giurista risponde

Desistenza volontaria In quali casi la desistenza di cui all’art. 56, comma terzo, c.p. può dirsi “volontaria”?

Quesito con risposta a cura di Federico Cavalli, Nicolò Pignalosa, Vincenza Urbano

 

Per applicarsi l’ipotesi della desistenza volontaria è necessario che la mancata consumazione del delitto dipenda dalla libera volontà dell’agente. La scelta è volontaria quando non imposta da circostanze esterne che rendano irrealizzabile o troppo rischioso il proseguimento dell’attività quali, ad esempio, la resistenza della vittima, l’intervento o la presenza della polizia giudiziaria o l’esistenza di difficoltà in executivis dell’azione criminosa. – Cass. 3 novembre 2022, n. 41345

I ricorrenti hanno sollecitato il Collegio in merito alla sussistenza della volontarietà nella condotta del reo che, nell’intento di commettere un furto in abitazione, aveva desistito dall’azione criminosa per l’assenza di strumenti idonei all’effrazione delle grate poste a presidio delle unità abitative individuate per l’attività delittuosa.

La Suprema Corte, nel giudicare prive di pregio le istanze di parte, ha rammentato che l’applicabilità dell’ipotesi della desistenza volontaria richiede che la mancata consumazione del delitto sia dipendente dalla volontà dell’agente. Non è necessario che la rinuncia all’azione criminosa sia espressione di un intimo ravvedimento ma è essenziale che la scelta sia volontaria, cioè non imposta da circostanze esterne che rendano irrealizzabile o troppo rischioso il proseguimento dell’attività quali, ad esempio, la resistenza della vittima, l’intervento o la presenza della polizia giudiziaria o l’esistenza di difficoltà in executivis dell’azione criminosa.

In tal senso, la Corte ha richiamato il dictum di un’altra Sezione giudicante in materia di tentato furto,

nel qual caso era stata esclusa la desistenza volontaria nella condotta degli imputati che, dopo aver compiuto atti idonei e diretti a commettere il delitto, si erano allontanati a causa della presenza di una lastra di metallo che impediva lo sfondamento del muro e dal sopraggiungere degli agenti di polizia.

La Corte ha ravvisato che l’idoneità degli atti richiesta per la configurabilità del reato tentato deve essere valutata con giudizio ex ante, tenendo conto delle circostanze in cui opera l’agente e delle modalità dell’azione; invece, la desistenza volontaria presuppone la costanza della possibilità di consumazione del delitto, per cui, qualora tale possibilità non vi sia più, può ricorrere unicamente l’ipotesi di tentativo, purché ne sussistano i presupposti.

Per tali ragioni, il Collegio ha escluso la volontarietà della scelta del reo di rinunciare alla condotta criminosa ritenendola, invece, imposta da una circostanza esterna quale la difficoltà in executivis dell’azione furtiva caratterizzata dall’indisponibilità di strumenti in grado di vincere la resistenza opposta dalle grate volte a presidiare le abitazioni individuate ai fini del delitto, ritenendo non sussistente la fattispecie di cui all’art. 56, comma 3, c.p.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:
Cass. 28 novembre 2018, n. 17518; Cass. 13 febbraio 2018, n. 12240
Difformi:      non constano precedenti rilevanti
detenuto pacemaker

Malato e con pacemaker: resta in carcere Per la Cassazione, il detenuto in precarie condizioni di salute e con pacemaker può restare in carcere. Rileva anche la pericolosità sociale data la condanna per reati sessuali

Gravi motivi di salute e detenzione carceraria

Resta in carcere il detenuto anche se in precarie condizioni di salute e con pacemaker. Così la prima sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 3332-2024, ha respinto il ricorso di un uomo condannato ad 8 anni di carcere per reati di natura sessuale.

Nella vicenda, il tribunale di sorveglianza di Palermo respingeva l’istanza di differimento facoltativo della pena per grave infermità, anche nelle forme della detenzione domiciliare, visti i gravi motivi di salute del detenuto affetto da ipertensione con impianto di pacemaker e in attesa di ricovero per sospetta fibrosi polmonare.

Il Tribunale di sorveglianza aveva ritenuto che le condizioni di salute dell’uomo non integrassero gli estremi di gravità tali da comportare l’incompatibilità con il regime carcerario, in quanto le esigenze diagnostiche e terapeutiche del condannato erano gestibili anche in regime detentivo.

Da qui il ricorso in Cassazione, in cui la difesa ribadiva l’incompatibilità delle condizioni di salute dell’uomo ormai anziano, e peraltro di recente sottoposto ad intervento chirurgico, con la detenzione carceraria.

Per gli Ermellini, però, il ricorso è infondato e va respinto.

Bilanciamento interesse condannato e sicurezza collettività

In punto di diritto, affermano i giudici della S.C., “la giurisprudenza di legittimità ha affermato che, ai fini dell’accoglimento di un’istanza di differimento facoltativo dell’esecuzione della pena detentiva per gravi motivi di salute, ai sensi dell’art. 147, comma primo, n. 2, cod. pen., non è necessaria un’incompatibilità assoluta tra la patologia e lo stato di detenzione, ma occorre pur sempre che l’infermità o la malattia siano tali da comportare un serio pericolo di vita, o da non poter assicurare la prestazione di adeguate cure mediche in ambito carcerario, o, ancora, da causare al detenuto sofferenze aggiuntive ed eccessive, in spregio del diritto alla salute e del senso di umanità al quale deve essere improntato il trattamento penitenziario (Sez. 1, n. 27352 del 17/05/2019, Nobile, Rv. 276413)”. È necessario però, proseguono dal Palazzaccio, che “la malattia da cui è affetto il condannato sia grave, cioè tale da porre ni pericolo la vita o da provocare rilevanti conseguenze dannose e, comunque, da esigere un trattamento che non si possa facilmente attuare nello stato di detenzione, operando un bilanciamento tra l’interesse del condannato ad essere adeguatamente curato e le esigenze di sicurezza della collettività (cfr. Cass. n. 17947/2004).

La decisione

Nella fattispecie, la valutazione negativa, alla quale è giunta l’impugnata ordinanza, non è censurabile in sede di legittimità e, peraltro, concludono dalla S.C. rigettando il ricorso, risulta coerente con quanto richiede la giurisprudenza, “sia sotto il profilo della compiuta valutazione delle condizioni di salute dell’istante in rapporto alle potenzialità di cura offerte dal carcere in cui questi è ristretto”, sia con riguardo al profilo del “bilanciamento tra li diritto alla salute del condannato e le esigenze di sicurezza della collettività, evidenziando la cospicua pericolosità sociale del detenuto in espiazione di una condanna per gravi delitti di natura sessuale”.

Allegati

Art. 187 C.d.S.

Art. 187 C.d.S. giurisprudenza Guida in stato di alterazione psicofisica causata dall’assunzione di sostanze stupefacenti: analisi dell’articolo 187 C.d.S. e giurisprudenza

Cosa prevede l’art. 187 C.d.S.

L’articolo 187 del Codice della Strada contempla e punisce il reato di guida in stato di alterazione psico fisica causato dall’assunzione di sostanze stupefacenti.

Le pene base previste per questo reato sono l’ammenda da 1.500 euro a 6.000 euro e l’arresto che va da sei mesi fino a un anno.

A queste sanzioni penali si affianca sempre quella di natura amministrativa che prevede la sospensione della patente per un periodo che varia da uno a due anni.

Se il soggetto che commette il reato guida il veicolo di un’altra persona, che non ha nulla a che fare con il reato commesso, allora la durata di sospensione della patente viene raddoppiato, pertanto la stessa varierà da due a quattro anni.

La sentenza di condanna comporta sempre anche la confisca del veicolo con cui il responsabile ha commesso il reato, a meno che il mezzo non appartenga a una terza persona.

La patente invece viene sempre revocata quando a commettere il resto è il conducente di veicoli particolari, come gli autobus per esempio.

Le pene base sono raddoppiate se chi guida in tale stato di alterazione provoca un incidente stradale. In questo caso, salvo eccezioni, è prevista la revoca della patente.

La pena dell’ammenda viene invece aumentata da 1/3 alla 1/2 se il reato viene commesso tra le ore 22.00 e prima delle 7.00 del mattino.

Gli Organi della Polizia stradale possono sottoporre i conducenti ad accertamenti, purché non invasivi e rispettosi della riservatezza, anche avvalendosi di apparecchiature specifiche.

L’esito positivo di questi test legittima la richiesta di sottoporre i conducenti ad accertamenti ulteriori e più approfonditi di natura clinico tossicologica, che possono essere eseguiti anche presso strutture sanitarie fisse, se non è possibile eseguire diversamente il prelievo o se il conducente si oppone.

Effettuati i test le strutture sanitarie rilasciano apposita certificazione. Copia del refero viene trasmessa al prefetto del luogo in cui la violazione è stata commessa. Il conducente viene quindi sottoposto a visita medica e la patente viene sospesa in via cautelare.

La sanzione della pena detentiva irrogata può essere sostituita con il decreto penale di condanna o con il lavoro di pubblico utilità, il cui svolgimento effettivo viene verificato dall’ufficio locale di esecuzione penale. L’esito positivo del lavoro di pubblica utilità comporta l’estinzione del reato e la riduzione alla metà della durata della sospensione della patente e la revoca della confisca.

Qualora invece il lavoro di pubblica utilità non venga svolto in base agli obblighi che comporta, il giudice, su richiesta, può disporre la revoca della pena sostitutiva con quella prevista in origine, così come sospendere la patente e confiscare il veicolo, come previsto in origine.

Giurisprudenza della Cassazione sull’art. 187  C.d.S.

La norma analizzata si presenta complessa e strutturata. Tanti gli spetti giuridici che hanno richiesto chiarimenti da parte della giurisprudenza. Si riportano per questa ragione le massime di alcune recenti sentenze su alcuni degli aspetti più significativi della norma.

Cassazione 4606/2023: prova dello stato di alterazione

Affinché si configuri il reato contravvenzionale di guida sotto l’influenza di sostanze stupefacenti   “lo stato di alterazione del conducente dell’auto non deve essere necessariamente accertato attraverso l’espletamento di una specifica analisi medica”. Il giudice può desumerla infatti anche   dagli accertamenti biologici capaci di dimostrare la precedente assunzione dello stupefacente, “unitamente all’apprezzamento delle deposizioni raccolte e del contesto in cui il fatto si è verificatoNel caso di specie la Cassazione ha ritenuto che la Corte di appello abbia correttamente ritenuto sufficiente, per accertare l’assunzione di cannabinoidi “il riscontro dell’analisi compiuto sulle urine in associazione ai dati sintomatici rilevati al momento del fatto sul conducente, costituiti da pupille dilatate, stato di ansia ed irrequietezza, difetto di attenzione, ripetuti conati di vomito, detenzione di involucri contenenti hashish”. 

Cassazione n. 40842/2023: consenso agli esami del sangue

In relazione al consenso all’esame ematico, la Cassazione rileva che i giudici territorialmente competenti abbiano applicato correttamente al caso di specie, principi consolidati per l’accertamento del tasso alcolemico,, ossia che il prelievo di campioni biologici (sangue ovvero urine e saliva) compiuto presso una struttura sanitaria non per motivi terapeutici, ma esclusivamente su richiesta della polizia giudiziaria, al solo fine di accertare il tasso alcolemico del soggetto per la ricerca della prova della sua colpevolezza, non richiede uno specifico consenso dell’interessato, oltre a quello eventualmente richiesto dalla natura delle operazioni sanitarie strumentali a detto accertamento”. 

Cassazione n. 31247/2023: violazione degli obblighi del lavoro di pubblica utilità

La Cassazione chiarisce che se il comportamento del condannato inadempiente che tuttavia non si è sottratto completamente al lavoro di pubblica utilità “ma ne abbia violato gli obblighi dopo una prima fase esecutiva caratterizzata da svolgimento regolare” comporta:

  • l’applicazione della sanzione penale per il reato commesso ai sensi dell’art. 56 D.Lgs. n. 274/2000;
  • il prolungamento della durata della pena originaria che è stata sostituita per effetto della revoca. Al fine di scongiurare un inasprimento senza motivo del trattamento punitivo, in contrasto con la finalità rieducativa del reo a cui tende anche il lavoro di pubblica utilità occorre applicare il seguente principio di diritto: “l’inosservanza degli obblighi inerenti il lavoro di pubblica utilità può comportarne la revoca, ma l’adozione di tale provvedimento impone al giudice, quanto agli effetti della revoca stessa, di tener conto del periodo di lavoro espletato sino al momento della commessa trasgressione e, previa effettuazione del ragguaglio dei giorni di lavoro non prestato con la pena detentiva sostituita secondo i criteri di cui al D.Lgs. n. 274 del 2000, art. 58, di scomputarlo dalla restante pena ancora da eseguire nelle forme ordinarie”.