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Locazione di immobili per finalità turistica in forma non imprenditoriale Il comune ha poteri inibitori in materia di locazione di immobili per finalità turistica in forma non imprenditoriale?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante

 

No, il comune non ha poteri inibitori in materia di locazione di immobili per finalità turistica in forma non imprenditoriale. – Cons. Stato, sez. V, 7 aprile 2025, n. 2928.

In via preliminare, si rileva che la materia del turismo rientra nella competenza legislativa residuale delle Regioni, ferma restando la possibilità di intervento dello Stato nella materia dell’ordinamento civile di sua competenza esclusiva di cui all’art. 117, comma 2, lett. l) Cost., ambito nel quale si colloca la disciplina della libertà contrattuale, rilevante anche con riferimento ai rapporti di locazione turistica e suscettibili di incidere anche sul settore del turismo.

La Sezione evidenzia che l’attività di locazione a fini turistici svolta in forma non imprenditoriale, riconducibile al mero godimento indiretto di beni immobili, non è soggetta alla segnalazione certificata di inizio attività (SCIA), di cui all’art. 19 L. 241/1990, ma richiede unicamente una comunicazione di inizio attività (CIA), avente finalità di monitoraggio. Ne consegue che tale attività non può essere assoggettata a poteri prescrittivi o inibitori da parte dell’amministrazione locale.

Dunque, gli immobili destinati alla locazione per finalità turistiche devono essere conformi ai requisiti edilizi e igienico-sanitari previsti dalla normativa primaria e secondaria per le civili abitazioni; tuttavia, l’eventuale difetto di tali requisiti potrà incidere sulla validità o sull’esecuzione del contratto di locazione eventualmente stipulato, ma non legittima l’amministrazione a vietarne la stipula.

 

(*Contributo in tema di “Locazione di immobili per finalità turistica in forma non imprenditoriale”, a cura di Claudia Buonsante, estratto da Obiettivo Magistrato n. 86 / Giugno 2025 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

alcolock

Alcolock: cosa prevede il decreto del Mit Alcolock: in GU il decreto del Mit che ne disciplina il funzionamento e l’installazione per prevenire la guida in stato di ebbrezza

Alcolock: in GU il decreto di attuazione

Con il decreto del 2 luglio 2025, il Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti ha dato attuazione all’articolo 3, comma 1 della legge n. 177/2024, che lo scorso anno ha apportato diverse modifiche al Codice della Strada. Il decreto del MIT, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 15 luglio 2025 stabilisce come devono funzionare i dispositivi alcolock e come si installano sui veicoli. Questi dispositivi servono a prevenire la guida in stato di ebbrezza. Il Ministero ha definito inoltre le caratteristiche tecniche di queste apparecchiature e ha individuato le officine che possono montarli.

Il decreto è in vigore dal 26 luglio 2025. Il Ministero deve aggiornare periodicamente le informazioni relative agli installatori autorizzati e ai modelli di veicoli idonei, pubblicandole online.

Alcolock: cos’è e come funziona

L’alcolock è un dispositivo che blocca l’avviamento del veicolo. Per avviare l’auto, chi guida deve soffiare nel dispositivo e il test deve mostrare un livello di alcol pari a zero.

Il dispositivo tiene traccia dei risultati dei test e dei altri eventi, come la data e l’ora, in una memoria interna. Esso funziona correttamente entro l’”intervallo di taratura”, durante il quale mantiene la precisione nel misurare l’alcol. Quando viene installato l’alcolock non è necessario aggiornare il documento di circolazione del veicolo.

Requisiti tecnici dell’alcolock

Il dispositivo deve rispettare precisi standard tecnici internazionali che definiscono i metodi di prova e le prestazioni degli etilometri. Deve bloccare il veicolo se rileva anche una minima quantità di alcol nell’aria espirata, ovvero più di 0 mg/l.

L’alcolock inoltre deve avere un’omologazione specifica come unità elettronica/elettrica, che ne attesta la compatibilità elettromagnetica. Deve riportare il marchio CE, indicando che rispetta le normative europee di sicurezza.

Obblighi del fabbricante del dispositivo

Il fabbricante dell’alcolock è tenuto a rispettare diversi obblighi. Costui in particolare deve:

  • fornire le istruzioni complete per installare, usare e manutenere l’alcolock;
  • assicurare che il dispositivo sia chiaramente marcato con informazioni essenziali, come il nome del produttore, il tipo di dispositivo, il numero di serie e la versione del software;
  • selezionare e comunicare al Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti le officine autorizzate a montare i propri dispositivi;
  • inviare al Ministero il tipo di dispositivo, le istruzioni, un fac-simile del certificato di taratura e un elenco dei modelli di veicoli su cui è possibile installarlo;
  • fornire all’installatore ogni dispositivo alcolock con tutta la documentazione necessaria e un certificato di taratura.

Installazione e rimozione alcolock

Gli installatori, ossia la persona o l’azienda autorizzata al montaggio dell’alcolock, sono responsabili di seguire scrupolosamente le istruzioni di montaggio e di applicare il sigillo che previene manomissioni. Questo sigillo deve autodistruggersi quando si verifica un tentativo di alterazione.

Al momento dell’installazione, gli installatori devono fornire la dichiarazione di installazione, il certificato di taratura, le istruzioni per l’uso e quelle per la manutenzione.

Gli installatori provvedono anche all’eventuale smontaggio del dispositivo. Nel compiere questa operazione devono seguire le indicazioni del fabbricante.

Veicoli idonei per l’Installazione

È possibile installare l’alcolock su diverse categorie di veicoli che devono essere rispettose di specifiche norme europee che specificano i requisiti di omologazione dei mezzi a motore.

Anche per i veicoli che non rientrano nelle norme più recenti, l’installatore deve avere accesso alle informazioni del costruttore del veicolo per montare correttamente l’interfaccia necessaria.

Controlli e validità del dispositivo

Quando le autorità controllano un veicolo con alcolock, il sigillo di installazione deve risultare intatto. Chi guida deve esibire l’originale della dichiarazione di installazione e il certificato di taratura con un intervallo di validità attivo. Il guidatore è responsabile di verificare che il certificato di taratura sia sempre valido, come indicato nelle istruzioni del fabbricante.

Leggi anche: Guida in stato di ebbrezza: tolleranza zero

responsabilità della PA

Responsabilità della PA Responsabilità della PA: cos'è, cosa prevede l'art. 28 della Costituzione, tipologie di responsabilità e funzioni

Responsabilità della PA: cos’è

La responsabilità della PA (Pubblica Amministrazione) si configura quando uno dei soggetti che la compongono e i loro dipendenti commettono un illecito, che può avere natura civile, amministrativa, contabile e penale.
Quando si parla di responsabilità della Pubblica Amministrazione, si parla quindi di un sistema complesso al cui interno di possono configurare diverse forme di responsabilità, ognuna soggetta a regole diverse.

Responsabilità della PA: l’art. 28 Costituzione 

La norma che sancisce il principio di responsabilità della Pubblica Amministrazione è l’articolo 28 della Costituzione. Questa norma prevede infatti che: “I funzionari e i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici sono direttamente responsabili, secondo le leggi penali, civili e amministrative, degli atti compiuti in violazione di diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato e agli enti pubblici.”

Dalla lettera della norma si evince immediatamente che la responsabilità della Pubblica Amministrazione può essere diretta e indiretta.

La responsabilità diretta, si configura quando la Pubblica Amministrazione è direttamente responsabile di un danno cagionato a un cittadino o a un’attività imprenditoriale a causa di un atto illegittimo, di una omissione o di una condotta lesiva.

La responsabilità indiretta, invece, si realizza quando la Pubblica Amministrazione deve rispondere dei danni che sono stati causati dai suoi dipendenti o funzionari nello svolgimento delle loro funzioni. L’amministrazione in questi casi risponde dei danni verso il soggetto danneggiato. In seguito però può rivalersi nei confronti del dipendente attraverso azioni di rivalsa o di natura risarcitoria.

Vediamo ora quali sono i tipi di responsabilità in cui può incorrere la PA in modo diretto o indiretto.

Responsabilità civile

La responsabilità civile è disciplinata dal codice civile e si configura ogni volta che un organo o un dipendete della  PA cagiona un danno a terzi. Questo tipo di responsabilità può essere a sua volta di tipo contrattuale, precontrattuale ed extracontrattuale art. 2043 c.c.

La responsabilità contrattuale riguarda il mancato rispetto di un accordo. Un esempio tipico di responsabilità contrattuale si verifica ad esempio quando la PA stipula un contratto di appalto con un’impresa e ritarda nel pagamento.

La responsabilità precontrattuale si riferisce al mancato rispetto dei doveri di buona fede e di correttezza che caratterizzano la fase che precede la conclusione di un accordo.

La responsabilità extracontrattuale invece si realizza in presenza di un fatto illecito commesso dalla PA, che cagiona un danno ingiusto a un soggetto terzo, al di fuori di un accordo o un contratto precedente.

La Pubblica Amministrazione può incorrere inoltre nella responsabilità derivante da cose in custodia, come previsto dall’art. 2051 c.c, a meno che non riesca a dimostrare il caso fortuito. Si pensi al danno riportato da un comune cittadino a causa di una caduta su una strada pubblica a causa della cattiva manutenzione del manto stradale.

Responsabilità penale

La responsabilità penale invece si realizza nel momento in cui un funzionario o un dipendente della Pubblica Amministrazione commette un illecito penale. Si ricorda infatti che la responsabilità penale, in base a quanto previsto dall’articolo 27 della Costituzione, “è personale”.

Responsabilità amministrativa

La responsabilità amministrativa riguarda il dipendente e insorge quando il danno derivante dalla sua condotta, nello svolgimento delle sue funzioni, colpisce la Pubblica Amministrazione. Si parla nello specifico di responsabilità per danno erariale il cui scopo consiste nel tutelare il patrimonio della PA e assicurare il buon andamento e l’imparzialità della attività amministrativa.

Responsabilità disciplinare

La responsabilità disciplinare si verifica quando il dipendente commette un illecito disciplinare, violando gli obblighi previsti dal contratto collettivo, dalla legge o dalle norme di comportamento.    

Responsabilità della PA: funzioni

Le funzioni della responsabilità della Pubblica Amministrazione soddisfano tre diverse esigenze.

  • Funzione riparatoria: si pone l’obbiettivo di riparare il danno, per cui è riconducibile alla responsabilità civile e mette in primo piano il danneggiato.
  • Funzione sanzionatoria: questa funzione ha come fine ultimo quello di comminare una sanzione, e d è quella che caratterizza pertanto la responsabilità penale.  Come quella civile è successiva alla condotta, ma in questo caso l’attenzione è ricolta al soggetto responsabile.
  • Funzione deterrente: anche questa come la precedente riguarda la responsabilità penale e l’attenzione è concentrata sul soggetto che commette l’illecito. Si distingue dalla precedente però perché in questo caso la funzione è preventiva, interviene cioè prima della condotta penalmente rilevante.   

leggi anche gli altri articoli che si occupano a vario titolo della responsabilità della pubblica amministrazione

certificato di abitabilità

Il certificato di abitabilità   Certificato di abitabilità: definizione, evoluzione normativa dell'istituto fino alla segnalazione certificata di agibilità

Certificato di abitabilità: cos’è

Il certificato di abitabilità fino agli anni ’90, veniva rilasciato se l’immobile era salubre dal punto di vista igienico sanitario. L’articolo 221 del Regio Decreto n. 1265/1934 subordinava a questo documento infatti l’uso residenziale degli edifici.

Alle Unità Sanitarie Locali spettava il compito di verificare le condizioni igienico-sanitarie delle abitazioni.

Certificato di abitabilità: evoluzione normativa

Con il d.P.R. n. 425/1994, la disciplina dell’abitabilità e quella dell’agibilità si uniscono.

Il certificato di abitabilità attestante la salubrità dell’immobile non basta più per la legalità d’uso. Il decreto richiede anche il certificato di collaudo e la dichiarazione di conformità del direttore dei lavori.

Il d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) muta poi il nome certificato di abitabilità in

certificato di agibilità, rendendolo un titolo unico per tutte le destinazioni d’uso, che viene rilasciato in presenza della sicurezza statica, salubrità, risparmio energetico, accessibilità e conformità urbanistica dell’immobile.

Da certificato di abitabilità, a quello di agibilità fino alla SCA

Nel 2013 si verifica un’importante fusione normativa. Nasce la Segnalazione Certificata di Agibilità (SCA), un documento cruciale per l’uso legittimo di ogni immobile. Questo documento unisce infatti i concetti di “abitabilità” e “agibilità”, cancellando la distinzione tra usi residenziali e non residenziali.

L’obiettivo primario della SCA consiste nell’attestare la conformità di un edificio o unità immobiliare a standard elevati. Tali standard includono condizioni di sicurezza, igiene, salubrità, risparmio energetico e adeguata installazione degli impianti.

La SCA inoltre verifica la conformità dell’opera al progetto originale e, dove richiesto, il rispetto degli obblighi di infrastrutturazione digitale. In sintesi, garantisce che ogni immobile rispetti rigorosi requisiti normativi.

Le recenti modifiche del decreto “Salva Casa” (d.l. 69/2024) hanno semplificato ulteriormente il processo. Hanno escluso la nuova agibilità per lavori interni non alteranti, hanno ammesso l’agibilità parziale per singole unità autonome e hanno eliminato la sanzione pecuniaria per la mancata agibilità, sebbene rimangano conseguenze civili e urbanistiche.

SCA: quando è obbligatoria

Il Testo Unico dell’Edilizia (DPR 380-2001) stabilisce le linee guida generali per la presentazione della SCA. Le normative regionali e comunali possono poi implementare queste direttive. La SCA è necessaria per le nuove costruzioni e per le ricostruzioni totali o parziali. Si richiede anche per sopraelevazioni e interventi su edifici esistenti.

Queste opere però devono potenzialmente influire sulle condizioni di sicurezza, igiene, salubrità o risparmio energetico. Perfino le sanatorie, che regolarizzano interventi abusivi rientranti in queste categorie, richiedono la presentazione della SCA. Le amministrazioni locali definiscono poi specifici interventi soggetti a questa dichiarazione.

Chi la presenta

Possono presentare la SCA il titolare del permesso di costruire, il soggetto che ha presentato la Segnalazione Certificata di Inizio Attività (SCIA), i loro successori e gli aventi causa.

Nella pratica, un professionista abilitato, come un ingegnere, geometra, architetto o perito edile, solitamente deposita la SCA.

Come si presenta

Il deposito avviene presso lo Sportello Edilizia e Urbanistica entro 15 giorni dalla comunicazione di fine lavori. Alcuni comuni permettono di indicare la fine lavori direttamente nella SCA. Il Comune può anche disporre che vengano eseguite delle ispezioni, tramite la ASL, entro 180 giorni dal deposito per verificare i requisiti.

Validità della SCA

La SCA non ha una durata, quindi non scade e non necessita di essere rinnovata. Tuttavia, è necessaria una nuova segnalazione se intervengono modifiche. Queste modifiche per devono influenzare la sicurezza, l’igiene, la salubrità o il risparmio energetico dell’immobile.

Mancata presentazione: sanzioni

Il Decreto SCIA 2 (D.Lgs. n. 222/2016) ha abolito il rilascio del certificato da parte del Comune.

Ora, la SCA è un’autocertificazione presentata dal proprietario o dal costruttore.

La mancata presentazione comporta una sanzione amministrativa pecuniaria da 77 a 464 euro.

Leggi anche: Agevolazione prima casa anche per l’immobile inagibile

codice di condotta influencer

Codice di condotta influencer approvato da Agcom  Codice di condotta influencer: Agcom ne annuncia l'approvazione, per garantire trasparenza e tutela dei diritti dei soggetti fragili

Codice di condotta influencer Agcom

L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni segna un passo importante nell’evoluzione del panorama digitale, approvando in via definitiva il Codice di Condotta per gli influencer e le relative Linee Guida.

Un percorso partecipativo, che ha coinvolto associazioni di categoria, consumatori, esperti di pubblicità e professionisti del settore e che ha portato alla definizione di regole chiare, mirate a tutelare la professione dei content creator e gli utenti.

Lo ha annunciato la stessa Autorità con un comunicato stampa del 24 luglio 2025 

La consultazione pubblica

Il processo che ha portato a questo Codice di Condotta ha avuto inizio con una consultazione pubblica per perseguire i seguenti obiettivi:

  • coinvolgere il pubblico al fine di definire un quadro normativo condiviso, abbassando anche le soglie per gli influencer rilevanti;
  • equiparare le regole per gli influencer a quelle del settore radiotelevisivo;
  • creare un registro;
  • identificare gli influencer;
  • tutelare i diritti fondamentali soprattutto di minori e soggetti vulnerabili;
  • stabilire divieti su danni a minori e manipolazione della fiducia;
  • promuovere la trasparenza nell’uso di filtri e nella riconoscibilità della pubblicità.

Codice di Condotta influencer: applicazione

Le nuove regole si applicheranno agli influencer “rilevanti”, che superano cioè i 500.000 follower od ottengono un milione di visualizzazioni almeno su una piattaforma.

Questi professionisti, ora assimilati alle emittenti televisive per responsabilità editoriale, dovranno iscriversi a un elenco ufficiale AGCOM entro sei mesi dalla pubblicazione del Codice.

Le regole stabilite impongono trasparenza, riconoscibilità e responsabilità. Gli influencer dovranno garantire la correttezza e l’imparzialità dell’informazione, rispettare la dignità umana, contrastare i discorsi d’odio e tutelare i minori e il diritto d’autore.

Particolare enfasi è posta sulla trasparenza delle comunicazioni commerciali, con un richiamo diretto al “Digital Chart” dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria (IAP).

Sanzioni per chi viola le regole

Il mancato rispetto delle disposizioni del Codice comporterà sanzioni significative.

Sono previste multe fino a 250.000 euro, che possono raggiungere i 600.000 euro in caso di violazioni relative alla tutela dei minori.

AGCOM da parte sua si impegna a garantire l’applicazione delle misure previste tramite sistemi di monitoraggio e verifica.

Leggi anche questi due articoli dedicati agli influencer:

prestazioni ambulatoriali

Prestazioni ambulatoriali: incostituzionale la legge che anticipa le tariffe LEA La Corte costituzionale ha annullato la norma pugliese che anticipava l’efficacia del decreto tariffe per le prestazioni ambulatoriali e protesiche, violando il coordinamento della finanza pubblica

Tariffe sanitarie, la Regione Puglia ha violato i limiti

Prestazioni ambulatoriali: con la sentenza n. 122 del 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’articolo 26 della legge regionale n. 28/2024 della Puglia, che aveva anticipato sul proprio territorio l’efficacia del decreto interministeriale del 23 giugno 2023, contenente le nuove tariffe per le prestazioni di assistenza specialistica ambulatoriale e protesica previste nei Livelli essenziali di assistenza (LEA).

La posizione del Governo: violato l’art. 117 Cost.

Il ricorso del Governo si è fondato sul contrasto con l’articolo 117, terzo comma, della Costituzione, che attribuisce allo Stato la competenza sul coordinamento della finanza pubblica.
La norma pugliese è stata accusata di aver aggirato il procedimento statale di definizione e attuazione dei LEA, stabilendo unilateralmente livelli di assistenza e spesa non autorizzati, in violazione del programma di rientro sanitario cui la Regione è soggetta.

Il ruolo del decreto tariffe e del procedimento statale

La Consulta ha ricostruito il percorso di approvazione delle tariffe sanitarie, definito nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 2017 e attuato con il decreto interministeriale del 25 novembre 2024.
Secondo la Corte, la Regione Puglia ha anticipato illegittimamente l’efficacia del decreto del 23 giugno 2023, eludendo il meccanismo previsto dall’art. 8-sexies del d.lgs. n. 502/1992, che rientra tra i principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica.

Perché il procedimento non può essere aggirato

Il procedimento delineato dalla legge statale per la determinazione delle tariffe mira a garantire un equilibrio tra diritto alla salute e sostenibilità finanziaria.
Qualsiasi intervento regionale che incida sull’efficacia o sull’applicabilità di questi atti statali, ha precisato la Corte, deve rispettare il medesimo iter procedurale e derivare dallo stesso livello di potere.

Le altre censure assorbite, ma lo Stato deve fare la sua parte

Pur accogliendo il ricorso, la Corte ha tenuto a precisare che anche lo Stato è tenuto ad agire con tempestività nell’attuazione e aggiornamento dei LEA.
Un aggiornamento non puntuale delle prestazioni sanitarie essenziali, infatti, pregiudica il diritto alla salute, che deve essere garantito su base nazionale e in modo uniforme, alla luce delle più recenti acquisizioni scientifiche e tecnologiche.

Rispetto delle competenze e collaborazione leale

La decisione riafferma il principio secondo cui le Regioni non possono alterare l’equilibrio tra competenze statali e autonomie territoriali, soprattutto in materie delicate come la sanità pubblica.
Al tempo stesso, la Corte invita lo Stato a non ritardare l’aggiornamento dei LEA, perché solo un’azione coerente e collaborativa tra istituzioni può assicurare eguaglianza e tutela effettiva dei diritti fondamentali.

Compliance nella PA

La compliance nella Pubblica Amministrazione Compliance nella Pubblica Amministrazione: cos'è, a cosa serve, principio di legalità e controlli, riferimenti normativi

Cos’è la compliance

La compliance è quell’attività complessa che individua e riferisce in merito alla presenza del rischio di sanzioni e del peggioramento della reputazione a causa del mancato rispetto di leggi e regolamenti, ma anche di codici di condotta e buone pratiche.

Compliance e Pubblica Amministrazione

Parlare di compliance in relazione alla Pubblica Amministrazione potrebbe sembrare un contro senso. Del resto, l’attività della PA dovrebbe essere sempre essere conforme alla legge. La realtà però è ben diversa. Le PA sono soggette, al pari dei privati, a rischi che derivano dall’ applicazione delle norme che ne regolano l’attività.

Per questo il concetto di “compliance”, inteso come la conformità a norme, regole, standard, codici di condotta e principi etici, ha assunto negli ultimi anni un ruolo sempre più centrale nel funzionamento della Pubblica Amministrazione (PA) italiana. Non più limitata alla mera osservanza formale della legge, la compliance nella PA si configura oggi come un approccio proattivo volto a prevenire illeciti, ottimizzare i processi, migliorare l’efficienza e rafforzare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.

Il principio di legalità

La compliance si può tradurre con il termine “conformità”, concetto che a sua volta evoca il principio di legalità sancito dall’articolo 97 della Costituzione, a cui deve uniformarsi l’attività della Pubblica Amministrazione.

La norma su questo punto è molto chiara:

“I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.

Nell’ordinamento degli uffici sono determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari.

Agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso, salvo i casi stabiliti dalla legge”.

Appare subito evidente la stretta correlazione tra legge e pubblica amministrazione. Del resto il principio di legalità è finalizzato anche al perseguimento dei principi di buon andamento e imparzialità.

Controlli e valutazione

Proprio per assicurare il rispetto del buona andamento nel corso degli anni sono stati introdotti sempre maggiori controlli orientati inizialmente alla verifica del rispetto della legittimità degli atti, per passare poi a un controllo finalizzato alla valutazione del rapporto intercorrente tra costi e risultati (controllo di gestione) e a quello tra obiettivi e risultati (controllo strategico).

Ad oggi i controlli preventivi sono superati, quelli successivi però presentano lo svantaggio di non impedire condotte illegittime. La compliance ha il pregio di prevenire le irregolarità grazie alla progettazione e alla verifica di procedure interne adeguate.

Compliance nella PA: normativa di riferimento

La compliance nella PA italiana trova il suo fondamento in un corpus normativo complesso e stratificato, che ha visto negli ultimi anni interventi significativi. I pilastri principali includono:

  • Legge 6 novembre 2012, n. 190 (c.d. Legge Anticorruzione): rappresenta la normativa cardine in materia di prevenzione della corruzione e promozione dell’integrità nella PA. Sebbene datata, la Legge 190/2012 continua a essere il riferimento principale per le strategie di compliance anticorruzione.
  • Decreto Legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (c.d. Decreto Trasparenza): ha riordinato la disciplina sugli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni. La trasparenza è riconosciuta come un livello essenziale delle prestazioni concernenti i diritti sociali e civili, ponendo le basi per una “amministrazione aperta” e controllabile dai cittadini.
  • Decreto Legislativo 8 aprile 2013, n. 39 (Inconferibilità e Incompatibilità): disciplina le cause di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico. Contribuisce a prevenire situazioni di conflitto di interessi e a garantire l’imparzialità dell’azione amministrativa.
  • Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR – General Data Protection Regulation): il GDPR ha imposto standard elevati per la protezione dei dati personali, con un impatto significativo sui processi interni della PA che trattano informazioni sensibili. La compliance al GDPR richiede un’attenta valutazione dei rischi, la nomina di un Data Protection Officer (DPO) e l’adozione di misure tecniche e organizzative adeguate.
  • Codice dei Contratti Pubblici (D.Lgs. 31 marzo 2023, n. 36): ha introdotto importanti novità in materia di appalti e concessioni. La compliance in quest’ambito è cruciale per prevenire fenomeni corruttivi, garantire la libera concorrenza e assicurare l’efficienza nell’utilizzo delle risorse pubbliche. La semplificazione e la digitalizzazione dei processi di gara, pur mirando a snellire le procedure, richiedono al contempo un rafforzamento dei controlli e della trasparenza.
  • Piani Nazionali di Ripresa e Resilienza (PNRR) e normativa correlata: l’attuazione del PNRR ha comportato l’introduzione di specifiche disposizioni volte a garantire la regolarità, l’efficienza e la trasparenza nella gestione dei fondi europei. La compliance ai requisiti del PNRR è fondamentale per l’accesso e l’utilizzo delle risorse, con un forte accento sulla rendicontazione e sul monitoraggio.
  • Normativa sulla transizione digitale e l’innovazione tecnologica: Le direttive e i provvedimenti volti alla digitalizzazione della PA (ad esempio, il Codice dell’Amministrazione Digitale – CAD) impongono nuove sfide in termini di compliance, legate alla sicurezza informatica, all’interoperabilità dei sistemi e all’accessibilità dei servizi digitali.

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assicurazione inail studenti e docenti

Assicurazione studenti e docenti: cosa copre A partire dall’anno scolastico 2025/2026 diventa strutturale l'assicurazione per studenti e docenti di tutti gli istituti scolastici

Assicurazione studenti e docenti a regime

Compie un importante passo in avanti la disciplina sull’assicurazione di studenti e docenti di tutte le scuole. Un comunicato pubblicato sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali rende noto che il 16 luglio 2025, in sede d esame del decreto legge n. 90/2025, la Commissione VII del Senato ha approvato un emendamento governativo proposto dal Ministro del Lavoro e dal Ministro dell’istruzione che prevede l’entrata a regime dell’assicurazione per il personale docente e per gli studenti a partire dall’anno scolastico 2025/2026.

Lo scorso anno, l’articolo 9 del DL n. 113/2024 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 9 agosto 2024 aveva esteso anche all’anno scolastico 2024/2025 la copertura assicurativa prevista per gli studenti e gli insegnanti dall’articolo 18 decreto-legge n. 48/2023.

Assicurazione: la circolare INAIL 2024

Della proroga della copertura assicurativa per l’anno scolastico 2024/2025 si era occupata anche la Direzione Centrale dell’INAIL con la circolare del 14 agosto 2024.

La tutela, come precisava la circolare dello scorso anno, riguarda gli studenti e il personale appartenente al sistema nazionale di istruzione e formazione, della formazione terziaria professionalizzante e di quella superiore.

Le attività coperte dall’assicurazione Inail sono quelle di insegnamento e di apprendimento. La tutela riguarda gli eventi lesivi che si verificano per finalità lavorative anche qualora non siano collegati con il rischio specifico dell’attività assicurata. Unico limite il rischio elettivo.

I soggetti sono quindi assicurati per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali che si manifestano nei luoghi di svolgimento delle attività didattiche, di laboratorio e nelle loro pertinenze. La tutela riguarda le attività interne ed esterne come viaggi, visite, uscite didattiche emissioni senza limite di orario purché organizzate e autorizzate dalle istituzioni scolastiche e formative, comprese quelli complementari, preliminari e accessorie all’insegnamento. Il personale docente è tutelato anche contro gli infortuni in itinere.

La circolare precisava anche che per l’operatività della tutela assicurativa le scuole e gli istituti d’istruzione non fossero tenuti ad alcun tipo di adempimento. Il soggetto assicurante non era tenuto a versare il premio, doveva solo rimborsare l’Inail per le prestazioni eventualmente erogate ai soggetti infortunati.

Per la copertura assicurativa INAIL degli studenti delle scuole non statali la circolare prevedeva invece il pagamento del premio di Euro 10,40 a partire dal 1° luglio 2024.

Ovviamente l’entrata a regime dell’assicurazione potrebbe apportare modifiche anche significative alle regole appena viste. Non resta che attendere eventuali sviluppi futuri.

interdittiva antimafia

Interdittiva antimafia: sospensione fino alla decisione del prefetto La Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 34-bis, comma 7, cod. antimafia nella parte in cui non proroga la sospensione dell’interdittiva antimafia dopo l’esito positivo del controllo giudiziario

Controllo giudiziario e interdittiva antimafia

Con la sentenza n. 109/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 34-bis, comma 7, del d.lgs. n. 159/2011 (codice antimafia) nella parte in cui non prevede la prosecuzione della sospensione degli effetti dell’informazione interdittiva antimafia anche dopo la conclusione con esito positivo del controllo giudiziario.

Secondo la Corte, la mancata proroga degli effetti sospensivi sino alla rivalutazione del provvedimento da parte del prefetto viola i principi di ragionevolezza e proporzionalità, causando un pregiudizio irragionevole per le imprese coinvolte.

Sospensione interrotta al termine del controllo

La questione nasce dal contrasto tra la ratio del controllo giudiziario – misura introdotta per recuperare alla legalità le imprese occasionalmente condizionate da ambienti mafiosi – e l’interpretazione data dalla giurisprudenza amministrativa, secondo cui la sospensione degli effetti interdittivi si interrompe alla chiusura del controllo, indipendentemente dal suo esito.

Questa ricostruzione determina, secondo la Corte, un vuoto di tutela: l’immediata riattivazione dell’interdittiva può vanificare gli esiti del percorso di risanamento, mettendo a rischio la continuità aziendale e favorendo un possibile riavvicinamento alla criminalità organizzata.

Le due ragioni dell’illegittimità costituzionale secondo la Corte

La Corte costituzionale ha basato la propria pronuncia su due argomenti centrali:

  1. Funzione strumentale della sospensione: la normativa prevede la sospensione per consentire all’impresa, sotto la vigilanza del tribunale e del controllore nominato, di operare legalmente durante il controllo giudiziario. Questo periodo serve a valutare concretamente il superamento dell’infiltrazione mafiosa.

  2. Irreparabilità degli effetti del riattivarsi dell’interdittiva: anche in caso di successiva emissione di informazione liberatoria da parte del prefetto, le conseguenze economiche e reputazionali dell’interdittiva reattivata nel frattempo non sono eliminabili. Si tratta di un pregiudizio che colpisce l’attività economica e può rendere vano l’intero percorso di risanamento.

Un sistema contraddittorio e irragionevole

La Consulta ha ritenuto contraddittoria la disciplina vigente per tre ragioni:

  1. La misura del controllo giudiziario è concepita come strumento di reinserimento dell’impresa nel circuito economico legale;

  2. Il percorso è oneroso per l’imprenditore e per la giustizia, e può durare fino a tre anni;

  3. Tuttavia, anche in caso di esito positivo, il legislatore non impedisce il riattivarsi automatico dell’interdittiva fino alla decisione del prefetto, annullando potenzialmente gli effetti del controllo.

Tale assetto, secondo la Corte, può generare un danno irreversibile, sia sul piano economico, sia sul versante della legalità sostanziale.

Proroga della sospensione fino alla decisione del prefetto

Con la sentenza n. 109/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità parziale dell’art. 34-bis, comma 7, del codice antimafia, e ha esteso la sospensione degli effetti dell’informazione antimafia anche oltre la durata del controllo giudiziario, fino alla rivalutazione prefettizia prevista dall’art. 91, comma 5, del medesimo codice.

In tal modo, si garantisce la continuità della tutela e si valorizzano i risultati conseguiti con il percorso di monitoraggio giudiziario, impedendo che il ritorno automatico dell’interdizione frustri l’obiettivo del risanamento.

ministero della giustizia

Ministero della Giustizia Ministero della Giustizia: cos'è, chi lo presiede, come è disciplinato e organizzato e quali funzioni svolge

Ministero della Giustizia: cos’è

Il Ministero della Giustizia è un organo centrale del governo italiano, cruciale per il corretto funzionamento dello stato di diritto.

La sua missione principale è garantire l’efficienza e la trasparenza dell’amministrazione giudiziaria in Italia, estendendo la sua competenza ai settori civile, penale, minorile e penitenziario.

Esso rappresenta un organismo fondamentale per la democrazia italiana, perché garantisce che i principi di legalità e giustizia siano concretamente applicati e accessibili a tutti i cittadini.

Attualmente, il dicastero è presieduto dal Ministro Carlo Nordio, in carica dal 22 ottobre 2022.

Per accedere ai servizi online dedicati è sufficiente visitare il sito ufficiale Ministero della Giustizia

Il Ministero nella Costituzione Italiana

Il Ministero della Giustizia riveste un’importanza tale da essere l’unico ministero esplicitamente citato nella Costituzione italiana, in particolare negli articoli 107 e 110. Questo sottolinea la sua funzione insostituibile nel mantenimento dell’ordine legale e della giustizia.

L’articolo 110 stabilisce che, fermo restando le competenze del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), al Ministro della Giustizia spettano l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia. Ciò include la supervisione dell’organizzazione degli uffici giudiziari (tribunali, corti, cancellerie, segreterie), la gestione del personale amministrativo e la cura delle infrastrutture.

L’articolo 107, comma 2, conferisce al Ministro la facoltà di promuovere l’azione disciplinare nei confronti dei magistrati. Questo potere, sebbene delicato e bilanciato dal ruolo del CSM, evidenzia la responsabilità del Ministro nel garantire la correttezza e l’integrità della condotta giudiziaria.

Il ruolo di Guardasigilli

Il Ministro della Giustizia detiene anche il titolo di “Guardasigilli“, un’antica denominazione che riflette la sua funzione di custode del sigillo dello Stato. In questo ruolo, il Ministro è responsabile di controfirmare le leggi e i decreti per garantirne la pubblicazione ufficiale sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.

Organizzazione del Ministero: normativa di riferimento

L’organizzazione del Ministero della Giustizia è definita da specifici regolamenti, tra cui il Decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 2001, n. 55, e successivi aggiornamenti come il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 15 giugno 2015, n. 84, e il più recente Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 maggio 2024, n. 78.

Uffici e dipartimenti del Ministero della Giustizia

Il Ministero è presieduto dal Ministro e si articola in Uffici di diretta collaborazione del Ministro e in cinque Dipartimenti principali.

 Uffici di diretta collaborazione

Supportano il Ministro nelle sue funzioni di indirizzo politico e amministrativo e includono la Segreteria del Ministro, il Gabinetto del Ministro, l’Ufficio legislativo, l’Ispettorato generale, l’Ufficio per il coordinamento dell’attività internazionale, il servizio del controllo interno, il Portavoce del Ministro, l’Ufficio stampa ed informazione e l’Unità di Missione per il PNRR.

 Dipartimenti

Ciascuno è guidato da un dirigente generale, sono il cuore operativo del Ministero e sono responsabili della gestione amministrativa delle diverse aree di competenza:

  1. Dipartimento per gli affari di giustizia: si occupa della legislazione, della cooperazione internazionale e della gestione di atti e documenti ufficiali.
  2. Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi: gestisce le risorse umane (personale amministrativo degli uffici giudiziari), l’organizzazione degli uffici e i servizi di supporto alla giustizia.
  3. Dipartimento per l’innovazione tecnologica della giustizia: promuove e implementa soluzioni tecnologiche per migliorare l’efficienza dei servizi giudiziari.
  4. Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP): sovrintende alla gestione degli istituti penitenziari, alla rieducazione dei detenuti e alla sicurezza carceraria, avvalendosi del Corpo di Polizia Penitenziaria.
  5. Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità: si occupa della tutela e del recupero dei minori coinvolti in procedimenti giudiziari, sia come vittime che come autori di reati, e dei servizi di reinserimento sociale per adulti sottoposti a misure penali non detentive.

Funzioni principali del Ministero della Giustizia

Il Ministero della Giustizia ha una vasta gamma di responsabilità che vanno oltre la semplice organizzazione degli uffici. Si ricordano le più importanti.

  • Organizzazione degli uffici giudiziari: provvede alla creazione, alla manutenzione e al funzionamento di tribunali, corti e tutti i servizi annessi (cancellerie, segreterie, ecc.), garantendo le risorse necessarie per l’operato di magistrati e personale.
  • Amministrazione penitenziaria: gestisce le carceri statali, la popolazione carceraria e la Polizia Penitenziaria, che da esso dipende. Si occupa anche della manutenzione e della costruzione di nuove strutture penitenziarie.
  • Giustizia minorile: supervisiona le strutture e i servizi dedicati ai minori, che operano su base regionale attraverso i Servizi Minorili della Giustizia. Questi servizi affrontano sia problematiche sociali (adozioni, affidamenti) sia la gestione di minori autori di reati, con l’obiettivo del loro recupero e reinserimento.
  • Vigilanza professionale: vigila sull’attività di ordini e collegi professionali, come avvocati, notai, medici, commercialisti e ingegneri, garantendo il rispetto delle norme e dei codici deontologici.
  • Casellario giudiziale: amministra la banca dati contenente le informazioni relative alle condanne penali subite dai cittadini.
  • Domande di Grazia: istruisce le domande di grazia da proporre al Presidente della Repubblica.

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