dolo o colpa grave

Avvocati responsabili solo per dolo o colpa grave Approvata in Commissione Giustizia al Senato, la proposta di legge n. 745 che intende limitare la responsabilità civile degli avvocati: ora si attende la discussione in Aula

Responsabilità avvocati: la proposta di legge

Gli avvocati potrebbero presto rispondere civilmente solo in caso di dolo o colpa grave. È quanto prevede la proposta di legge n. 745, che ha ricevuto nei giorni scorsi il via libera dalla Commissione Giustizia del Senato e che ora attende la calendarizzazione in Aula, con possibile discussione prima della pausa estiva.

Il testo, presentato due anni fa dal senatore Pierantonio Zanettin (Forza Italia) e sostenuto dall’associazione Italia Stato di diritto, mira a modificare la legge professionale forense (legge n. 247/2012), introducendo un principio di limitazione della responsabilità degli avvocati che li equiparerebbe, almeno sotto questo profilo, ai magistrati.

Responsabilità ridotta come per i magistrati

Il cuore della proposta consiste nell’escludere la responsabilità civile dell’avvocato per colpa lieve e nelle ipotesi di errore interpretativo di norme, prevedendo invece la possibilità di azione risarcitoria solo nei casi di dolo o colpa grave.

Un modello ispirato alla disciplina già vigente per i magistrati, contenuta nella legge n. 117/1988, che consente di agire per danni solo in presenza di dolo o colpa grave, escludendo espressamente la responsabilità per l’attività interpretativa o valutativa. L’obiettivo dichiarato è dunque quello di riconoscere agli avvocati una tutela simile a quella dei giudici, considerando la complessità e l’alto rischio interpretativo insito nell’attività forense.

La normativa attuale

Attualmente, la legge 247/2012 non contiene disposizioni esplicite sulla responsabilità civile degli avvocati, lasciando il tema alla giurisprudenza, che ha delineato negli anni un quadro fondato sull’obbligo di diligenza professionale ex art. 1176, comma 2, c.c. L’avvocato, in quanto professionista, è tenuto a un comportamento conforme allo standard medio della categoria, con possibilità di risarcimento del danno anche per colpa lieve.

La proposta in esame andrebbe dunque a introdurre un limite normativo esplicito, riducendo sensibilmente il rischio di azioni giudiziarie contro i legali per scelte professionali non viziate da dolo o grave negligenza.

Le ragioni della riforma

Nella relazione illustrativa allegata al disegno di legge si sottolinea l’esigenza di garantire agli avvocati un margine di autonomia e sicurezza operativa, anche in funzione del ruolo costituzionalmente riconosciuto della difesa.

Viene segnalato, infatti, un aumento delle azioni civili promosse da clienti contro i propri legali, anche in relazione a decisioni processuali negative, come l’inammissibilità di ricorsi in Cassazione. In assenza di una tutela normativa specifica, il rischio è che l’avvocato si trovi esposto a responsabilità anche per scelte interpretative o strategiche ragionevoli, con effetti paralizzanti sulla libertà e indipendenza del mandato difensivo.

docenti e avvocati

Docenti e avvocati: quando è lecito agire contro il Ministero La Cassazione chiarisce i limiti per i docenti che esercitano la professione forense. Focus su autorizzazione, conflitto d’interessi e diritti del lavoratore pubblico

Docenti e avvocati: i limiti

Docenti e avvocati: con l’ordinanza n. 12204/2025, la sezione lavoro della Cassazione si è espressa su una questione di rilievo per i dipendenti pubblici che esercitano una libera professione: può un docente patrocinare cause contro il Ministero dell’Istruzione, da cui dipende professionalmente? L’intervento si inserisce in un ambito sempre più attuale, vista la crescente presenza di docenti abilitati all’esercizio dell’attività forense, e chiarisce i confini tra legittimo esercizio della professione e violazione dei doveri di fedeltà nei confronti dell’amministrazione pubblica.

Il quadro normativo

Il punto di partenza è l’art. 508, comma 15, del d.lgs. n. 297/1994, secondo cui i docenti possono esercitare libere professioni, purché compatibili con l’orario di servizio e previa autorizzazione del dirigente scolastico. La norma non prevede limitazioni espresse sulle controparti processuali, lasciando dunque spazio all’interpretazione in merito a eventuali cause contro la stessa amministrazione.

A ciò si affianca l’art. 53 del d.lgs. n. 165/2001, che vieta qualsiasi attività in conflitto con l’interesse del pubblico impiego, e i principi costituzionali di imparzialità e buon andamento della P.A. (art. 98 Cost.).

Il caso concreto

Il caso esaminato riguardava un docente che, regolarmente autorizzato a esercitare la professione forense, aveva patrocinato ricorsi contro il Ministero dell’Istruzione. In seguito, era stato sanzionato con dieci giorni di sospensione dal servizio, con l’accusa di aver violato il dovere di lealtà verso l’amministrazione.

La Corte d’Appello di Bologna aveva annullato la sanzione, osservando che l’autorizzazione era stata concessa senza vincoli o limitazioni specifiche. Tale pronuncia è stata confermata dalla Cassazione.

La decisione della Cassazione

Secondo la Suprema Corte, l’autorizzazione all’esercizio della libera professione non può essere disattesa o limitata in via implicita. Eventuali restrizioni devono essere espresse formalmente e con chiarezza. La semplice richiesta di chiarimenti da parte del dirigente scolastico non può valere come revoca o modifica dell’autorizzazione.

In assenza di provvedimenti espliciti, l’attività professionale resta legittima anche qualora coinvolga l’amministrazione stessa come controparte processuale. La sanzione inflitta è dunque illegittima per carenza di motivazione formale e assenza di divieti specifici.

Vietato ogni conflitto di interessi

La Corte ha però chiarito che il principio generale del pubblico impiego resta intatto: è sempre vietato esercitare attività che possano generare un conflitto di interessi.

In altri termini, anche se formalmente autorizzato, il docente non può patrocinare cause che lo pongano in una posizione incompatibile con i propri obblighi istituzionali. L’autorizzazione non ha efficacia “sanante” rispetto a comportamenti che contrastano con i principi di lealtà, imparzialità e correttezza.

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JusDì

Online JusDì: la nuova rivista digitale del gruppo Simone Il gruppo editoriale Simone arricchisce la propria offerta editoriale con JusDì, la nuova rivista digitale collegata a IlDiritto.it

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La direzione e il comitato scientifico

La direzione responsabile è affidata alla giornalista Marina Crisafi, mentre la direzione scientifica è del dott. Valerio de GioiaConsigliere presso la Prima Sezione Penale della Corte di Appello di Roma e Consulente della Commissione Parlamentare di inchiesta sul femminicidio.

A supporto della direzione scientifica è stato costituito un Comitato Scientifico di alto profilo, articolato per aree tematiche, che affianca il lavoro redazionale contribuendo alla specializzazione e all’aggiornamento continuo dei contenuti:

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comunicazioni tra avvocati

Comunicazioni tra avvocati: vanno trasmesse all’autorità Il CNF chiarisce che le comunicazioni tra colleghi possono essere trasmesse se richieste nell’ambito di indagini penali. Obbligo deontologico cede di fronte all’autorità giudiziaria

Comunicazioni tra avvocati e consegna autorità

Comunicazioni tra avvocati: il Consiglio nazionale forense, con parere n. 23 del 12 maggio 2025, pubblicato il 3 giugno 2025 sul sito del Codice deontologico, ha fornito chiarimenti rilevanti in materia di corrispondenza tra avvocati e obblighi deontologici, rispondendo a un quesito posto dal COA di Benevento. 

Il quesito

La questione riguardava la possibilità di trasmettere le comunicazioni intercorse tra legali, a seguito di una richiesta formale da parte dei Carabinieri, delegati all’attività di indagine, nell’ambito di un procedimento penale avviato per fatti oggetto della predetta corrispondenza.

Il Consiglio dell’Ordine degli avvocati, pertanto, chiedeva delucidazioni al CNF.

Deontologia e collaborazione con l’autorità

Secondo il parere del CNF, la presenza di una richiesta esplicita proveniente dall’autorità investigativa, in questo caso i Carabinieri delegati all’indagine su fatti oggetto della corrispondenza, “prevale sull’obbligo deontologico e l’avvocato – anche per sottrarsi a eventuali conseguenze penali della mancata collaborazione – è tenuto a consegnare la corrispondenza”.

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incarichi extra-forensi

Avvocati e incarichi extra-forensi: i “paletti” del CNF Il CNF chiarisce che gli incarichi extra-forensi, ad esempio in associazioni culturali, sono compatibili con la professione, purché nel rispetto delle regole deontologiche

Avvocati e incarichi extra-forensi: compatibilità

Incarichi extra-forensi: il Consiglio nazionale forense, con il parere n. 6 del 13 marzo 2025, pubblicato il 26 maggio sul sito dedicato al Codice deontologico, ha chiarito la compatibilità tra l’esercizio della professione forense e lo svolgimento dell’incarico di Segretario di un’associazione non riconosciuta e senza scopo di lucro, operante nei settori della sicurezza, intelligence, cyber e intelligenza artificiale.

Il quesito del COA di Ferrara

Il quesito è stato posto dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Ferrara, che ha chiesto se la partecipazione attiva in un’associazione scientifico-culturale, priva di fini commerciali, potesse ritenersi compatibile con l’attività forense. L’associazione oggetto del quesito prevede tra i compiti del Segretario, oltre alle funzioni ordinarie (verbalizzazione, gestione dei libri sociali, archivio e relazioni interne), anche rapporti informativi con soggetti esterni, cura del sito web e organizzazione di eventi coerenti con gli scopi statutari.

Nessuna incompatibilità secondo l’art. 18 l. 247/2012

Il CNF ha risposto positivamente, ritenendo che la situazione descritta non integri una causa di incompatibilità ai sensi dell’art. 18 della legge n. 247/2012, che disciplina le attività non compatibili con l’esercizio della professione forense. In particolare, l’attività indicata può rientrare tra quelle culturali, espressamente escluse dal divieto di incompatibilità dalla lettera a) dell’articolo 18 della legge professionale.

Rispettare comunque i canoni deontologici

Tuttavia, il Consiglio nazionale ha richiamato l’attenzione su un punto fondamentale: anche se l’attività svolta in ambito associativo non è qualificabile come esercizio della professione, l’avvocato è comunque tenuto a rispettare i principi deontologici, evitando condotte che possano configurare pubblicità professionale non conforme o forme di accaparramento di clientela. In altri termini, la partecipazione all’associazione – e le modalità con cui essa viene resa nota – non devono trasformarsi in un mezzo indiretto per promuovere la propria attività professionale in violazione del Codice deontologico.

vademecum ocf

Mediazione post Cartabia: il vademecum OCF per gli avvocati Vademecum OCF mediazione civile e commerciale: guida breve alla procedura di cui al decreto legislativo n. 28/2010 dopo i correttivi della Riforma Cartabia

Vademecum OCF: guida per avvocati e mediatori

Il vademecum OCF sulla mediazione civile e commerciale del 24 marzo 2025, aggiornato alle modifiche apportate al decreto legislativo n. 28/2010 dagli ultimi correttivi della Riforma Cartabia si rivolge ad avvocati e mediatori. L’idea è quella di fornire una guida chiara e basilare grazie a una esposizione breve e schematica.

Vademecum, OCF: la mediazione in fasi

Il vademecum OCF, composto da 33 pagine, definisce la mediazione, ne indica le tipologie, il luogo di svolgimento e le parti coinvolte. La parte successiva dell’esposizione descrive la procedura dividendola nelle tre fasi costitutive: avvio, incontri e conclusione.

Fase 1: L’avvio della mediazione

Nella parte iniziale dedicata alla fase dell’avvio della mediazione il vademecum dedica una particolare attenzione alla mediazione in modalità telematica e agli incontri di mediazione che si tengono con modalità audiovisive da remoto.

Nell’analizzare l’articolo 12 bis del decreto legislativo n. 28/201o mette in evidenza l’importanza della partecipazione delle parti alla procedura di mediazione, elencando le conseguenze processuali della mancata presenza.

Fase 2: gli incontri di mediazione

La parte del documento dedicata alla fase 2 della procedura, dedicata agli incontri di mediazione, si occupa di analizzare l’articolo 8 del decreto legislativo n. 28/2010, che disciplina il procedimento di mediazione. Segue la descrizione dell’articolo 6 che stabilisce la durata massima della proceduta, e la trattazione della novità normativa sulla procura e sulla delega da conferire all’avvocato per la mediazione.

La fase due si chiude con la proposta conciliativa del mediatore (su richiesta delle parti o su iniziativa dello stesso in caso di mancato accordo) e sul rifiuto della proposta.

Fase 3. Conclusione del procedimento

La terza e ultima fase, ossia la conclusione del procedimento, è la parte più ampia e densa. Essa descrive i possibili esiti della procedura (negativo o positivo) e l’efficacia esecutiva e l’esecuzione dell’accordo. Un ampio spazio della trattazione è dedicato alla disciplina del patrocinio a spese dello stato.

La parte finale della trattazione è dedicata a un argomento di particolare interesse e complessità, ossia l’esenzione dalle imposte e i crediti di imposta che riguardano la procedura di mediazione. I vari paragrafi descrivono in particolare le modalità e i termini di presentazione della domanda per richiedere il riconoscimento dei benefici fiscali.

 

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conflitto d'interessi avvocati

Conflitto d’interessi avvocati: il CNF impone limite di 2 anni Il Consiglio Nazionale Forense si esprime sul conflitto d'interessi avvocati, in ordine all'incarico contro il cliente di un collega di studio

Incarico contro il cliente di un collega di studio

Conflitto d’interessi avvocati: con la sentenza n. 375/2024, pubblicata il 21 aprile 2025 sul sito del Codice Deontologico, il Consiglio Nazionale Forense ha ribadito un importante principio in materia di conflitto di interessi e di doveri deontologici tra colleghi di studio legale, delineando con chiarezza il perimetro entro cui è legittima l’assunzione di un incarico professionale contro una parte precedentemente assistita da un collega di studio.

Il principio stabilito dal CNF

La decisione si fonda sul combinato disposto di due disposizioni del Codice Deontologico Forense:

  • Art. 24, comma 4 – “Conflitto di interessi”: l’avvocato deve astenersi dal prestare attività professionale quando vi è conflitto con l’interesse di una parte precedentemente assistita, anche da un collega con cui collabori stabilmente;

  • Art. 68, comma 1 – “Assunzione di incarichi contro una parte già assistita”: è vietato all’avvocato accettare incarichi contro una parte già assistita, salvo che siano trascorsi almeno due anni dalla cessazione del rapporto professionale.

Secondo il CNF, l’avvocato può assumere un incarico contro un ex cliente del Collega di Studio solo quando siano trascorsi almeno due anni dalla cessazione dell’incarico professionale da parte del collega, sempre che vi sia stata una collaborazione non occasionale tra i due.

Il caso concreto esaminato

Nel caso sottoposto al Consiglio, un avvocato aveva accettato un mandato professionale in un procedimento giudiziale contro una parte precedentemente assistita da un altro avvocato dello stesso studio legale, con il quale intratteneva rapporti professionali stabili e continuativi. Il rapporto tra il collega e l’ex assistito si era concluso da meno di due anni.

Il comportamento è stato qualificato come illecito deontologico, configurando una violazione tanto dell’art. 24 quanto dell’art. 68 cdf, in quanto:

  • il legame tra i due professionisti era qualificabile come collaborazione non occasionale;

  • l’intervallo temporale tra la cessazione dell’assistenza prestata dal collega e il nuovo incarico non raggiungeva il biennio richiesto.

Le motivazioni della decisione

La ratio della pronuncia è fondata sulla necessità di tutelare l’affidamento della parte assistita e di preservare la riservatezza delle informazioni conosciute all’interno del medesimo studio o ambito professionale collaborativo.

Il CNF ha richiamato la funzione essenziale del principio di lealtà e fiducia che caratterizza il mandato tra cliente e avvocato e ha sottolineato come tale fiducia non si esaurisce con la cessazione dell’incarico, ma permane per un tempo sufficiente a impedire abusi o indebiti vantaggi derivanti da informazioni acquisite in ambito professionale.

Inoltre, il Consiglio ha precisato che la previsione del termine biennale mira proprio a “cristallizzare” un limite temporale certo, utile ad evitare ambiguità e condotte che potrebbero compromettere l’etica della professione forense.

difensori d'ufficio

Difensori d’ufficio: lo Stato paga anche il recupero crediti La Cassazione riconosce il diritto al rimborso delle spese di recupero crediti per i difensori d’ufficio: lo Stato deve coprire anche questi costi

Difensori d’ufficio e costi recupero credito

Difensori d’ufficio: la Cassazione, con ordinanza n. 14179/2025, ha affermato che lo Stato è tenuto a rimborsare anche le spese sostenute dall’avvocato d’ufficio per l’attività di recupero del credito. A condizione che tali spese siano documentate e riconducibili alla procedura avviata per ottenere il pagamento del compenso professionale. Resta invece legittima la compensazione delle spese se la domanda è articolata in più capi e il ricorrente risulti soccombente in uno di questi.

La vicenda

La controversia trae origine dal ricorso di un avvocato avverso l’ordinanza del Tribunale di Milano che, pur riconoscendo il compenso per l’attività svolta come difensore d’ufficio in un procedimento penale, aveva escluso il rimborso delle spese connesse alla fase di recupero del credito.

Il legale aveva adito il Palazzaccio, censurando la decisione del Tribunale e sostenendo che quest’ultimo avesse erroneamente escluso l’esistenza di spese vive, in quanto l’attività di recupero era stata svolta in proprio e ritenuta priva di oneri fiscali e tributari.

Il principio espresso dalla Cassazione

Accogliendo il primo motivo del ricorso, la seconda sezione civile della S.C. ha ritenuto che il Tribunale si fosse discostato dal consolidato orientamento giurisprudenziale secondo cui il difensore d’ufficio non può essere gravato delle spese necessarie al recupero del proprio credito. Tali costi, infatti, rientrano tra quelli che devono essere rimborsati dall’Erario, poiché connessi all’attività difensiva svolta nell’interesse del soggetto assistito.

Difensori d’ufficio e compensazione delle spese

È stato invece respinto il secondo motivo di ricorso, volto a contestare la compensazione delle spese disposta dal Tribunale. La Corte ha precisato che, nel caso in esame, la domanda era strutturata in due capi distinti. Uno relativo al pagamento del compenso professionale, l’altro al rimborso delle spese sostenute per ottenerne il riconoscimento. Pertanto, avendo il ricorrente ottenuto accoglimento solo parziale, la decisione di compensare le spese è da ritenersi conforme ai principi processuali vigenti. Non in contrasto, dunque, con la pronuncia delle Sezioni unite n. 32061/2022, invocata dal ricorrente.

L’esito del giudizio

Nel merito, la Cassazione ha quindi cassato l’ordinanza impugnata e liquidato in favore del ricorrente la somma di 500 euro a titolo di rimborso per le spese di recupero del credito, condannando al versamento il ministero della Giustizia, confermando, tuttavia, la compensazione delle spese.

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legittimità costituzionale

Il CNF può sollevare questioni di legittimità costituzionale Le Sezioni Unite della Cassazione chiariscono che il Consiglio Nazionale Forense può sollevare questioni di legittimità costituzionale

Questioni di legittimità costituzionale

Con la sentenza n. 13376/2025, le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione hanno affrontato un rilevante quesito interpretativo di carattere istituzionale e processuale, stabilendo che il Consiglio nazionale forense (CNF) è legittimato a sollevare questioni di legittimità costituzionale, in quanto rientra tra i giudici speciali previsti dall’art. 134 della Costituzione e dall’ordinamento giudiziario.

Il contesto del giudizio

La pronuncia trae origine da un ricorso per cassazione proposto da un avvocato avverso una decisione del CNF in sede disciplinare. La questione preliminare che si è posta alla Corte ha riguardato la legittimazione del CNF a sollevare q.l.c. davanti alla Corte costituzionale, in un procedimento nel quale era stato messo in discussione un profilo di compatibilità costituzionale di norme che incidono sull’ordinamento forense.

Le motivazioni delle Sezioni Unite

La Corte ha ricostruito il ruolo e la natura del CNF, osservando che, sebbene questo sia un organo amministrativo dotato di autonomia ordinamentale, esercita anche funzioni giurisdizionali in materia disciplinare nei confronti degli avvocati, secondo quanto previsto dalla legge n. 247/2012 e dal Codice deontologico forense.

Richiamando i principi elaborati dalla giurisprudenza costituzionale, le Sezioni Unite hanno ribadito che per poter sollevare una questione di legittimità costituzionale è necessario che l’organo:

  • eserciti una funzione giurisdizionale, ossia sia chiamato a risolvere una controversia in contraddittorio tra le parti;

  • sia terzo e imparziale;

  • sia istituito per legge;

  • decida con effetti vincolanti, anche se in ambito settoriale o specialistico.

Il Consiglio nazionale forense, nell’ambito dei procedimenti disciplinari, soddisfa tutti questi requisiti: è istituito per legge, esercita una funzione giurisdizionale, le sue decisioni sono vincolanti, e adotta provvedimenti in contraddittorio con le parti, con piena terzietà rispetto al procedimento.

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Formweb

Formweb, il portale per gli avvocati Processo amministrativo telematico: arriva Formweb, il portale per gli avvocati e i collaboratori per il deposito degli atti

Processo amministrativo telematico: Formweb

Il processo amministrativo telematico compie un altro passo in avanti. È stato introdotto infatti il “Formweb”, un nuovo portale, il cui funzionamento è stato dettagliato nel decreto del Presidente del Consiglio di Stato n. 109, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 15 maggio 2025.

Il decreto è in vigore dal 20 maggio 2025 e dal 1° giugno 2025 sarà possibile accedere al fascicolo informatico con identità digitale.

In alcuni uffici inizierà una fase sperimentale del Formweb. Il suo impiego a regime diventerà obbligatorio dal 1° febbraio 2026 per il deposito degli atti.

Fino al 31 gennaio 2026, presso tutti i Tribunali amministrativi regionali e il Consiglio di Stato, continueranno pertanto a valere le vecchie regole di deposito, ossia a mezzo PEC e con upload.

Formweb: come funziona

Formweb consiste, nello specifico, in un’interfaccia web per il deposito guidato di atti e documenti. Esso genera un “Riepilogo Deposito Formweb” da sottoscrivere digitalmente.

I depositi sono tempestivi e vengono documentati con la ricevuta automatica del portale che deve essere generata entro le 24 del giorno di scadenza.

PAT: accesso a Formweb e responsabilità

Avvocati, parti e collaboratori dei difensori potranno accedere al portale Formweb. L’accesso dovrà avvenire tramite identità digitale (SPID, CIE, CNS). Da segnalare l’importante novità rappresentata dall’estensione ai collaboratori. La responsabilità esclusiva per i depositi resta però del difensore.

Depositi cartacei: come funziona

Il deposito cartaceo sarà ancora consentito, ma solo per eccezionali ragioni tecniche come il malfunzionamento del sistema informatico, l’incompatibilità dei documento con il SIGA e casi particolari previsti dalla normativa. Non costituiscono eccezione però le dimensioni dei documenti per l’upload, a meno che il file non possa essere diviso o compresso.

Evoluzione del processo amministrativo telematico

Il processo amministrativo è telematico dal 2017. Con Formweb si fa un ulteriore passo in avanti nel superare il sistema PEC e upload. Il nuovo portale presenterà l’indubbio vantaggio di semplificare gli adempimenti, in base all’obiettivo espresso dal nostro legislatore.