Legittima l’abrogazione dell’abuso d’ufficio
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 95 del 2025 depositata il 3 luglio, già anticipata l’8 maggio scorso, ha ritenuto non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate contro l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio prevista dalla legge n. 114 del 2024. L’iniziativa giudiziaria era stata promossa da quattordici giudici, tra cui la Corte di cassazione, che avevano censurato la scelta legislativa sotto diversi profili costituzionali e internazionali.
Nessun obbligo internazionale di mantenere il reato
La Corte ha riconosciuto l’ammissibilità delle questioni prospettate in relazione all’articolo 117, primo comma, della Costituzione, il quale impone il rispetto degli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali. In particolare, si è esaminato se la Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione, nota come Convenzione di Mérida, imponesse l’obbligo di sanzionare penalmente l’abuso d’ufficio.
Dopo un’analisi dettagliata delle disposizioni convenzionali, la Consulta ha escluso che l’Italia fosse vincolata a mantenere nel proprio ordinamento una specifica fattispecie incriminatrice corrispondente all’abuso d’ufficio, evidenziando che la tipologia di condotte considerate non è prevista in modo uniforme in tutti gli Stati firmatari.
La discrezionalità del legislatore in materia penale
La sentenza sottolinea che la Corte costituzionale non può sostituire la propria valutazione di opportunità a quella del legislatore circa l’efficacia complessiva del sistema di prevenzione e contrasto degli illeciti commessi dai pubblici funzionari. Eventuali vuoti di tutela penale conseguenti all’abrogazione costituiscono una scelta politica che ricade nella responsabilità esclusiva del Parlamento.
Le censure basate sugli articoli 3 e 97 della Costituzione
I giudici rimettenti avevano anche prospettato un contrasto con l’articolo 3 della Costituzione, per asserita disparità di trattamento tra condotte meno gravi che continuano a essere punite e comportamenti più gravi ora privi di sanzione.
Inoltre, si lamentava un vuoto di tutela rispetto ai principi di buon andamento e imparzialità amministrativa sanciti dall’articolo 97. Tuttavia, la Corte ha dichiarato queste censure inammissibili, rilevando che il loro eventuale accoglimento avrebbe comportato un effetto “in malam partem”, cioè un ampliamento della punibilità, ipotesi preclusa al giudizio di legittimità costituzionale.
La conclusione della Corte costituzionale
In definitiva, la Consulta ha affermato che la scelta di abrogare il reato di abuso d’ufficio, pur producendo indubbi effetti sul piano della tutela penale, è una decisione politica non sindacabile in sede costituzionale. L’eventuale bilanciamento tra i vuoti di tutela e i benefici che il legislatore si è prefisso di conseguire appartiene al piano della responsabilità politica e non può essere oggetto di censura alla luce dei parametri costituzionali e internazionali esaminati.