usucapione buona fede

Usucapione e buona fede Per aversi usucapione la buona fede è richiesta solo nelle c.d. forme speciali, mentre l’usucapione ordinaria esige solo il possesso e il decorso di un certo periodo di tempo

L’usucapione come modo di acquisto della proprietà

L’usucapione è un particolare modo di acquisto della proprietà a titolo originario (cioè, indipendente dal diritto del precedente titolare), che, nella sua configurazione ordinaria, ha come elementi costitutivi il possesso e il decorso di un determinato periodo di tempo.

Il codice civile individua anche altre ipotesi di usucapione, cosiddette abbreviate o speciali, che esigono la sussistenza di due ulteriori elementi: la buona fede del possessore e l’esistenza di un titolo idoneo al trasferimento del diritto di proprietà.

Perché si verifichi l’usucapione la buona fede non è pertanto sempre indispensabile. In questa breve guida proponiamo un esame delle varie ipotesi in cui il possesso di un bene, unitamente ad altri elementi, determina l’acquisto della proprietà.

Usucapione di buona fede e ordinaria

La principale ipotesi ordinaria di usucapione è quella prevista dall’art. 1158 c.c., secondo cui la proprietà su beni immobili si acquista con il possesso ventennale del bene. Come si vede, in questo caso la buona fede non è un elemento richiesto perché si verifichi l’acquisto della proprietà.

Sempre riguardo ai beni immobili, l’art. 1159 c.c. descrive le condizioni per l’usucapione abbreviata. Rimane indispensabile il possesso del bene, ma i termini sono abbreviati a dieci anni, se sussistono anche i seguenti ulteriori elementi: l’acquisto in buona fede da un soggetto diverso dal proprietario, in forza di un titolo idoneo a trasferire la proprietà che sia stato trascritto nei registri immobiliari.

La trascrizione, diversamente da quanto accade di solito, ha in questo caso valenza costitutiva ai fini dell’esistenza del diritto: i dieci anni necessari all’usucapione di buona fede iniziano a decorrere, infatti, proprio dalla trascrizione del titolo.

L’usucapione di beni mobili

Sotto diversi aspetti, l’usucapione di buona fede ha molti punti in comune con la disciplina prevista dall’art. 1153 con riferimento ai beni mobili, con la differenza che in quest’ultimo caso per l’acquisto a non domino non è richiesto il decorso di un certo periodo di tempo (in ciò si integra la c.d. regola “possesso vale titolo”, che non vale per i beni immobili, universalità di mobili e mobili registrati, per i quali è prevista solo l’usucapione).

Ancora diversa è l’usucapione di beni mobili, disciplinata dall’art. 1161 c.c., secondo cui, anche quando manchi un titolo idoneo a trasferire la proprietà, il possesso del bene può comportare l’acquisto della proprietà se fu acquistato in buona fede e sia continuato per dieci anni.

In mancanza di buona fede al momento dell’acquisto del possesso, l’usucapione del bene mobile si acquista con il possesso continuato per venti anni.

Giova ricordare che, per aversi buona fede, è necessario che l’accipiente ignori che il bene non appartiene al soggetto da cui ha (rectius: suppone di aver) acquistato il bene.

Altri casi di usucapione con buona fede

Analoga distinzione tra usucapione ordinaria e usucapione di buona fede è individuata dall’art. 1159-bis con riferimento ai fondi rustici con annessi fabbricati (in tal caso il periodo di tempo richiesto è, rispettivamente, di quindici e di cinque anni).

L’usucapione di universalità di mobili si compie parimenti in venti anni, mentre in via abbreviata sono sufficienti dieci anni se c’è buona fede (art. 1160; in tali casi, come noto, non è prevista la trascrizione del titolo).

L’art. 1162, infine, disciplina l’acquisto per usucapione dei beni mobili registrati (navi, automobili, etc.), che si compie in soli tre anni dalla trascrizione del titolo, se vi è buona fede, altrimenti in dieci anni se sussiste il solo possesso ma manca il titolo o la buona fede.

 

 

istanza di riesame misura cautelare

Istanza di riesame di misura cautelare fac-simile Fac-simile di richiesta di riesame di misura cautelare ex art. 309 c.p.p., con breve rassegna dei possibili motivi a sostegno dell’istanza

Misure cautelari e richiesta di riesame ex art. 309 c.p.p.

Le misure cautelari possono essere applicate a carico dell’indagato e comportano limitazioni di carattere personale o reale.

In caso di applicazione di misure cautelari, l’imputato o il suo difensore possono ricorrere in appello o presentare istanza di riesame di misura cautelare, per ottenere in tempi brevi (dieci giorni dalla ricezione della richiesta) una pronuncia in merito.

Di seguito vi proponiamo un fac-simile della richiesta di riesame di misura cautelare coercitiva, sulla scorta delle previsioni dell’art. 309 c.p.p., che disciplina compiutamente l’istituto del riesame.

Fac-simile istanza di riesame

Tribunale Penale di …………..

Sezione per il Riesame

Istanza di riesame ex art. 309 c.p.p.

Il sottoscritto Avv. ……………………. del Foro di ………….. con studio in ………………… alla via …………………… n. ………., difensore del sig. ……………….. c.f. ……………………………. nato il …………………. in ………………………. e residente in …………….alla via …………………….n. ………, indagato/imputato nel procedimento penale in epigrafe per i reati previsti dagli artt. ………………………..,  attualmente detenuto presso la casa circondariale di …………………. (o indicare il luogo di permanenza coatta agli arresti domiciliari),

formula istanza di

RIESAME

dell’ordinanza n. ……………, emessa in data …………………… dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di …………………… e notificata (od eseguita) in data ……………………… con la quale è stata applicata nei confronti di …………………….. la misura cautelare ………………………………. (ad es.: della custodia cautelare in carcere).

La presente istanza è formulata in base ai seguenti

MOTIVI

1) …………..

2) …………..

3) …………..

(Tra i motivi che possono giustificare la presentazione dell’istanza di riesame, è possibile indicare, a mero titolo di esempio:

  • l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 c.p.p. primo comma, o la presenza di cause di giustificazione o di non punibilità oppure la sussistenza di una causa di estinzione del reato o di una causa di estinzione della pena che si ritiene possa essere irrogata (v. art 273 c.p.p., ultimo comma);
  • l’insussistenza delle esigenze cautelari attinenti alle indagini relative ai fatti per i quali si procede, che a norma dell’art. 274 c.p.p. comma 1, lett. a) devono essere specifiche ed inderogabili, in relazione a situazioni di concreto e attuale pericolo per l’acquisizione o la genuinità della prova e fondate su circostanze di fatto (queste ultime da indicarsi espressamente nel provvedimento, a pena di nullità rilevabile anche d’ufficio);
  • quando non vi sia un concreto ed attuale pericolo di fuga dell’imputato/indagato (art. 274, comma 1, lett. b);
  • quando la misura adottata non sia ritenuta proporzionata all’entità del fatto e alla sanzione che sia stata o si ritiene possa essere irrogata, come disposto dall’art. 275 c.p.p. comma secondo; al riguardo, va ricordato anche che, in base al primo comma di tale articolo, il giudice, nel disporre le misure, deve tenere conto della specifica idoneità di ciascuna misura in relazione alla natura e al grado delle esigenze cautelari da soddisfare nel caso concreto e che, in base al comma terzo, la custodia cautelare in carcere può essere disposta soltanto se le altre misure coercitive o interdittive, anche se applicate cumulativamente, risultino inadeguate).

Tanto premesso e considerato, l’Avv. ……………………..

CHIEDE

che il Tribunale Penale adito voglia, in accoglimento dei motivi sopraindicati, annullare l’ordinanza n. …………………., emessa in data ……………….. dal G.I.P. presso il Tribunale di ………………….., o, in subordine, riformarla, sostituendo la misura della custodia cautelare in carcere con altra misura cautelare meno afflittiva per l’indagato.

Con espressa riserva di enunciare nuovi motivi ex art. 309 comma 6 c.p.p.

Con osservanza,

Luogo e data

Avv. ……………………………………..

omessa ripetizione di denuncia armi

Omessa ripetizione di denuncia armi All’omessa ripetizione di denuncia di armi in occasione della variazione del luogo di detenzione dell’arma non si applica il termine di 72 ore

Detenzione di un’arma e omessa ripetizione della denuncia

L’omessa ripetizione della denuncia di armi, quando si trasferisce l’arma in un luogo di detenzione diverso da quello originariamente comunicato alla polizia o ai carabinieri, comporta l’applicazione delle sanzioni previste dal Tulps (Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza, R.D. 773/1931).

Diversamente dalla prima denuncia, che va fatta quando si ha la materiale acquisizione di un’arma, la ripetizione della denuncia va fatta immediatamente, e non nel termine di 72 ore.

Denuncia della detenzione di armi e munizioni

Per comprendere meglio quanto appena esposto, occorre fare riferimento alla normativa che disciplina la detenzione di un’arma (o di munizioni ed esplosivi).

In base all’art. 38 Tulps, primo comma, chiunque viene in possesso di armi, munizioni o materie esplodenti deve farne denuncia all’ufficio locale di pubblica sicurezza o, quando questo manchi, al locale comando dell’Arma dei carabinieri, entro le 72 ore successive alla acquisizione della loro materiale disponibilità (oggi anche per via telematica, con una PEC).

Tale norma è completata dalla disposizione di dettaglio prevista dall’art. 58 del Regolamento di esecuzione del Tulps, che prevede che la denuncia deve contenere indicazioni precise circa le caratteristiche delle armi, delle munizioni e delle materie esplodenti.

In particolare, alle Forze di Polizia deve essere comunicato l’indirizzo del luogo in cui si custodisce l’arma.

Trasferimento di un’arma e ripetizione della denuncia

In base al terzo comma dell’art. 58 Reg. Esec. Tulps, in caso di trasferimento di tale materiale  in una diversa località da quella indicata nella denuncia, il possessore doveva ripetere la denuncia di cui all’art. 38 presso gli uffici di P.S. o dei Carabinieri della località in cui il materiale stesso è stato trasportato.

Questa disposizione aveva fatto insorgere dei dubbi applicativi, in quanto si era diffusa la convinzione che, se la detenzione dell’arma veniva spostata in un luogo che si trovava all’interno della stessa circoscrizione di competenza dell’ufficio che aveva ricevuto la prima denuncia, non fosse necessario procedere alla ripetizione della denuncia.

A tali dubbi aveva risposto  D. Lgs. 204/2010, aggiungendo un ultimo comma all’art. 38 Tulps, secondo cui la denuncia di detenzione deve essere ripresentata ogni qual volta il possessore trasferisca l’arma in un luogo diverso da quello indicato nella precedente denuncia.

Come si vede, la scelta linguistica di utilizzare la parola “luogo”, invece di “località”, ha sciolto ogni dubbio, chiarendo che la ripetizione della denuncia è necessaria in occasione di qualsiasi trasferimento del luogo di detenzione dell’arma.

Omessa ripetizione denuncia armi, le sanzioni previste dal Tulps

L’omessa ripetizione della denuncia di armi, in occasione del mutamento del luogo di detenzione delle stesse, espone, pertanto, il possessore alle sanzioni previste dall’art. 17 Tulps.

In base a tale norma, le violazioni delle disposizioni di qualsiasi norma del Tulps (e quindi anche dell’art. 38, ultimo comma) sono punite con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino a euro 206 (salvo che per tali violazioni non provveda il codice penale o l’ordinamento non stabilisca una pena od una sanzione amministrativa).

Differenza tra art. 38 Tulps e art. 58 Reg. Esec. Tulps

Se è vero che la novella all’art. 38, sopra esaminata, ha aiutato a chiarire dei dubbi interpretativi, è altrettanto vero che ne ha creati altri.

Infatti, l’ultimo comma di tale articolo fa espresso riferimento solo alle armi: rimarrebbero esclusi dalla disciplina ivi prevista, quindi, le munizioni e gli esplosivi.

Per queste ultime, si può ritenere che la norma di riferimento, in occasione della variazione del luogo di detenzione, sia ancora l’art. 58 del Reg. Esec. Tulps. Di conseguenza, da un lato rimane il dubbio se la ripetizione della denuncia vada eseguita anche in occasione di trasferimento della custodia di munizioni ed esplosivi nell’ambito della circoscrizione di competenza dello stesso ufficio che ha ricevuto la precedente denuncia (ragioni di ordine sistematico, alla luce della novella del 2010, depongono comunque per la necessità della ripetizione della denuncia).

Dall’altro lato, l’eventuale omessa ripetizione della denuncia di munizioni ed esplosivi subirebbe una sanzione diversa da quella prevista per l’omessa ripetizione della denuncia di armi, in quanto la norma cui fare riferimento sarebbe l’art. 221 del Regolamento, che prevede l’arresto fino a due mesi e l’ammenda fino a euro 103.

Omessa ripetizione denuncia armi, non si applica il termine di 72 ore

Tornando alla detenzione di armi, un ultimo dubbio interpretativo relativo alla ripetizione della denuncia riguarda l’applicabilità o meno del termine di 72 ore, previsto espressamente dal primo comma dell’art. 38 per la prima denuncia dell’arma (quella derivante dall’acquisto della materiale disponibilità dell’arma).

Ebbene si ritiene che tale termine non sia applicabile anche alla fattispecie prevista dall’ultimo comma (ripetizione della denuncia per trasferimento dell’arma), poiché sono diversi i presupposti delle due ipotesi.

Nel primo caso (denuncia conseguente all’acquisizione dell’arma), infatti, la denuncia soddisfa l’esigenza che l’autorità di pubblica sicurezza abbia contezza dell’esistenza dell’arma e della sua disponibilità presso un determinato soggetto e un determinato luogo.

Nel caso di ripetizione della denuncia dopo il trasferimento dell’arma, invece, l’esigenza è quella che le pubbliche autorità  possiedano un’informazione aggiornata sul luogo dove si trova l’arma. Pertanto, la ripetizione della denuncia va fatta immediatamente, come sottolineato anche dalla Corte di Cassazione: “configura il reato di cui all’art. 38 T.U.L.P.S. (in relazione all’art. 17 dello stesso Testo unico) il trasferimento di un’arma da un luogo ad un altro, quand’anche esso sia effettuato nell’ambito della circoscrizione territoriale del medesimo ufficio locale di pubblica sicurezza, senza provvedere a ripetere la denuncia, essendo sempre necessario che la competente autorità abbia in qualsiasi momento certezza del luogo in cui l’arma è detenuta, al fine di effettuare gli eventuali necessari controlli, finalità che sarebbe frustrata se il possessore fosse abilitato agli spostamenti non segnalati dell’arma perché effettuati entro il termine di settantadue ore dal primo movimento (…) Da quanto esposto discende che per la ripetizione della denuncia di detenzione di arma a seguito del trasferimento in un luogo diverso, non si applica il termine di 72 ore, stabilito dall’art. 38, comma 1, T.U.L.P.S.. Benché contemplate nello stesso articolo, le condotte doverose e le conseguenti sanzioni hanno un fondamento del tutto diverso” (Cass. Pen., sent. Sez. I, n. 10310/2020).

esimente putativa

Esimente putativa L’esimente putativa, o scriminante putativa, opera quando un soggetto compie un reato nella convinzione che ricorra una causa di giustificazione

Esimente putativa e cause di giustificazione

L’esimente putativa, disciplinata dal quarto comma dell’art. 59 del codice penale, ricorre quando la persona che commette un fatto che integra reato ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena.

In tal caso, dispone la norma, le suddette circostanze sono sempre valutate a favore di lui.

Ciò significa che l’esimente – cioè una causa di giustificazione – opera anche se in realtà non ricorre nel caso concreto, se il soggetto che agisce sia convinto della sua sussistenza.

Esclusione della punibilità: le scriminanti previste dal codice penale

Per comprendere meglio il funzionamento dell’esimente putativa, detta anche scriminante putativa, occorre chiarire quali sono le scriminanti previste dal codice penale.

Le scriminanti sono, in sostanza, cause di liceità della condotta. In altre parole, la commissione di un fatto che, normalmente, integrerebbe reato, non è considerata antigiuridica – e quindi non è punibile – quando sia accompagnata da determinate circostanze, individuate dagli artt. 50 e segg. del codice penale.

Consenso dell’avente diritto, legittima difesa e stato di necessità

Tra le cause di giustificazione previste dalla normativa rileva innanzitutto il consenso dell’avente diritto, ipotesi prevista dall’art. 50 c.p., che al riguardo dispone che non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto col consenso della persona che può validamente disporne (si pensi al consenso necessario in ambito medico, ad esempio per una donazione di sangue, o al consenso immanente alla partecipazione ad attività sportive che prevedano contatto fisico).

L’art. 51 prevede invece le scriminanti dell’esercizio di un diritto (ad esempio, il diritto di cronaca, che può escludere reati come la diffamazione) o l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da un ordine legittimo della pubblica Autorità.

Escludono la punibilità del soggetto agente anche la legittima difesa (art. 52 c.p., secondo cui non è punibile “chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all’offesa”) e lo stato di necessità, previsto come esimente dall’art. 54 (“non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo”).

Infine, non è punibile il pubblico ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di fare uso delle armi, nei casi previsti dall’art. 53 c.p.

Scriminante putativa ex art. 59 c.p. ed errore determinato da colpa

Ebbene, l’esimente putativa opera quando, pur non ricorrendo alcuna delle cause di giustificazione come quelle sopra indicate, il soggetto agente sia convinto che invece sussista una circostanza che escluda l’antigiuridicità – e quindi la punibilità – dell’azione che sta compiendo.

Tale erronea convinzione esclude il dolo, cioè non è possibile ritenere che il soggetto abbia avuto l’intenzione di compiere un reato. Ovviamente, perché la condotta sia giustificata occorre che ricorrano gli altri elementi previsti dalle norme che individuano le scriminanti. Ad esempio, nel caso in cui il soggetto ritenga di agire per legittima difesa, occorre l’attualità del pericolo di un’offesa ingiusta e la convinzione che vi sia necessità di difendere un diritto proprio o altrui (è il classico caso di chi reagisce perché ritiene di essere vittima di una rapina quando la minaccia, pur frutto di gioco o messinscena, sia talmente realistica da trarre ragionevolmente in inganno).

Va precisato, però, che l’art. 59 comma 4 prevede anche che “se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa, quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo”. In altre parole, se la valutazione del soggetto agente deriva da un suo errore determinato da colpa (ad esempio, una reazione di fronte a una pistola giocattolo facilmente riconoscibile), egli potrà essere punito a titolo di colpa.

avviso accertamento nullo

Avviso di accertamento nullo: sentenze recenti della Cassazione Breve rassegna giurisprudenziale delle più recenti pronunce di Corte di Cassazione aventi ad oggetto l’avviso di accertamento nullo

Sentenze Cassazione su avviso di accertamento nullo

L’avviso di accertamento nullo è costantemente oggetto di sentenze della Corte di Cassazione e degli organi giurisdizionali tributari.

In questa breve rassegna, analizzeremo alcune tra le più interessanti pronunce riguardanti l’avviso di accertamento nullo e gli ultimi orientamenti della giurisprudenza di settore su questo tema.

Avviso accertamento valido anche se non c’è il richiamo alla norma

In tema di motivazioni dell’atto di accertamento e di nullità dell’avviso per carenza dei requisiti essenziali, va segnalata l’ordinanza n. 1941/2024 della Corte di Cassazione, con cui la Suprema Corte ha ribadito che non è necessario che l’avviso di accertamento rechi anche la precisa indicazione della «norma di riferimento» in base alla quale l’ente impositore ha emesso l’avviso di accertamento, essendo invece sufficiente che tale atto esponga i presupposti fattuali e le ragioni di diritto che permettano al contribuente di esercitare il proprio diritto di difesa.

In ciò, la Cassazione ha ricordato che il DPR 600/73, all’art. 42 comma 2, indica come requisiti essenziali dell’avviso di accertamento l’indicazione dell’imponibile accertato, delle aliquote applicate e delle imposte liquidate, delle ritenute di acconto e dei crediti d’imposta, della motivazione in relazione ai presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo hanno determinato.

Per tale motivo, nel solco della precedente giurisprudenza di legittimità, con l’ordinanza in esame gli Ermellini hanno confermato che la nullità dell’avviso di accertamento non può mai dipendere, di per sé, dalla mancata indicazione della norma sulla quale esso si fonda, ma eventualmente dall’omessa indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche che lo hanno determinato.

Nullità avviso accertamento e vizi di motivazione

La sentenza n. 2029/2024 della Cassazione, invece, riguarda un caso in cui l’atto di accertamento nullo per vizio di motivazione era stato adottato dalla società che gestisce il servizio di gestione dei rifiuti per conto del Comune.

A tal riguardo, la Suprema Corte ha sancito la nullità dell’avviso di accertamento per la tassa sui rifiuti che risulti privo di motivazione, sulla base del fatto che qualsiasi atto che contenga la richiesta di un’entrata avente natura pubblicistica (e quindi impositiva) è assoggettato ai principi generali del procedimento tributario di accertamento e quindi anche all’onere di motivazione.

La vicenda traeva origine dal ricorso in Cassazione proposto proprio dalla società concessionaria che aveva emesso gli avvisi di pagamento. Al riguardo, in linea con la sua consolidata giurisprudenza, la Corte ha chiarito che gli atti con cui il gestore del servizio smaltimento rifiuti solidi urbani richiede al contribuente quanto da lui dovuto a titolo di tariffa, anche quando gli stessi dovessero avere la forma di fattura commerciale, non attengono al corrispettivo di una prestazione liberamente richiesta, ma a un’entrata pubblicistica.

Pertanto, la Corte ha confermato l’impugnata decisione della Commissione Tributaria competente, stabilendo il seguente principio di diritto: “qualsiasi atto, ancorché non ricompreso fra quelli di cui all’elencazione contenuta nell’art. 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in quanto avente ad oggetto la richiesta di un corrispettivo relativo ad una entrata di natura pubblicistica e, dunque, avente natura impositiva, è assoggettato ai principi generali del procedimento tributario di accertamento ed all’onere di motivazione di cui all’art. 7, comma 1, della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente)”.

Cassazione 2024: avviso accertamento e autorizzazione indagini bancarie

Infine, con ordinanza n. 4853/2024 la Cassazione ha chiarito che non comporta nullità dell’avviso di accertamento la mancata allegazione all’atto dell’autorizzazione alle indagini bancarie.

All’origine del ricorso del contribuente contro l’Agenzia delle Entrate vi era l’avviso di accertamento con cui quest’ultima aveva recuperato presso di lui maggior reddito, a seguito di accertamenti bancari svolti nei suoi confronti.

La Commissione Tributaria Regionale competente accolse l’istanza del ricorrente, dichiarando la nullità dell’accertamento, “in considerazione dell’illegittimità dell’acquisizione dei dati bancari, poiché l’autorizzazione a tali indagini non era stata richiesta e non era stata allegata all’avviso di accertamento, in quanto elemento costitutivo del medesimo”.

La Corte di Cassazione, adita dall’ente impositore, si è espressa su entrambi gli aspetti sopraindicati, confermando i suoi precedenti orientamenti e ribaltando la sentenza dell’organo giurisdizionale territoriale.

Quanto alla mancata richiesta dell’autorizzazione alle indagini bancarie, gli Ermellini hanno evidenziato che tale mancanza “non implica, in assenza di previsioni specifiche, l’inutilizzabilità dei dati acquisiti, salvo che ne sia derivato un concreto pregiudizio al contribuente ovvero venga in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale dello stesso, come l’inviolabilità della libertà personale o del domicilio, in quanto detta autorizzazione attiene solo ai rapporti interni ed in materia tributaria non vige il principio, invece sancito dal cod. proc. pen., dell’inutilizzabilità della prova irritualmente acquisita”.

Quanto, invece, alla mancata allegazione di tale autorizzazione, ove la stessa sia stata richiesta e ottenuta, “non vi è neppure obbligo di allegazione della autorizzazione. Si è infatti affermato che l’autorizzazione prescritta dall’art. 51, comma 2, n. 7) cit., ai fini dell’espletamento delle indagini bancarie, esplica una funzione organizzativa, incidente nei rapporti tra uffici, e non richiede alcuna motivazione, sicché la sua mancata allegazione ed esibizione all’interessato non comporta l’illegittimità dell’avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite, che (come sopra evidenziato, ndr) può derivare solo dalla sua materiale assenza e sempre che ne sia derivato un concreto pregiudizio per il contribuente”.