Reato di sfregio: cos’è
Il reato di sfregio o più tecnicamente “Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso” è un reato previsto dall’art. 583 quinques c.p. Questo illecito penale è stato inserito nel codice penale dall’articolo 12 della legge n. 69/2019, meglio nota come “Codice Rosso”.
Si tratta di un reato che è stato introdotto con lo scopo primario tutelare soprattutto le vittime di violenza domestica e di genere. La fattispecie però non si limita a questi soggetti ma protegge chiunque sia vittima di un comportamento così vile.
L’articolo 583 quinques c.p.
L’articolo 583 quinques c.p che punisce il reato di sfregio al primo comma dispone che chiunque provochi a un’altra persona lesioni che causano una deformazione permanente o uno sfregio permanente al viso venga punito con la reclusione da otto a quattordici anni.
Il comma 2 della norma prevede ulteriori conseguenze negative per il responsabile di questo reato. Se infatti una persona viene condannata per questo reato (o patteggia la pena secondo l’articolo 444 del Codice di Procedura Penale), subisce automaticamente anche l’interdizione perpetua da qualsiasi incarico legato alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno. In pratica, non potrà mai più ricoprire ruoli che implicano la gestione e la protezione degli interessi di persone vulnerabili.
Caratteristiche del reato di sfregio
Dalla lettura della norma emerge che si tratta di un reato comune, che chiunque cioè può commettere. La fattispecie punisce la condotta di chi causa lesioni che si traducono in una deformazione o in uno sfregio permanente del viso della vittima.
Dal punto di vista dell’elemento soggettivo il reato richiede il dolo, cioè la volontà di recare lesioni al volto in grado di deformarlo o sfiguralo.
La pena per il reato è la reclusione da un minimo di otto anni fino a un massimo di 14 anni e in caso di condanna o patteggiamento l’interdizione perpetua dalla possibile di svolgere funzioni di curate, tutela e amministrazione di sostegno.
Deformazione e sfregio del volto: definizioni e differenze
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 35795/2023 è intervenuta per chiarire la differenza tra le le due tipologie di lesione contemplate dall’articolo 583 quinquies c.p.
Gli Ermellini hanno infatti previsto che quando si parla del reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso, è fondamentale distinguere tra “deformazione” e “sfregio permanente”.
La deformazione o il deformismo implicano un’alterazione anatomica del viso di grave entità. Si tratta di un danno che ne modifica profondamente la simmetria e l’armonia complessiva, causando un vero e proprio sfiguramento. È una lesione che colpisce in modo irreversibile l’identità estetica del viso, rendendola irriconoscibile o gravemente compromessa. Lo sfregio permanente rappresenta invece un danno meno grave rispetto alla deformazione, ma comunque significativo e irreversibile. Non porta a uno sfiguramento completo, ma causa un turbamento irreversibile dell’armonia e dell’euritmia del viso. Un esempio classico è rappresentato una cicatrice permanente sul volto che, pur non stravolgendo i tratti somatici, altera in modo percettibile e duraturo l’estetica del viso.
Corte Costituzionale: pene troppo severe per casi meno gravi
Di recente la Corte Costituzionale è intervenuta su questo reato con la sentenza n. 83/2023 depositata il 20 giugno 2025.
Con questa decisione la Consulta ha dichiarato illegittimo il comma 1 dell’art. 583 quinques c.p. La pena (reclusione da 8 a 14 anni) potrà infatti essere ridotta fino a un terzo se il fatto, per circostanze o per la lieve entità del danno, risulta di minore gravità. L’assenza di un’attenuante per i fatti di lieve entità, a fronte di una pena minima molto elevata e di diverse possibili condotte punibili, rischiava di portare a condanne eccessive, rendendo la pena inefficace per la risocializzazione del condannato, non tenendo conto della sua personalità.
Illegittimo e quindi modificato anche il comma 2. L’interdizione da ruoli di tutela e curatela, prima automatica e perpetua, non è più obbligatoria. Il giudice potrà applicarla facoltativamente, basandosi su criteri discrezionali e con una durata massima di dieci anni. L’ampia descrizione del reato nel secondo comma permetteva di includere anche condotte meno gravi. Per queste, l’applicazione automatica e perpetua dell’interdizione da ruoli di tutela risultava ingiustificata, rendendo necessaria l’eliminazione dell’obbligatorietà e della perpetuità di tale pena accessoria.
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