negoziazione assistita

Negoziazione assistita: spetta il compenso per attività stragiudiziale? Negoziazione assistita: le spese per l’assistenza stragiudiziale di cui si chiede il rimborso devono essere richieste e dimostrate

Negoziazione assistita: compenso per l’attività stragiudiziale

Sul pagamento delle spese legali sostenute per la negoziazione assistita fa chiarezza il Giudice di Pace di Vallo della Lucania con la sentenza n. 385-2024.

Richiesta compenso per attività stragiudiziale

La decisione pone fine a una controversia giudiziale che prende le mosse dall’azione giudiziale intrapresa da un avvocato. Il legale chiede nello specifico l’accertamento dell’attività svolta su incarico e nell’interesse di una società e la conseguente condanna al pagamento delle sue spettanze e al rimborso delle spese sostenute.

Manca la prova dell’utilità dell’attività svolta

Il Giudice di Pace al termine dell’attività istruttoria accoglie in parte le richieste del legale. Il Giudice di Pace nega infatti la liquidazione del compenso richiesto per lo svolgimento dell’attività stragiudiziale svolta nell’ambito della negoziazione assistita, conclusasi con esito negativo per la mancata adesione di controparte all’invito.

Nel negare l’accoglimento delle richieste avanzate dall’avvocato il GdP ricorda che la Cassazione nell’ordinanza n. 24481/2020 in relazione alle attività di assistenza stragiudiziale ha precisato che: “esse hanno natura di danno emergente, consistente nel costo sostenuto per lattività svolta da un legale nella fase precontenziosa, con la conseguenza che il loro rimborso è soggetto ai normali oneri della domanda, allegazione e prova e che, anche se la liquidazione deve avvenire necessariamente secondo le tariffe forensi, esse hanno natura intrinsecamente differente rispetto alle alle spese processuali vere e proprie.”

Negoziazione assistita: idoneità a raggiungere l’accordo

E’ quindi possibile ottenere la liquidazione delle spese per l’assistenza stragiudiziale solo se si dimostra che le stesse sono state utili a evitare il giudizio. L’attività svolta dall’avvocato deve essere stata cioè idonea a raggiungere un accordo stragiudiziale Nel caso di specie però l’avvocato non ha dimostrato che l’attività svolta in sede di negoziazione è stata idonea a definire la vertenza in via stragiudiziale prima del giudizio.

 

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procura speciale

Procura speciale: se manca, le spese di giudizio le paga l’avvocato Procura speciale: se mancante per la presentazione del ricorso in Cassazione spetta all’avvocato pagare le spese 

Procura speciale assente: spese a carico dell’avvocato

Se manca la procura speciale per il ricorso in Cassazione le spese di giudizio sono a carico dell’avvocato. Lo ha precisato la Corte di Cassazione nella decisione n. 23136/2024, dopo aver chiarito quali sono i requisiti di specificità della procura speciale.

Richiesta di annullamento avviso di accertamento

Una Società in nome collettivo ricorre alla Commissione Tributaria Provinciale per chiedere l’annullamento di un avviso di accertamento. La Commissione rigetta il ricorso e la contribuente si rivolge alla Commissione Tributaria Regionale, che però respinge nuovamente la richiesta di annullamento. La controversia tra la Società e l’Amministrazione finanziaria finisce quindi in Cassazione.

Procura speciale: requisiti di specificità

La Cassazione, in via preliminare, si pronuncia d’ufficio sulla presenza e sulla specificità della procura conferita all’avvocato per ricorrere innanzi alla stessa.

Sulla questione la Cassazione precisa che la procura è “speciale” ai sensi degli articoli 83 e 356 c.p.c quando la stessa è congiunta materialmente o con strumenti informatici al ricorso. Non è necessario che la stessa sia conferita contestualmente alla redazione dell’atto. Occorre però che la stessa sia conferita dopo la pubblicazione del provvedimento da impugnare e anteriormente alla notifica del ricorso per il quale è conferita.

La sentenza delle Sezioni Unite

La Cassazione a Sezioni Unite n. 2075/2024 ha precisato inoltre che in caso di ricorso per cassazione nativo digitale, notificato e depositato in modalità telematica, l’allegazione mediante strumenti informatici al messaggio di posta elettronica certificata (p.e.c.) con il quale l’atto è notificato ovvero mediante inserimento nella “busta telematica” con la quale l’atto è depositato di una copia, digitalizzata, della procura alle liti redatta su supporto cartaceo, con sottoscrizione autografa della parte e autenticata con firma digitale dal difensore, integra l’ipotesi, ex art. 83, comma 3, cod. proc. civ., di procura speciale apposta in calce al ricorso”  la stessa è valida in difetto di espressioni che univocamente conducano ad escludere l’intenzione della parte di proporre ricorso per cassazione”.

Gli ulteriori elementi di specificità della procura sono rispettati se la stessa:

  • viene conferita all’avvocato iscritto nell’apposito albo dei cassazionisti;
  • si riferisce specificamente alla fase di legittimità;
  • è rilasciata dopo la pubblicazione della sentenza da impugnare.

Tutti questi requisiti però, nel caso di specie, non sono stati rispettati.

Procura speciale mancante e spese a carico dell’avvocato

La procura è stata conferita in calce all’atto, con documento allegato. In calce al ricorso depositato telematicamente all’interno del fascicolo d’ufficio però non è presente una procura alle liti. La Cassazione ha rilevato solo una doppia attestazione di conformità in relazione agli atti depositati in primo grado e secondo grado. La procura allegata e depositata nel fascicolo telematico inoltre si riferisce a una sentenza d’appello diversa da quella impugnata nel presente giudizio.

La procura è quindi mancante e come tale insanabile. La mancanza di procura speciale in Cassazione determina l’inammissibilità del ricorso. A questo difetto consegue la condanna le spese dell’avvocato in base al seguente principio:qualora il ricorso per cassazione sia stato proposto dal difensore in assenza di procura speciale da parte del soggetto nel cui nome egli dichiari di agire in giudizio, l’attività svolta non riverbera alcun effetto sulla parte e resta nell’esclusiva responsabilità del legale, di cui è ammissibile la condanna al pagamento delle spese del giudizio.”

 

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compensi avvocato

Compenso avvocati: come si determina il valore della causa Compenso avvocati: chiarisce la Cassazione che ai fini del calcolo rileva il valore della causa determinato dal limite temporale e dall’accordo economico

Compenso avvocati e valore della causa

Come si calcola il compenso degli avvocati quando il giudice si deve pronunciare in modo definitivo su questioni che riguardano l’esistenza e la validità di un rapporto giuridico?

Ce lo spiega la Cassazione nell’ordinanza n. 22344/2024.

Compenso avvocati: DM 127/2004

Un avvocato assiste due società e agisce per farsi pagare il compenso dovuto per l’attività svolta. Il Tribunale condanna una delle S.r.l a pagare all’avvocato la somma di Euro 195.933,40. In relazione alla richiesta di pagamento avanzata alla S.r.l in fallimento invece il giudice dichiara incompetente il giudice del lavoro.

La decisione viene impugnata e la Corte d’Appello ritiene che la prestazione prestata dall’avvocato non possa essere inquadrata come una collaborazione para-subordinata, così come qualificata dal giudice di primo grado. Il compenso dovuto all’avvocato deve quindi essere calcolato applicando le tariffe del DM 127/2004 par. 2 lettere E) e F) che qualificano l’attività come assistenza ai contratti di consulenza in campo amministrativo.”

Per la complessa vicenda amministrativa l’attività prestata dall’avvocato rientra in quella contemplata dalla Tabella D) n. 2 e lett. E) per la quale sono dovuti Euro 23.730,00. Le somme dovute al legale ammontano quindi complessivamente a Euro 77.487,00.

Gli eredi succeduti all’avvocato, nel frattempo defunto, sono quindi condannati a restituire la differenza rispetto a quanto erogato.

Calcolo compenso avvocati: rileva il valore della controversia

Gli eredi dell’avvocato però impugnano la decisione, lamentando in particolare nel primo motivo:

  • l’errata applicazione delle tariffe e dei criteri previsti dal DM 127/2004. Gli stessi ritengono che la decisione abbia violato l’articolo 5 capo III del DM 127/2004. Esso sancisce infatti che il valore della controversia debba essere determinato in base a quanto previsto dagli articoli 10 e 12 c.p.c che richiamo il valore della causa per la parte oggetto di contestazione.
  • La Corte avrebbe inoltre omesso di prendere in considerazione come valore della causa il canone di affitto per tutta la durata del contratto. La stessa ha infatti considerato i canoni di un solo anno.

Assetto degli interessi che le parti regolano con l’accordo

La Corte di Cassazione, nel decidere il ricorso, accoglie il primo motivo, dichiara inammissibili il secondo e il terzo e, assorbito il quarto in virtù dell’accoglimento del primo.

Gli Ermellini premettono che il principio sancito dall’articolo 12 c.p.c “il valore delle cause relative all’esistenza, alla validità o alla risoluzione di un rapporto giuridico obbligatorio si determina in base a quella parte del rapporto che è in contestazione” subisce un’eccezione.

Si tratta dell’ipotesi in cui il giudice, come verificatosi nel caso si specie, venga chiamato ad esaminare con efficacia di giudicato le questioni relative all’esistenza o alla validità del rapporto, il cui valore va, pertanto, interamente preso in considerazione ai fini della determinazione del valore della causa.” 

Valore dell’accordo: rilevano il limite temporale e l’accordo

Nel caso di specie la Corte di appello ha richiamato il criterio contenuto nell’articolo 12 in modo corretto, ossia il valore del contratto. La stessa però ha preso in considerazione in modo errato il valore del canone riferito a un solo anno. Il valore da prendere in considerazione infatti è quello rappresentato dall’intero assetto degli interessi che le parti regolano con l’accordo, soprattutto ove l’accordo stesso sia riferito ad un tempo limitato di durata.” Il limite temporale e l’accordo economico rappresentano infatti i fattori che contribuiscono alla determinazione del valore dell’accordo.

 

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avvocati pubblici e badge

Avvocati pubblici: il badge non lede l’autonomia Il Consiglio di Stato chiarisce che l'obbligo di utilizzo del badge da parte degli avvocati degli enti pubblici non ne lede l'autonomia professionale

Avvocati pubblici e badge

Avvocati pubblici e badge: il rapporto di lavoro subordinato tra gli avvocati e la Regione permette che gli stessi siano assoggettati al meccanismo di rilevazione automatica delle presenze, senza che ne venga intaccata l’indipendenza. Lo ha stabilito il Consiglio di Stato con la sentenza n. 5878/2024.

La vicenda

Nella vicenda, il Tar accoglieva il ricorso di alcuni avvocati in servizio presso l’ufficio legale della Regione. Gli stessi avevano fatto ricorso contro la circolare che aveva esteso il meccanismo della rilevazione automatica delle presenze indistintamente a tutto il personale dipendente.
Gli avvocati ritenevano che l’obbligo di utilizzo del badge fosse incompatibile con l’indipendenza e l’autonomia professionale proprie della qualifica di avvocato della Regione.

La Regione Campania impugnava la sentenza innanzi a Palazzo Spada ritenendo che “l’autonomia professionale degli avvocati non è intaccata dalla rilevazione delle presenze che non incide sulle modalità con cui svolgono il proprio lavoro professionale”.

Il badge non lede l’autonomia degli avvocati

Il Consiglio di Stato ritene l’appello fondato.

“Non vi è dubbio che l’avvocatura degli enti pubblici costituisce un’entità organica autonoma nell’ambito della struttura disegnata dalla sua pianta organica a salvaguardia delle prerogative di libertà nel patrocinio dell’amministrazione che si caratterizza per l’assenza di ingerenza nelle modalità di esercizio della professione – affermano infatti i giudici amministrativi – ma resta pur sempre un dato normativo ineludibile cioè l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato nel caso di specie con la Regione”.

Ed allora, “fermo restando che tutte le attività esterne presso uffici giudiziari saranno riscontrate dall’Amministrazione attraverso le autodichiarazioni che gli avvocati presenteranno a tempo debito, in occasione della loro presenza presso gli uffici comunali non vi è alcuna ragione per cui non timbrino all’ingresso ed all’uscita. Tale modalità di controllo non lede in alcun modo la libertà di patrocinio ma è la conseguenza che, seppur con la particolarità prima ricordata, sono comunque dipendenti pubblici, e come tali soggetti al controllo del datore di lavoro”.

La giurisprudenza del CDS

Del resto, medesima conclusione era stata già affermata dal Consiglio di Stato con alcune sentenze, come la n. 5538/2018 e la n. 2434/2026. Quest’ultima sul punto afferma “con tali provvedimenti non si realizza un’ingerenza gerarchica nell’esercizio intrinseco della prestazione d’opera intellettuale propria della professione forense, e cioè «nella trattazione esclusiva e stabile degli affari legali dell’ente», ai sensi dell’art. 23 l. n. 247 del 2012, ma si sottopone l’attività a forme di controllo estrinseco, doverose e coerenti con la partecipazione dell’ufficio dell’avvocato dell’ente pubblico all’organizzazione amministrativa dell’ente stesso. L’art. 23 riferisce «la piena indipendenza ed autonomia» soltanto a questa «trattazione esclusiva e stabile degli affari legali dell’ente» e non trasforma affatto, ex lege, l’inerente ufficio in un organo distinto e comunque autonomo dal resto dell’ente locale. Non si ravvisa qui dunque alcuna incompatibilità con le caratteristiche di autonomia nella conduzione professionale dell’ufficio di avvocatura”.

La decisione

Da qui l’accoglimento dell’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, il respingimento del ricorso di primo grado.

sospensione termini processuali

Sospensione termini processuali Sospensione termini processuali: scopo, funzionamento e casi in cui non si applica in materia civile, penale e amministrativa

Sospensione termini processuali: come funziona

La sospensione dei termini processuali è un istituto in base al quale devono essere esclusi dal calcolo delle scadenze processuali i giorni compresi tra il 1° e il 31 agosto di ogni anno. Il decorso dei termini riprende pertanto a decorrere al termine del periodo di sospensione, ossia a partire dal 1° settembre. Per il calcolo corretto della scadenza del termine occorre quindi sommare i giorni decorsi prima del 1° agosto con quelli successivi al 31 agosto.

Se il decorso dei termini ha inizio durante il periodo di sospensione, l’inizio è differito al termine di questo periodo.

Sospensione dei termini processuali: ratio

L’obiettivo della sospensione feriale è quello di garantire alle parti, anche durante il periodo delle ferie estive, il diritto di difesa.

In passato il periodo della sospensione feriale dei termini processuali era di 45 giorni ossia dal 1° di agosto al 15 di settembre. La legge n. 162/2014 ha però accorciato il termine a 31 giorni per permettere lo smaltimento del contenzioso in arretrato. Questa scelta ha comportato in automatico la riduzione delle ferie estive dei magistrati e degli avvocati.

Disciplina normativa

La sospensione dei termini processuali è disciplinato dalla legge n. 742/1969. Gli articoli 2 e 2 bis elencano in quali casi la disciplina della sospensione dei termini processuali non si applica in ambito penale. Gli articoli 3 e 4 si occupano invece dei casi in cui la sospensione dei termini processuali non trovi applicazione in certi procedimenti civili in cui hanno competenza diverse autorità giudiziarie. L’articolo 5 infine stabilisce in quali casi la sospensione non si applica in materia amministrativa.

Sospensione feriale termini processuali: casi di esclusione

Da quanto appena detto, emerge che la sospensione dei termini processuali non si applica a tutti i provvedimenti. Ci sono dei casi in cui l’istituto è escluso per certi procedimenti in materia civile, penale e amministrativa.

Esclusione in materia civile

L’articolo 3 della legge 742/1969 stabilisce che la sospensione dei termini processuali non si applica alle cause e ai procedimenti indicati dall’articolo 92 dell’ordinamento giudiziario, la cui disciplina è contenuta nel Regio decreto n. 12/1941 e a quelli previsti dall’articolo 429 c.p.c che riguardano le seguenti materie:

  • alimenti;
  • corporazioni;
  • amministrazioni di sostegno, interdizioni e inabilitazioni;
  • procedimenti cautelari;
  • adozione di provvedimenti contro gli abusi familiari;
  • sfratto e opposizione all’esecuzione;
  • dichiarazione e revoca dei fallimenti;
  • controversie in materia di lavoro.

La sospensione è esclusa anche in tutti qui casi in cui il Presidente del Tribunale apponga una dichiarazione di urgenza in calce alla citazione o al ricorso con decreto non impugnabile quando il ritardo nella trattazione potrebbe recare pregiudizio alle parti. La stessa regola vale quando la dichiarazione di urgenza viene disposta dal giudice istruttore o dal collegio se la causa è già iniziata, sempre con provvedimento non impugnabile.

Esclusione in materia penale

L’articolo 2 della legge n. 742/1969 dispone la non applicazione della sospensione dei termini processuali nei seguenti casi:

  • procedimenti relativi a imputati in stato di custodia cautelare, se la parte o il difensore rinunciano alla sospensione dei termini;
  • indagini preliminari relative a procedimenti per reati di criminalità organizzata;
  • reati la cui prescrizione maturi durante la sospensione o nei successivi 45 giorni;
  • quando durante il periodo di sospensione sono prossimi a scadere o scadano i termini della custodia cautelare;
  • quando devono essere disposti atti urgenti (art. 467 c.p.p), ossia assunzione di prove non rinviabili;
  • quando corti di appello e tribunali trattino cause relative a imputati, detenuti o reati che possono prescriversi o che hanno carattere di urgenza.

L’articolo 2 bis della legge n. 742/1969 invece esclude la sospensione feriale dei termini  nei procedimenti relativi all’applicazione di una misura di prevenzione, se è stata provvisoriamente disposta una misura personale o interdittiva o il sequestro dei beni:

  • se gli interessati o i loro difensori dichiarino di rinunciare espressamente alla sospensione dei termini;
  • o se il giudice, dietro richiesta del pubblico ministero, dichiari l’urgenza del procedimento con ordinanza motivata.

Esclusione in materia amministrativa

L’articolo 5 della legge n. 742/1969 infine prevede che la sospensione dei termini processuali in materia amministrativa non si applica nei procedimenti relativi alla sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato.

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visto di conformità

Visto di conformità riservato ai professionisti iscritti agli albi La Consulta boccia la posizione dei "tributaristi", la riserva verso le professioni ordinistiche non è irragionevole

Visto di conformità solo per i professionisti

Visto di conformità riservato ai professionisti: la riserva verso i professionisti ordinistici  non è illegittima, vista la «diversità sostanziale tra le due categorie di professionisti» (ordinistici e non). E non è irragionevole limitare la possibilità di rilascio ai «professionisti iscritti a ordini, che, avendo superato un esame di Stato per accedere agli albi ed essendo soggetti alla penetrante vigilanza degli ordini anche sul piano deontologico, sono muniti di particolari requisiti attitudinali e di affidabilità, a garanzia degli interessi dell’amministrazione alla corretta esecuzione dell’adempimento». È quanto stabilito dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 144/2024 che ha rigettato le questioni di legittimità costituzionale sollevate dai tributaristi.

Le questioni di legittimità costituzionale

Le questioni muovono dall’asserita irragionevolezza della distinzione tra professioni ordinistiche e non ordinistiche ai fini del rilascio del visto di conformità, sia “pesante” che “leggero”, non sussistendo più, ad avviso del rimettente, una differenza apprezzabile tra le due categorie professionali, tenuto conto dell’approvazione della legge n. 4 del 2013 e del fatto che i tributaristi non iscritti possono inviare le dichiarazioni dei redditi all’amministrazione finanziaria.

Tale distinzione, tuttavia, sarebbe più che ragionevole e costituirebbe in ogni caso il frutto di una scelta discrezionale del legislatore non manifestamente irragionevole.

Diversità sostanziale tra le due categorie di professionisti

Nel merito, precisa innanzitutto la Consulta, “il visto di conformità ha lo scopo di garantire ai contribuenti assistiti un corretto adempimento di taluni obblighi tributari e di agevolare l’amministrazione finanziaria nella selezione delle posizioni da controllare e nell’esecuzione dei controlli di propria competenza” enucleando poi la differenza tra quello “leggero” e “pesante”.

Accertato che permane una diversità sostanziale tra le due categorie di professionisti, la Corte verifica la ragionevolezza della scelta operata dal legislatore, con esito positivo.

“È da considerare il rilevante interesse pubblico correlato al rilascio del visto di conformità, che non si risolve nella mera predisposizione e trasmissione delle dichiarazioni o nella tenuta delle scritture e dei dati contabili, ma è diretto ad agevolare e rendere più efficiente l’esercizio dei poteri di controllo e di accertamento dell’amministrazione finanziaria, con assunzione della relativa responsabilità (si pensi, ad esempio, alla corretta determinazione degli oneri detraibili collegati al cosiddetto “superbonus edilizio”)” afferma la Consulta. Dunque, non è irragionevole “abilitare al rilascio del visto i professionisti iscritti a ordini, che, avendo superato un esame di Stato per accedere agli albi ed essendo soggetti alla penetrante vigilanza degli ordini anche sul piano deontologico, sono muniti di particolari requisiti attitudinali e di affidabilità, a garanzia degli interessi dell’amministrazione alla corretta esecuzione dell’adempimento”.

La decisione

In definitiva, la Corte esclude sia la discriminazione che l’irragionevolezza prospettate dal rimettente, in riferimento all’art. 3 Cost. e ritiene non fondate tutte le altre questioni sollevate.

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avvocate guadagnano la metà

Avvocate: guadagnano la metà dei colleghi Per l'OCF è "preoccupante il netto divario reddituale tra avvocate e avvocati. Occorre investire di più nell'inclusione"

Avvocate in fuga dalla professione

Avvocate guadagnano la metà e scappano dalla professione. Questi i dati sul lato femminile della professione forense che per la responsabile dipartimento pari opportunità dell’OCF, Laura Massaro, non sorprendono “data la realtà emersa dalle puntuali presentazioni del Rapporto Censis e dal costante monitoraggio dell’Organismo Congressuale Forense con i territori e i Comitati Pari Opportunità (CPO)”. Questi rapporti – per la Massaro – “confermano un quadro chiaro: la professione forense, pur vedendo un incremento di avvocate nelle nuove iscrizioni, mostra una netta disparità di reddito e una crescente percentuale di abbandono tra le professioniste”.

Forte presenza femminile ma divario reddituale preoccupante

Negli ultimi anni la professione forense si caratterizza per una forte presenza femminile, con una media di circa il 47%. Tuttavia, il divario reddituale tra avvocati e avvocate, si legge nella nota dell’OCF è preoccupante: “le donne avvocato guadagnano in media il 53% in meno rispetto ai colleghi uomini, con una differenza assoluta di quasi 30.000 euro. Questa disparità contribuisce alla precarietà della carriera per le professioniste, poiché a parità di età e localizzazione geografica, una donna avvocato percepisce un reddito significativamente inferiore”.

Il dialogo continuo con i territori e i CPO rivela le problematiche che affrontano le avvocate: il rinvio della maternità per timore di compromettere la carriera professionale è spesso causato dalla carenza di politiche di welfare adeguate. La rinuncia alla professione, anche con competenze e meriti, può derivare dalla precarietà e dalle difficoltà nel conciliare lavoro e famiglia. Così facendo molte avvocate sono costrette a scegliere tra carriera e vita privata. Inoltre, l’accesso limitato a corsi di specializzazione e aggiornamento professionale rappresenta un ulteriore ostacolo.

Occorre rimuovere gli ostacoli

L’OCF, “come organismo politico dell’Avvocatura, è impegnato nella sensibilizzazione delle istituzioni per rimuovere gli ostacoli all’accesso e all’esercizio della professione e per promuovere lo sviluppo di nuove competenze” ha commentato la Massaro. “L’inclusione è fondamentale e deve essere valorizzata, non solo per ragioni di equità, ma anche per migliorare l’efficienza del sistema professionale e contribuire positivamente al paese. Investire nell’inclusione e nella valorizzazione delle differenze – ha concluso – è essenziale per garantire pari opportunità e per far sì che la professione forense possa beneficiare della ricchezza di competenze e talenti disponibili”.

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ai act legge europea intelligenza artificiale

AI Act: la legge europea sull’intelligenza artificiale In vigore dal 1° agosto 2024 la legge sull'intelligenza artificiale che mira a garantire i diritti fondamentali dei cittadini europei e al contempo detta misure specifiche sull'IA nella giustizia

AI Act in vigore

Il Consiglio Ue ha approvato in via definitiva, il 21 maggio 2024, il Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio (AI Act) che stabilisce regole armonizzate sull’intelligenza artificiale. Le nuove disposizioni sono applicabili a due anni dall’entrata in vigore del Regolamento, con alcune eccezioni, tra cui i divieti e le disposizioni generali, operativi già dopo sei mesi e gli obblighi, applicabili dopo 36 mesi, ai sistemi considerati ad alto rischio.

Il Regolamento UE 1689/2024, che introduce regole, obblighi e divieti sull’intelligenza artificiale, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 12 luglio 2024 ed è entrato in vigore il 1° agosto 2024.

La rilevanza del rischio

L’intervento normativo in esame è fondato su un sistema di misurazione del rischio definito in modo chiaro; ciò significa che maggiore è il rischio di causare danni, più severe saranno le norme volte a disciplinare la materia dell’intelligenza artificiale.

Tale approccio si tradurrà nell’introduzione di obblighi di trasparenza meno gravosi per gli ambiti interessati dall’intelligenza artificiale che presentano un rischio limitato, mentre, al contrario, i sistemi di AI considerati ad alto rischio saranno sottoposti a limiti e obblighi più stringenti per poter essere utilizzati all’interno dell’Unione Europea.

Categorie di intelligenza artificiale

In generale, è possibile distinguere le seguenti categorie di intelligenza artificiale, individuate in base alla diversa valutazione del rischio che le caratterizza:

  • sistemi di AI vietati dal 2 febbraio 2025 perché implicano un rischio inaccettabile, quali, a mero titolo esemplificativo, l’AI che sfrutta la manipolazione comportamentale cognitiva e il riconoscimento delle emozioni in determinati ambiti;
  • sistemi di AI ad alto rischio ma consentiti nel rispetto di stringenti condizione e requisiti;
  • sistemi di AI a rischio basso o minimo.

Obblighi di trasparenza

Il Regolamento spiega che per trasparenza “si intende che i sistemi di IA sono sviluppati e utilizzati in modo da consentire un’adeguata tracciabilità e spiegabilità, rendendo gli esseri umani consapevoli del fatto di comunicare o interagire con un sistema di IA”.

I sistemi di IA ad alto rischio dovrebbero essere progettati in modo da consentire ai fornitori di comprendere il funzionamento del sistema di IA, valutarne la funzionalità e comprenderne i punti di forza e i limiti. I sistemi di IA ad alto rischio dovrebbero essere accompagnati da informazioni adeguate sotto forma di istruzioni per l’uso.

Intelligenza artificiale nella giustizia

Nel provvedimento normativo si legge che “Alcuni sistemi di IA destinati all’amministrazione della giustizia e ai processi democratici dovrebbero essere classificati come sistemi ad alto rischio, in considerazione del loro impatto potenzialmente significativo sulla democrazia, sullo Stato di diritto, sulle libertà individuali e sul diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale”.

L’utilizzo di strumenti di IA, precisa il provvedimento, può fornire “sostegno al potere decisionale dei giudici o all’indipendenza del potere giudiziario, ma non dovrebbe sostituirlo: il processo decisionale finale deve rimanere un’attività a guida umana. Non è tuttavia opportuno estendere la classificazione dei sistemi di IA come ad alto rischio ai sistemi di IA destinati ad attività amministrative puramente accessorie, che non incidono sull’effettiva amministrazione della giustizia nei singoli casi”.

Punteggio sociale

La legge si occupa anche di indicare i sistemi di intelligenza artificiali che, consentendo di attribuire un punteggio sociale alle persone fisiche, possono portare “a risultati discriminatori e all’esclusione di determinati gruppi. Possono inoltre ledere il diritto alla dignità e alla non discriminazione e i valori di uguaglianza e giustizia. Tali sistemi di IA valutano o classificano le persone fisiche o i gruppi di persone fisiche sulla base di vari punti di dati riguardanti il loro comportamento sociale in molteplici contesti o di caratteristiche personali o della personalità”.

In considerazione dei rischi sopra indicati, il testo stabilisce che tali sistemi dovrebbero pertanto essere vietati, senza, tuttavia, che vengano pregiudicate le “pratiche lecite di valutazione delle persone fisiche effettuate per uno scopo specifico in conformità del diritto dell’Unione e nazionale”.

Istituzione di organi di governo

Nell’ambito dell’intervento normativo in esame è stato istituito:

  • l’ufficio per l’IA per mano della Commissione europea, con “la missione di sviluppare competenze e capacità dell’Unione nel settore dell’IA e di contribuire all’attuazione del diritto dell’Unione in materia di IA”;
  • il gruppo di esperti scientifici indipendenti avente la finalità di “integrare i sistemi di governance per i modelli di IA per finalità generali” e “sostenere le attività di monitoraggio dell’ufficio per l’IA”, anche fornendo “segnalazioni qualificate all’ufficio per l’IA che avviano attività di follow-up quali indagini”;
  • il comitato europeo, composto da rappresentanti degli Stati membri, per l’intelligenza artificiale che “dovrebbe sostenere la Commissione al fine di promuovere gli strumenti di alfabetizzazione in materia di IA, la sensibilizzazione del pubblico e la comprensione dei benefici, dei rischi, delle garanzie, dei diritti e degli obblighi in relazione all’uso dei sistemi di IA”;
  • il forum consultivo, cui è affidato il compito di “raccogliere il contributo dei portatori di interessi all’attuazione del presente regolamento, a livello dell’Unione e nazionale”.

Sistema sanzionatorio

Il testo stabilisce che la violazione di quanto previsto dall’art. 5 del Regolamento in tema di “Pratiche di IA vietate” è “soggetta a sanzioni amministrative pecuniarie fino a 35 000 000 EUR o, se l’autore del reato è un’impresa, fino al 7 % del fatturato mondiale totale annuo dell’esercizio precedente, se superiore”.

Il DDL italiano sull’AI

Per completezza, si ricorda che il 24 aprile scorso, il Governo italiano ha approvato un disegno di legge in materia di intelligenza artificiale.

In particolare, l’intervento normativo italiano si propone di introdurre criteri regolatori volti a equilibrare “il rapporto tra le opportunità che offrono le nuove tecnologie e i rischi legati al loro uso improprio, al loro sottoutilizzo o al loro impiego dannoso”.

Il disegno di legge in questione non verrà superato dalla nuova normativa europea, al contrario, i due impianti normativi sono destinati ad integrarsi e ad armonizzarsi tra di loro.

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albo educatori e pedagogisti

Albo educatori e pedagogisti: c’è la proroga Il ministero della Giustizia annuncia la proroga per l'iscrizione al nuovo albo degli educatori e pedagogisti, in scadenza il 6 agosto

Albo educatori e pedagogisti

Albo educatori e pedagogisti, c’è più tempo per iscriversi al nuovo albo istituito con la legge n. 55/2024.

La legge recante “Disposizioni in materia di ordinamento delle professioni pedagogiche ed educative e istituzione dei relativi albi professionali” disciplina infatti entrambe le professioni e istituisce i relativi albi, fissando i requisiti e le condizioni per l’iscrizione.

Proroga scadenza

La scadenza, inizialmente prevista per il 6 agosto, sarà quindi prorogata.

I ministeri interessati, afferma via Arenula in una nota, “sono al lavoro per predisporre il testo ed inserirlo nel primo provvedimento normativo utile. L’obiettivo è garantire agli operatori del settore, per il nuovo anno scolastico che partirà a settembre, di poter continuare a svolgere i loro servizi educativi e socio-pedagogici”.

Incontro con le associazioni di settore

Il ministero della Giustizia, sempre a partire da settembre, incontrerà le associazioni più rappresentative del settore al fine di assicurare pieno supporto ai soggetti coinvolti dall’attuazione della legge istitutiva del nuovo Ordine professionale.

 

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esame avvocati 2024

Esame avvocati 2024: domande dal 2 ottobre In Gazzetta Ufficiale il decreto firmato dal Guardasigilli relativo all'esame di stato per avvocati 2024. Le domanda di partecipazione vanno inviate dal 2 ottobre e sino al 12 novembre 2024

Esame avvocati 2024

Il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha firmato il decreto ministeriale 24 luglio 2024 relativo all’esame di stato per l’abilitazione all’esercizio della professione forense presso le sedi di Corti di appello di Ancona, Bari, Bologna, Brescia, Cagliari, Caltanissetta, Campobasso, Catania, Catanzaro, Firenze, Genova, L’Aquila, Lecce, Messina, Milano, Napoli, Palermo, Perugia, Potenza, Reggio Calabria, Roma, Salerno, Torino, Trento, Trieste, Venezia e presso la Sezione distaccata di Bolzano della Corte di appello di Trento.

Le domande di partecipazione alla sessione 2024 dovranno essere inviate per via telematica, seguendo le modalità indicate nel decreto, dal 2 ottobre al 12 novembre 2024.

I dettagli nella SCHEDA DI SINTESI

Le prove

L’esame di Stato si articola in una prova scritta e una orale. Quella scritta viene svolta sui temi formulati dal ministero della Giustizia ed ha ad oggetto la redazione di un atto giudiziario che postuli conoscenze di diritto sostanziale e di diritto processuale, su quesito proposto in materia scelta dal candidato tra il diritto civile, penale e amministrativo.

La prova orale si svolge a non meno di 30 giorni di distanza dal deposito dell’elenco degli ammessi presso ciascuna Corte d’appello ed è articolata in tre fasi: – la prima ha ad oggetto “l’esame e la discussione di una questione pratico-applicativa, nella forma della soluzione di un caso, che postuli conoscenze di diritto sostanziale e di diritto processuale, in una materia scelta preventivamente dal candidato tra il diritto civile, il diritto penale e il diritto amministrativo”; – la seconda verte sulla discussione di brevi questioni che dimostrino le capacità argomentative e di analisi giuridica del candidato relative a tre materie scelte preventivamente dal candidato, di cui una di diritto processuale; la terza fase, infine, riguarda la dimostrazione della conoscenza dell’ordinamento forense e dei diritti e doveri dell’avvocato.

La domanda di partecipazione

La domanda di partecipazione all’esame deve essere inviata telematicamente a partire dal 2 ottobre e sino al 12 novembre 2024. Ai fini dell’ammissione, il candidato e’ tenuto al pagamento di complessivi euro 78,91 (settantotto/91), utilizzando la procedura di iscrizione all’esame, ove nell’apposita sezione saranno presenti due istanze di pagamento digitale da assolvere tramite la piattaforma PagoPA. La prima istanza di pagamento e’ composta dalla tassa di euro 12,91 (dodici/91) e dal contributo spese di euro 50,00 (cinquanta), per un totale di 62,91 (sessantadue/91), la seconda istanza riguarda il pagamento dell’imposta di bollo di euro 16,00 (sedici). Il mancato pagamento entro la data di scadenza della domanda di partecipazione comporta l’esclusione dalla procedura.

Il candidato deve collegarsi al sito internet del Ministero della giustizia, alla voce «strumenti/concorsi, esami, assunzioni» ed effettuare la relativa registrazione, utilizzando unicamente l’autenticazione SPID di secondo livello, CIE o CNS.  A seguito dell’accesso, il candidato verrà guidato dalla procedura informatica all’accettazione dei dati per la privacy e il trattamento dati e per la compilazione della domanda e, dopo aver registrato in modo permanente i dati, procederà prima al pagamento degli importi dovuti e, successivamente, all’invio della domanda.

Al termine della procedura di invio verrà visualizzata una pagina di risposta che contiene il collegamento al file, in formato .pdf, «domanda di partecipazione».

E’ necessario selezionare la Corte di appello cui è diretta la domanda e indicare, altresì. il Consiglio dell’ordine degli avvocati, che ha certificato o che certificherà, il compimento della pratica forense. Possono presentare la domanda di ammissione all’esame di abilitazione esclusivamente coloro che abbiano completato la prescritta pratica professionale entro il giorno 10 novembre 2024.

La domanda si intende inviata quando il sistema genera la ricevuta contenente il codice identificativo e il codice a barre, che e’ messa a disposizione del candidato nella propria area riservata.

Candidati con disabilità e con DSA

I candidati con disabilità devono indicare nella domanda l’ausilio necessario, nonché l’eventuale necessità di tempi aggiuntivi, producendo la relativa documentazione sanitaria.

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