un’innovazione (secondo quanto si è detto in apertura di articolo) o una mera modifica; se esso sia suscettibile di utilizzo separato (si pensi a un impianto centralizzato), o meno (ad esempio, un c.d. cappotto termico).

Ancora, sarà il condomino a dover dimostrare in giudizio se l’innovazione comporti una spesa che possa considerarsi voluttuaria (prevedendo, ad esempio, l’installazione di finiture o l’utilizzo di materiali di particolare pregio); e, infine, se l’innovazione leda i suoi diritti di singolo condomino, rendendogli inservibile una parte comune (si pensi all’installazione di un manufatto che oscuri una finestra della sua unità immobiliare).

Assegnazione posti auto cortile condominiale L'assegnazione dei posti auto nel cortile condominiale: per una gestione corretta occorre evitare l’adozione di criteri discriminatori

Assegnazione posti auto e spazi comuni

L’assegnazione dei posti auto nel cortile condominiale rappresenta una questione centrale nella gestione degli spazi comuni. Spesso, questo tema genera contenziosi. Lo dimostra una recente vicenda giudiziaria che vede protagonista un condomino, proprietario di un box auto e un Condominio. Nel caso di specie il Tribunale di Roma ha sancito lillegittimità dell’assegnazione esclusiva e a tempo indeterminato di posti auto all’interno di un cortile condominiale. Un’assegnazione di questo tipo lede il diritto all’uso e al godimento paritario della cosa comune “uso e godimento che va apprezzato sulla scorta di un’astratta valutazione del rapporto di equilibrio che deve essere mantenuto fra tutte le possibili concorrenti fruizioni del bene stesso da parte dei partecipanti al condominio.” Lo ha stabilito il Tribunale di Roma, nella sentenza n. 13631/2024

Assegnazione posti auto cortile condominiale discriminatoria

Nel caso di specie il condominio convenuto si trova in una strada privata aperta al transito pubblico, dove una fascia di terreno di 5,70 metri, gravata da servitù di passaggio, viene utilizzata per il parcheggio. Su questa area però vengono installati dei paletti dissuasori in ferro con lucchetto, che riservano l’accesso ai soli condomini dotati di chiavi.

La gestione di questi posti auto era stata regolamentata da una delibera del 30 aprile 1996, che assegnava gli spazi a 17 condomini con alcune restrizioni, tra cui l’obbligo di parcheggiare una sola vettura a famiglia. Nel corso degli anni, questa decisione ha subito diverse modifiche. La delibera del 23 settembre 2021 ha infatti revocato la precedente disposizione e ha affermato che i posti auto spettassero   esclusivamente ai proprietari di appartamenti. La delibera del 14 febbraio 2022 invece ha reintegrato la delibera del 1996, ristabilendo l’assegnazione dei posti auto ai 17 condomini originali.

L’attore ha contestato la validità della delibera del 14 febbraio 2022. Essa realizza una discriminazione tra condomini perché l’assegnazione esclusiva dei posti auto a un gruppo ristretto di condomini, a discapito degli altri, crea uno squilibrio ingiustificato nell’accesso ai beni comuni. L’assemblea inoltre doveva considerarsi illegittima. L’area interessata non apparteneva al condominio, ma alla società costruttrice, che ne aveva riservato la proprietà nel regolamento condominiale. Infine, anche in base a quanto  sancito dalla Cassazione, deve essere riconosciuto a ogni condomino il diritto a utilizzare le aree comuni in modo equo, senza che un uso esclusivo le renda inservibili per gli altri.

Turnazioni o assegnazioni temporanee

Il Tribunale ha accolto le istanze del ricorrente, dichiarando nulle le delibere del 30 aprile 1996 e del 14 febbraio 2022.  Secondo la giurisprudenza, il godimento delle parti comuni deve essere equo e proporzionato alle quote di proprietà, senza assegnazioni esclusive a tempo indeterminato. L’assemblea poi, come rilevato dall’attore, non aveva competenza per deliberare sull’area di proprietà della società costruttrice. Il ricorrente infine, anche se non usufruiva direttamente dell’area, aveva diritto a un uso proporzionale o turnario, conformemente alla sua quota di proprietà.

Da questa sentenza emergono alcune regole fondamentali per la gestione degli spazi comuni.

  • Le decisioni che incidono sull’uso delle aree condominiali devono rispettare il principio di parità tra i condomini e non possono avvantaggiare alcuni a scapito di altri.
  • L’assemblea può deliberare solo su beni comuni, qualsiasi decisione relativa a spazi di proprietà di terzi è nulla.
  • L’assegnazione di spazi comuni deve avvenire con criteri che garantiscano il diritto di fruizione per tutti i condomini, tramite turnazione o assegnazioni temporanee, per esempio.

 

Leggi anche: Posti auto condominio

azioni a difesa della proprietà

Le azioni a difesa della proprietà Una guida completa alle azioni a difesa della proprietà: dalle azioni petitorie a quelle possessorie e di nunciazione

Azioni a difesa della proprietà: tipologie ed esercizio

Le azioni a difesa della proprietà mirano a tutelare uno dei diritti reali fondamentali nel sistema giuridico italiano, protetto sia dal Codice Civile che dalla Costituzione. Questo diritto conferisce al titolare il potere di godere e disporre di un bene in modo pieno ed esclusivo. Tuttavia, possono sorgere situazioni in cui tale diritto viene leso o minacciato. In questi casi, il nostro ordinamento prevede una serie di azioni legali a difesa della proprietà.

Questa guida approfondisce le diverse tipologie di azioni disponibili, analizzandone le caratteristiche, le condizioni di applicabilità e le modalità di esercizio.

La proprietà nel diritto italiano

Secondo l’articolo 832 del Codice Civile, “il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”. Questo diritto è quindi caratterizzato da:

  • Pienezza: il proprietario può utilizzare il bene in tutti i modi consentiti dalla legge.
  • Esclusività: il proprietario può escludere chiunque altro dall’uso del bene.

La Costituzione Italiana, all’articolo 42, riconosce e garantisce la proprietà privata, stabilendo che la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”.

Caratteristiche del diritto di proprietà

Le principali caratteristiche del diritto di proprietà sono:

  • Assolutezza: è opponibile erga omnes, ovvero nei confronti di chiunque.
  • Immediatezza: il proprietario esercita direttamente il suo diritto sul bene, senza l’intermediazione di altri soggetti.
  • Tipicità: è un diritto previsto e disciplinato dalla legge.
  • Patrimonialità: ha un valore economico e può essere oggetto di transazioni commerciali.

Azioni a difesa della proprietà: le azioni petitorie

Le azioni a difesa della proprietà contemplate dal codice civile, cosiddette azioni “petitorie” sono quattro: l’azione di rivendicazione, l’azione negatoria, l’azione di regolamento di confini, l’azione di apposizione di termini.

Azione di rivendicazione

Tra le azioni a difesa della proprietà, l’azione di rivendicazione, disciplinata dall’articolo 948 del Codice Civile, è lo strumento legale attraverso il quale il proprietario può recuperare il possesso di un bene detenuto da terzi.

Questa azione mira ad accertare la titolarità del diritto di proprietà e a ottenere la restituzione del bene. Ex articolo 948 c.c.: “Il proprietario può rivendicare la cosa da chiunque la possiede o detiene e può perseguire l’esercizio dell’azione anche se costui, dopo la domanda, ha cessato, per fatto proprio, di possedere o detenere la cosa…”. 

Condizioni di applicabilità

Per esercitare l’azione di rivendicazione, è necessario:

  • Dimostrare il diritto di proprietà: l’attore deve fornire la prova della sua titolarità sul bene.
  • Identificare il bene: deve essere chiaro quale sia il bene oggetto della controversia.
  • Presenza di un terzo possessore o detentore: il bene deve essere in possesso o nella detenzione di un altro soggetto.

Onere della prova e Probatio diabolica

Una delle sfide principali nell’azione di rivendicazione è l’onere probatorio, noto come probatio diabolica. L’attore deve dimostrare:

  • Un valido titolo di acquisto: ad esempio, un contratto di compravendita.
  • La legittimità dei passaggi di proprietà precedenti: potrebbe essere necessario risalire fino all’acquisto originario.
  • L’assenza di usucapione da parte del convenuto: deve essere esclusa la possibilità che il convenuto abbia acquisito la proprietà per usucapione.

Giurisprudenza rilevante

La Corte di Cassazione ha affermato che l’onere probatorio nell’azione di rivendicazione si attenua se il convenuto oppone un titolo d’acquisto come l’usucapione. In tal caso, l’attore può limitarsi a dimostrare il proprio titolo e l’appartenenza del bene ai suoi danti causa in un periodo antecedente all’inizio del possesso del convenuto (Cass. n. 25865/2021).

Azione Negatoria

L’azione negatoria, regolata dall’articolo 949 del Codice Civile, è volta a far dichiarare l’inesistenza di diritti reali affermati da terzi sul bene di proprietà dell’attore. Serve a proteggere il proprietario da pretese illegittime che possano limitare il suo diritto. Ex articolo 949 c.c.: “Il proprietario può agire per far dichiarare l’inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio…”. 

Condizioni di applicabilità

  • Affermazione di diritti da parte di terzi: un altro soggetto sostiene di avere un diritto reale sul bene.
  • Pregiudizio o timore di pregiudizio: il proprietario teme che tali affermazioni possano ledere il suo diritto.
  • Prova della proprietà: l’attore deve dimostrare il suo diritto di proprietà, anche mediante presunzioni.

Onere della prova

A differenza dell’azione di rivendicazione, nell’azione negatoria l’onere della prova è meno gravoso. L’attore deve:

  • Dimostrare il proprio titolo di proprietà: può avvalersi di qualsiasi mezzo di prova, inclusa la presunzione di possesso.
  • Non è tenuto a una probatio diabolica: non è necessario risalire ai titoli di acquisto precedenti.

Il convenuto, invece, ha l’onere di provare l’esistenza del diritto affermato.

Giurisprudenza rilevante

La Cassazione ha chiarito che nell’azione negatoria il proprietario deve dimostrare il suo diritto, ma non in modo rigoroso come nell’azione di rivendicazione. Spetta al convenuto provare l’esistenza del diritto che limita la proprietà altrui (Cass. n. 1905/2023).

Azione di regolamento di confini

L’azione di regolamento di confini, prevista dall’articolo 950 del Codice Civile, è utilizzata quando esiste incertezza sulla linea di confine tra due fondi contigui. L’azione mira a stabilire giudizialmente il confine esatto. Ex articolo 950 c.c.: “Quando il confine tra due fondi è incerto, ciascuno dei proprietari può chiedere che sia stabilito giudizialmente…”

Condizioni di applicabilità

  • Incertezza sul confine: non è chiaro dove si trovi esattamente la linea di separazione tra i fondi.
  • Contiguità dei fondi: i terreni devono essere confinanti.
  • Assenza di accordo tra le parti: i proprietari non riescono a definire il confine in via amichevole.

La prova

  • Titoli di proprietà: si esaminano i documenti di acquisto dei fondi.
  • Mappe catastali: utilizzate in mancanza di altri elementi probatori.
  • Perizie tecniche: un consulente tecnico può effettuare rilievi sul terreno.

Giurisprudenza rilevante

La Corte di Cassazione ha stabilito che l’azione di regolamento di confini non richiede la probatio diabolica. È sufficiente dimostrare la proprietà dei rispettivi fondi, e ogni mezzo di prova è ammesso, inclusi testimonianze e presunzioni (Cass. n. 34825/2021).

Azione di apposizione di termini

L’azione di apposizione di termini, disciplinata dall’articolo 951 del Codice Civile, ha lo scopo di rendere visibile il confine tra due proprietà mediante l’installazione di segni materiali, come paletti, muretti o recinzioni. Ex articolo 951 c.c.: “Se i termini fra fondi contigui mancano o sono diventati irriconoscibili, ciascuno dei proprietari ha diritto di chiedere che essi siano apposti o ristabiliti a spese comuni.”

Condizioni di applicabilità

  • Confine certo ma non visibile: la linea di confine è nota, ma i segni materiali mancano o sono deteriorati.
  • Accordo sulle spese: le spese per l’apposizione dei termini sono a carico di entrambi i proprietari.

Differenze con l’azione di regolamento di confini

  • Oggetto dell’azione: l’azione di apposizione riguarda la visibilità del confine, non la sua determinazione.
  • Presupposto: il confine è certo, a differenza dell’azione di regolamento dove è incerto.

Giurisprudenza rilevante

La Cassazione ha affermato che se durante l’azione di apposizione di termini emerge una contestazione sul confine, l’azione si trasforma implicitamente in un’azione di regolamento di confini (Cass. n. 9512/2014).

Le altre azioni a difesa della proprietà

Tra le altre azioni a difesa della proprietà troviamo anche le azioni possessorie e le azioni di nunciazione:

Azioni possessorie

  • Azione di reintegrazione (spoglio): per chi è stato privato del possesso in modo violento o clandestino (art. 1168 c.c.).
  • Azione di manutenzione: per chi subisce molestie nel possesso o è stato spogliato con modalità non violente (art. 1170 c.c.).

Azioni di nunciazione

  • Denuncia di nuova opera: quando un vicino esegue lavori che possono danneggiare la proprietà altrui (art. 1171 c.c.).
  • Denuncia di danno temuto: quando si teme che una situazione possa causare danni imminenti (art. 1172 c.c.).

Queste azioni tutelano il possesso, che è distinto dalla proprietà, ma possono essere utilizzate anche dal proprietario possessore.

Vedi le altre guide di diritto civile

società in accomandita semplice

Società in accomandita semplice Guida sulla società in accomandita semplice (s.a.s.): disciplina e vantaggi. La differenza tra soci accomandatari e soci accomandanti

Come funziona la società in accomandita semplice

La società in accomandita semplice è una tipologia di società di persone caratterizzata da una spiccata flessibilità organizzativa, unita ad alcuni aspetti tipici delle società di capitali, in primis la possibilità di parteciparvi con una limitazione della responsabilità patrimoniale.

Soci accomandatari e soci accomandanti

La principale caratteristica della s.a.s., infatti, è quella di prevedere due distinte categorie di soci (cfr. art. 2313 del codice civile):

  • i soci accomandatari, cui è riservata l’amministrazione della società, che rispondono illimitatamente e solidalmente delle obbligazioni sociali;
  • e i soci accomandanti, che non hanno alcun potere di gestione e rispondono delle obbligazioni sociali nei limiti della quota conferita.

Che differenza c’è tra socio accomandante e accomandatario

I soci accomandatari, quindi, hanno il potere di amministrazione della società, sia per l’attività ordinaria che straordinaria. La loro responsabilità illimitata nei confronti dei creditori sociali comporta che, nell’ipotesi in cui il capitale sociale non sia sufficiente per soddisfarli, questi ultimi hanno diritto di rivalersi sul patrimonio personale degli accomandatari (beneficium excussionis: i creditori devono sempre escutere prima il patrimonio sociale, e aggredire quello dei soci solo in caso di incapienza).

Inoltre, solo i soci accomandatari sono soggetti a fallimento, come disposto dall’art. 222 della Legge Fallimentare (R.D. n. 267/1942).

I soci accomandanti, invece, rispondono nei limiti della quota conferita. Va evidenziato, però, che se questi pongono in essere atti di amministrazione non autorizzati o ratificati dai soci accomandatari, contravvenendo al c.d. divieto di immistione, perdono il beneficio della limitazione di responsabilità e dunque rispondono delle obbligazioni sociali (tutte, comprese quelle pregresse) anche con il proprio patrimonio personale (senza, peraltro, acquisire con questo lo status di accomandatari e quindi permanendo esclusi dalla gestione della società).

Inoltre, gli accomandanti che violano il divieto di immistione possono essere esclusi dalla società e sono soggetti al fallimento al pari dei soci accomandatari.

Ai soci accomandatari spetta, di regola, anche il potere di rappresentanza, che può essere conferito anche al socio accomandante, ma solo per singoli affari e con procura speciale.

Che vantaggi ha una SAS

Tale configurazione dei ruoli societari vale a rendere la società in accomandita semplice un modello organizzativo flessibile, che può risultare attraente per chi intende reperire capitale senza compromettere il proprio potere gestionale (dal punto di vista dell’accomandatario) e, dall’altro lato, per chi intende cercare un guadagno, senza investire più della propria quota (dal punto di vista dell’accomandante).

Disciplina dell’art. 2313 codice civile

La società in accomandita semplice viene costituita con atto pubblico o scrittura privata autenticata; solo con la registrazione di tale atto nel Registro delle imprese avviene la formale costituzione della s.a.s. In mancanza di iscrizione, si crea una s.a.s. irregolare, la cui disciplina è analoga a quella della società in nome collettivo irregolare, pur permanendo la distinzione tra le due categorie di soci.

Nell’atto costitutivo deve essere espressamente indicato il tipo di società creata, i nominativi dei soci e la categoria a cui appartengono (accomandatari o accomandanti). Il numero minimo di soci è due, uno per categoria.

La disciplina della società in accomandita semplice non prevede un limite minimo di capitale. I conferimenti possono consistere in denaro, beni o prestazioni in favore della società.

La s.a.s. può avere ad oggetto anche un’attività commerciale, a differenza della società semplice e in analogia alla società in nome collettivo, la cui disciplina si applica alla s.a.s. per quanto non diversamente disposto dal codice civile.

Nella ragione sociale (il “nome” della società) deve necessariamente apparire il nome di uno dei soci accomandatari e il modello di società scelto (“s.a.s.”). Eccezionalmente, il socio accomandante può acconsentire all’inserimento del proprio nome nella ragione sociale, ma questo comporta per lui la perdita del beneficio della responsabilità limitata, analogamente a quanto più sopra esaminato.

Scioglimento della s.a.s.

La s.a.s. si estingue per i seguenti motivi:

  • volontà unanime dei soci
  • scadenza del termine
  • raggiungimento dell’oggetto
  • fallimento
  • sopravvenuta mancanza della pluralità di categorie dei soci, se non ricostituita entro sei mesi.

In tale ultimo caso, se a mancare è la categoria dei soci accomandatari, dev’essere nominato un amministratore temporaneo per compiere gli atti di ordinaria amministrazione.

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posti auto condominio

Posti auto condominio Posti auto condominio: chi ne ha diritto, come si assegnano i parcheggi, cosa fare in caso di occupazione abusiva

Parcheggio in condominio, quali sono le regole

La disciplina dell’utilizzo dei posti auto in condominio rappresenta un tema molto dibattuto, poiché nel codice civile non si rinvengono norme che regolino esplicitamente la materia.

Per tale motivo, per comprendere la disciplina dei parcheggi in condominio è necessario riferirsi alle norme di carattere generale che regolano la gestione del condominio (e in particolare quelle che riguardano l’utilizzo dei beni comuni). E ad alcuni particolari provvedimenti legislativi che hanno individuato dei parametri tecnici a cui fare riferimento.

Chi ha diritto al parcheggio condominiale?

Per prima cosa, va evidenziato che l’art. 1117 c.c. ricomprende espressamente tra le parti comuni dell’edificio le aree destinate a parcheggio.

Pertanto, i posti auto condominio ricadono nella disciplina generale prevista dall’art. 1102 c.c. Tale norma, dettata in tema di comunione (e, quindi, applicabile anche in materia condominiale) prescrive che ogni comproprietario  ha diritto di servirsi della cosa comune, a condizione di non alterarne la destinazione e di non impedire agli altri comproprietari di farne uso a loro volta.

Ecco, pertanto, emergere il primo, importante aspetto relativo alla disciplina dei parcheggi condominiali. A prescindere dalla quantità di posti auto presenti nell’edificio (che potrebbe ben essere inferiore al numero di abitazioni), ogni condomino ha diritto di servirsene, purché rispetti la destinazione propria dell’area di sosta (e non la usi, quindi, per scopi diversi: ad esempio, come zona di deposito) e non ne ostacoli l’utilizzo da parte degli altri condomini.

È evidente che, in tutti quei casi in cui il numero di posti auto non risulti sufficiente per soddisfare le necessità di tutti i residenti, si pone il problema di regolare l’utilizzo degli stessi.

Ebbene, cominciamo col dire che il compito di individuare le modalità di utilizzo dei posti auto spetta all’amministratore, in ossequio a quanto previsto dall’art. 1130 c.c. comma primo n. 2, secondo il quale l’amministratore deve “disciplinare l’uso delle cose comuni e la fruizione dei servizi nell’interesse comune”.

Come vengono assegnati i posti auto in un condominio

Detto questo, la pratica insegna che il criterio più di frequente adottato per regolare l’utilizzo dei posti auto condominiali, quando questi siano insufficienti rispetto alle abitazioni, sia la turnazione.

Sta all’assemblea stabilire le modalità di dettaglio della turnazione, a cominciare dalla periodicità della stessa (ad es. settimanale, mensile od annuale.

A tale riguardo, è sufficiente una delibera adottata con la maggioranza prevista dall’art. 1136 comma secondo (maggioranza dei presenti che rappresenti una quota pari ad almeno metà del valore dell’edificio), dal momento che si tratta di una decisione che non viola i diritti esclusivi di alcun condomino e che non introduce alcuna innovazione, limitandosi a disciplinare l’uso di una cosa comune.

Cosa fare se un condomino parcheggia negli spazi comuni

Un breve accenno merita il caso pratico, abbastanza ricorrente nella vita quotidiana, relativo all’occupazione del posto auto condominiale da parte di chi non ne ha diritto, ad esempio da parte di un condomino che non rispetti la suddetta turnazione.

In tal caso, non è alla forza pubblica che bisogna rivolgersi, quanto all’amministratore di condominio, il quale potrà far leva non solo su eventuali sanzioni previste dal regolamento condominiale, ma anche sulla configurabilità del reato di violenza privata ex art. 610 c.p. (cfr. la recente sentenza n. 27559 del 26 giugno 2023 della Corte di Cassazione penale).

In aggiunta, il condomino può far valere le proprie ragioni chiedendo al Giudice competente il rilascio di un provvedimento di urgenza o di intervenire in via cautelare.

Posti auto condominio: legge ponte e legge Tognoli

Infine, va ricordato che la materia dei posti auto in condominio è stata oggetto anche di legislazione tecnica.

Legge ponte

A cominciare dalla c.d. “legge ponte” (legge n. legge 765 del 1967, modificativa della l. 1150/1942), in base alla quale in ogni edificio deve essere presente almeno un metro quadro di parcheggio ogni dieci metri cubi di fabbricato.

A tal riguardo, la giurisprudenza – con qualche oscillazione – ha evidenziato la natura pertinenziale di tali posti auto rispetto all’unità immobiliare, nel senso che, sebbene il proprietario possa vendere l’abitazione indipendentemente dal posto auto, all’acquirente va riconosciuto il diritto reale d’uso dell’area stessa. Rimane esclusa da questo regime, e quindi può essere venduta liberamente, l’area di parcheggio realizzata in periodo antecedente alla “legge ponte” ed ogni area realizzata in misura eccedente rispetto alla necessità dell’edificio (quindi nei fabbricati che prevedono un numero di posti auto maggiore rispetto a quello delle abitazioni).

Legge Tognoli

Un altro importante provvedimento in materia è la c.d. legge Tognoli (legge n. 122 del 1989), che incentivò la creazione di posti auto in edifici ove l’area di parcheggio non era originariamente prevista o era prevista in misura insufficiente per le necessità delle rispettive abitazioni. Anche tali aree, per orientamento prevalente della giurisprudenza, sono da considerarsi quali pertinenze delle unità immobiliari ivi esistenti.

caparra tipologie

Caparra: tipologie e disciplina Caparra confirmatoria e caparra penitenziale: che funzione hanno e qual è la disciplina. Differenze tra la caparra ed altri istituti affini

Cos’è la caparra e a cosa serve

Caparra, tipologie e disciplina: la caparra è una somma di denaro (o di altro bene fungibile) che viene consegnata al venditore per tutelarlo dall’eventuale successivo inadempimento dell’acquirente.

Il nostro ordinamento contempla due differenti tipologie di caparra, ognuna con una sua peculiare disciplina e funzione: la caparra confirmatoria (art. 1385 codice civile) e la caparra penitenziale (art. 1386 c.c.).

In questa breve guida esamineremo le caratteristiche di tali istituti e le differenze tra la caparra ed altri istituti affini, come l’acconto e la clausola penale.

Caparra confirmatoria

La caparra confirmatoria viene consegnata dall’acquirente al momento della conclusione del contratto e, come detto, tutela il venditore in ordine alla possibilità che l’acquirente non esegua la propria prestazione.

Una volta versata la caparra, quindi, si profilano due possibilità: che l’acquirente adempia o meno al proprio obbligo contrattuale.

Adempimento

Se questi paga effettivamente il prezzo del bene o servizio acquistato, il venditore è tenuto ad imputare la somma versata a titolo di caparra alla prestazione dovuta dall’acquirente (in sostanza, la caparra diviene un mero anticipo parziale del prezzo).

Se la prestazione dell’acquirente non consiste nel versamento di una somma di denaro, all’atto dell’adempimento da parte sua, il venditore è tenuto a restituirgli la caparra precedentemente versata (art. 1385 c.c., primo comma).

Inadempimento

Diversamente, in caso di mancato adempimento da parte dell’acquirente, il venditore può scegliere se recedere dal contratto o chiedere l’esecuzione o la risoluzione del contratto.

Nel primo caso, il venditore che esercita il recesso ha diritto di trattenere la caparra, ma così facendo rinuncia all’azione per il risarcimento del danno; in questo caso, in sostanza, la somma versata a titolo di caparra rappresenta la quantificazione forfettaria del danno da inadempimento, che le parti concordano alla conclusione del contratto.

Se invece il venditore agisce per l’esecuzione o per la risoluzione del contratto, allora dovrà domandare il risarcimento del danno secondo le regole generali, dimostrando innanzitutto l’esistenza del danno e il suo nesso causale con l’inadempimento. Ovviamente, questa strada può portare a una quantificazione del danno in misura superiore a quella rappresentata dalla caparra.

Può anche verificarsi, infine, che a dimostrarsi inadempiente sia il venditore: in tal caso, l’acquirente può recedere dal contratto ed esigere una somma pari al doppio della caparra precedentemente versata (art. 1385 c.c., secondo comma).

Caparra penitenziale

La caparra penitenziale, invece, segue una disciplina che prescinde dall’eventuale inadempimento di una parte.

Infatti, essa rappresenta sostanzialmente il corrispettivo del diritto di recesso (art. 1386 c.c., primo comma), valevole per una od entrambe le parti.

Se il recesso viene esercitato da chi ha versato la caparra all’altra parte, quest’ultima ha diritto di trattenere la somma versata. Viceversa, se a recedere è la parte che ha ricevuto la somma di denaro, questa dovrà restituire il doppio di tale somma a chi aveva versato la caparra.

Differenze tra caparra e altri istituti affini

Da ultimo, è opportuno segnalare brevemente le differenze tra la caparra ed altri istituti affini.

Acconto

Ad esempio, la caparra si differenzia dall’acconto perché quest’ultimo è una mera anticipazione parziale del prezzo pattuito, mentre la caparra, come abbiamo visto, svolge una funzione legata all’eventuale inadempimento (caparra confirmatoria) o all’esercizio del diritto di recesso (caparra penitenziale).

Clausola penale

Ancora diversa è la natura della clausola penale, che ha la funzione di predeterminare l’entità del risarcimento del danno in caso di inadempimento e che trova applicazione quando si chiede comunque l’esecuzione o la risoluzione del contratto, a differenza della caparra confirmatoria, che postula il recesso della parte che intende trattenerla.

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Cambio di sesso: il matrimonio non va annullato Cambio sesso: negato l'annullamento del matrimonio per errore essenziale sull'identità del coniuge, è solo un adeguamento alla personalità

Cambio di sesso e annullamento del matrimonio

Il cambio di sesso non causa l’annullamento del matrimonio. Nel soggetto che presenta una disforia di genere questo cambiamento non muta l’identità. Esso si limita ad adeguare i caratteri esterni a quelli percepiti e sentiti come propri dalla persona. Se il marito non è a conoscenza della rettificazione di sesso da uomo a donna, questa mancata conoscenza non si può ricondurre a un errore essenziale sull’identità della persona, se l’uomo non ha mai approfondito le cause dell’incapacità a procreare della moglie. Questa la decisione del Tribunale di Livorno nella sentenza del 12 luglio scorso.

Cambio sesso da uomo a donna: marito chiede annullamento

Un uomo si rivolge al Tribunale di Livorno per chiedere l’annullamento del matrimonio. L’attore narra di aver contratto matrimonio civile con la convenuta e che da detta unione non sono nati i figli. Questo perché, in base a quanto riferito dalla moglie, la stessa avrebbe subito l’asportazione dell’utero a causa di una malattia. L’attore racconta poi che dopo la richiesta di adozione di un minore la coppia è entrata in crisi tanto che si sono separati.

Nel giugno del 2022, però, mentre il marito procedeva a un’ispezione ipotecaria e catastale degli immobili intestati alla moglie, scopriva che  la stessa in passato era un uomo. I riferiti problemi di infertilità sono quindi da ricondurre a questa circostanza.

Errore sull’identità del coniuge art. 122 c.c.

L’uomo sarebbe quindi incorso in quell’errore essenziale sull’identità della persona che ai sensi dell’articolo 122 del codice civile rende annullabile il matrimonio. Se infatti l’attore avesse saputo fin dall’inizio che la moglie in passato era stato un uomo e che le difficoltà a procreare erano riconducibili al cambio di sesso, sicuramente non si sarebbe sposato.

Costituitasi in giudizio la moglie chiede il rigetto della domanda attorea, stante l’impossibilità di ricondurre il loro caso all’errore invocato dal marito di cui all’articolo 122 del codice civile. La donna afferma infatti che l’attore era   al corrente, prima di contrarre matrimonio, del procedimento di rettificazione di sesso a cui si era sottoposta.

Errore sull’identità della persona se il marito sposa una donna che prima era uomo?

Il Tribunale, conclusa l’istruttoria ritiene che la domanda dell’attore debba essere rigettata. Nel caso di specie è emerso che l’attore in realtà non era stato informato dell’avvenuta rettificazione di sesso della moglie. Vero però che tale mancata conoscenza non è riconducibili giuridicamente all’errore previsto dall’articolo 122 del codice civile. L’uomo infatti, da parte sua, non ha mai  approfondito le vere cause dell’incapacità a procreare della convenuta. L’errore eccepito dal marito non ricade né sull’identità della persona né sulle sue qualità personali.

“Non vi è stato errore sulla identità della persona in quanto il (…) a tutti gli effetti, si è unito in matrimonio con la persona che intendeva e riteneva di sposare (….), che all’epoca già risultava donna, tanto anagraficamente quanto sotto l’aspetto dei caratteri sessuali (…) l’identità (di genere) della (moglie) si è sempre identificata con quella femminile e non con quella maschile, tanto che, la stessa (…) in modo particolarmente significativo” in una conversazione telefonica … “per più di una volta, nel rispondere alle domande incalzanti del (marito) relative al fatto se fosse o se fosse stata in passato un uomo, ha ribadito “io non sono un uomo”, “io non ero un uomo”.

Il cambio di sesso infatti non modifica l’identità sessuale della persona, ma adegua  i caratteri somatici e le risultanze anagrafiche alla identità reale dell’individuo.

Il marito quindi non è caduto in alcun errore essenziale sulle qualità personali del coniuge, per cui la richiesta di annullamento del matrimonio va rigettata.

 

Leggi anche: Cambio di sesso, tutele unione civile estese fino al matrimonio

disposizioni anticipate di trattamento

Disposizioni anticipate di trattamento (DAT) Cosa sono le DAT, come si fa il testamento biologico, chi è il fiduciario nel biotestamento e cos’è la Banca dati per le disposizioni anticipate di trattamento

Cosa si intende per disposizioni anticipate di trattamento

Le disposizioni anticipate di trattamento, o DAT, sono dichiarazioni di volontà in merito a trattamenti sanitari cui si desidera, o meno, essere sottoposti. Le DAT possono essere rilasciate volontariamente da un soggetto maggiorenne e capace di intendere e volere, in previsione dell’eventualità in cui successivamente ci si trovi in condizioni di non poter decidere consapevolmente o esprimere e comunicare le proprie volontà.

Come è evidente, si tratta di un istituto che riguarda aspetti molto delicati – al centro anche di dibattito politico – perché coinvolge profili etici come la libertà di autodeterminazione di ciascun individuo nella scelta relativa ai trattamenti terapeutici e agli accertamenti diagnostici cui sottoporsi in caso di necessità (si pensi ad esempio all’alimentazione artificiale).

Dove si registrano le DAT?

Le disposizioni anticipate di trattamento rappresentano il c.d. testamento biologico, o biotestamento, ed è opportuno che siano decise soltanto dopo che il soggetto abbia acquisito un’idonea informazione medica, ad esempio facendosi assistere nella stesura delle stesse da un proprio medico di fiducia.

Consenso informato DAT

A livello normativo, la materia del consenso informato e delle DAT è disciplinata dalla legge n. 219 del 2017, entrata in vigore dal 31 gennaio 2018.

In base a tale disciplina, le disposizioni anticipate di trattamento devono essere sottoscritte personalmente dal soggetto disponente ed essere rilasciate nelle seguenti modalità:

  • depositate in originale presso lo studio di un notaio, in forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata;
  • consegnate personalmente al personale preposto presso il proprio Comune di residenza (Ufficio di stato civile), presso le strutture sanitarie della Regione competente o presso l’Ufficio Consolare (per i cittadini residenti all’estero).

Nel caso di soggetti con particolari disabilità, le DAT possono essere rilasciate (e analogamente revocate) con l’utilizzo di tecnologie di registrazione, davanti a due testimoni, per poi essere depositate secondo quanto sopra esposto.

Il rilascio delle DAT è esente da tasse e imposte di bollo.

La Banca dati nazionale per il testamento biologico

Il notaio o il personale pubblico che raccoglie le dichiarazioni del testamento biologico è tenuto, previa raccolta del consenso dell’interessato, a trasmettere le stesse alla Banca Dati nazionale delle DAT, istituita presso il Ministero della salute e attiva 1° febbraio 2020. Alla registrazione consegue una notifica via mail all’indirizzo del disponente.

È importante evidenziare che, così come non ha un termine di scadenza di validità, il biotestamento può anche essere modificato o revocato in qualsiasi momento, con analoga dichiarazione del disponente. Allo stesso modo, il dichiarante può richiedere la cancellazione delle DAT dalla Banca dati nazionale.

L’accesso alla Banca dati è possibile con SPID o Carta Nazionale dei Servizi ed è riservato al disponente, al suo fiduciario (di cui si dirà oltre) e al medico che ha in cura il disponente – quando questi si trovi in situazioni di incapacità ad autodeterminarsi – e sia tenuto a sottoporlo a trattamenti sanitari o accertamenti diagnostici oggetto del biotestamento.

Biotestamento, chi è il fiduciario

Come accennato, una figura importante nell’ambito della disciplina delle disposizioni anticipate di trattamento è il fiduciario.

Quest’ultimo è il soggetto – necessariamente maggiorenne – che il disponente indica quale suo rappresentante nei rapporti con medici e strutture sanitarie, in merito a ciò che concerne le DAT e la loro osservanza.

In caso di nomina di un fiduciario, quest’ultimo deve sottoscrivere l’accettazione nell’atto stesso o con separato atto e produrre – così come il disponente – il proprio documento d’identità al pubblico ufficiale che riceve le dichiarazioni, oltre a sottoscrivere l’informativa per il trattamento dei dati personali.

Quando le DAT possono essere disattese

È importante evidenziare, infine, che le disposizioni contenute nel testamento biologico possono essere disattese, anche solo parzialmente, con l’accordo tra medico curante e fiduciario, quando appaiano palesemente incongrue con le condizioni del paziente o qualora siano sopravvenute terapie non prevedibili al momento della sottoscrizione delle DAT.

In caso di mancato accordo tra il medico e il fiduciario, la decisione spetta al giudice tutelare.

accesso agli atti condominiali

L’accesso agli atti condominiali è gratuito L’accesso agli atti condominiali è una facoltà dei condomini che non richiede l'esborso di somme ulteriori rispetto ai diritti di copia

Accesso agli atti del condominio

L’accesso agli atti condominiali non è subordinato al pagamento di alcuna somma. I condomini che chiedono l’accesso agli atti condominiali non devono pagare all’amministratore di condominio un compenso ulteriore rispetto a quello concordato al conferimento dell’incarico. Lo ha chiarito il Tribunale di Milano nella sentenza n. 15169/2024.

Richiesta di accesso agli atti: la vicenda

Due condomini convengono in giudizio l’amministratrice condominiale chiedendo che venga condannata alla consegna o alla messa a disposizione in copia dei documenti condominiali indicati nell’atto di citazione. Gli attori dichiarano di aver chiesto alla convenuta con due PEC inviate a distanza di un mese una dall’altra di poter prendere visione ed estrarre copia di alcuni documenti condominiali, previo pagamento dei relativi oneri e previo appuntamento. La convenuta però non ha fornito alcun riscontro a queste richieste. L’amministratrice contesta la domanda nel merito chiedendo nel rigetto. Dopo il fallito tentativo di mediazione la causa prosegue e giunge in decisione.  

Facoltà di visionare ed estrarre copia dei documenti

Il Tribunale rileva la fondatezza della richiesta dei condomini. Ogni condomino infatti ha la facoltà di chiedere e ottenere dall’amministratore condominiale l’esibizione dei documenti contabili anche al di fuori del rendiconto annuale dell’approvazione del bilancio. Il richiedente che avanza tali richieste non ha l’onere di specificare i motivi per i quali vuole prendere visione o estrarre copia dei documenti del condominio. Le richieste non devono naturalmente intralciare l’attività amministrativa e non devono essere contrarie ai principi di correttezza. I costi relativi devono   gravare sui richiedenti.

Illegittima la richiesta di una somma aggiuntiva

Nel caso di specie il Tribunale ritiene provata la duplice richiesta degli attori formulata a mezzo pec. L’amministratrice però ha subordinato detta richiesta al pagamento dell’importo è di 100,00 euro, in quanto attività soggetta a retribuzione separata, trattandosi di richieste personali dei singoli condomini.

Trattasi  però di una condizione del tutto illegittima. L’unico onere economico che può essere imposto al singolo condomino che richieda di estrarre copia di alcuni documenti condominiali è rappresentato dalla spesa necessaria per avere la copia della documentazione originale.

“Non può considerarsi legittima, pertanto, l’eventuale richiesta da parte dell’amministratore di un compenso aggiuntivo o di un rimborso forfettario, trattandosi comunque di attività connessa ed indispensabile allo svolgimento dei suoi compiti strutturali, e perciò da ritenersi compresa nel corrispettivo stabilito al momento del conferimento dell’incarico per tutta l’attività amministrativa di durata annuale.” 

Per garantire che l’amministratrice rispetti la domanda attorea il Tribunale dispone quindi il pagamento di 20,00 euro per ogni giorno di ritardo (ai sensi dell’art. 614 bis c.p.c) nell’esecuzione del provvedimento di condanna, consistente nell’obbligo di consentire ai condomini la visione e l’eventuale copia dei documenti richiesti.

 

Leggi anche: Diritto di accesso ai documenti condominiali e abuso del diritto

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case di ringhiera

Case di ringhiera: il bagno condominiale va ristrutturato Case di ringhiera: il Condominio nella qualità di custode delle cose comuni è obbligato a ristrutturare i servizi igienici comuni

Case di ringhiera: obbligo di manutenzione

Le case di ringhiera sono edifici condominiali caratterizzati dalla presenza di più appartamenti su un piano che condividono il medesimo ballatoio (balcone) e anche, come nel caso di specie, servizi igienici comuni a più unità abitative. Il  Condominio, in quanto custode dei beni e dei servizi comuni dell’immobile, ha l’obbligo di provvedere alla manutenzione ordinaria dei bagni. Se nel corso degli anni non vi provvede deve ristrutturarli, al fine di renderli idonei al loro utilizzo da parte dei condomini. Lo ha stabilito il Tribunale di Milano nella sentenza n. Trib-Milano-8442-2024.

Servizi igienici inservibili: condomina chiama in causa il Condominio

La condomina di una casa di ringhiera agisce in giudizio contro il Condominio per chiedere la sistemazione dei bagni comuni alle tre unità immobiliari del piano in cui si trova anche il suo appartamento. La donna fa presente di aver chiesto più volte al convenuto di sistemare i servizi igienici perché “in avanzato stato di degrado al punto da renderli inutilizzabili.”

L’attrice lamenta di non potere beneficiare pienamente della propria abitazione proprio a causa della inagibilità dei servizi igienici comuni.

Case di ringhiera: il Condominio custode deve ristrutturare i bagni comuni

Il Tribunale accoglie le richieste dell’attrice perché fondate. Il Condominio, nella sua qualità di custode dei beni e dei servizi comuni, ha l’obbligo di mantenerli in stato tale da non recare pregiudizio. Il Condominio pertanto ha l’obbligo di provvedere alla ristrutturazione dei servizi igienici comuni presenti nel piano in cui si trova l’unità immobiliare dell’attrice.

La CTU ha rivelato che il Condominio non ha adempiuto al proprio obbligo di custodia. I servizi igienici per cui è causa si trovano in effetti in una grave condizione di degrado tanto che l’attrice in effetti è impossibilitata ad utilizzarli e a concedere eventualmente in locazione il proprio appartamento.

Risarcimento mancato utilizzo dell’immobile

Il Tribunale condanna quindi il Condominio convenuto a risarcire l’attrice per il mancato utilizzo dell’immobile di sua proprietà per l’importo di Euro 10.436,00. Alla luce del disinteresse dimostrato fino ad oggi da parte del Condominio nei confronti delle richieste dell’attrice il Tribunale dispone altresì che, decorsi 40 giorni dalla pubblicazione della sentenza, il Condominio debba corrispondere all’attrice anche l’importo di 50,00 euro per ogni giorno di ritardo nell’adempiere all’ordine di ripristino dei servizi igienici.

 

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