precompilata 2024 invio

Precompilata 2024: ok all’invio Dal 20 maggio il 730 precompilato può essere trasmesso all'Agenzia delle Entrate, con o senza modifiche

Dichiarazioni 2024 si parte

Ok all’invio della precompilata 2024 e delle dichiarazioni in generale. I modelli, disponibili in sola consultazione dallo scorso 30 aprile, possono essere trasmessi all’Agenzia delle Entrate, con o senza modifiche a partire dal 20 maggio. Al debutto la nuova modalità di compilazione semplificata per aiutare i cittadini a orientarsi con più facilità tra i dati del 730 e fare click in autonomia, con video sul canale YouTube delle Entrate che illustra le novità e una guida ad hoc che spiega come accedere, integrare i dati ed inviare il tutto.

La scadenza, ricorda l’Agenzia nel comunicato stampa ufficiale, è fissata al 30 settembre per chi presenta il 730 e al 15 ottobre 2024 per chi, invece, utilizza il modello Redditi. Per visualizzare e inviare la dichiarazione occorre entrare nella propria area riservata con Spid, Cie o Cns. In alternativa, è sempre possibile delegare un familiare o una persona di fiducia.

Nuovo 730 semplificato

Aperto, dunque, il canale per l’invio del nuovo 730 semplificato. “Dopo aver visualizzato la propria dichiarazione, disponibile dallo scorso 30 aprile in semplice consultazione, i contribuenti possono adesso entrare nell’applicativo e procedere a eventuali integrazioni/modifiche o accettare e trasmettere il modello così come predisposto dal Fisco” spiegano le Entrate.

Chi ha i requisiti per presentare il 730 può scegliere, in alternativa alla modalità tradizionale, la nuova compilazione semplificata per visualizzare le informazioni all’interno di un’interfaccia più facile da navigare grazie alle nuove sezioni famiglia, casa, lavoro, spese. In questo caso, dopo aver accettato o modificato i dati, sarà il sistema a inserirli automaticamente all’interno del modello.

Altra novità di quest’anno è la possibilità di ricevere eventuali rimborsi da 730 direttamente dall’Agenzia, anche in presenza di un sostituto d’imposta.

I dati 2024

Spese sanitarie, premi assicurativi, certificazioni uniche, bonifici per ristrutturazioni, interessi sui mutui nella top five dei dati precaricati dal Fisco, che ammontano quest’anno a circa 1 miliardo e 300 milioni. Tra le novità 2024, i dati relativi ai rimborsi per il “bonus vista” che si aggiungono alle voci già presenti negli anni scorsi: contributi previdenziali, spese universitarie, per gli asili nido, per gli interventi di ristrutturazione, erogazioni liberali, ecc.

pedopornografia

Pedopornografia: diminuente per i casi meno gravi Per la Corte Costituzionale, con riferimento al reato di pedopornografia, è illegittima la mancata previsione della diminuente per i casi di minore gravità

Pedopornografia e diminuente

Nella produzione di materiale pedopornografico è illegittima la mancata previsione della diminuente per i casi di minore gravità. Lo ha deciso la Corte costituzionale, con la sentenza n. 91-2024, dichiarando l’illegittimità dell’art. 600-ter, primo comma, numero 1), cod. pen., per violazione degli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost., nella parte in cui non prevede, per il reato di produzione di materiale pornografico mediante l’utilizzazione di minori di anni diciotto, che nei casi di minore gravità la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente i due terzi.

Nel rammentare la discrezionalità del legislatore nella individuazione delle condotte costitutive di reato e nella determinazione delle relative pene, quale massima espressione di politica criminale, il Collegio ha, al contempo, ribadito l’invalicabile limite della arbitrarietà e manifesta irragionevolezza.

Canone della proporzionalità

I Giudici hanno sottolineato che solo una pena rispettosa del canone della proporzionalità, calibrata sul disvalore del caso concreto, garantisce una effettiva individualizzazione della pena e la sua funzione rieducativa.

Alla luce di tali principi la Corte ha osservato che, “per il reato di produzione di materiale pedopornografico, la mancata previsione di una “valvola di sicurezza” che consenta al giudice di modulare la pena, onde adeguarla alla concreta gravità della singola condotta, può determinare l’irrogazione di una sanzione non proporzionata, in quanto la formulazione normativa dell’art. 600-ter, primo comma, numero 1), cod. pen., nella sua ampiezza, è idonea a includere, nel proprio ambito applicativo, condotte marcatamente dissimili, sul piano criminologico e del tasso di disvalore, alcune delle quali anche estranee alla ratio sottesa alla severa normativa in materia di pedopornografia; tanto più in presenza di una cornice edittale del reato caratterizzata – proprio nella giusta considerazione dell’elevato disvalore di tale tipologia di reati e per i pericoli agli stessi correlati – da un minimo di significativa asprezza, pari a sei anni di reclusione”.

Casi di minore gravità

La mancata previsione di una diminuente – analoga a quella prevista per i delitti di violenza sessuale e atti sessuali con minorenne – ha concluso la Corte, “preclude, infatti, al giudice di calibrare la sanzione al caso concreto che può essere riconducibile, pur nel suo innegabile disvalore, a un’ipotesi di minore gravità, individuabile grazie alla prudente valutazione globale del fatto in cui assumono rilievo le modalità esecutive e l’oggetto delle immagini pedopornografiche, il grado di coartazione esercitato sulla vittima (anche in riferimento alla mancanza di particolari tecniche di pressione e manipolazione psicologica o seduzione affettiva), nonché le condizioni fisiche e psicologiche di quest’ultima, pure in relazione all’età (e alla contenuta differenza con l’età del reo) e al danno, anche psichico, arrecatole”.

Allegati

Naspi: da restituire solo in parte se l’attività chiude La Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità della norma che non limita l'obbligo restitutorio dell'anticipazione della Naspi

Restituzione anticipazione Naspi

“Se la prosecuzione dell’attività imprenditoriale finanziata con l’anticipazione della Naspi diviene impossibile per cause non imputabili al percettore, la restituzione non è integrale ma è proporzionale alla durata del rapporto di lavoro subordinato instaurato nel periodo coperto dall’indennità”. Lo ha deciso la Consulta, con la sentenza n. 90-2024, dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 8, comma 4, del decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22, nella parte in cui non limita l’obbligo restitutorio dell’anticipazione della Nuova assicurazione sociale per l’impiego (NASpI) nella misura corrispondente alla durata del periodo di lavoro subordinato, quando il lavoratore non possa proseguire, per causa sopravvenuta a lui non imputabile, l’attività di impresa per la quale l’anticipazione gli è stata erogata.

La qlc

Nel caso di specie l’INPS aveva erogato la NASpI in via anticipata quale incentivo all’autoimprenditorialità a un lavoratore che aveva perso il posto di lavoro perché intraprendesse un’attività di esercizio di ristoro (un bar). In seguito, l’Istituto gli aveva richiesto l’integrale restituzione di tale incentivo perché il lavoratore, prima che terminasse il periodo per il quale la NASpI gli era stata accordata, aveva cessato di esercitare l’attività imprenditoriale a causa delle restrizioni per il COVID ed aveva trovato un’occupazione come lavoro subordinato a tempo indeterminato.

Integrale restituzione viola proporzionalità

La norma dichiarata incostituzionale stabiliva, infatti, che l’aver stipulato un contratto di lavoro subordinato nel periodo coperto dalla NASpI determinava in ogni caso l’obbligo di restituzione dell’intera somma anticipata. Ma – secondo la Corte costituzionale – “la previsione della integrale restituzione viola il principio di proporzionalità e ragionevolezza, nonché il diritto al lavoro, di cui agli articoli 3 e 4 della Costituzione, allorché l’attività imprenditoriale non sia proseguita per «impossibilità sopravvenuta o insuperabile oggettiva difficoltà», come nel caso delle restrizioni per il COVID”.

I giudici delle leggi hanno osservato in sentenza che “in tale evenienza – ossia nel caso in cui l’attività imprenditoriale sia stata effettivamente iniziata e proseguita per un apprezzabile periodo di tempo, grazie all’utilizzo dell’incentivo all’autoimprenditorialità – la finalità antielusiva, cui la disposizione mira, risulta soddisfatta. Rileva quindi che il percettore dell’anticipazione si sia trovato nella situazione di non poter proseguire l’attività imprenditoriale per causa a lui non imputabile e quindi senza colpa”.

In tale evenienza, ha concluso la Corte, “va riproporzionato l’obbligo restitutorio in misura corrispondente alla durata del rapporto di lavoro subordinato instaurato nel periodo coperto dall’indennità NASpI, in quanto solo con riferimento a tale periodo la NASpI risulta priva di causa e quindi indebita”.

Inoltre la Consulta, confermando una sua precedente decisione (n. 194 del 2021) sulla stessa norma, ha anche ribadito che, invece, “non rileva il rischio d’impresa che grava sul lavoratore il quale preferisca l’anticipazione dell’intera NASpI spettante all’erogazione periodica. L’eventuale mancato successo dell’iniziativa imprenditoriale non esonera dalla restituzione integrale dell’anticipazione nel caso di costituzione di un rapporto di lavoro subordinato nel periodo al quale si riferisce la NASpI”.

Allegati

giurista risponde

Legittimità costituzionale art. 167 c.p.m.p. È costituzionalmente legittimo l’art. 167 c.p.m.p. nonostante non preveda attenuazioni della pena per i fatti di sabotaggio di lieve entità?

Quesito con risposta a cura di Alessia Bruna Aloi, Beatrice Doretto, Antonino Ripepi, Serena Suma e Chiara Tapino

 

L’art. 167, comma 1, cod. pen. mil. pace deve, dunque, essere dichiarato costituzionalmente illegittimo, nella parte in cui non prevede che la pena sia diminuita se il fatto di rendere temporaneamente inservibili, in tutto o in parte, navi, aeromobili, convogli, strade, stabilimenti, depositi o altre opere militari o adibite al servizio delle Forze armate dello Stato risulti, per la particolare tenuità del danno causato, di lieve entità. – Corte cost. 2 dicembre 2022, n. 244

La Corte di cassazione ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., q.l.c. dell’art. 167 c.p.m.p., censurandolo nella parte in cui non prevede, nell’ipotesi di sabotaggio per temporanea inservibilità, attenuazioni della pena per fatti di lieve entità. Si ritiene violato il principio di uguaglianza nella misura in cui il menzionato art. 167 punisce le medesime condotte previste dall’art. 253 c.p. con l’unica differenza relativa al soggetto attivo (nel primo caso, il militare; nel secondo, chiunque); tuttavia, al delitto previsto dall’art. 253 c.p. sarebbe applicabile l’attenuante di cui all’art. 311 c.p., mentre analoga circostanza non è contemplata dal codice penale militare di pace, lacuna non superabile in via interpretativa. In secondo luogo, si paventa la violazione del principio di proporzionalità in quanto il citato art. 167 prevede una sanzione fissa e inderogabile, improntata nel minimo edittale ad asprezza eccezionale, senza possibilità di mitigare, in funzione del concreto disvalore del fatto, il severo trattamento sanzionatorio contemplato. Di conseguenza, l’impossibilità di individualizzare quest’ultimo risulta in contrasto con l’art. 27, comma  3, Cost., secondo la consolidata giurisprudenza costituzionale (Corte cost. 5 dicembre 2018, n. 222).

La Corte costituzionale muove dalla ricognizione delle numerose dichiarazioni di illegittimità costituzionale, per contrasto con l’art. 3 Cost., di previsioni dalle quali discendeva per il militare un trattamento sanzionatorio deteriore rispetto a quello riservato al comune cittadino (es. la mancata previsione del rilievo scusante, anche nell’ordinamento militare, dell’ignoranza inevitabile della legge penale: Corte cost. 24 febbraio 1995, n. 61).

Da tale giurisprudenza può evincersi che, in linea di principio, una differenza di trattamento sanzionatorio tra reati militari e corrispondenti reati comuni è irragionevole a fronte della sostanziale identità della condotta punita, dell’elemento soggettivo e del bene giuridico tutelato.

Differenze di trattamento sanzionatorio tra reati comuni e i corrispondenti reati militari non si pongono, invece, in contrasto con il principio di uguaglianza laddove siano giustificabili in ragione della oggettiva diversità degli interessi tutelati dalle disposizioni che vengono a raffronto, o del particolare rapporto che lega il soggetto agente al bene tutelato, come nell’ipotesi delle norme incriminatrici che puniscono fatti commessi da militari nei confronti di altri militari, allo scopo di salvaguardare la coesione interna alle Forze armate e le delicate funzioni attribuite.

La Corte costituzionale, dunque, disattende le osservazioni del giudice rimettente in merito alla pedissequa sovrapponibilità degli artt. 253 c.p. e 167 c.p.m.p., in quanto ogni appartenente alle Forze armate, a differenza del comune cittadino, è responsabile dell’installazione militare e della sua custodia ai sensi dell’art. 723, D.P.R. 90/2010 ed è, dunque, gravato da precisi doveri di diritto pubblico.

Tuttavia, la mancata previsione di una causa di attenuazione del trattamento sanzionatorio per i fatti di lieve entità ricompresi nel perimetro applicativo dell’art. 167 c.p.m.p. viola il principio di proporzionalità della pena. Sono ipotizzabili, infatti, sabotaggi di lieve entità consistenti, a titolo esemplificativo, nel rendere meramente inservibili, in tutto o in parte, anche temporaneamente, le cose elencate nell’art. 167 c.p.m.p., come nel caso del rifornimento con carburante non idoneo.

L’assenza, in tale ultimo codice, di una circostanza attenuante equiparabile all’art. 311 c.p. comporta che il tribunale militare sia vincolato ad applicare la pena della reclusione non inferiore a otto anni anche rispetto a condotte del militare che non provochino alcun disservizio significativo.

La soluzione non può consistere nell’estensione, al delitto di cui all’art. 167 c.p.m.p., della circostanza attenuante prevista dall’art. 311 c.p., poiché quest’ultimo non costituisce idoneo tertium comparationis. Appare, invece, più corretto richiamare l’art. 171, n. 2), c.p.m.p. laddove prevede che la pena sia diminuita (nella misura sino a un terzo ex art. 51, n. 4, c.p.m.p.) “se, per la particolare tenuità del danno, il fatto risulta di lieve entità”; la disposizione dev’essere estesa al solo frammento dell’art. 167 c.p.m.p. concernente le condotte di sabotaggio temporaneo, consistenti nel rendere temporaneamente inservibili, in tutto o in parte, le cose elencate dallo stesso art. 167.

Ne discende la declaratoria di illegittimità costituzionale dell’art. 167 c.p.m.p. “nella parte in cui non prevede che la pena sia diminuita se il fatto di rendere temporaneamente inservibili, in tutto o in parte, navi, aeromobili, convogli, strade, stabilimenti, depositi o altre opere militari o adibite al servizio delle Forze armate dello Stato risulti, per la particolare tenuità del danno causato, di lieve entità”.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Corte cost. 8 luglio 2021, n. 143; Corte cost. 17 luglio 2017, n. 205;
Corte cost. 18 aprile 2014, nn. 105 e 106; Corte cost. 15 novembre 2012, n. 251;
Corte cost. 23 marzo 2012, n. 68
ingresso illegale immigrati

Immigrazione: l’ingresso illegale resta reato La Consulta ha ritenuto legittima l'omessa depenalizzazione del reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato previsto dal Testo Unico Immigrazione

Ingresso illegale

L’articolo 1, comma 4, del decreto legislativo n. 8/2016, che esclude dalla depenalizzazione il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato previsto dal testo unico immigrazione, non si pone in contrasto con il principio direttivo della legge delega attinente alla cosiddetta depenalizzazione “cieca”, rivolto a depenalizzare i reati puniti con la sola pena pecuniaria. Lo ha deciso la Consulta con la sentenza n. 88-2024.

La questione di legittimità costituzionale

In particolare, la Corte ha rigettato la questione sollevata dal Tribunale di Firenze, secondo cui la disposizione censurata violerebbe l’articolo 76 Cost. perché la legge n. 67 del 2014, “delegando in tal senso il Governo a depenalizzare i suddetti reati, avrebbe incluso tra essi anche quello di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato, in quanto anch’esso punito con la sola pena pecuniaria dell’ammenda”.

La Corte ha precisato che la legge delega, al fine di selezionare i reati che avrebbero dovuto essere depenalizzati, ha utilizzato due criteri: – quello della depenalizzazione “cieca”, che prevede la trasformazione in illeciti amministrativi dei reati puniti con la pena pecuniaria, a eccezione di quelli riconducibili ad alcune materie, e quello della depenalizzazione nominativa, che prevede la medesima trasformazione per taluni reati specificamente individuati.

Il reato di ingresso e soggiorno illegale nel territorio dello Stato è compreso tra questi ultimi, con la conseguenza – ha concluso la Consulta – che, “il censurato articolo 1, comma 4, del d.lgs. n. 8 del 2016, laddove stabilisce che la «disposizione del comma 1 non si applica ai reati di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286», non si pone in contrasto con il principio direttivo attinente alla depenalizzazione “cieca”, evocato dal rimettente come norma interposta”.

Allegati

codice tributo avvocati mediazione

Credito d’imposta avvocati mediazione: pronto il codice tributo L'Agenzia delle Entrate ha istituito il codice tributo per l'uso del credito d'imposta spettante all'avvocato del soggetto ammesso al gratuito patrocinio nelle procedure conciliative

Codice tributo avvocati mediazione

L’Agenzia delle Entrate, con la risoluzione n. 24-2024 ha istituito il codice tributo per l’utilizzo, tramite modello F24, del credito d’imposta spettante all’avvocato della parte ammessa al gratuito patrocinio nelle procedure di mediazione e negoziazione assistita, in conformità a quanto previsto dalla normativa in materia (art. 15-octies Dlgs n. 28/2010, art. 11-octies Dl 132/2014, art. 9 decreto giustizia e finanze 1.8.2023).

In particolare, per consentire l’utilizzo in compensazione da parte dei beneficiari del credito di imposta in parola, “tramite modello F24 da presentare esclusivamente attraverso i servizi telematici messi a disposizione dall’Agenzia delle entrate, pena il rifiuto dell’operazione di versamento”, il fisco ha istituito il codice tributo “7070” – denominato “Credito d’imposta – patrocinio a spese dello Stato nella mediazione civile e commerciale e negoziazione assistita nei casi previsti dagli articoli 5, comma 1, e 5-quater, del decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28 e dall’articolo 3 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132”.

Codice tributo nel modello F24

Nel modello F24, il codice tributo si trova nella sezione “Erario”, in corrispondenza delle somme indicate nella colonna “importi a credito compensati”, ovvero, nei casi in cui il contribuente debba procedere al riversamento dell’agevolazione, nella colonna “importi a debito versati”.  Nel campo “anno di riferimento” è valorizzato invece l’anno di riconoscimento del credito, nel formato “AAAA”, indicato nel cassetto fiscale. L’Agenzia procederà alla verifica successiva della presenza dei contributo nell’elenco dei beneficiari trasmesso dal ministero e dell’ammontare del credito usato in compensazione.

lieve entità rapina

Reato di rapina: sì alla lieve entità La Consulta ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 628 c.p. nella parte in cui non prevede l'attenuante per la particolare tenuità del danno o del pericolo

Illegittimità costituzionale art. 628 c.p.

Ok alla lieve entità del fatto anche per il reato di rapina. Così la Corte Costituzionale che, con la sentenza n. 86-2024, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 628, secondo comma, del codice penale, nella parte in cui non prevede che la pena da esso comminata per la rapina c.d. impropria è diminuita in misura non eccedente un terzo quando per la natura, la specie, i mezzi, le modalità o circostanze dell’azione, ovvero per la particolare tenuità del danno o del pericolo, il fatto risulti di lieve entità.

Conseguentemente, la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del primo comma dell’art. 628, relativo alla rapina c.d. propria, nella parte in cui non prevede la medesima attenuante.

La questione di legittimità costituzionale

Oggetto del giudizio a quo è l’imputazione di rapina impropria ascritta a due soggetti che avrebbero prelevato dagli scaffali di un supermercato alcuni generi alimentari di modesto valore e sarebbero riusciti a sottrarsi all’intervento del personale dell’esercizio commerciale mediante qualche generica frase di minaccia e una spinta, per essere infine rintracciati nei pressi dell’esercizio stesso mentre consumavano del pane.

La “valvola di sicurezza”

La Corte ha osservato che in simili fattispecie il minimo edittale di pena detentiva per la rapina, dal legislatore innalzato alla misura di cinque anni di reclusione, può costringere il giudice a irrogare una sanzione in concreto sproporzionata, sicché gli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, della Costituzione esigono l’introduzione di una diminuente ad effetto comune, fino ad un terzo, quale “valvola di sicurezza” per i fatti di lieve entità.

Si tratta dell’estensione alla rapina di quanto deciso dalla sentenza n. 120/2023 per l’estorsione, reato caratterizzato anch’esso dall’elevato minimo edittale di cinque anni di reclusione e, nel contempo, dalla possibilità di consumazione tramite condotte di minimo impatto, personale e patrimoniale.

Tale estensione, sottolinea infine il giudice delle leggi, “consegue sia al principio di uguaglianza, nel trattamento sanzionatorio della rapina e dell’estorsione, sia ai principi di individualizzazione e finalità rieducativa della pena, i quali ostano all’irrogazione di sanzioni sproporzionate rispetto alla gravità concreta del fatto di reato”.

Allegati

certificato pensione INPS obisM

Certificato di pensione Inps (ObisM) Cos'è il certificato di pensione Inps (ObisM), come si ottiene e le novità dell'ObisM 2024 messo online dall'istituto

Cos’è il Certificato di pensione INPS (ObisM)

Il certificato di pensione INPS (modello ObisM) è messo a disposizione, tra i servizi online al cittadino dell’istituto per i beneficiari di prestazioni previdenziali e assistenziali.

Il certificato di pensione è disponibile per i pensionati di tutte le gestioni, compresa la gestione ex INPGI 1, confluita all’INPS con effetto dal 1° luglio 2022, ai sensi dell’articolo 1, comma 103, della legge 30 dicembre 2021, n. 234 (legge di Bilancio 2022). Non viene predisposto, invece, per le prestazioni di accompagnamento a pensione (ad es. Ape Social, Isopensioni, ecc.), che, non avendo natura di trattamento pensionistico, non vengono annualmente rivalutate e continuano ad essere corrisposte nella stessa misura per tutta la loro durata.

Il modello ObisM viene pubblicato annualmente, tenendo conto delle attività generalizzate di rivalutazione delle pensioni e delle prestazioni assistenziali:

Dal 2021, il certificato è disponibile in modalità dinamica, per cui le informazioni risultano aggiornate all’atto della richiesta.

ObisM 2024

Il certificato di pensione per l’anno 2024, disponibile online dal 9 maggio 2024, è stato implementato, spiega l’istituto nel messaggio 9 maggio 2024, n. 1772., “con le informazioni relative alle seguenti novità:

  • incremento delle pensioni di importo pari o inferiore al trattamento minimo (art. 1, comma 310, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 – legge di Bilancio 2023) riconosciuto, per il 2024, nella misura del 2,7% senza distinzione di età del percipiente, ai titolari di un trattamento pensionistico lordo complessivo in pagamento di importo inferiore o pari al trattamento minimo per ciascuna delle mensilità fino a dicembre 2024, compresa la tredicesima mensilità;
  • pensione anticipata flessibile (art. 1, comma 283, della legge 29 dicembre 2022, n. 197 – legge di Bilancio 2023), riconosciuta in via sperimentale per l’anno 2023, al raggiungimento di un’età anagrafica di 62 anni e un’anzianità contributiva di almeno 41 anni e perfezionamento dei requisiti entro il 31 dicembre 2023;
  • applicazione del nuovo sistema di calcolo per scaglioni e aliquote ai fini IRPEF, di cui al decreto legislativo 30 dicembre 2023, n. 216 (cfr. il messaggio n. 755 del 20 febbraio 2024)”.

Come ottenerlo

È possibile ottenere il modello ObisM, accedendo al “Fascicolo previdenziale del cittadino”, sul sito INPS, accreditandosi tramite i consueti canali:

  • SPID di secondo livello (Sistema Pubblico di Identità Digitale);
  • CIE 3.0 (Carta di Identità Elettronica);
  • CNS (Carta Nazionale dei Servizi);
  • PIN dispositivo rilasciato dall’Istituto solo per i residenti all’estero non in possesso di un documento di riconoscimento italiano e, pertanto, impossibilitati a richiedere le credenziali SPID;
  • eIDAS (electronic IDentification Authentication and Signature).
arretrati giustizia pnrr

PNRR: calano arretrato e durata dei processi Il ministero della Giustizia informa che i dati 2023 confermano il trend di calo della durata dei processi e dello smaltimento dell'arretrato

PNRR riduzione durata processi e arretrato

Prosegue la riduzione della durata dei processi e dell’arretrato, in linea con gli obiettivi concordati con l’Europa.  Questo il quadro che emerge dalla Relazione sul monitoraggio statistico degli indicatori PNRR, aggiornata al 2023, curata dalla Direzione generale di statistica e analisi organizzativa (DgSTat) del Dipartimento per la transizione digitale della giustizia l’analisi statistica e le politiche di coesione del Ministero della Giustizia e pubblicata da via Arenula sul proprio sito.

Riduzione tempi civile e penale

I dati annuali del disposition time confermano la tendenza osservata nel I semestre, al netto di fisiologiche oscillazioni dovute all’effetto del periodo feriale.

A fine 2023 la riduzione rispetto al 2019 (anno base di riferimento del PNRR) era pari a:

-17,4% nel settore civile

-25,0% in quello penale

Una diminuzione più consistente nel settore penale (-16,6%), ma apprezzabile anche in quello civile (-6,4%) confrontando i dati del 2022.

Nel penale il risultato complessivo si conferma in linea con il target PNRR (-25% entro giugno 2026) anche in termini di aumento dei procedimenti definiti (+3,9% rispetto al 2019) che nell’ultimo ha avuto una accelerazione (+7 ,6% rispetto al 2022) grazie anche all’impatto della Cartabia.

Anche sul fronte Cassazione, il disposition time 2023 ha raggiunto i 110 giorni, un valore inferiore alla media dei paesi del Consiglio d’Europa.

Più contenuto il calo in civile ma comunque positivo l’aumento dei procedimenti definiti (pari all’1,6%). Non bene le definizioni in tribunale e in Corte d’appello, dato che, precisa il ministero, “andrà monitorato nella prospettiva del raggiungimento dell’obiettivo concordato di riduzione del disposition time complessivo del 40% entro giugno 2026”.

Smaltimento arretrato

Sul fronte arretrato, gli accordi rimodulati, tra via Arenula e Commissione Europea, prevedono “un obiettivo  intermedio  di  riduzione del  95%  dell’arretrato 2019  entro  il 31.12.2024 e un obiettivo finale di riduzione, entro il 30.06.2026, del 90% dei procedimenti civili pendenti al 31.12.2022, iscritti dal 01.01.2017 presso i Tribunali e dal 01.01.2018 presso le Corti di Appello”.

Lo smaltimento delle pendenze rilevanti ai fini del raggiungimento dell’obiettivo intermedio a fine 2023 (-85% in tribunale e – 97,1% in Corte d’appello) risulta più che completato per le Corti di Appello e quasi completato per i Tribunali. Il trend tuttavia, specifica via Arenula, “per garantire il raggiungimento degli obiettivi finali – deve essere mantenuto con – una dinamica di smaltimento robusta” anche nei prossimi anni.

La riduzione dell’arretrato “cosiddetto Pinto” rispetto al 2019 è pari al 24,7% in Tribunale ed al 37,7% in Corte di Appello.

Prossimo aggiornamento ottobre 2024

Complessivamente, dunque, i dati confermano, conclude il ministero, “lo sforzo importante che gli uffici giudiziari stanno compiendo nell’abbattimento delle pendenze e dell’arretrato, frutto anche dei cambiamenti organizzativi attuati con l’arrivo degli addetti all’Ufficio per il processo”.

La Relazione viene inviata alla Commissione europea due volte all’anno e i dati sono pubblicati sul sito del Ministero della giustizia. Il prossimo aggiornamento, relativo al I semestre 2024, sarà ora pubblicato ad ottobre.

giurista risponde

Legittimità costituzionale art. 649 c.p.p. È costituzionalmente legittimo l’art. 649 c.p.p. nella parte in cui non prevede che il giudice pronunci sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti di un imputato per uno dei delitti previsti dall’art. 171ter della L. 663/1941 che, in relazione al medesimo fatto, sia già stato sottoposto a procedimento, per l’illecito amministrativo di cui all’art. 174bis della medesima legge?

Quesito con risposta a cura di Alessia Bruna Aloi, Beatrice Doretto, Antonino Ripepi, Serena Suma e Chiara Tapino

 

È costituzionalmente illegittimo l’art. 649 c.p.p. nella parte in cui non prevede che il giudice pronunci sentenza di proscioglimento o di non luogo a procedere nei confronti di un imputato per uno dei delitti previsti dall’art. 171ter della L. 663/1941 che, in relazione al medesimo fatto, sia già stato sottoposto a procedimento, definitivamente conclusosi, per l’illecito amministrativo di cui all’art. 174bis della medesima legge. – Corte Cost. 16 giugno 2022, n. 149.

La L. 633/1941, in materia di diritto d’autore, disciplina un doppio binario sanzionatorio per le medesime condotte illecite: da un lato, l’art. 171ter contempla un illecito penale; dall’altro, l’art. 174bis prevede un illecito amministrativo. Questo duplice apparato sanzionatorio ha portato a sollevare una questione di legittimità costituzionale per violazione del divieto di bis in idem di cui all’art. 649 c.p.p. in relazione all’art. 117, comma 1, Cost. e all’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU. Il giudice remittente non pone in discussione la coesistenza delle due norme sanzionatorie, né la loro concreta applicabilità, ma si limita ad invocare un rimedio idoneo ad evitare lo svolgimento o la prosecuzione di un giudizio penale, allorché l’imputato sia già stato sanzionato in via definitiva per il medesimo fatto con la sanzione amministrativa prevista dall’art. 174bis della L. 633/1941. Tale rimedio viene individuato dal giudice remittente nella pronuncia di proscioglimento o non luogo a procedere, già prevista in via generale dall’art. 649 c.p.p., per il caso in cui l’imputato sia già stato giudicato penalmente, in via definitiva, per il medesimo fatto.

La Corte ha ritenuto la questione fondata. Il diritto al ne bis in idem mira a tutelare l’imputato non solo contro la prospettiva dell’inflizione di una seconda pena, ma ancor prima contro l’eventualità di subire un secondo processo per il medesimo fatto, a prescindere dall’esito di quest’ultimo che potrebbe anche essersi concluso con un’assoluzione. I presupposti per l’operatività del ne bis in idem sono: la sussistenza di un idem factum, identificato nei medesimi fatti materiali sui quali si fondano le due accuse penali, indipendentemente dalla loro qualificazione giuridica; la sussistenza di una previa decisione che riguardi il merito della responsabilità penale dell’imputato e sia divenuta irrevocabile; la sussistenza di un bis, ossia di un secondo procedimento o processo di carattere penale per i medesimi fatti. Inoltre, la costante giurisprudenza europea (Corte EDU, Zolotoukhine c. Russia, 10 febbraio 2009; Corte EDU, A e B c. Norvegia, 15 novembre 2016) afferma non sia decisiva la qualificazione della procedura e della sanzione come “penale” da parte dell’ordinamento nazionale, ma la sua natura sostanzialmente “punitiva” da apprezzarsi sulla base dei criteri Engel. La Corte EDU ha affermato, nella citata pronuncia A e B c. Norvegia, che non necessariamente dà luogo ad una violazione del ne bis in idem l’inizio o la prosecuzione di un secondo procedimento di carattere sostanzialmente punitivo, in relazione a un fatto per il quale una persona sia già stata giudicata, in via definitiva, nell’ambito di un diverso procedimento, anch’esso di carattere sostanzialmente punitivo. Una tale violazione è infatti esclusa qualora tra i due procedimenti vi sia una “connessione sostanziale e temporale sufficientemente stretta”. Al fine di ravvisare la suddetta connessione è necessario verificare: se i diversi procedimenti perseguano scopi complementari; se la duplicità dei procedimenti in conseguenza della stessa condotta sia prevedibile; se i due procedimenti siano condotti in modo tale da evitare la duplicazione nella raccolta e nella valutazione delle prove; se siano previsti dei meccanismi che consentano nel secondo procedimento di tenere in considerazione la sanzione inflitta nel primo.

Nel caso in esame è indubbia la natura punitiva delle sanzioni amministrative, previste dall’art. 174bis della L. 633/1941, alla luce dei criteri Engel e della stessa giurisprudenza costituzionale. La Corte sostiene che non vi sia alcun dubbio sul fatto che il sistema normativo, previsto dalla L. 633/1941, consenta al destinatario dei suoi precetti di prevedere la possibilità di essere assoggettato a due procedimenti distinti e a due conseguenti classi di sanzioni. Tuttavia, deve escludersi che i due procedimenti perseguano scopi complementari o riguardino diversi aspetti del comportamento illecito. La sanzione amministrativa persegue l’intenzione di potenziare l’efficacia general-preventiva dei divieti già contenuti nella legge. Quanto alle condotte sanzionate, gli artt. 171ter e 174bis della L. 633/1941 puniscono i medesimi fatti, con l’eccezione delle condotte colpose aventi rilevanza solo amministrativa. Il sistema normativo non prevede alcun meccanismo volto ad evitare duplicazioni nella raccolta e nella valutazione delle prove e ad assicurare una coordinazione temporale fra i procedimenti. Non è previsto, inoltre, alcun meccanismo che consenta al giudice penale di tenere conto della sanzione amministrativa già irrogata per i medesimi fatti. Da tutto ciò discende che il sistema del doppio binario in esame non è congegnato in maniera tale da assicurare una risposta sanzionatoria unitaria agli illeciti in materia di violazioni del diritto d’autore. I due procedimenti seguono percorsi autonomi che non si intersecano né si coordinano, creando così le condizioni per il verificarsi di violazioni sistemiche del diritto al ne bis in idem.

Per questi motivi i giudici costituzionali – rilevata la violazione del ne bis in idem – hanno reputato di potervi porre parzialmente rimedio mediante la dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 649 c.p.p. Ciononostante, la Corte si è dichiarata consapevole della circostanza che il rimedio adottato non sia in grado di scongiurare le violazioni del ne bis in idem nell’ipotesi in cui sia dapprima divenuta definitiva la sanzione penale ed il cittadino venga sottoposto successivamente a procedimento amministrativo. Di conseguenza, la Consulta ha auspicato una rimeditazione complessiva dei vigenti sistemi di doppio binario sanzionatorio ad opera del legislatore, in modo tale da adeguarli ai principi enunciati dalla giurisprudenza sovranazionale e nazionale.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Corte cost. 43/2018; Corte cost. 222/2019; Corte cost. 145/2020