indennità custode giudiziario

Indennità custode giudiziario: alle SS.UU. il termine di decadenza La Cassazione rimette alle Sezioni Unite il nodo del termine di 100 giorni per chiedere l’indennità del custode giudiziario

Indennità custode giudiziario

Indennità custode giudiziario: con l’ordinanza interlocutoria n. 15046/2025, la prima sezione civile della Cassazione ha rimesso alle sezioni unite la seguente questione: se al custode giudiziario debba applicarsi il termine di 100 giorni previsto per gli altri ausiliari del giudice ai sensi dell’art. 71, comma 2, del D.P.R. n. 115/2002 (Testo unico spese di giustizia).

Il nodo interpretativo nasce da un contrasto giurisprudenziale tra le sezioni civili e penali della stessa Corte, evidenziando la natura trasversale della figura del custode tra processo civile e penale.

Il caso

La vicenda trae origine da una opposizione proposta da un custode giudiziario contro il rigetto, da parte del GIP di Locri, dell’istanza di liquidazione delle indennità relative alla custodia di autoveicoli sequestrati in sede penale.

Il ricorrente lamentava che il termine di decadenza di 100 giorni, previsto dall’art. 71 per gli ausiliari del giudice, non fosse applicabile alla sua posizione, regolata invece dal successivo art. 72 del D.P.R. n. 115/2002, che non contempla alcun termine decadenziale.

Le tesi contrapposte

La Cassazione ha esaminato due orientamenti consolidati ma contrapposti:

  • Orientamento restrittivo (penale): esclude l’applicabilità del termine di decadenza al custode, evidenziando l’assenza di tale previsione nell’art. 72 e la differenza strutturale e funzionale tra custode e altri ausiliari. Il custode, infatti, non contribuisce all’accertamento giudiziale, ma ha un compito materiale di conservazione del bene sottoposto a vincolo.

  • Orientamento estensivo (civile): sostiene l’applicazione del termine anche al custode giudiziario, fondandosi sull’art. 3 del T.U. spese di giustizia, che elenca gli ausiliari del giudice in senso ampio. In tale prospettiva, il custode rientrerebbe tra i soggetti che devono presentare l’istanza di liquidazione entro 100 giorni dal compimento dell’incarico.

Le ragioni del rinvio alle Sezioni Unite

La Corte, pur rilevando l’esistenza di numerose pronunce che equiparano il custode agli ausiliari del giudice, ha riconosciuto la presenza di elementi distintivi che potrebbero giustificare un trattamento differenziato. In particolare, si osserva che:

  • L’attività del custode ha una natura continuativa e spesso si protrae nel tempo;

  • Il compenso del custode è definito come “indennità”, distinta dagli “onorari” previsti per gli altri ausiliari;

  • La disciplina vigente (in particolare l’art. 72) non contiene alcuna disposizione specifica in merito a un termine perentorio di richiesta.

Quale sarà la sorte dell’indennità del custode?

Sarà ora compito delle Sezioni Unite della Cassazione chiarire in modo definitivo se il custode giudiziario debba o meno presentare l’istanza di liquidazione entro il termine di 100 giorni dal termine del proprio incarico.

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giurista risponde

Danno da perdita del rapporto parentale patito dalle figlie Il danno morale patito dalle figlie per perdita della relazione parentale va riconosciuto anche in caso di mancata convivenza con il genitore?

Quesito con risposta a cura di Maurizio Della Ventura e Junia Valeria Massa

 

L’uccisione di una persona fa presumere da sola, ex art. 2727 c.c., una conseguente sofferenza morale in capo ai genitori, al coniuge, ai figli o ai fratelli della vittima, a nulla rilevando né che la vittima ed il superstite non convivessero, né che fossero distanti (circostanze, quest’ultime, le quali potranno essere valutate ai fini del quantum debeatur: in tal caso, grava sul convenuto l’onere di provare che vittima e superstite fossero tra loro indifferenti o in odio, e di conseguenza la morte della prima non abbia causato pregiudizi non patrimoniali di sorta al secondo. (Cass., sez. III, 16 febbraio 2025, n. 3904  – Danno da perdita del rapporto parentale).

 Nel caso di specie, la Suprema Corte, a distanza di pochi anni da un suo precedente arresto, torna nuovamente a pronunciarsi sul tema del danno da perdita del rapporto parentale, con particolare riguardo all’incidenza che riveste la coabitazione e la vicinanza geografica fra il defunto, quale vittima primaria, e alcuni suoi familiari, come vittime secondarie o di riflesso.

Il caso sottoposto al vaglio dei giudici di merito, prima, e della Corte di legittimità, in sede di ricorso, concerne l’azione risarcitoria avanzata dagli attori avverso la struttura ospedaliera per il riconoscimento del danno derivante dalla definitiva deprivazione della relazione parentale, in seguito all’uccisione del rispettivo coniuge e padre.

Atteso il rigetto della domanda da parte del giudice di prime cure, veniva adita la Corte d’appello che, in parziale accoglimento del gravame, riconosceva esclusivamente in capo al coniuge il danno da sofferenza per morte del congiunto, rigettando l’analoga domanda delle figlie.

Le ragioni che hanno condotto ad escludere la rilevanza del legame con la vittima ai fini del diritto al risarcimento, riposerebbero nella lontananza dal de cuius e nella mancata allegazione del concreto atteggiarsi della relazione affettiva richiesta per i rapporti tra genitori e figli non conviventi.

Avverso il decisum, i soccombenti ricorrevano per Cassazione eccependo, quale unica doglianza, la violazione ed erronea interpretazione degli artt. 1123 e 2059 c.c., nonché violazione dei precetti costituzionali dedicati alla famiglia, ex art. 29, 30 e 31 Cost.

La Suprema Corte, disattendendo l’assunto confermato in appello, con un’argomentazione più succinta, ma non per questo reticente – tenuto conto dell’evidente rinvio ai precedenti sul punto – si sofferma sul tema del nesso intercorrente tra la cessazione della convivenza e le ricadute in termini probatori ai fini dell’accoglimento della domanda risarcitoria.

Il collegio giudicante muove dalla premessa logico-giuridica che l’esistenza di un pregiudizio conseguente dalla perdita del rapporto parentale si presume allorquando il fatto colpisca i membri della c.d. “famiglia nucleare”, ossia quei soggetti legati da un matrimonio o da uno stretto vincolo di parentela.

Da siffatta circostanza ne consegue che l’evento uccisione di uno dei soggetti componenti la cellula minima familiare è idonea ex se a far presumere, a mente dell’art. 2727 c.c., una sofferenza morale in capo ai genitori, al coniuge, ai figli od ai fratelli della vittima.

Ma vi è di più.

L’enunciato principio di diritto, sostiene la Corte, non subisce alcuna torsione in ragione del fatto che vittima e superstite non convivessero né che fossero distanti, in quanto ciò non si riflette nella volontà di porre fine al forte, peculiare e duraturo legame affettivo; tuttalpiù, le citate circostanze assumono rilievo ai soli del giudizio di quantificazione del danno sofferto e, comunque, non sarebbero di per sé sole, foriere di un contesto relazionale compromesso.

Sullo sfondo della prospettiva accolta dalla Corte è possibile scrutare gli approdi di quel consolidato orientamento giurisprudenziale che, per un verso, non riconosce al venir meno della coabitazione alcun valore autonomo circa la produzione del danno non patrimoniale, e, per altro, non richiede l’elemento della convivenza fra la vittima primaria e secondaria per riconoscere il risarcimento del danno morale riflesso dall’uccisione di un parente.

Tale solco ermeneutico, prosegue la sentenza, oltre a costituire un caposaldo della granitica e costante giurisprudenza di legittimità, consente, al contempo, di destrutturare agevolmente le argomentazioni poste a fondamento della decisione oggetto del giudizio di legittimità.

Ne deve conseguire, il riconoscimento di un danno morale in capo ai superstiti, anche se non più conviventi con la vittima, nonché l’inversione della prova in capo al convenuto circa l’esistenza di un rapporto di indifferenza e di odio tra i medesimi soggetti.

Alla luce del summenzionato iter argomentativo e facendo buon governo dei precedenti pronunciamenti, la Corte, in accoglimento del ricorso, cassa la sentenza impugnata rinviando, per l’effetto, la causa alla Corte d’Appello.

 

(*Contributo in tema di “Danno da perdita del rapporto parentale ”, a cura di Maurizio Della Ventura e Junia Valeria Massa, estratto da Obiettivo Magistrato n. 84 / Aprile 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

procura speciale e definizione accelerata

Procura speciale e definizione accelerata: chiarimenti delle SS.UU. Le Sezioni Unite della Cassazione chiariscono quando non è più necessaria la nuova procura speciale nei procedimenti di definizione accelerata, alla luce del correttivo Cartabia

La nuova linea sull’art. 380-bis c.p.c.

Procura speciale e definizione accelerata: con la sentenza n. 14986 del 4 giugno 2025, le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione hanno fatto chiarezza sull’ambito di applicazione dell’art. 380-bis c.p.c. come riformulato dal d.lgs. n. 164/2024 (cosiddetto “correttivo Cartabia”), stabilendo in quali casi non è più necessario allegare una nuova procura speciale in sede di istanza di decisione.

Quando si applica la nuova versione

Secondo la Suprema Corte, la nuova formulazione dell’art. 380-bis c.p.c. – che elimina l’obbligo di allegare una nuova procura speciale all’istanza di decisione – trova applicazione nei procedimenti in cui il termine per richiedere la decisione sia scaduto dopo il 26 novembre 2024, data di entrata in vigore del d.lgs. 164/2024.

La Cassazione chiarisce che la riforma è applicabile anche ai ricorsi notificati prima dell’1 gennaio 2023, purché non fosse stata ancora fissata l’adunanza camerale o l’udienza pubblica alla data di entrata in vigore della riforma.

Il principio tempus regit actum

Le Sezioni Unite richiamano il principio tempus regit actum, specificando che la riforma si applica agli atti processuali compiuti successivamente alla sua entrata in vigore. In tale contesto, l’atto rilevante è l’istanza di decisione: se presentata dopo il 26 novembre 2024, non è più necessario corredarla di una nuova procura speciale.

Nei procedimenti in cui, invece, il termine per l’istanza era già scaduto prima di quella data, l’assenza della procura speciale comporta l’estinzione del giudizio ai sensi dell’art. 391 c.p.c., trattandosi di un vizio processuale sopravvenuto.

Procura speciale e definizione accelerata: i casi anteriori

Nei ricorsi rientranti ancora nel regime previgente, la mancata allegazione della nuova procura speciale impedisce la prosecuzione del giudizio, poiché equivale alla mancanza di una rituale richiesta di decisione. In tali ipotesi, non si può ritenere che la causa sia stata definita in conformità alla proposta di manifesta inammissibilità, improcedibilità o infondatezza: l’estinzione dipende da un vizio autonomo, indipendente dal contenuto della proposta.

cartellino senza prezzo

Cartellino senza prezzo? Scatta la sanzione La Cassazione conferma l'obbligo di esposizione chiara e leggibile del prezzo di vendita nel cartellino

Prezzo non visibile nel cartellino

Cartellino senza prezzo: una griffe della moda è stata sanzionata per aver nascosto i cartellini del prezzo all’interno dei capi esposti. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14826/2025, ha confermato che il prezzo di vendita deve essere sempre chiaramente visibile, a tutela del consumatore. L’informazione deve essere trasparente, accessibile e immediatamente percepibile, anche nei settori di lusso.

Il caso: cartellino senza prezzo

La vicenda trae origine da un verbale redatto dalla Guardia di Finanza, che aveva accertato l’assenza di indicazioni chiare sul prezzo di prodotti in vendita presso una nota boutique. I cartellini erano presenti, ma nascosti all’interno delle tasche dei vestiti o chiusi nelle borse. L’autorità comunale aveva inflitto una sanzione amministrativa da 1.032 euro, poi confermata in sede giudiziaria.

In primo grado, il Giudice di pace di Ferrara aveva accolto l’opposizione della maison, ritenendo sufficiente la presenza del cartellino anche se non visibile esternamente. Ma il Tribunale e poi la Cassazione hanno ribaltato il verdetto.

Visibilità e leggibilità requisiti inscindibili

Secondo la Seconda sezione civile della Corte, il cartellino del prezzo non deve solo esistere, ma anche essere posizionato in modo tale da risultare immediatamente visibile. La Corte ha chiarito che, sebbene “visibilità” e “leggibilità” non siano sinonimi, la chiara leggibilità imposta dall’art. 14 del D.lgs. 114/1998 comporta necessariamente anche una facile visibilità da parte del pubblico.

Un cartellino posto all’interno di un prodotto o nascosto tra le pieghe non risponde a tale requisito, violando così le disposizioni sul commercio al dettaglio.

La regola vale anche per il self-service

Particolare rilievo viene dato dalla Corte alla disposizione contenuta nel terzo comma dell’art. 14, che disciplina la vendita a libero servizio: in questi casi, l’esposizione del prezzo deve garantire una immediata percezione visiva da parte del consumatore. Da ciò discende che, se la visibilità è richiesta anche dove il cliente può manipolare il prodotto, a maggior ragione è necessaria nei casi in cui il contatto fisico con il bene non sia consentito.

Il precedente

La Corte ha richiamato un proprio orientamento consolidato con la sentenza n. 3115/2005, secondo cui un cartellino posto sotto l’oggetto in esposizione è da considerarsi “nascosto”. Anche se il prezzo è tecnicamente leggibile una volta individuato, non soddisfa l’obbligo normativo se non immediatamente visibile e riconducibile al prodotto esposto.

Trasparenza prezzi diritto del consumatore

Il principio espresso dalla Corte si inserisce nel solco della normativa italiana ed europea che mira alla tutela della trasparenza informativa nei rapporti di consumo. Il commerciante non può scegliere discrezionalmente dove collocare il prezzo, soprattutto se tale scelta comporta difficoltà per il cliente nel conoscere il costo del prodotto.

La Corte ha respinto anche l’argomento della maison, secondo cui nel settore moda la visibilità del prezzo sarebbe “non rilevante” rispetto a brand, allestimento e qualità del servizio: la normativa sul commercio non prevede deroghe per il lusso.

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associazioni riconosciute

Associazioni riconosciute Associazioni riconosciute: cosa sono, quali sono e come si distinguono da quelle non riconosciute

Associazioni riconosciute: cosa sono

Le associazioni riconosciute si costituiscono per perseguire finalità comuni non economiche (culturali, religiose, sportive, benefiche, ecc.), dotandosi della personalità giuridica mediante un iter specifico di riconoscimento. A differenza delle associazioni non riconosciute, queste godono di un’autonomia patrimoniale perfetta, ossia il loro patrimonio è distinto da quello degli associati e degli amministratori.

Normativa di riferimento: artt. 14–35 c.c.

Le associazioni, in generale, sono regolate dal titolo II del libro I del codice civile (artt. 14–35 c.c.). Quelle riconosciute si distinguono in quanto acquisiscono personalità giuridica attraverso un atto formale di riconoscimento da parte dello Stato, sulla base di una valutazione dell’adeguatezza patrimoniale e della conformità dell’atto costitutivo e dello statuto alle norme vigenti.

Il riconoscimento avviene oggi ai sensi del D.P.R. 361/2000 per le persone giuridiche private non appartenenti al Terzo Settore, o tramite il Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS) per gli enti iscritti.

Associazioni riconosciute: definizione e requisiti

Una associazione riconosciuta è un ente senza scopo di lucro che:

  • persegue una finalità lecita e di pubblica utilità (ad esempio culturale, educativa, sportiva, religiosa);
  • è dotata di atto costitutivo e statuto conformi alle disposizioni di legge;
  • è riconosciuta dallo Stato o da un ente pubblico competente, tramite l’iscrizione in appositi registri;
  • è in possesso di un patrimonio adeguato al perseguimento delle proprie finalità.

Differenza tra associazioni riconosciute e non riconosciute

Aspetto

Associazione riconosciuta

Associazione non riconosciuta

Personalità giuridica

No

Responsabilità patrimoniale

Limitata al patrimonio

Anche personale (degli amministratori)

Requisiti di costituzione

Atto pubblico + riconoscimento

Atto costitutivo anche privato

Controlli pubblici

Sì, anche su bilanci e statuti

Minori obblighi formali

Capacità giuridica piena

Sì, agisce in nome proprio

Agisce per il tramite di rappresentanti

La differenza principale tra queste due figure consiste nella responsabilità: nelle associazioni non riconosciute, in caso di debiti, possono essere chiamati a rispondere personalmente gli amministratori (art. 38 c.c.), mentre le associazioni riconosciute rispondono solo con il proprio patrimonio.

Come si costituisce un’associazione riconosciuta

Per ottenere il riconoscimento giuridico, è necessario:

  1. redigere un atto costitutivo e uno statuto, in forma pubblica;
  2. presentare richiesta all’autorità competente (Prefettura, Regione, RUNTS);
  3. dimostrare di possedere un patrimonio iniziale adeguato, normalmente non inferiore a 15.000 euro (variabile);
  4. attendere il provvedimento formale di riconoscimento e l’iscrizione nei registri previsti.

Nel caso di associazioni del Terzo Settore, l’iscrizione nel Registro Unico Nazionale (RUNTS) comporta il riconoscimento automatico della personalità giuridica, come stabilito dal D.lgs. n. 117/2017 (Codice del Terzo Settore).

Esempi di associazioni riconosciute

  • Associazioni culturali riconosciute (es. accademie, fondazioni artistiche);
  • Associazioni sportive dilettantistiche;
  • Associazioni di volontariato o promozione sociale;
  • Associazioni dei consumatori;
  • Associazioni per la protezione ambientale.

Giurisprudenza

La giurisprudenza civile ha spesso ribadito la distinzione tra soggettività giuridica e responsabilità patrimoniale, sottolineando come la concessione della personalità giuridica non dipenda dalla sola volontà delle parti, ma da un provvedimento amministrativo formale. Inoltre, è frequente l’intervento della Cassazione nei casi in cui si discute della responsabilità personale degli amministratori di associazioni non riconosciute, specie in caso di obbligazioni contratte in nome dell’ente.

 

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giurista risponde

Azione diretta del terzo trasportato: presupposti In caso di risarcimento corrisposto al terzo trasportato, a norma dell’art. 141 D.Lgs. 209/2005 ai fini dell’esatta proposizione della successiva azione di rivalsa da parte dell’impresa assicuratrice del vettore è necessaria la corresponsabilità di almeno due veicoli e la sussistenza di un valido contratto per la RCA in capo al veicolo responsabile?

Quesito con risposta a cura di Maurizio Della Ventura e Junia Valeria Massa

 

La liquidazione del danno da parte dell’assicuratore del vettore prescinde da ogni accertamento sulla responsabilità dei conducenti dei mezzi (almeno due) coinvolti nel sinistro, avendo funzione di massima tutela per il trasportato, né potendo consistere il caso fortuito nel fattore umano riferibile all’altro conducente. Inoltre, l’art. 141 cod. ass. può operare anche nelle ipotesi in cui il veicolo del responsabile civile non risulti coperto da assicurazione, in quanto la rivalsa può essere esercitata contro l’impresa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada (Cass., sez. III, ord. 7 febbraio 2025, n. 3118 – Azione diretta del terzo trasportato).

Nel caso di specie, la sez. III, a distanza di pochi anni dalla leading case delle Sezioni Unite, torna nuovamente a statuire in materia di azione diretta promossa (L’azione diretta del terzo trasportato a seguito di sinistro stradale) dal terzo trasportato all’indirizzo impresa assicuratrice, nonché sul successivo diritto di rivalsa di quest’ultima nei confronti dell’assicuratore del responsabile civile.

La vicenda processuale sottesa alla pronuncia in esergo prende le mosse dalla richiesta di liquidazione del danno avanzata da un soggetto terza trasportata su un motociclo nei confronti della società assicuratrice del veicolo. Dopo aver provveduto all’erogazione delle somme come sopra richieste, l’impresa designata citava in giudizio l’impresa di assicurazione del responsabile civile, al fine di esercitare, a mente dell’art. 141, comma 1 C.d.a, il proprio diritto di rivalsa alla restituzione del quantum corrisposto.

Nel corso dei giudizi di merito la domanda attorea veniva rigettata in ragione della constatata assenza dei presupposti fondanti l’azione giudiziaria, ex art. 141 c.d.a.: la presenza di una corresponsabilità tra almeno due veicoli; la sussistenza di un valido contratto per la RCA in capo al veicolo responsabile.

Atteso il mancato accoglimento, l’impresa soccombente proponeva ricorso per cassazione.

Per quanto d’interesse in questa sede, la difesa eccepiva la nullità della sentenza impugnata, in quanto la motivazione resa non consentiva di appurare le valutazioni di infondatezza dei motivi di gravame e porgeva il fianco ad un giudizio di illogicità nella parte in cui richiedeva – operando tra l’altro un rinvio a pronunce di legittimità (Cass., sez. III, 13 febbraio 2019, n. 4147) – la necessaria corresponsabilità del vettore, al lume di una lettura della nozione di “caso fortuito” comprensiva anche del fattore umano.

La seconda doglianza, invece, lamentava una violazione e falsa applicazione dell’art. 141, comma 4, in quanto la parte motiva della sentenza impugnata ne escludeva l’applicazione nell’ipotesi, come quella oggetto di giudizio, in cui era stata accertata l’inesistenza di un contratto di assicurazione con il responsabile civile, con ciò generando una ingiustificata disparità di trattamento.

Investita del ricorso, la sez. III ha accolto le eccezioni di parte cogliendo, al contempo, l’occasione per sagomare i confini operativi dell’azione diretta prevista dall’art. 141 cit.

Nell’esercitare la propria funzione nomofilattica, i giudici di Piazza Cavour hanno consolidato l’indirizzo interpretativo inaugurato dalla medesima Corte nella sua più alta composizione (Cass., Sez. Un., 30 novembre 2022, n. 35318), che, superando quello fatto proprio dai giudici di merito, ha precisato che l’art. 141 va letto in maniera unitaria e alla luce della sua ratio. In linea con il designato percorso ermeneutico, l’azione diretta in favore del terzo danneggiato si pone come aggiuntiva rispetto alle altre azioni previste dall’ordinamento e mira ad assicurare una tutela rafforzata, assegnandogli un debitore certo nonché facilmente individuabile e, soprattutto, consentendogli di essere indennizzato senza dover svolgere dispendiose ricerche per stabilire a quale dei conducenti coinvolti, e in quale misura, la responsabilità è addebitabile.

Valorizzando il dato letterale, non residuano margini di incertezza in ordine alla circostanza che il meccanismo designato dall’art. 141 cod. ass. presuppone che nel sinistro siano rimasti coinvolti almeno due veicoli (rectius due imprese assicuratrici), pur non essendo necessario che si sia verificato uno scontro materiale fra gli stessi; quella del vettore provvede ad erogare il risarcimento al trasportato danneggiato, sulla base di un accertamento circoscritto all’esistenza e all’entità del danno causalmente correlato al sinistro, salvo poi rivalersi in tutto o in parte nei confronti della diversa compagnia assicuratrice del responsabile civile, previo accertamento delle responsabilità dei conducenti dei veicoli coinvolti.

In pratica, per l’accesso all’azione diretta il trasportato ha l’onere di allegare il coinvolgimento di due conducenti e di due imprese, pena il rischio di una lettura “abrogativa” della norma.

Mutatis mutandis, in caso di coinvolgimento di un unico veicolo, l’azione esperibile è esclusivamente quella prevista dall’art. 144 cod. ass., da esercitarsi nei confronti dell’impresa di assicurazione del responsabile civile.

Quanto alla nozione di caso fortuito, viene nuovamente chiarito che è la stessa disposizione in commento che ne esclude una portata applicativa idonea a ricomprendere il fattore umano riferito all’altro conducente, dovendosi intendere circoscritto alle cause naturali e ai danni causati da condotte umane indipendenti dalla circolazione di altri veicoli.

Per quanto attiene alla seconda doglianza, l’ordinanza ribadisce l’altro principio espresso dalla richiamata sentenza pilota della Cassazione, a tenore del quale laddove il veicolo del responsabile civile non risulti coperto da assicurazione, la rivalsa può essere esercitata contro l’impresa designata dal Fondo di garanzia per le vittime della strada, nei limiti quantitativi stabiliti dall’art. 283, commi 2 e 4, del D.Lgs. 209/2005.

La bontà di tale asserzione riposerebbe nella stessa espressione “impresa di assicurazione del responsabile civile” di cui all’art. 141, comma 4, c.d.a., nel cui alveo applicativo non può che rientrare anche l’impresa designata dal FGVS, ove il veicolo dello stesso responsabile sia sprovvisto di copertura assicurativa.

In conformità alle conclusioni rassegnate, la Cassazione – discostandosi dalle motivazioni e dai precedenti giurisprudenziali richiamati dai giudici di merito – ha accolto il ricorso di parte e cassato la sentenza rinviando la causa alla Corte d’Appello in diversa composizione, che dovrà attenersi ai principi evidenziati in massima.

 

(*Contributo in tema di “L’azione diretta del terzo trasportato ”, a cura di Maurizio Della Ventura e Junia Valeria Massa, estratto da Obiettivo Magistrato n. 84 / Aprile 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio)

TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) Trattamento sanitario obbligatorio (TSO): cos'è, come funziona e quali sono i diritti della persona

Cos’è il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio)

Il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) è un intervento sanitario previsto dall’ordinamento italiano che può essere disposto in modo coercitivo nei confronti di una persona affetta da disturbi mentali, quando essa si rifiuta di sottoporsi volontariamente alle cure necessarie e ricorrono precise condizioni di pericolo per sé o per gli altri.

Trattasi di un misura eccezionale e residuale, finalizzata alla tutela della salute mentale del paziente e alla sicurezza pubblica, ma deve essere sempre esercitata nel pieno rispetto dei diritti costituzionali. La sua applicazione è vincolata a rigidi requisiti normativi e a un rigoroso controllo giudiziario, a garanzia dell’individuo.

La base normativa del TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) si trova nella legge n. 833/1978, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, e in particolare agli articoli 33, 34 e 35, che ne disciplinano la procedura, i presupposti e le garanzie.

Requisiti per il TSO: quando può essere disposto

Secondo l’art. 34 della legge 833/1978, il TSO può essere adottato esclusivamente quando:

  1. sussistono alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici;
  2. non è possibile attuare tempestivamente e adeguatamente interventi extraospedalieri;
  3. la persona rifiuta le cure necessarie.

Questi tre presupposti devono coesistere e vanno accertati da almeno due medici, di cui uno deve appartenere alla struttura sanitaria pubblica.

Chi può richiedere il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio)

La richiesta di TSO parte da un medico, che può essere anche un medico di base o del pronto soccorso, e deve essere convalidata da un secondo medico, appartenente a una struttura pubblica.

La proposta, accompagnata dal certificato medico, viene inviata al Sindaco, in qualità di autorità sanitaria locale, che può emettere ordinanza motivata di TSO. Successivamente, il provvedimento deve essere convalidato dal Giudice Tutelare entro 48 ore.

Come funziona il TSO: la procedura

  1. Accertamento sanitario: redazione della proposta da parte del medico, convalidata da un secondo sanitario pubblico.
  2. Emissione dell’ordinanza del Sindaco: deve indicare il tipo di trattamento e le sue modalità.
  3. Esecuzione del TSO: normalmente presso un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC).
  4. Convalida del Giudice Tutelare: entro 48 ore dalla comunicazione, il giudice convalida o meno il provvedimento.
  5. Durata: il TSO ha una durata iniziale massima di 7 giorni, prorogabile per ulteriori 7 giorni su proposta medica convalidata.

Tipi di TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio)

  • TSO in regime di ricovero: il più comune, comporta il trasferimento del paziente in un reparto psichiatrico ospedaliero.
  • TSO ambulatoriale (meno diffuso): può consistere in cure somministrate fuori dal contesto ospedaliero, sotto condizioni specifiche.

Diritti della persona sottoposta a TSO

La persona sottoposta a TSO conserva pienamente i propri diritti fondamentali, tra cui:

  • il diritto a essere informata sul trattamento e sui motivi dell’intervento.
  • il diritto alla tutela giurisdizionale, mediante ricorso.
  • il diritto alla riservatezza e al rispetto della dignità personale.
  • il diritto di comunicare con familiari e avvocati durante il trattamento.

Ricorso contro il TSO

L’interessato o chiunque vi abbia interesse può proporre ricorso al Giudice Tutelare contro la convalida del TSO. Il giudice è tenuto a decidere in tempi rapidi, garantendo il contraddittorio.

È possibile altresì proporre reclamo ex art. 737 c.p.c. o ricorso straordinario al Tribunale civile nei casi in cui emergano profili di violazione dei diritti fondamentali.

Conseguenze del TSO

Il TSO non comporta automaticamente limitazioni permanenti ai diritti civili o alla capacità giuridica, ma può essere valutato ai fini di:

  • provvedimenti di amministrazione di sostegno, interdizione o inabilitazione (oggi superati dalla figura dell’ADS);
  • decisioni in ambito lavorativo o previdenziale, con eventuale riconoscimento di invalidità;
  • limitazioni alla capacità di possesso e uso di armi, ai sensi del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS).

Normativa di riferimento

  • Legge 23 dicembre 1978, n. 833, artt. 33-35 – Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale.
  • Codice Civile, artt. 414 ss. (istituti di protezione come interdizione, inabilitazione e incapacità naturale).
  • Legge 180/1978 (cd. Legge Basaglia), abrogata ma integrata nella legge 833/1978.
  • Costituzione italiana, artt. 13 e 32 – Libertà personale e diritto alla salute.
  • Codice Deontologico Medico, in relazione all’obbligo di rispetto della volontà del paziente salvo i casi di TSO.

Leggi anche: TSO: la persona va informata sul trattamento

vademecum ocf

Mediazione post Cartabia: il vademecum OCF per gli avvocati Vademecum OCF mediazione civile e commerciale: guida breve alla procedura di cui al decreto legislativo n. 28/2010 dopo i correttivi della Riforma Cartabia

Vademecum OCF: guida per avvocati e mediatori

Il vademecum OCF sulla mediazione civile e commerciale del 24 marzo 2025, aggiornato alle modifiche apportate al decreto legislativo n. 28/2010 dagli ultimi correttivi della Riforma Cartabia si rivolge ad avvocati e mediatori. L’idea è quella di fornire una guida chiara e basilare grazie a una esposizione breve e schematica.

Vademecum, OCF: la mediazione in fasi

Il vademecum OCF, composto da 33 pagine, definisce la mediazione, ne indica le tipologie, il luogo di svolgimento e le parti coinvolte. La parte successiva dell’esposizione descrive la procedura dividendola nelle tre fasi costitutive: avvio, incontri e conclusione.

Fase 1: L’avvio della mediazione

Nella parte iniziale dedicata alla fase dell’avvio della mediazione il vademecum dedica una particolare attenzione alla mediazione in modalità telematica e agli incontri di mediazione che si tengono con modalità audiovisive da remoto.

Nell’analizzare l’articolo 12 bis del decreto legislativo n. 28/201o mette in evidenza l’importanza della partecipazione delle parti alla procedura di mediazione, elencando le conseguenze processuali della mancata presenza.

Fase 2: gli incontri di mediazione

La parte del documento dedicata alla fase 2 della procedura, dedicata agli incontri di mediazione, si occupa di analizzare l’articolo 8 del decreto legislativo n. 28/2010, che disciplina il procedimento di mediazione. Segue la descrizione dell’articolo 6 che stabilisce la durata massima della proceduta, e la trattazione della novità normativa sulla procura e sulla delega da conferire all’avvocato per la mediazione.

La fase due si chiude con la proposta conciliativa del mediatore (su richiesta delle parti o su iniziativa dello stesso in caso di mancato accordo) e sul rifiuto della proposta.

Fase 3. Conclusione del procedimento

La terza e ultima fase, ossia la conclusione del procedimento, è la parte più ampia e densa. Essa descrive i possibili esiti della procedura (negativo o positivo) e l’efficacia esecutiva e l’esecuzione dell’accordo. Un ampio spazio della trattazione è dedicato alla disciplina del patrocinio a spese dello stato.

La parte finale della trattazione è dedicata a un argomento di particolare interesse e complessità, ossia l’esenzione dalle imposte e i crediti di imposta che riguardano la procedura di mediazione. I vari paragrafi descrivono in particolare le modalità e i termini di presentazione della domanda per richiedere il riconoscimento dei benefici fiscali.

 

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Allegati

sovraindebitamento

Sovraindebitamento: guida alla legge salva suicidi Sovraindebitamento: cos’è, quali leggi lo prevedono e lo regolamentano, destinatari, procedure, esdebitazione

Sovraindebitamento: definizione

Il termine giuridico “sovraindebitamento” descrive la situazione in cui un soggetto non è più in grado di far fronte ai propri debiti. La situazione di sovraindebitamento si verifica nello specifico quando lo squilibrio tra entrate e uscite rende impossibile al debitore onorare gli impegni finanziari assunti con banche, finanziarie, fornitori e altri creditori.

Riferimenti normativi

La normativa sul sovraindebitamento rappresenta un’opportunità per individui, famiglie, professionisti e piccole imprese.

I debitori hanno infatti la possibilità di rinegoziare i debiti in base alle loro reali capacità economiche, con la prospettiva di vedersi cancellata la parte del debito che non riusciranno mai a saldare. Questo processo non deve essere considerato una  sanatoria generalizzata. Si tratta piuttosto di un meccanismo per consentire a chi è oberato dai debiti di pagare ciò che può effettivamente sostenere, conservando nello stesso tempo una vita dignitosa.

Legge salva suicidi n. 3/2012

Il sovraindebitamento è stato formalmente riconosciuto dalla Legge 3/2012, contenente  “Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento”, meglio nota come “legge salva suicidi.

Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza

Nel 2022 il sovraindebitamento è stato riformato dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche). Sebbene i principi fondamentali dell’istituto introdotti dalla Legge 3/2012 rimangano validi,  il Codice della Crisi rappresenta, al momento, il riferimento normativo principale.

Obbiettivi della procedura

Le disposizioni sul sovraindebitamento mirano a perseguire un duplice obiettivo:

  • consentire al debitore di pagare i debiti in base alle proprie effettive possibilità economiche, tenendo conto del reddito, del patrimonio e del nucleo familiare;
  • concedere l'”esdebitazione, ovvero la cancellazione di quella parte dei debiti che non può essere in alcun modo onorata, offrendo così un nuovo inizio finanziario.

Alle procedure di sovraindebitamento possono accedere però  solo coloro che si trovano in una reale situazione di difficoltà economica e che dimostrano di non aver agito in modo fraudolento o con colpa grave nella creazione del proprio indebitamento.

Codice crisi d’impresa: novità sovraindebitamento

Il Codice della Crisi ha previsto diverse novità, a tutto vantaggio del debitore.

  • Procedure familiari: i membri della stessa famiglia conviventi, con un’origine comune del sovraindebitamento, possono avviare un’unica procedura, con conseguente riduzione di costi e tempi rispetto all’obbligo di procedure individuali previsto dalla precedente normativa.
  • Meritevolezza: il debitore deve dimostrare di non aver compiuto atti di frode verso i creditori (ad esempio, sottrazione di patrimonio) e che il sovraindebitamento non è frutto di dolo o comportamenti gravemente imprudenti.
  • Merito creditizio: il codice ha introdotto un elemento di “responsabilità” per gli istituti di credito che hanno concesso finanziamenti pur essendo consapevoli della precaria situazione finanziaria del richiedente. Questo è un aspetto che può influenzare le decisioni del giudice in merito all’esdebitazione.
  • Esdebitazione del debitore incapiente o “esdebitazione senza utilità”: è consentito  cancellare tutti i debiti anche a coloro che non possiedono alcun bene o reddito da destinare al pagamento, purché”meritevoli”.
  • Cessione del quinto dello stipendio: i prestiti con cessione del quinto sono equiparati agli altri debiti e possono essere inclusi nelle procedure di sovraindebitamento.
  • Riabilitazione del richiedente: la liquidazione del patrimonio ha una durata massima e l’esdebitazione diventa automatica alla fine di questo periodo (in assenza di motivi ostativi), senza bisogno di una specifica domanda.

Debiti rientranti nel sovraindebitamento

La normativa sul sovraindebitamento può includere una vasta gamma di debiti, tra cui quelli verso le verso banche e le finanziarie, le spese per il condominio, le tasse degli enti locali; i debiti verso privati, fornitori e l’Agenzia delle Entrate. Non vi rientrano invece i debiti per alimenti dovuti al coniuge.

Destinatari procedure di sovraindebitamento

Le procedure di sovraindebitamento sono riservate ai soggetti “non fallibili”, ovvero a coloro che non superano determinate soglie dimensionali e di indebitamento previste dalla legge fallimentare. Queste categorie includono i consumatori, ossia le persone fisiche senza Partita IVA, i lavoratori autonomi, i professionisti iscritti ad albi, le piccole imprese sotto le soglie di fallibilità (debiti totali inferiori a 500.000euro; ricavi lordi inferiori a 200.000 euro e attivo patrimoniale inferiore a 300.000 euro), le aziende agricole, le Start-up innovative, gli enti no profit, enti pubblici con certe caratteristiche, i familiari del soggetto sovraindebitato (coniugi, conviventi, parenti entro il 4° grado e affini entro il 2° grado conviventi e con origine comune del debito) e i soci illimitatamente responsabili delle SNC, delle SAS e delle SPA.

Le procedure di sovraindebitamento 

Il Codice della Crisi prevede diverse procedure per affrontare il sovraindebitamento.

  1. Liquidazione controllata del sovraindebitato: questa procedura, simile alla precedente “liquidazione del patrimonio” della Legge 3/2012, prevede la liquidazione dei beni del debitore per soddisfare i creditori. Se il ricavato non copre interamente i debiti, la parte residua può essere pagata ratealmente per un periodo limitato. Il giudice ha l’ultima parola sull’esito della procedura.
  2. Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore: rivolto a persone fisiche con reddito stabile (dipendenti, pensionati, ecc.) e debiti prevalentemente di natura personale, questo piano prevede una proposta di pagamento sostenibile presentata ai creditori e soggetta all’approvazione del giudice. Non è soggetto al voto dei creditori.
  3. Concordato minore (ex accordo di composizione della crisi): destinato a imprese e professionisti non fallibili, prevede una proposta di pagamento ai creditori che diventa efficace se approvata da almeno il 50% dei crediti. Permette, in alcuni casi, la continuità aziendale.

Esdebitazione: cancellazione dei debiti

Anche nel caso di liquidazione del patrimonio, se il ricavato non copre l’intero ammontare dei debiti, il debitore può essere esdebitato per la parte residua. L’esdebitazione può essere richiesta anche da soggetti falliti, che hanno la possibilità di ricominciare, liberandosi dalle pendenze pregresse.

Esdebitazione senza utilità o “del debitore incapiente”

Questa forma di esdebitazione, introdotta dal Codice della Crisi, permette ai debitori “meritevoli” che non hanno alcun bene o reddito di ottenere la cancellazione di tutti i loro debiti una sola volta nella vita. Il beneficiario ha però l’obbligo di informare i creditori qualora, nei quattro anni successivi, dovesse entrare in possesso di risorse tali da consentire il pagamento di una percentuale del debito.

Procedura di sovraindebitamento in breve

La procedura di sovraindebitamento, molto brevemente, si articola nelle seguenti fasi:

  1. verifica preliminare: valutazione dell’ammissibilità alla legge e della convenienza della procedura;
  2. raccolta della documentazione: preparazione di tutti i documenti relativi alla situazione economica e patrimoniale;
  3. nomina dell’Organismo di Composizione della Crisi (OCC): un organismo terzo e indipendente che assiste il debitore;
  4. istanza al Giudice: presentazione della domanda di avvio della procedura;
  5. omologazione del Giudice: approvazione del piano o della liquidazione da parte del Tribunale, in cui è prevista l’adozione possibile di misure cautelari;
  6. attuazione del piano: esecuzione dei pagamenti previsti o liquidazione del patrimonio;
  7. esdebitazione e riabilitazione: al termine della liquidazione, avviene la cancellazione dei debiti non pagati.
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TSO: la persona va informata sul trattamento La Corte costituzionale dichiara illegittima la norma sul TSO che non garantisce comunicazione, audizione e notifica al soggetto coinvolto

Nuove tutele per chi è sottoposto a TSO

Con la sentenza n. 76/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 35 della legge n. 833/1978 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), nella parte in cui non garantisce tre fondamentali garanzie procedurali a chi è sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio (TSO) in regime di ricovero:

  1. Comunicazione del provvedimento del sindaco al diretto interessato o al suo legale rappresentante;

  2. Audizione della persona sottoposta a TSO da parte del giudice tutelare prima della convalida;

  3. Notifica del decreto di convalida al soggetto interessato o al suo rappresentante.

Le ragioni della decisione

La Corte ha sottolineato che le garanzie costituzionali, in particolare quelle di cui agli articoli 13, 24 e 111 della Costituzione, impongono che ogni limitazione della libertà personale sia accompagnata da adeguate tutele del diritto di difesa e del principio del contraddittorio.

Nemmeno una condizione di incapacità naturale può giustificare la privazione dei diritti fondamentali: chi è affetto da infermità, fisica o psichica, non può essere escluso dalle garanzie costituzionali.

Funzioni dell’audizione

L’audizione preventiva del soggetto da parte del giudice tutelare:

  • costituisce un presidio minimo di legalità in caso di restrizioni della libertà personale;

  • assicura il rispetto del divieto di violenza fisica e morale (art. 13, comma 4, Cost.);

  • consente di valutare condizioni personali e reti familiari o sociali di supporto, utili anche per adottare provvedimenti provvisori urgenti ai sensi dell’art. 35, comma 6, legge n. 833/1978.

I punti dichiarati incostituzionali

La norma è stata ritenuta illegittima:

  • al primo comma, per non prevedere che il provvedimento del sindaco sia “comunicato alla persona interessata o al suo legale rappresentante, ove esistente”;

  • al secondo comma, per l’omissione dell’obbligo di audizione del soggetto (“sentita la persona interessata”) e di notifica della convalida;

  • al quarto comma, in riferimento alla proroga del TSO, per analogo difetto di comunicazione alla persona o al suo rappresentante.