donazione modale

Donazione modale La donazione modale: disciplina, l'articolo 793 c.c., natura e limiti. Guida con giurisprudenza recente in materia

Cos’è la donazione modale?

La donazione modale, disciplinata dall’articolo 793 del Codice Civile, è una particolare tipologia di donazione che prevede l’imposizione di un onere (o modus) a carico del donatario. In sostanza, il donante trasferisce un bene o un diritto con l’obbligo, per il beneficiario, di soddisfare una determinata prestazione.

Disciplina normativa: l’art. 793 c.c.

L’articolo 793 c.c. stabilisce che la donazione “può essere gravata da un onere”, specificando che tale onere non deve eccedere il valore del bene donato. Se l’onere supera il valore della donazione, il donatario è tenuto a eseguirlo solo nei limiti del valore del bene ricevuto.

Il mancato rispetto dell’onere può portare alla risoluzione della donazione per inadempimento, su richiesta del donante o dei suoi eredi, se l’adempimento dell’onere è essenziale per la donazione stessa.

Natura giuridica dell’onere

L’onere nella donazione modale ha una duplice natura:

  1. obbligatoria, in quanto impone un obbligo a carico del donatario, che può essere oggetto di esecuzione forzata;
  2. eventualmente risolutiva, nel caso in cui il mancato rispetto dell’onere comporti la risoluzione della donazione.

Tuttavia, se l’onere ha solo natura morale o sociale, non può essere fatto valere giudizialmente.

Limiti e caratteristiche della donazione modale

La donazione modale incontra alcuni limiti:

  • non può essere utilizzata per aggirare norme imperative (ad esempio, non può imporre condizioni contrarie alla legge o ai principi di ordine pubblico);
  • non deve annullare lo spirito di liberalità della donazione, il donante cioè non può imporre oneri tali da svuotare la donazione del suo contenuto benefico;
  • l’onere non può eccedere il valore del bene donato, altrimenti il donatario sarà tenuto solo nei limiti del valore del bene ricevuto.

Giurisprudenza sulla donazione modale

La Corte di Cassazione ha chiarito diversi aspetti relativi alla donazione modale:

Cassazione n. 1197/2025: in tema di azione revocatoria ex art. 2901 c.c. avente ad oggetto una donazione modale, l’imposizione di un onere al donatario, come l’obbligo di assistenza materiale e morale del donante, non vale a trasformare il titolo dell’attribuzione da gratuito in oneroso, purché tale peso non assuma carattere di corrispettivo e costituisca una mera modalità del beneficio senza snaturare l’essenza di atto di liberalità della donazione. La valutazione circa la natura dell’onere imposto al donatario, se “modus” o elemento tale da imprimere carattere di onerosità al negozio, costituisce indagine di fatto riservata al giudice di merito e incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivata.

Cassazione n. 8875/2024: la donazione modale (art. 793 c.c.) è considerata, anche a fini fiscali, una donazione indiretta a favore del terzo beneficiario dell’onere, purché l’imposizione dell’onere sia motivata da spirito di liberalità del donante. In pratica, quando un donante impone al donatario di eseguire una prestazione a favore di un terzo, si configura una doppia donazione: una diretta al donatario e una indiretta al terzo.

Cassazione n. 28580/2022: la risoluzione della donazione modale per inadempimento dell’onere è possibile solo se espressamente prevista nell’atto di donazione, come stabilito dall’art. 793 c.c. Questa norma, diversa dalla precedente, richiede una clausola risolutiva esplicita per derogare al principio generale di risolubilità dei contratti. Tale clausola è essenziale e inderogabile, poiché l’ordinamento non tutela automaticamente il donante in caso di inadempimento del “modus”. L’assenza di questa previsione impedisce al donante o ai suoi eredi di richiedere la risoluzione e la restituzione dei beni, anche se l’inadempimento è accertato. Questa interpretazione restrittiva sottolinea la necessità di una chiara volontà delle parti nell’atto di donazione per consentire la risoluzione.

 

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diritti reali di godimento

I diritti reali di godimento Cosa sono i diritti reali di godimento (iura in re aliena), caratteristiche, differenza con la proprietà, giurisprudenza in materia

Diritti reali di godimento: cosa sono

I diritti reali di godimento, noti anche come iura in re aliena, sono diritti che conferiscono al titolare la facoltà di utilizzare e godere di un bene di proprietà altrui, limitando in parte le prerogative del proprietario. A differenza del diritto di proprietà, che è pieno ed esclusivo, i diritti reali di godimento attribuiscono specifiche facoltà di utilizzo senza trasferire la titolarità del bene.

Tipologie di diritti reali di godimento

Nel sistema giuridico italiano, i principali diritti reali di godimento sono:

  1. Usufrutto: consente al titolare (usufruttuario) di godere di un bene altrui, traendone utilità e frutti, con l’obbligo di rispettarne la destinazione economica e di restituirlo al termine della durata concordata.
  2. Uso: diritto di utilizzare un bene altrui e, se fruttifero, di raccoglierne i frutti limitatamente ai bisogni propri e della propria famiglia.
  3. Abitazione: diritto di abitare una casa altrui limitatamente ai bisogni propri e della propria famiglia.
  4. Servitù prediali: peso imposto su un fondo (servente) per l’utilità di un altro fondo (dominante), appartenente a diverso proprietario.
  5. Superficie: diritto di edificare e mantenere una costruzione al di sopra o al di sotto di un suolo di proprietà altrui.
  6. Enfiteusi: diritto di godere di un fondo altrui con l’obbligo di migliorarlo e di pagare un canone periodico al proprietario.

Caratteristiche distintive

I diritti reali di godimento presentano le seguenti caratteristiche:

  • Immediatezza: il titolare esercita direttamente il diritto sul bene, senza intermediazioni.
  • Assolutezza: sono opponibili erga omnes, ossia nei confronti di chiunque.
  • Tipicità: sono previsti e disciplinati tassativamente dalla legge; non è possibile crearne di nuovi tramite accordi privati.
  • Inerenza: il diritto è strettamente legato al bene su cui insiste e segue le vicende giuridiche di quest’ultimo.

Differenze rispetto al diritto di proprietà

Mentre il diritto di proprietà conferisce al titolare il potere pieno ed esclusivo di godere e disporre del bene in modo assoluto, i diritti reali di godimento limitano tali facoltà, attribuendo al titolare specifici diritti di utilizzo senza trasferirgli la proprietà. Ad esempio, nell’usufrutto, l’usufruttuario ha il diritto di utilizzare il bene e di percepirne i frutti, ma non può alienarlo o modificarne la destinazione economica.

Giurisprudenza rilevante

La giurisprudenza italiana ha più volte affrontato questioni relative ai diritti reali di godimento:

Cassazione n. 25786/2020: ai fini del diritto di edificare (“ius aedificandi”), in relazione al diritto di superficie si considera costruzione qualsiasi manufatto non completamente interrato che presenti solidità, stabilità e un collegamento fisso al suolo. Tale collegamento può avvenire tramite appoggio, incorporazione o fissaggio a una struttura preesistente o realizzata contestualmente. Il materiale utilizzato non è rilevante, purché l’opera comporti un ampliamento della superficie e della funzionalità dell’immobile.

Cassazione n. 8911/2016: Secondo gli articoli 979 e 980 c.c., l’usufrutto non può durare oltre la vita dell’usufruttuario. Se concesso a più soggetti “pro quota” e in assenza di usufrutto congiuntivo, si estingue per ciascuno alla sua morte. Tuttavia, l’usufruttuario può cedere il proprio diritto, in tutto o in parte, per un periodo determinato o per l’intera durata. In tal caso, se il cessionario muore prima del cedente, l’usufrutto prosegue fino alla vita di quest’ultimo, rendendolo trasmissibile “mortis causa” nei limiti della sua esistenza.

Cassazione n. 18465/2020: In materia di servitù prediali, il concetto di “utilitas” è ampio e comprende qualsiasi elemento che, secondo la valutazione sociale, sia strumentale alla destinazione del fondo dominante e ne migliori il godimento. La servitù può soddisfare diverse esigenze, garantendo maggiore amenità e abitabilità, anche attraverso la riduzione di rumori o impedendo costruzioni con destinazioni fastidiose o sgradevoli.

Cassazione n. 14687/2014: il limite del diritto di abitazione previsto dall’art. 1022 c.c. non va inteso in senso quantitativo, ossia in base alla porzione di casa necessaria ai bisogni del titolare e della sua famiglia. Piuttosto, esso impone un vincolo d’uso, vietando qualsiasi destinazione diversa dall’abitazione personale dell’”habitator” e dei suoi familiari.

 

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mutuo solutorio

Mutuo solutorio valido: lo dice la Cassazione Sezioni Unite: valido il mutuo solutorio, è presente la disponibilità delle somme in favore del mutuatario

Mutuo solutorio valido: presente la datio rei giudica

Il mutuo solutorio, contratto per estinguere un debito precedente con la banca è legittimo e produce la “datio rei giuridica” che caratterizza il mutuo, anche se le somme accreditate sul conto vengono immediatamente e automaticamente impiegate dall’istituto di credito per estinguere gli obblighi precedenti. Lo hanno chiarito le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 5841/2025.

Decreto ingiuntivo pagamento mutui: opposizione

Un istituto di credito ottiene un decreto ingiuntivo perché ha concesso diversi mutui ai medesimi soggetti e gli stessi non sono ancora rientrati nel pagamento. I clienti però si oppongono al decreto ingiuntivo, contestando la richiesta di pagamento. Per gli opponenti la condotta della banca deve ritenersi illegittima perché la stessa ha solo “apparentemente” erogato le somme concesse a titolo di mutuo. Le somme infatti non sono mai uscite dalle casse dell’istituto poiché utilizzate per estinguere i mutui e le aperture di credito concesse in precedenza.

Il Giudice di primo grado accoglie in parte l’opposizione e limita l’efficacia del titolo esecutivo a un determinato importo. La Corte d’Appello invece rigetta l’appello sollevato dai clienti della banca.

Nella sentenza il giudice di secondo grado precisa infatti che: il fatto che l’importo erogato fosse stato utilizzato per estinguere i precedenti debiti ipotecari era legittimo e non privava il mutuo della sua causa in concreto.”

Le parti soccombenti però non desistono e ricorrono in Cassazione precisando che nel caso di specie non si è verificata la tradito della somma con conseguente disponibilità delle stesse sul conto. La banca si sarebbe infatti riappropriata delle somme e dall’estratto conto si evince chiaramente un mero giroconto bancario e non l’erogazione di un mutuo.

Dubbi interpretativi sul mutuo solutorio

La seconda sezione della Cassazione nell’ordinanza interlocutoria rileva che i primi due motivi del ricorso sollevano questioni decisive sul mutuo solutorio, sul quale la giurisprudenza della stessa Corte non risulta uniforme.

Nel caso di specie ci si chiede se il ripianamento delle passività pregresse, effettuato dalla banca in modo autonomo e immediato mediante operazione di giroconto, come contestato dai ricorrenti, possa soddisfare il requisito della disponibilità giuridica della somma in favore del mutuatario. In particolare, ci si domanda se tale ripianamento possa configurare una modalità di utilizzo dell’importo mutuato, effettivamente entrato nella disponibilità del mutuatario.

Le Su dovrebbero quindi rispondere ai seguenti quesiti:

  • il mutuo solutorio è valido?
  • in caso di risposta positiva al primo quesito il contratto costituisce titolo esecutivo?
  • in caso di risposta affermativa ai due quesiti precedenti infine è valido anche il ripianamento delle passività di mutuo eseguito con un mero giroconto “autonomo e immediato” ossia senza il consenso del mutuatario?

Mutuo solutorio: tesi contrapposte

La Corte di Cassazione a SU prima di decidere ricorda le affermazioni dei due opposti orientamenti.

  • Per il primo orientamento il mutuo solutorio è valido, l’accredito delle somme sul conto integra la datio rei del mutuo, l’effettività della tradito è dimostrata dall’utilizzo del denaro per estinguere il debito esistente, per cui il patrimonio del debitore viene purgato da una posta negativa. Il ripianamento delle passività rappresenta infatti uno dei modi con i quali la somma erogata a mutuo può essere impiegata e tale utilizzo non è illecito. Il mutuo solutorio quindi consiste in una mera dilazione del termine di pagamento del debito preesistente o un pactum de non petendo.
  • Per l’orientamento opposto invece per il perfezionamento del mutuo è necessario che si verifichi il passaggio effettivo delle somme dal mutuante al mutuatario perché in questo modo si verifica l’effettiva acquisizione delle somme. Tale ipotesi non può verificarsi infatti se la banca impiega subito le somme per ripianare il mutuo precedente. In sostanza senza un trasferimento effettivo della proprietà delle somme non c’è acquisizione delle stesse e quindi non c’è l’obbligo di restituirle.

La soluzione delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite pongono fine al contrasto affermando che il contratto di mutuo si perfeziona e l’obbligo di restituzione sorge in capo al mutuatario nel momento in cui la somma mutuata, pur non essendo materialmente consegnata, è resa giuridicamente disponibile al mutuatario tramite accredito sul conto corrente. Non è rilevante che tali somme siano immediatamente utilizzate per saldare debiti pregressi con la banca mutuante, poiché tale destinazione è il risultato di atti dispositivi distinti e separati dal contratto stesso. Anche in caso di tale utilizzo, il contratto di mutuo, noto come mutuo solutorio, costituisce un valido titolo esecutivo se rispetta i requisiti dell’articolo 474 del codice di procedura civile.

 

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eredità digitale

Eredità digitale: il decalogo del Notariato Online il decalogo aggiornato del Notariato per sensibilizzare i cittadini sull'importanza della gestione dei beni digitali

Eredità digitale: online il decalogo del Notariato

Con l’evoluzione tecnologica e la crescente digitalizzazione della vita quotidiana, il concetto di eredità si amplia oltre i beni materiali, includendo asset digitali come account online, criptovalute, contenuti social e archivi cloud. Tuttavia, la normativa in materia di successione digitale rimane incerta e frammentata, rendendo essenziale una pianificazione preventiva.

Per sensibilizzare i cittadini sull’importanza di gestire il proprio patrimonio digitale, il Consiglio Nazionale del Notariato ha pubblicato un decalogo aggiornato, disponibile su www.notariato.it. Questo vademecum sostituisce i documenti diffusi nel 2012 e integra le recenti novità normative.

Cos’è l’eredità digitale?

L’eredità digitale comprende due principali categorie di risorse:

  • Offline: file personali, documenti digitali, software acquistati, domini web;
  • Online: account di posta elettronica, social network, e-commerce, home banking, wallet di criptovalute.

Pianificare la successione digitale è cruciale, poiché molte piattaforme operano fuori dall’Italia e dall’Unione Europea, rendendo complessa la gestione post mortem in assenza di precise disposizioni.

Cosa non rientra nell’eredità digitale?

Alcuni asset non possono essere trasmessi agli eredi, tra cui:

  • Contenuti concessi in licenza (es. account streaming);
  • Beni digitali illeciti o piratati;
  • Identità digitale e firme elettroniche;
  • Password: la loro trasmissione non implica automaticamente la cessione dei diritti sulle risorse collegate.

Strumenti per la gestione dell’eredità digitale

Per garantire un passaggio ordinato dei beni digitali, si possono adottare diverse strategie:

  • Mandato post mortem: permette di affidare a una persona di fiducia le credenziali di accesso con istruzioni specifiche su gestione o cancellazione dei dati;
  • Testamento digitale: metodo più sicuro per disporre dei propri asset digitali, con valore legale per risorse di rilievo economico e personale;
  • Designazione di un contatto erede: alcune piattaforme consentono di nominare un referente che gestisca l’account in caso di decesso.

Decalogo Notariato per l’eredità digitale

  1. Assenza di una normativa specifica: pianificare l’eredità digitale è fondamentale per evitare complicazioni.
  2. Le password non fanno parte dell’eredità: devono essere custodite e aggiornate regolarmente.
  3. Utilizzo del mandato post mortem: si possono affidare credenziali a una persona di fiducia con istruzioni precise.
  4. Affidare una password non equivale a trasmettere la proprietà dei beni digitali.
  5. Alcuni beni digitali non sono trasmissibili: contenuti in licenza, firme elettroniche, identità digitale.
  6. Le criptovalute sono beni digitali con valore economico e vanno trattate come asset patrimoniali.
  7. I conti online sono equiparabili ai conti bancari tradizionali, gli eredi possono reclamarne il contenuto.
  8. Possibili controversie internazionali: le piattaforme online hanno spesso sede all’estero, creando ostacoli legali.
  9. Verificare le policy delle piattaforme: alcune consentono la nomina di un erede digitale, altre prevedono la cancellazione automatica dell’account.
  10. Consultare un notaio di fiducia per trovare la soluzione più adatta alle proprie esigenze.

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manleva

Manleva: breve guida La manleva: definizione, applicazione, differenze rispetto al contratto di fideiussione e di assicurazione e giurisprudenza

Cos’è la manleva

La manleva è un accordo con cui una parte (manlevante) si impegna a tenere indenne un’altra parte (manlevato) dalle conseguenze pregiudizievoli di un determinato evento. Questo istituto giuridico trova ampia applicazione nei contratti, nei rapporti di lavoro e nelle transazioni commerciali, garantendo la tutela patrimoniale del soggetto manlevato.

Differenza tra manleva e fideiussione

Sebbene entrambe le figure mirino a proteggere un soggetto da obblighi economici, la fideiussione e la manleva presentano differenze sostanziali:

  • Natura dell’obbligo: la fideiussione è un contratto accessorio che garantisce un’obbligazione principale, mentre la manleva non è necessariamente legata a un’obbligazione preesistente.
  • Coinvolgimento delle parti: il fideiussore si obbliga nei confronti del creditore del debitore principale, mentre il manlevante assume direttamente su di sé le conseguenze patrimoniali dell’evento oggetto di manleva.
  • Ambito di applicazione: la fideiussione è regolata espressamente dal Codice Civile (art. 1936 c.c.), mentre la manleva trova fondamento nella libera contrattazione tra le parti.

Differenza tra manleva e assicurazione

La manleva ha finalità simili con l’assicurazione, ma anche rispetto a questo istituto presenta differenze importanti.

  • Rapporto giuridico: l’assicurazione è un contratto regolato dal Codice Civile (art. 1882 c.c.), mentre la manleva è un accordo tra privati che non necessita di una forma specifica.
  • Premio e rischio: nel contratto assicurativo, l’assicurato paga un premio in cambio della copertura di un rischio. Il manlevante invece assume un obbligo senza la previsione di un corrispettivo automatico.
  • Intervento di terzi: l’assicurazione prevede la partecipazione di una compagnia assicurativa, la manleva invece è un accordo diretto tra due parti.

Quando e come si applica

La manleva si applica in diversi ambiti.

  • Contratti commerciali: un’azienda può manlevare un fornitore da eventuali richieste di risarcimento.
  • Rapporti di lavoro: un datore di lavoro può essere manlevato da responsabilità per atti compiuti dai dipendenti.
  • Procedure legali: una parte può essere manlevata dagli oneri derivanti da una causa legale.

L’applicazione dell’istituto avviene mediante un accordo scritto, in cui si specificano:

  • le parti coinvolte (manlevante e manlevato);
  • il tipo di rischio o responsabilità coperta;
  • l’ambito temporale e territoriale di validità.

Giurisprudenza rilevante

La giurisprudenza ha consolidato diversi principi, chiarendo il valore legale e l’applicabilità dell’istituto:

  • Cassazione n. 37709/2021: l’accordo concluso tra le parti configura un c.d. patto di manleva, contratto atipico, dal quale scaturisce l’obbligo del mallevadore di tenere indenne il manlevato dalle conseguenze patrimoniali dannose di eventi o di atti il cui verificarsi sia del tutto eventuale.
  • Cassazione n. 29416/2024: la formulazione di una domanda di garanzia (per manleva o regresso) nei confronti di un terzo di cui si richieda la chiamata in causa esula, per consolidato indirizzo di nomofilachia, dal novero delle ipotesi di litisconsorzio necessario, sicché resta connotato da discrezionalità il provvedimento del giudice che detta istanza di evocazione del terzo, pur tempestivamente formulata, accolga o rigetti la richiesta.
  • Cassazione n. 20152/2017: la clausola di manleva è una disposizione contrattuale utilizzata per trasferire a un terzo le conseguenze risarcitorie derivanti dall’inadempimento di un’obbligazione contrattuale. Tale soggetto assume l’onere di manlevare e tenere indenne il creditore da eventuali danni o pretese risarcitorie. Nel caso di clausole di questo tipo inserite nei contratti di assicurazione, è necessaria un’esplicita approvazione nel rispetto dell’articolo 1341 del Codice Civile.

 

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testamento olografo

Testamento olografo Testamento olografo: definizione, requisiti, differenza con altri tipi di testamento, validità e impugnazione, giurisprudenza

Cos’è il testamento olografo?

Il testamento olografo è una delle forme di testamento previste dall’ordinamento giuridico italiano ed è disciplinato dall’art. 602 del Codice Civile. Si tratta di un atto unilaterale con cui una persona dispone delle proprie volontà successorie, redatto senza l’intervento di un notaio e con piena autonomia del testatore.

Requisiti del testamento olografo

Affinché questo tipo di testamento sia valido, deve rispettare tre requisiti fondamentali:

  1. Autografia: deve essere scritto interamente a mano dal testatore , lo stampatello però non è ammesso a meno il testatore non scriva abitualmente i questo modo.
  2. Data: deve contenere l’indicazione del giorno, mese e anno di redazione.
  3. Firma: il testatore deve apporre la propria firma per identificare la paternità dell’atto.

La mancata osservanza di anche uno solo di questi elementi può comportare l’invalidità del testamento.

Differenze con altri tipi di testamento

Il testamento olografo si distingue dalle altre forme di testamento previste dal Codice Civile:

  • Testamento pubblico: redatto da un notaio alla presenza di due testimoni.
  • Testamento segreto: scritto dal testatore o da un terzo e consegnato sigillato a un notaio.

A differenza di queste forme, quello olografo non richiede l’intervento di terzi, garantendo riservatezza e nessun costo di redazione. Tuttavia, essendo un documento privato, presenta maggiori rischi di smarrimento, alterazione o contestazione.

Validità e impugnazione del testamento olografo

Il testamento olografo può essere impugnato dai soggetti legittimati per vari motivi:

  • Vizi di forma: mancanza di autografia, data o firma.
  • Incapacità del testatore: se redatto da una persona non in grado di intendere e volere.
  • Vizi della volontà: errore, dolo o violenza che abbiano influito sulla decisione del testatore.

Giurisprudenza rilevante

Alcune pronunce significative della Corte di Cassazione riguardano la validità del testamento olografo:

Corte di Cassazione n. 10065/2020: L’art. 590 c.c. consente agli eredi di confermare o eseguire una disposizione testamentaria nulla, ma la sua applicabilità presuppone l’effettiva esistenza di una volontà del de cuius espressa nel testamento. Di conseguenza, la norma non trova applicazione nei casi in cui sia accertata la falsità della sottoscrizione, poiché ciò esclude qualsiasi collegamento tra il testamento e la volontà del testatore.

Cassazione n. 31322/2023: Il testamento olografo, per essere valido, deve riportare la data completa di giorno, mese e anno, scritta di pugno dal testatore. Questa data è un elemento essenziale, la cui mancanza o alterazione da parte di terzi può invalidare il testamento. Se l’alterazione della data avviene contestualmente alla redazione del testamento, questo è nullo. Tuttavia, se l’intervento del terzo è successivo, il testamento rimane valido, purché sia possibile accertare la volontà originale del testatore.

Cassazione n. 5505/2017: La validità di un testamento olografo, ovvero scritto interamente a mano dal testatore, è strettamente legata alla sua autografia. L’intervento di terzi nella redazione dell’atto, anche solo guidando la mano del testatore, compromette questa caratteristica essenziale e rende il testamento nullo. La legge richiede che il testamento olografo sia scritto di pugno dal testatore in ogni sua parte, senza ausilio di mezzi meccanici o interventi esterni. Questo requisito garantisce che il documento rifletta la volontà autentica del testatore.

Fac-simile di testamento olografo

Di seguito un esempio di testamento olografo conforme alla normativa:

TESTAMENTO OLOGRAFO

Io, [Nome e Cognome], nato a [Luogo di nascita] il [Data di nascita], residente in [Indirizzo], nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, dispongo delle mie volontà testamentarie nel modo seguente:

  1. Nomino erede universale [Nome del beneficiario] nato a [Luogo e data di nascita].
  2. Lascio a [Nome] la proprietà del mio immobile sito in [Indirizzo].
  3. Lascio a [Nome] la somma di [Importo] depositata presso [Istituto bancario].
  4. Dispongo che i miei beni vengano divisi secondo le quote di legge tra gli eredi legittimi.

Redatto a [Luogo], il [Data].

Firma: [Firma del testatore]

 

 

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lite temeraria

Lite temeraria Cosa si intende per lite temeraria, quando ricorre la responsabilità aggravata processuale ex art. 96 c.p.c. e qual è l’elemento soggettivo richiesto dalla norma

Lite temeraria e responsabilità aggravata ex art. 96

Con la locuzione “lite temeraria” giuridicamente si fa riferimento ad una posizione giudiziale sostenuta da una parte del processo nella consapevolezza della sua palese infondatezza.

In particolare, l’aver intrapreso una lite temeraria postula a carico della parte una particolare responsabilità processuale aggravata che viene sanzionata dall’art. 96 c.p.c. con l’obbligo di risarcire i danni causati alla controparte.

Tale obbligo si aggiunge, ed è quindi cosa distinta, dalla refusione delle spese prevista, in via generale, dall’art. 91 a carico della parte soccombente nel processo.

Quando si configura lite temeraria?

Presupposto della condanna per responsabilità aggravata, di cui al primo comma dell’art. 96, è la mala fede o la colpa grave di chi agisce o resiste in giudizio sapendo di essere nel torto o non avendo posto l’ordinaria diligenza nel verificare se il proprio diritto fosse effettivamente esistente.

Ulteriore presupposto per la condanna è che la parte che abbia sostenuto una lite temeraria sia risultata in totale soccombenza nel giudizio a seguito della sentenza. Una soccombenza parziale, quand’anche accompagnata dalla condanna alla rifusione delle spese di lite, non può quindi mai comportare la responsabilità aggravata di cui all’art. 96.

Inoltre, la condanna al risarcimento dei danni comportati dallo svolgimento della lite temeraria deve necessariamente conseguire ad una specifica domanda di controparte, non potendo essere dichiarata d’ufficio dal giudice.

Il risarcimento del danno per lite temeraria

Chi propone l’istanza di risarcimento per responsabilità aggravata deve dimostrare l’esistenza del danno subito, il suo nesso consequenziale con lo svolgimento del processo e l’entità del danno.

Il giudice, in ogni caso, può liquidare il risarcimento anche in via equitativa, pur rimanendo a carico della parte istante la prova del danno e l’indicazione della sua quantificazione.

Un’importante precisazione che occorre fare a proposito della pronuncia relativa al risarcimento da responsabilità processuale aggravata è che la stessa può essere domandata soltanto nel medesimo processo in cui è insorta e che la relativa decisione del giudice deve essere contenuta nella sentenza stessa.

Non è quindi configurabile un diritto della parte che abbia subito danni da lite temeraria a chiederne il ristoro in separato procedimento. Ciò vale anche per quanto riguarda i gravami, in quanto nel giudizio di appello possono essere chiesti i danni ex art. 96 c.p.c. solo se il carattere di temerarietà della lite riguardi il contegno processuale della parte tenuto nel grado di impugnazione.

La responsabilità aggravata per colpa lieve

Il secondo comma dell’art. 96 c.p.c. contempla, invece, una distinta fattispecie di responsabilità processuale aggravata, per la cui configurazione è sufficiente l’elemento soggettivo della colpa lieve.

In base a tale norma, infatti, viene pronunciata la condanna al risarcimento dei danni da lite temeraria se si accerta l’inesistenza del diritto in base al quale sia stata chiesta:

  • l’esecuzione di un provvedimento cautelare;
  • la trascrizione di una domanda giudiziale;
  • l’iscrizione di un’ipoteca giudiziale;
  • l’avvio o prosecuzione di un’esecuzione forzata.

La norma prevede che la responsabilità aggravata possa essere accertata, sempre su istanza di parte, quando l’attore/creditore abbia agito senza verificare con la normale prudenza (quindi con colpa lieve) l’effettiva sussistenza del proprio diritto ad agire.

A differenza della fattispecie contemplata dal primo comma, non è quindi necessaria la malafede o colpa grave: ciò perché le ipotesi previste dal secondo comma postulano un’ingerenza nella sfera del danneggiato più immediata e più grave, e quindi esigono un più alto grado di attenzione da parte del creditore procedente nella valutazione dell’effettiva sussistenza del proprio diritto.

Quando si applica l’articolo 96 c.p.c.?

Gli ultimi due commi dell’art. 96 c.p.c. sono di recente introduzione e prevedono due ulteriori specificazioni della disciplina della condanna per lite temeraria.

Il terzo comma, introdotto dalla legge n. 69/2009, prevede un’ipotesi di responsabilità aggravata accertabile dal giudice anche d’ufficio, a differenza di quanto previsto dai primi due commi.

Nello specifico, è previsto in capo al giudice il potere di condannare la parte dichiarata soccombente ai sensi dell’art. 91 al pagamento, in favore della parte vittoriosa, di una somma – ulteriore a quella da riconoscersi a titolo di rifusione delle spese processuali – da determinarsi in via equitativa.

Infine, il quarto ed ultimo comma dell’art. 96 c.p.c. dispone che in tutte le ipotesi contemplate dal medesimo articolo (cioè, tutto quanto abbiamo sopra esaminato) il giudice debba condannare la parte condannata per lite temeraria anche ad un pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma di denaro da quantificarsi tra i 500 e i 5.000 euro (norma introdotta dalla recente Riforma Cartabia, d.lgs. 149/22).

giurista risponde

Il pagamento al creditore apparente: la tutela dell’art. 1189 c.c. Il debitore adempiente può invocare la tutela di cui all’art. 1189 c.c. quando sussiste una situazione in cui il pagamento avvenga in conflitto tra i creditori?

Quesito con risposta a cura di Angela De Girolamo e Ilaria Iacobone

 

Poiché l’art. 1189 c.c. è diretto a tutelare il solo debitore che paghi il creditore che appia “univocamente” tale, cioè la situazione in cui il pagamento avvenga in mancanza di un conflitto, noto al debitore, sulla relativa legittimazione, tale disposizione non è, di regola, applicabile nel caso in cui siano espressamente rivolte al debitore, prima del pagamento, pretese contrastanti da diversi potenziali aventi diritto (disponendo del resto il debitore di diversi e adeguati strumenti di tutela della sua posizione, per tale eventualità), salvo solo il caso eccezionale in cui alcune di suddette pretese appaiono, già prima facie, manifestamente infondate e pretestuose ovvero vi sia un ordine giudiziale che imponga il pagamento in favore di uno dei pretendenti (Cass., sez. III, 23 ottobre 2024, n. 27439 (pagamento al creditore apparente).

Nel caso di specie, il Supremo Consesso compie una precisa ricognizione del perimetro applicativo dell’art. 1189 c.c., che disciplina il pagamento effettuato dal debitore nei confronti di colui che appare essere il creditore (creditore apparente). In virtù di tale articolo, il legislatore ha stabilito che il debitore è liberato dall’adempimento dell’obbligazione allorquando dia prova di aver eseguito la prestazione nei confronti di un soggetto che, senza essere il creditore o, comunque, un soggetto legittimato ex art. 1188 c.c., appaia essere legittimato in base a circostanze univoche e dimostra, altresì, di essere stato in buona fede. Di talché, dall’analisi della disposizione in esame emerge che affinché l’adempimento in favore di un soggetto diverso da quello legittimato a riceverlo determini la liberazione ex art. 1189 c.c., occorre che ricorrano due distinti presupposti: uno di carattere soggettivo (la buona fede del debitore) e l’altro di carattere oggettivo (le circostanze univoche che facciano apparire il ricevente come soggetto legittimato). La ratio della norma è, dunque, quella di tutelare l’affidamento incolpevole del debitore che in buona fede ritiene di adempiere la sua obbligazione, pagando il creditore legittimato a riceve la prestazione (e non il creditore apparente).

Sulla base di tale analisi, i giudici della Corte di Cassazione, nella sentenza oggetto di attenzione, hanno ravvisato la violazione e/o la falsa applicazione dell’art. 1189 c.c., da parte dei giudici della Corte d’Appello di Milano, poiché questi non avevano valutato, nell’individuare l’effettivo titolare del diritto di pagamento, una pluralità di circostanze di fatto, tra cui l’esistenza di più creditori rispetto al premo assicurativo. Invero, nel momento in cui vengono avanzate più pretese in ordine al pagamento dell’obbligazione, tra loro contrastanti e ad opera di soggetti diversi, è palese la sussistenza di una controversia in punto di autenticità delle sottoscrizioni (precedente effettuate) e, quindi, di riflesso, anche sulla autenticità della titolarità del diritto al pagamento.

Ciò posto, la Corte di Cassazione stabilisce che la sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Milano sia inficiata da un vizio c.d. di sussunzione, poiché ha ricondotto nell’alveo del perimetro applicativo dell’art. 1189 c.c. una fattispecie concreta che, in realtà, non rientra in tale campo applicazione. Difatti, la disciplina enucleabile dall’art. 1189 c.c. non è passibile di applicazione allorquando, in primo luogo, siano avanzate – espressamente – al debitore pretese tra loro contrastanti e provenienti da soggetti in conflitto tra loro circa l’adempimento di un’obbligazione e, in secondo luogo, quando non sussistono circostanze oggettive ovvero univoche che inducono il debitore ad effettuare il pagamento nei confronti di uno dei “creditori”.

La Corte di Cassazione, conclude, stabilendo che in tali casi viene in soccorso, non già l’art. 1189 c.c., ma l’art. 687 c.p.c. La norma, nello specifico, disciplina il c.d. sequestro conservativo. Di tale autonoma figura di sequestro ci si può avvalere allorché tra le parti del rapporto sinallagmatico sorga una controversia circa i diritti e gli obblighi nascenti dallo stesso rapporto, così come nell’ipotesi in cui, avendo il debitore chiesto un accertamento negativo del proprio obbligo, intenda medio tempore sottrarsi alle conseguenze negative dell’inadempimento, ossia alla mora debendi.

Sulla base di tali principi, i giudici di legittimità, nel caso attenzionato, accolgono il ricorso incidentale avanzato dagli eredi dello stipulante la polizza assicurativa e cassano la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinviano alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione.

 

(*Contributo in tema di “Il pagamento al creditore apparente: la tutela dell’art. 1189 c.c.”, a cura di Angela De Girolamo e Ilaria Iacobone, estratto da Obiettivo Magistrato n. 81 / Gennaio 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

tabella unica nazionale

Macrolesioni: in scena la Tabella Unica Nazionale (TUN) Tabella Unica Nazionale risarcimento danni non patrimoniali: cosa prevede il regolamento che uniforma i criteri per i danni da lesione in vigore dal 5 marzo 2025

Tabella Unica Nazionale: cosa prevede il regolamento

Con l’approvazione definitiva della Tabella Unica nazionale per il risarcimento dei danni non patrimoniali da lesioni gravi conseguenti a sinistri stradali e responsabilità sanitaria, l’Italia, dopo vent’anni di dibattiti, possiede finalmente una regolamentazione più equa e uniforme dei risarcimenti per i danni non patrimoniali gravi.

Il Regolamento recante la Tabella Unica Nazionale (TUN), approvato in via definitiva il 25 novembre 2024 e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 40 del 18.02.2025  Serie generale, Supplemento Ordinario n. 4,  in vigore dal 5 marzo 2025, trasforma in modo significativo il  panorama normativo in materia di danno non patrimoniale.

La TUN, ossia la Tabella Unica Nazionale, prevista dall’articolo 138 del Codice delle Assicurazioni (D.Lgs. n. 209/2005), punta a uniformare i criteri di risarcimento per le lesioni fisiche e psico-fisiche gravi derivanti da sinistri stradali e responsabilità sanitaria.

L’introduzione della Tabella Unica Nazionale segna un passo fondamentale verso una maggiore equità e uniformità nel sistema risarcitorio italiano. Sebbene, per gli esperti, ci siano ancora aspetti da perfezionare, la TUN rappresenta un esercizio di civiltà giuridica che offre nuove certezze sia ai danneggiati che agli operatori del settore.

Con questo strumento si apre infatti la strada a una gestione più razionale e sostenibile dei risarcimenti, ponendo fine a decenni di disomogeneità e contenziosi.

Iter normativo: l’intervento del Consiglio di Stato

L’elaborazione della TUN ha incontrato diversi ostacoli, tra cui una sospensione significativa nel febbraio 2024, quando il Consiglio di Stato ha sollevato critiche su aspetti tecnici e giuridici del testo. Questi rilievi hanno spinto il Governo a rivedere il regolamento, senza però stravolgerne l’impianto originario.

Il risultato è un sistema tabellare che concilia i criteri previsti dall’articolo 138 con la consolidata giurisprudenza in materia di danno non patrimoniale. Il Consiglio di Stato, pur approvando il testo rivisto, ha evidenziato la necessità di mantenere un equilibrio tra la tutela dei diritti dei danneggiati e la sostenibilità economica per le imprese assicurative.

Obiettivi della Tabella Unica Nazionale

L’introduzione della TUN risponde a molteplici obiettivi.

  1. Superare le disomogeneità delle tabelle attualmente in uso, come quelle dei Tribunali di Milano e Roma.
  2. Garantire risarcimenti proporzionati e adeguati alle lesioni, riducendo disparità territoriali.
  3. Offrire parametri certi per la liquidazione dei danni, favorendo soluzioni stragiudiziali.
  4. Fornire uno strumento chiaro per avvocati, giudici, medici legali e compagnie assicurative.

Limiti delle tabelle preesistenti

Fino a oggi, l’assenza di un sistema unitario ha portato all’adozione di tabelle differenti a seconda della giurisdizione, con disallineamenti significativi, soprattutto per le lesioni più gravi. Ad esempio, mentre la tabella del Tribunale di Roma tende a riconoscere somme più alte, quella di Milano gode di un primato di applicazione grazie a un’ampia accettazione da parte della Cassazione.

Dal 5 marzo 2025, data di entrata in vigore del Regolamento, queste problematiche non riguarderanno più le vittime dei sinistri che si verificheranno dopo tale data.

Contenuti della Tabella Unica Nazionale

Il Regolamento introduce un sistema basato su coefficienti precisi che tengono conto de seguenti aspetti:

  • punti di invalidità: ogni punto, da 10 a 100, è associato a un valore economico progressivo;
  • età del danneggiato: il valore del punto diminuisce con l’aumentare dell’età;
  • danno morale: previsti incrementi percentuali in base alla gravità della lesione e alle particolari circostanze personali.

Il Regolamento contiene a tal fine tabelle distinte comprensive del danno morale con aumento minimo, medio e massimo.

Allegati: strumenti di calcolo

Il Regolamento comprende allegati che dettagliano i parametri per il calcolo dei risarcimenti:

– Allegato I: definisce i coefficienti moltiplicatori del punto per il calcolo del danno biologico e morale. La tabella 1A contiene il coefficiente moltiplicatore biologico del punto.

La tabella 1B invece contiene i coefficienti di riduzione legati all’età. La tavola II infine prevede il coefficiente moltiplicatore per il danno morale.

– Allegato II: include tabelle che indicano il valore da attribuire a ogni punto di invalidità (con coefficienti di variazione che tengono conto dell’età del soggetto) e tabelle che comprendono il danno morale con aumenti minimi, medi e massimi.

TUN: impatto sul sistema risarcitorio

L’approvazione della TUN apporta sicuramente benefici significativi. Un sistema tabellare unico infatti limita le discrezionalità nelle decisioni giudiziarie, la presenza di parametri chiari agevolano la risoluzione stragiudiziale delle controversie, una maggiore prevedibilità dei costi contribuisce alla stabilità del mercato assicurativo.

Osservazioni e criticità

Con la Tabella Unica il legislatore ha dimostrato senza dubbio di preferire i meccanismi di liquidazione adottati dal Tribunale di Milano, dimostrando così di essere stato in un certo senso influenzato dalle numerose pronunce in cui la Cassazione ha spesso indicato la tabella milanese come il modello di riferimento.

La Tabella capitolina è stata disattesa probabilmente perchè più gravosa dal punto di vista economica.

Una cosa è certa, la Tabella Unica razionalizza il sistema risarcitorio relativo al danno alla persona, senza trascurare la necessaria sostenibilità del sistema assicurativo.

 

 

Leggi anche: Danno non patrimoniale: le tabelle milanesi 2024

azione di spoglio

Azione di spoglio: guida e modello Azione di spoglio o reintegrazione: come è disciplinata dall’art. 1168 del Codice Civile: guida con modello di ricorso

Cos’è l’azione di spoglio o reintegrazione?

L’azione di spoglio o di reintegrazione è una delle azioni possessorie previste dal nostro ordinamento giuridico, attraverso la quale un soggetto può chiedere di essere reintegrato nel possesso di un bene che è stato illegittimamente sottratto o turbato. Il riferimento normativo principale è l’art. 1168 del Codice Civile, che stabilisce “Chi è stato violentemente od occultamente spogliato del possesso può, entro l’anno dal sofferto spoglio, chiedere contro l’autore di esso la reintegrazione del possesso medesimo. L’azione è concessa altresì a chi ha la detenzione della cosa, tranne il caso che l’abbia per ragioni di servizio o di ospitalità. Se lo spoglio è clandestino, il termine per chiedere la reintegrazione decorre dal giorno della scoperta dello spoglio. La reintegrazione deve ordinarsi dal giudice sulla semplice notorietà del fatto, senza dilazione.”

Se il bene è stato sottratto, si parla di spoglio, se invece si è verificata una turba al possesso (ad esempio, interferenze o disturbano l’uso pacifico del bene), si parla di turbativa, ma in questo caso l’azione prevista è quella di manutenzione disciplinata dall’articolo 1170 del Codice civile. 

I requisiti per l’azione di spoglio o reintegrazione

Per esercitare questa azione, il soggetto che ha subito lo spoglio deve soddisfare determinati requisiti:

  1. Possesso legittimo: il soggetto deve essere il possessore del bene, anche se non è il proprietario o anche il detentore, in questo caso però la detenzione non deve essere motivata da ragioni di servizio o di ospitalità.
  2. Sottrazione: deve esserci stata una sottrazione (spoglio) avvenuto in modo violento e occulto.
  3. Atto illecito da parte del soggetto che causa la sottrazione: l’azione che interrompe il possesso deve essere illegittima, quindi non deve esserci stato il consenso del possessore.
  4. Tempestività dell’azione: l’azione deve essere promossa senza indugi, poiché la legge prevede che il possessore per la reintegrazione debba agire entro un termine di 1 anno dal dal sofferto spoglio ossia dalla sottrazione del possesso.

Cos’è lo spoglio clandestino?

Lo spoglio clandestino è una forma di sottrazione del possesso che avviene senza che il possessore sia consapevole del fatto. Si verifica quando una persona, senza il consenso del possessore, rimuove il bene o lo sottrae, ma in modo tale che il possessore non se ne accorga immediatamente. Ad esempio, può trattarsi di un’occupazione furtiva di un immobile o la sottrazione di beni in modo tale che il possessore non se ne accorga fino a quando non cercherà di esercitare i propri diritti.

Questa modalità di spoglio è particolarmente insidiosa, in quanto può rendere più difficile per il soggetto che ha subito il danno esercitare tempestivamente l’azione di reintegrazione. Per questo l’ordinamento prevede che in questo caso il possessore possa avviare l’azione di recupero del bene entro un anno dal momento in cui scopre di avere subito lo spoglio.

Giurisprudenza rilevante

La giurisprudenza ha affrontato diverse volte il tema dell’azione di spoglio o reintegrazione. Di seguito vengono riportate alcune sentenze significative in materia:

Cassazione n. 23870/2021: La norma deve essere intesa nel senso che, in materia di reintegrazione del possesso, il termine stabilito dall’art. 1168 c.c. per intraprendere l’azione inizia a decorrere, in caso di spoglio clandestino – ossia avvenuto all’insaputa del possessore – dal momento in cui la parte lesa è in grado di accorgersene, adottando la normale diligenza di una persona comune.

Cassazione n. 7/2014: La convivenza “more uxorio” è riconosciuta come una vera e propria formazione sociale con rilievo giuridico, distinguendosi dalla semplice ospitalità. Questo comporta che il convivente non proprietario abbia un diritto di fatto sulla casa in cui si svolge la vita comune, configurando una detenzione qualificata con base in un rapporto familiare. Di conseguenza, se il convivente proprietario estromette in modo violento o clandestino l’altro convivente, quest’ultimo può tutelare il proprio possesso attraverso l’azione di spoglio (Cass. 7214/2013).

Modello di ricorso per azione di reintegrazione

Di seguito un modello base di ricorso per azione di reintegrazione, da adattare in base al caso concreto:

TRIBUNALE DI [Città]

RICORSO EX ART. 1168 CODICE CIVILE

Il sottoscritto [Nome e Cognome del ricorrente], residente in [indirizzo], codice fiscale [CF],
in qualità di possessore del bene sito in [indirizzo del bene],
rappresentato e difeso dall’Avv. [Nome e Cognome], con studio in [indirizzo], e domiciliato presso lo stesso studio,
espone quanto segue:

– Il ricorrente è possessore del bene immobile sopra indicato, avendo esercitato su di esso il possesso in modo pacifico, continuo e non interrotto da [data di inizio del possesso].

– In data [data dell’evento] il ricorrente ha subito uno spoglio/turbativa del suo possesso da parte di [Nome del soggetto che ha effettuato lo spoglio/turbativa], che ha compiuto atti di [descrizione dell’atto illecito].

– Nonostante i tentativi di recupero della situazione, il ricorrente non è riuscito a riacquistare il pieno possesso del bene, trovandosi in una condizione di [descrizione dell’atto di spoglio o turbativa].

Tutto ciò premesso e ritenuto, il ricorrente, come sopra rappresentato e difeso

Chiede

che l’On.le Tribunale voglia reintegrare il suo possesso del bene, ai sensi dell’art. 1168 del Codice Civile, con l’ordine di [eventuale richiesta di risarcimento danni o altre misure].

Chiede, per questi motivi, che l’On.le Tribunale voglia:

  • Ordinare la reintegrazione nel possesso del bene sopra descritto.
  • Condannare il convenuto al risarcimento dei danni derivanti dall’atto illecito.

In fede,
[Data e firma del ricorrente]

 

 

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