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Stalking: se il reato connesso diventa a querela, cambia la procedibilità La Corte costituzionale dichiara illegittima la norma che manteneva d’ufficio gli atti persecutori connessi a un danneggiamento divenuto procedibile a querela

Stalking e riforma Cartabia: torna la procedibilità a querela

Con la sentenza n. 123/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato parzialmente illegittima una norma contenuta nel decreto “correttivo” della riforma Cartabia, nella parte in cui impediva che la modifica del regime di procedibilità del reato di danneggiamento si riflettesse su quello degli atti persecutori a esso connessi.

Danneggiamento e stalking con remissione della querela

Il caso oggetto del giudizio prende avvio da un procedimento penale dinanzi al Tribunale di Verona, nel quale un imputato era accusato di atti persecutori (minacce e insulti reiterati) e, in aggiunta, del danneggiamento dell’auto della persona offesa – nello specifico, la rottura dei tergicristalli.

In origine, il danneggiamento su cose esposte alla pubblica fede era procedibile d’ufficio, rendendo tale anche il reato connesso di stalking. Tuttavia, la persona offesa aveva presentato e poi rimesso la querela, ma il giudice non poteva dichiarare l’estinzione del reato a causa della norma sopravvenuta che manteneva gli atti persecutori procedibili d’ufficio anche dopo la riforma.

La riforma Cartabia e il correttivo del 2024

Nel 2024, il decreto correttivo alla riforma Cartabia ha modificato la procedibilità del danneggiamento su cose esposte alla pubblica fede, rendendolo procedibile a querela. Tuttavia, una norma inserita nel decreto stabiliva che tale modifica non si estendesse ai delitti connessi, come gli atti persecutori, che continuavano a rimanere procedibili d’ufficio.

La violazione del principio di retroattività favorevole

La Corte costituzionale ha ritenuto che questa norma rappresenti una deroga ingiustificata al principio di retroattività della legge penale più favorevole, tutelato dall’art. 3 della Costituzione e riconosciuto a livello di diritto internazionale dei diritti umani.

In mancanza della deroga, ha spiegato la Corte, la modifica del regime del reato connesso avrebbe comportato il ritorno alla procedibilità a querela anche per lo stalking, come previsto dalla regola generale.

Incostituzionale la norma che cristallizza il regime d’ufficio

Secondo la Consulta, mancano valide ragioni giustificative per escludere la retroattività favorevole in questo caso. La norma impugnata è quindi costituzionalmente illegittima nella parte in cui prevede la procedibilità d’ufficio per gli atti persecutori connessi al danneggiamento, nonostante la sopravvenuta querelabilità di quest’ultimo.

vizio di mente

Vizio di mente, attenuante più ampia La Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il divieto di prevalenza dell’attenuante del vizio parziale di mente rispetto all’aggravante della rapina commessa presso sportelli bancomat

Vizio di mente: illegittimo il divieto di prevalenza dell’attenuante

La Corte costituzionale, con sentenza n. 130 del 2025, ha dichiarato costituzionalmente illegittimo il divieto di considerare prevalente o equivalente, in sede di determinazione della pena, la circostanza attenuante del vizio parziale di mente rispetto alla aggravante della rapina commessa presso uno sportello bancomat o immediatamente dopo un prelievo.

Il caso sollevato dal Tribunale di Macerata

La questione di legittimità costituzionale era stata proposta dal giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Macerata, il quale rilevava che l’autore della rapina presentava una capacità ridotta di intendere e di volere, tale da integrare l’attenuante del vizio parziale di mente. La norma oggetto di censura, però, impediva al giudice di riconoscere il peso prevalente di tale circostanza rispetto all’aggravante.

Il precedente del 2023 e il principio di eguaglianza

La Consulta aveva già affrontato una questione analoga nella sentenza del 2023, relativa al divieto di prevalenza dell’attenuante del vizio parziale di mente sull’aggravante della rapina in abitazione. In quell’occasione, era stato evidenziato che la disparità di trattamento rispetto alla attenuante della minore età violava l’articolo 3 della Costituzione, in quanto entrambe le condizioni – vizi di mente e minore età – riflettono una ridotta colpevolezza e una minor capacità di controllo degli impulsi.

La dichiarazione di incostituzionalità nel 2025

Richiamando i medesimi principi, la Corte ha ritenuto irragionevole impedire al giudice di valutare la prevalenza dell’attenuante del vizio parziale di mente anche in presenza dell’aggravante della rapina in prossimità di uno sportello automatico. Tale preclusione è stata quindi dichiarata incompatibile con il principio di eguaglianza, sancito dall’art. 3 della Costituzione.

giustizia riparativa

Giustizia riparativa: legittima l’omissione dell’avviso nella sentenza per irreperibilità La Corte costituzionale conferma: è legittima la mancata previsione dell’avviso sulla giustizia riparativa nella sentenza ex art. 420-quater c.p.p. per irreperibilità dell’imputato

Giustizia riparativa: la Corte si pronuncia sul 420-quater c.p.p.

Con la sentenza n. 128 del 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Grosseto in merito all’articolo 420-quater, comma 4, del codice di procedura penale.
La questione riguardava l’assenza, in tale disposizione, dell’avviso all’imputato della possibilità di accedere ai programmi di giustizia riparativa, previsto invece in altre fasi del procedimento.

Il dubbio di costituzionalità

Il giudice rimettente riteneva che la mancata previsione dell’avviso nella sentenza emessa per irreperibilità dell’imputato determinasse una violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) e del diritto di difesa (art. 24 Cost.).
Il riferimento era al diverso trattamento riservato all’imputato rintracciabile, che riceve espressamente l’avviso ai sensi dell’art. 419, comma 3-bis, c.p.p. all’atto della notifica dell’udienza preliminare.

La giustizia riparativa è attività extraprocessuale

La Corte ha respinto il rilievo, sottolineando innanzitutto che la giustizia riparativa non è un procedimento giurisdizionale, né un istituto del processo penale in senso stretto.
Si tratta, piuttosto, di un percorso extraprocessuale volontario, il cui esito può avere rilievo solo ai fini del trattamento sanzionatorio, come nel caso della commisurazione della pena o della sospensione condizionale.

Di conseguenza, l’omessa previsione dell’avviso nella sentenza ex art. 420-quater c.p.p. non incide sul diritto di difesa, poiché la facoltà di accedere alla giustizia riparativa non è legata alla fase processuale né disciplinata dalle stesse garanzie costituzionali.

La scelta legislativa non è manifestamente irragionevole

In secondo luogo, la Corte ha ribadito che il legislatore dispone di ampia discrezionalità nella conformazione del processo penale e degli strumenti alternativi o accessori.
L’assenza dell’avviso nella sentenza che chiude il processo per irreperibilità non è frutto di arbitrarietà, ma trova giustificazione nella presenza di molteplici occasioni successive per esercitare tale facoltà, anche oltre la definizione del processo.

Nessuna lesione alla possibilità di accedere alla giustizia riparativa

Infine, i giudici costituzionali hanno sottolineato che la facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa non è soggetta a termini perentori.
L’imputato può esercitare questa possibilità in qualsiasi momento, anche dopo l’emissione della sentenza per irreperibilità, e quindi non vi è alcuna compromissione del diritto di iniziativa o di autodifesa.

carceri e detenuti

Carceri e detenuti: le misure approvate dal Governo Carceri e detenuti: novità in arrivo per istituti penitenziari, detenzione domiciliare, liberazione anticipata e uffici giudiziari

Governo: nuove misure per carceri e detenuti

Cambiano le regole per carceri e detenuti. Il Consiglio dei Ministri nella giornata di martedì 22 luglio 2025 ha comunicato l’approvazione di una serie di misure finalizzate a ottimizzare l’amministrazione della giustizia, contrastare il sovraffollamento carcerario e offrire percorsi di riabilitazione ai detenuti.

Queste iniziative dimostrano l’impegno del governo per una giustizia più moderna, un sistema carcerario più umano e maggiori opportunità di recupero per i detenuti.

Leggi il Comunicato stampa ufficiale 

Carceri e detenuti: cambia la detenzione domiciliare

Un disegno di legge prevede l’introduzione di un nuovo regime di detenzione domiciliare per i condannati che hanno problemi di dipendenze da droga o alcol. Chi deve scontare una pena detentiva fino a otto anni, o quattro anni per reati di maggiore pericolosità sociale, potrà chiedere di essere ammesso a una struttura terapeutica autorizzata, seguendo un programma socio-riabilitativo residenziale.

Questo beneficio, concedibile una sola volta, richiede la valutazione di una Commissione che accerti la dipendenza e la sua correlazione con il reato.

Il responsabile della struttura informerà le autorità sull’andamento del programma, e la detenzione domiciliare potrà essere revocata in caso di insuccesso o comportamento incompatibile.

Se il programma viene completato con successo, si potrà disporre la detenzione domiciliare o l’affidamento in prova per il reinserimento sociale.

Liberazione anticipata: modifiche procedurali

Parallelamente, un decreto del Presidente della Repubblica modifica le procedure per la liberazione anticipata, rendendole più rapide e rigorose tramite l’informatizzazione dei fascicoli dei detenuti. Si prevede inoltre un aumento dei colloqui telefonici settimanali e mensili con i familiari per mantenere i legami personali.

Edilizia penitenziaria: lavori per creare più posti

Il Programma di edilizia penitenziaria 2025-2027 prevede invece 60 interventi strutturali per recuperare sezioni esistenti e creare nuovi posti detentivi. La finalità è di aggiungere circa 9.700 posti totali, migliorando così le strutture e contrastando il sovraffollamento.

Carceri e detenuti: distribuzione migliore degli uffici giudiziari

Infine, un disegno di legge sulle circoscrizioni giudiziarie mira a distribuire più efficientemente gli uffici giudiziari sul territorio, istituendo il nuovo tribunale di Bassano del Grappa e ripristinando altri tribunali e sezioni distaccate per bilanciare prossimità della giustizia e funzionalità del sistema.

Leggi anche gli altri articoli dedicati al tema delle carceri 

femminicidio

Femminicidio: reato autonomo Approvato all’unanimità dal Senato il ddl che introduce il delitto di femminicidio, contrasta la  violenza nei confronti delle donne e tutela le vittime

Il delitto di femminicidio

Il femminicidio è prossimo a diventare reato autonomo. Il Senato in data 23 luglio 2025 ha approvato all’unanimità, il testo già approvato il 7 marzo 2025 dal Consiglio dei Ministri, che introduce nel codice penale il delitto di femminicidio e dispone altri interventi normativi per il contrasto alla violenza nei confronti delle donne e per la tutela delle vittime.

La Commissione giustizia del Senato in data 9 luglio 2025 aveva già approvato il testo all’unanimità. Il disegno di legge, modificato rispetto alla versione originaria del CdM,  è pronto a diventare legge, dopo l’approvazione da parte della Camera.

Cosa prevede il testo

Il testo appronta un intervento ampio e sistematico per rispondere alle esigenze di tutela contro il fenomeno di drammatica attualità delle condotte e manifestazioni di prevaricazione e violenza commesse nei confronti delle donne.

Nuova fattispecie penale di femminicidio

Cambia la formulazione della fattispecie penale di “femminicidio”, rispetto a quella prevista inizialmente e che, per l’estrema urgenza criminologica del fenomeno e per la particolare struttura del reato, viene sanzionata con la pena dell’ergastolo.

In particolare, si prevede che sia punito con tale pena chiunque cagiona la morte di una donna quando il fatto è commesso come atto di odio o di discriminazione o di prevaricazione o come atto di controllo o possesso o dominio in quanto donna, o in relazione al rifiuto della donna di instaurare o mantenere un rapporto affettivo o come atto di limitazione delle sue libertà individuali.”

Negli altri casi il reato resta quello di omicidio.

In linea con tale intervento, le stesse circostanze di commissione del reato sono introdotte quali aggravanti per i delitti più tipici di codice rosso, con la previsione di un aumento variabile delle pene previste, a seconda del delitto.

Le altre novità

Il testo inoltre, tenendo conto anche delle modifiche apportate:

  • prevede laudizione della persona offesa da parte del pubblico ministero che conduce le indagini, salva la possibilità di delega alla polizia giudiziaria con decreto motivato. L’audizione della persona offesa però non può essere delegata se si procede per il delitto aggravato di cui all’articolo 612 bi, m che punisce gli atti persecutori;
  • introduce specifici obblighi informativi in favore dei prossimi congiunti della vittima di femminicidio, nei casi in cui al condannato sia applicate misure alternative alla detenzione o benefici similari che gli consentono di uscire dal carcere, qualora i destinatari di queste comunicazioni lo abbiano richiesto;
  • dispone che il Tribunale di Sorveglianza debba valutare con molta più attenzione la possibilità di concedere permessi all’indagato o al condannato nelle vicinanze in cui si trovano i congiunti della vittima;
  • non assoggetta al limite temporale di 45 giorni previsto per le intercettazioni reati previsti dal codice rosso ( revenge porn, stalking, violenza sessuale, maltrattamenti, ecc.);
  • non contempla più il parere non vincolante della vittima sulla congruità della pena in caso di patteggiamento per i reati da codice rosso e connessi e l’onere motivazionale del giudice in caso di disaccordo con le indicazione della persona offesa;
  • rafforza gli obblighi formativi dei magistrati, previsti dall’ 6, comma 2, della legge n. 168 del 2023 in materia di violenza contro le donne, e violenza domestica;
  • prevede semplificazioni per accertare violenze sessuali facilitate da sostanze psicotrope. Sarà infatti più facile identificare e provare l’assunzione di tali sostanze da parte della vittima. Questo sarà possibile grazie a un Tavolo tecnico al Ministero della Salute che definirà protocolli uniformi a livello nazionale per il prelievo, l’analisi e la conservazione dei campioni. Le Regioni promuoveranno inoltre campagne di sensibilizzazione sui pericoli delle droghe che favoriscono le violenze sessuali;
  • potenzia il braccialetto elettronico prevedendone l’attivazione a 1 km di distanza in sostituzione dei 500 metri previsti fino ad oggi.
  • si rafforza la tutela delle vittime, garantendo l’accesso ai figli delle donne vittime di violenza che abbiano compiuto 14 anni nei centri antiviolenza senza la preventiva autorizzazione dei genitori o dei soggetti che ne esercitano la responsabilità genitoriali al fine di ricevere informazioni e orientamento.

Convenzione di Istanbul

L’intervento si inserisce anche nel quadro degli obblighi assunti dall’Italia con la ratifica della Convenzione di Istanbul e nel solco delle linee operative disegnate dalla nuova direttiva (UE) 1385/2024 in materia di violenza contro le donne, nonché delle direttive in materia di tutela delle vittime di reato.

sequestro a scopo di estorsione

Sequestro a scopo di estorsione: pene adeguate La Corte costituzionale conferma che la pena per il sequestro a scopo di estorsione non viola il principio di proporzionalità, grazie agli strumenti interpretativi a disposizione del giudice

Proporzionalità della pena nel sequestro estorsivo

Sequestro a scopo di estorsione: la Corte costituzionale, con la sentenza n. 113 del 2025, ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale della pena prevista per il delitto di sequestro di persona a scopo estorsivo, ritenendo che il giudice disponga già di strumenti interpretativi e applicativi idonei a garantire il rispetto del principio di proporzionalità della pena, sancito dall’art. 27, comma 3, della Costituzione.

Il caso concreto esaminato dalla Consulta

La pronuncia è intervenuta su rinvio della Corte d’assise di Torino, che aveva sollevato dubbi di legittimità costituzionale in un procedimento penale nei confronti di tre imputati accusati di avere privato, per breve tempo, alcune vittime della libertà personale, allo scopo di ottenere pagamenti compresi tra 100 e 320 euro come corrispettivo per prestazioni sessuali, che le persone offese ritenevano gratuite. Il fatto era stato qualificato come sequestro estorsivo, reato punito, ai sensi dell’art. 630 c.p., con la reclusione da venticinque a trent’anni.

La pena per il sequestro estorsivo: origine e ratio

La Corte ha richiamato il contesto storico della norma, evidenziando come la previsione di una pena di eccezionale severità fosse stata introdotta in risposta ai sequestri di persona verificatisi negli anni Settanta, caratterizzati da una lunga durata della privazione della libertà personale, riscatti elevatissimi e pericolo per la vita degli ostaggi. In tale contesto, l’inasprimento sanzionatorio era giustificato.

Il correttivo introdotto nel 2012 e gli strumenti oggi disponibili

Già con la sentenza n. 68 del 2012, la Corte costituzionale aveva giudicato manifestamente sproporzionata la pena minima di venticinque anni nei casi di sequestro di minore gravità, introducendo la possibilità di riduzione fino a un terzo della pena (minimo di sedici anni e otto mesi di reclusione).

Con la nuova pronuncia, la Corte ribadisce che, anche qualora la pena ridotta appaia ancora eccessiva, il giudice può fare applicazione del principio di proporzionalità, utilizzandolo come criterio interpretativo della norma penale, per escludere l’applicabilità dell’art. 630 c.p. ai fatti che non raggiungano la soglia di gravità voluta dal legislatore.

L’obbligo del giudice di una valutazione conforme al principio di proporzione

La Consulta afferma che il giudice deve valutare attentamente la qualificazione giuridica del fatto, verificando se esso configuri effettivamente un sequestro a scopo di estorsione, oppure se sia più correttamente riconducibile a reati diversi, come il sequestro di persona semplice (art. 605 c.p.), l’estorsione (art. 629 c.p.) o la rapina (art. 628 c.p.).

Tali reati, pur essendo gravi, prevedono pene più proporzionate alla lesione effettiva del bene giuridico tutelato, evitando così l’irrogazione di una sanzione eccessiva rispetto alla concreta entità del fatto.

La compatibilità con il principio di legalità

Infine, la Corte precisa che questa interpretazione non viola il principio di legalità (art. 25, comma 2, Cost.). Tale principio, infatti, impedisce l’applicazione analogica in malam partem, ma non esclude una interpretazione restrittiva della norma incriminatrice, qualora il fatto concreto sia estraneo ai fenomeni criminosi che il legislatore ha inteso colpire con una sanzione di particolare rigore.

evasione dagli arresti domiciliari

Evasione dagli arresti domiciliari: punibile anche l’indagato La Corte costituzionale chiarisce che l’indagato può essere punito per evasione dagli arresti domiciliari al pari dell’imputato. Legittima l’interpretazione dell’art. 385 c.p., comma 3

Nessuna distinzione tra imputato e indagato

Evasione dagli arresti domiciliari: con la sentenza n. 107 del 2025, depositata in data odierna, la Corte costituzionale ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 385, comma 3, c.p., nella parte in cui – secondo il diritto vivente – consente di punire anche l’indagato per il reato di evasione dagli arresti domiciliari, nonostante il testo della norma faccia riferimento esclusivo all’imputato.

Il contesto storico-normativo della disposizione

La Consulta ha ricostruito il contesto normativo in cui fu redatto l’articolo oggetto di censura. Il terzo comma dell’art. 385 c.p. venne sostituito dall’art. 29 della legge n. 532/1982, quando era ancora vigente il codice di procedura penale del 1930. All’epoca, il legislatore utilizzava il termine “imputato” per indicare qualsiasi soggetto indiziato, anche nella fase delle indagini preliminari.

Il concetto moderno di “indagato”, distinto da quello di “imputato”, è stato introdotto soltanto con il nuovo codice di rito entrato in vigore nel 1989.

La continuità interpretativa della norma penale

Secondo la Corte, dunque, il termine “imputato”, così come impiegato nel terzo comma dell’art. 385 c.p., include anche l’indagato, alla luce del significato attribuitogli al momento della redazione della norma.

Non si configura pertanto alcuna violazione del principio di legalità, come dedotto dal giudice rimettente, poiché l’interpretazione estensiva che consente di punire l’indagato per evasione è coerente con la ratio originaria della disposizione e con l’evoluzione del diritto positivo.

bullismo e cyberbullismo

Bullismo e cyberbullismo: cosa prevede il decreto attuativo Bullismo e cyberbullismo: in vigore dal 16 luglio 2025 il decreto legislativo che rafforza la prevenzione e il contrasto in attuazione della legge n. 70/2024

Bullismo e cyberbullismo: il decreto in vigore

Il decreto legislativo n. 99/2025, approvato dal Consiglio dei Ministri è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’1 luglio 2025 per entrare in vigore il 16 luglio 2025.

Il testo recante”Disposizioni in materia di prevenzione e contrasto del bullismo e del cyberbullismo“, mira a rafforzare la prevenzione e il contrasto a entrambi i fenomeni, in attuazione della legge n. 70/2024, con cui si pone quindi in linea di continuità.

Bullismo e cyberbullismo: emergenza infanzia

Il nuovo decreto potenzia il servizio telefonico “emergenza infanzia 114”, estendendone l’operatività anche a questi fenomeni per tutelare i minori. Il 114, attivo 24 ore al giorno 7 giorni su 7, offrirà una prima assistenza psicologica e giuridica, oltreché una consulenza psicopedagogica e segnalerà i casi gravi alle autorità. L’app del 114 includerà anche la geolocalizzazione (previa acquisizione del consenso) e un servizio di messaggistica istantanea. Il tutto ovviamente nel rispetto della privacy. I dati anonimi sui fenomeni del bullismo e del cyberbullismo nelle scuole, raccolti dal 114, saranno trasmessi annualmente al Ministero dell’Istruzione e del Merito per programmare azioni di sensibilizzazione. Il sito web del 114 garantirà inoltre un’ ampia accessibilità ai servizi.

Indagini statistiche su bullismo e cyberbullismo

L’ISTAT condurrà rilevazioni biennali su questi fenomeni giovanili la fine di identificarne le caratteristiche, i soggetti a rischio, i fattori e le conseguenze psicologiche che producono. La Presidenza del Consiglio dei Ministri invierà alle Camere un rapporto di sintesi con i risultati ISTAT e lo stato di attuazione delle misure nelle scuole secondarie.

Più responsabilità genitoriale

Il decreto aggiorna inoltre le comunicazioni dei fornitori di servizi online, richiamando però sul punto anche la responsabilità genitoriale prevista dall’ articolo 2048 del codice civile per i danni causati dai figli minori nel mondo online.

Campagne su uso responsabile della rete

La Presidenza del Consiglio promuoverà campagne informative sull’uso consapevole della rete e sui suoi rischi. Il Ministero dell’Istruzione e le scuole promuoveranno infine la conoscenza del numero 114, strumento fondamentale per esternare il disagio e chiedere aiuto.

 

Leggi anche: Bullismo e cyberbullismo: cosa prevede la nuova legge

reato di sfregio

Reato di sfregio Reato di sfregio: cos’è, l’art. 583 quinquies c.p, caratteristiche del delitto, deformazione e sfregio, la sentenza della  Consulta n.83/2025

Reato di sfregio: cos’è

Il reato di sfregio o più tecnicamente “Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso” è un reato previsto dall’art. 583 quinques c.p. Questo illecito penale è stato inserito nel codice penale dall’articolo 12 della legge n. 69/2019, meglio nota come “Codice Rosso”.

Si tratta di un reato che è stato introdotto con lo scopo primario tutelare soprattutto le vittime di violenza domestica e di genere. La fattispecie però non si limita a questi soggetti ma protegge chiunque sia vittima di un comportamento così vile.

L’articolo 583 quinques c.p. 

L’articolo 583 quinques c.p che punisce il reato di sfregio  al primo comma dispone che chiunque provochi a un’altra persona lesioni che causano una deformazione permanente o uno sfregio permanente al viso venga punito con la reclusione da otto a quattordici anni.

Il comma 2 della norma prevede ulteriori conseguenze negative per il responsabile di questo reato. Se infatti una persona viene condannata per questo reato (o patteggia la pena secondo l’articolo 444 del Codice di Procedura Penale), subisce automaticamente anche l’interdizione perpetua da qualsiasi incarico legato alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno. In pratica, non potrà mai più ricoprire ruoli che implicano la gestione e la protezione degli interessi di persone vulnerabili.

Caratteristiche del reato di sfregio

Dalla lettura della norma emerge che si tratta di un reato comune, che chiunque cioè può commettere. La fattispecie punisce la condotta di chi causa lesioni che si traducono in una deformazione o in uno sfregio permanente del viso della vittima.

Dal punto di vista dell’elemento soggettivo il reato richiede il dolo, cioè la volontà di recare lesioni al volto in grado di deformarlo o sfiguralo.

La pena per il reato è la reclusione da un minimo di otto anni fino a un massimo di 14 anni e in caso di condanna o patteggiamento l’interdizione perpetua dalla possibile di svolgere funzioni di curate, tutela e amministrazione di sostegno.

Deformazione e sfregio del volto: definizioni e differenze

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 35795/2023 è intervenuta per chiarire la differenza tra le le due tipologie di lesione contemplate dall’articolo 583 quinquies c.p.

Gli Ermellini hanno infatti previsto che quando si parla del reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso,  è fondamentale distinguere tra “deformazione” e “sfregio permanente”.

La deformazione o il deformismo implicano un’alterazione anatomica del viso di grave entità. Si tratta di un danno che ne modifica profondamente la simmetria e l’armonia complessiva, causando un vero e proprio sfiguramento. È una lesione che colpisce in modo irreversibile l’identità estetica del viso, rendendola irriconoscibile o gravemente compromessa. Lo sfregio permanente rappresenta invece un danno meno grave rispetto alla deformazione, ma comunque significativo e irreversibile. Non porta a uno sfiguramento completo, ma causa un turbamento irreversibile dell’armonia e dell’euritmia del viso. Un esempio classico è rappresentato una cicatrice permanente sul volto che, pur non stravolgendo i tratti somatici, altera in modo percettibile e duraturo l’estetica del viso.

Corte Costituzionale: pene troppo severe per casi meno gravi

Di recente la Corte Costituzionale è intervenuta su questo reato con la sentenza n. 83/2023 depositata il 20 giugno 2025.

Con questa decisione la Consulta ha dichiarato illegittimo il comma 1 dell’art. 583 quinques c.p. La pena (reclusione da 8 a 14 anni) potrà infatti essere ridotta fino a un terzo se il fatto, per circostanze o per la lieve entità del danno, risulta di minore gravità. L’assenza di un’attenuante per i fatti di lieve entità, a fronte di una pena minima molto elevata e di diverse possibili condotte punibili, rischiava di portare a condanne eccessive, rendendo la pena inefficace per la risocializzazione del condannato, non tenendo conto della sua personalità.

Illegittimo e quindi modificato anche il comma 2. L’interdizione da ruoli di tutela e curatela, prima automatica e perpetua, non è più obbligatoria. Il giudice potrà applicarla facoltativamente, basandosi su criteri discrezionali e con una durata massima di dieci anni. L’ampia descrizione del reato nel secondo comma permetteva di includere anche condotte meno gravi. Per queste, l’applicazione automatica e perpetua dell’interdizione da ruoli di tutela risultava ingiustificata, rendendo necessaria l’eliminazione dell’obbligatorietà e della perpetuità di tale pena accessoria.

 

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Con la sentenza n. 105 del 2025, depositata il 7 luglio, la Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale sollevate sull’art. 639 del codice penale, nella parte in cui configura come reato l’imbrattamento di cose altrui anche nella sua forma base, cioè senza particolari aggravanti o gravi conseguenze.

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Il caso nasce da un giudizio pendente presso il Tribunale di Firenze, dove un imputato era accusato di aver imbrattato con materiale organico la porta e le pareti esterne di un immobile condominiale. Il giudice ha sollevato dubbi in riferimento agli articoli 3 e 27, comma 3, della Costituzione, ritenendo sproporzionata la sanzione penale rispetto alla gravità della condotta, anche considerando l’abrogazione del reato di danneggiamento semplice, ora trasformato in illecito civile.

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La Corte ha chiarito che l’imbrattamento mantiene rilevanza penale per scelta consapevole del legislatore, volta a contrastare fenomeni di degrado urbano sempre più diffusi. Il danno non è solo al singolo proprietario ma colpisce un interesse collettivo, come il decoro dello spazio urbano, meritevole di una tutela penale autonoma.

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