elezioni 2025

Elezioni 2025: cosa prevede il decreto del Governo Approvato dal Consiglio dei Ministri un decreto legge che introduce disposizioni urgenti per le elezioni 2025

Disposizioni urgenti per le consultazioni elettorali

Elezioni 2025: il 13 marzo 2025, il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente Giorgia Meloni e del Ministro dell’interno Matteo Piantedosi, ha approvato un decreto-legge che introduce disposizioni urgenti per le consultazioni elettorali dell’anno 2025.

Le novità del decreto

Le norme introdotte, si legge nel comunicato stampa di Palazzo Chigi, prevedono, tra l’altro:

  • svolgimento delle votazioni in due giorni (domenica e lunedì), anziché in un solo giorno come previsto dalla disciplina vigente, per le elezioni amministrative e per le consultazioni referendarie del 2025;
  • le disposizioni applicabili in caso di svolgimento contestuale delle consultazioni elettorali e referendarie, l’ordine di scrutinio delle schede e le modalità di ripartizione delle relative spese;
  • la possibilità di partecipazione alle consultazioni referendarie dell’anno 2025 per tutti coloro che, per motivi di studio, lavoro o cure mediche, sono temporaneamente domiciliati in un comune di una provincia diversa da quella di residenza;
  • il potenziamento delle prestazioni dei servizi erogati dal Sistema Informativo Elettorale (SIEL) del Ministero dell’interno;
  • la sottoscrizione con firma elettronica qualificata delle liste di candidati da parte degli elettori impossibilitati ad apporre firma autografa.

Elezioni 25 e 26 maggio: decreto del Viminale

In seguito all’esame del decreto-legge, il Ministro dell’interno Matteo Piantedosi ha svolto una informativa al Consiglio dei Ministri in relazione alle date di svolgimento delle elezioni amministrative e al possibile abbinamento con le consultazioni referendarie. Il Ministro Piantedosi intende indire, con proprio decreto, le elezioni amministrative per domenica 25 e lunedì 26 maggio, con eventuali ballottaggi domenica 8 e lunedì 9 giugno. Pertanto, in considerazione della necessità di conciliare la più ampia possibilità di partecipazione dei cittadini con le esigenze di continuità dell’attività didattica nelle scuole sedi di seggio elettorale, in un prossimo Consiglio dei ministri sarà deliberato di proporre al Capo dello Stato la convocazione dei comizi per i cinque referendum abrogativi in concomitanza del secondo turno delle amministrative, domenica 8 e lunedì 9 giugno.

scuola

Scuola: le nuove indicazioni del ministero Dal latino alle medie alla Bibbia e Harry Potter alla primaria, il MIM ha pubblicato le nuove linee guida per i programmi scolastici

Nuove indicazioni scolastiche MIM

Il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha pubblicato le nuove linee guida per i programmi della scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione. Le modifiche, previste a partire dall’anno scolastico 2026/2027, introducono significative innovazioni, tra cui l’insegnamento del Latino negli ultimi due anni delle scuole medie, della Bibbia e dei grandi classici, come l’Iliade e l’Odissea, fin dalla prima elementare, oltre che di libri come Harry Potter sul fronte della letteratura.

Riforma del curricolo scolastico: le novità principali

La proposta nasce dal lavoro della Commissione incaricata della revisione delle Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione, che, si legge sul sito del Ministero, ha terminato i lavori di redazione della bozza di documento “Nuove indicazioni per la scuola dell’infanzia e primo ciclo di istruzione 2025”.

Il documento, al momento, è stato reso pubblico per avviare un dibattito aperto sulle nuove direttive educative.

La consultazione

Il testo infatti sarà oggetto di ampia consultazione, che coinvolgerà associazioni professionali e disciplinari, associazioni dei genitori e degli studenti e organizzazioni sindacali della scuola.

Il confronto sarà utile per avviare l’iter formale di adozione delle Nuove Indicazioni nazionali per il curricolo della scuola dell’infanzia e del primo ciclo d’istruzione che andranno a sostituire dall’anno scolastico 2026/2027 quelle adottate nel novembre 2012.

permesso di soggiorno

Permesso di soggiorno: stessa pena per uso documenti contraffatti Per la Consulta non è costituzionalmente illegittima la mancata previsione di una riduzione della pena per chi usa un documento falsificato da altri per ottenere il permesso di soggiorno

Documenti contraffatti per permesso di soggiorno

L’uso di documenti contraffatti per ottenere un permesso di soggiorno: la pena prevista dalla legge non è manifestamente sproporzionata. E’ quanto ha affermato la Corte Costituzionale, chiamata a giudicare la legittimità del Testo Unico sull’immigrazione, nella parte in cui non prevede una riduzione della pena per chi si limiti a utilizzare un documento da altri falsificato per ottenere un documento di soggiorno.

La qlc

Con la sentenza n. 27/2025, la Consulta ha dichiarato non fondata la questione sollevata da un GIP del Tribunale di Vicenza. Il processo principale concerneva un cittadino straniero che aveva presentato alla Questura un certificato di conoscenza della lingua italiana poi rivelatosi contraffatto, al fine di ottenere un permesso di lungo soggiorno per cittadini non appartenenti all’Unione europea.

In sede di giudizio abbreviato, il GIP aveva deciso di sospendere il processo e di chiedere alla Consulta se sia legittimo prevedere la pena della reclusione da uno a sei anni sia per chi materialmente abbia falsificato il documento, sia per chi si sia limitato a utilizzarlo.

Il GIP aveva in particolare rilevato che il codice penale, nel disciplinare in via generale i reati di falso, prevede una riduzione della pena per chi si sia limitato a fare uso di un documento da altri falsificato. Il diverso e più grave trattamento dell’uso del documento falso da parte dell’articolo 5, comma 8-bis, del testo unico sull’immigrazione violerebbe il principio di eguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione, con conseguente pregiudizio alla funzione rieducativa della pena, stabilita dall’art. 27 della Costituzione.

La decisione

La Corte, tuttavia, ha ritenuto infondati i dubbi del GIP. Anzitutto, la Costituzione non vieta al legislatore di prevedere un trattamento sanzionatorio più severo, rispetto a quello stabilito per i comuni reati di falso, per i falsi in materia di immigrazione, i quali offendono l’interesse statale a una ordinata gestione dei flussi migratori.

In secondo luogo, la Corte ha osservato che la condotta consistente nel semplice uso del documento falsificato per ottenere un documento di soggiorno non deve essere necessariamente considerata meno grave della condotta di falsificazione del documento stesso. “Chi presenta un documento falso alla Questura per ottenere un permesso di soggiorno normalmente ha anche concorso nella sua falsificazione, fornendo all’autore materiale i propri dati identificativi. Inoltre, è proprio l’uso del documento a creare l’immediato rischio che venga rilasciato un documento di soggiorno in assenza dei requisiti di legge, mentre la falsificazione del documento costituisce soltanto un’attività preparatoria rispetto a questo scopo”.

La norma in esame, dunque, non viola né il principio di eguaglianza, né il principio di proporzionalità delle sanzioni penali, desunto dalla finalità rieducativa della pena.

cittadinanza allo straniero

Cittadinanza allo straniero che non conosce l’italiano La Consulta ha ritenuto incostituzionale la norma che in materia di cittadinanza allo straniero non esclude chi è oggettivamente impedito ad imparare l'italiano

Cittadinanza allo straniero

La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 25/2025 ha affermato che vìola il principio di uguaglianza la norma che subordina l’acquisto della cittadinanza allo straniero – per matrimonio o naturalizzazione – alla conoscenza dell’italiano a livello intermedio per qualunque soggetto, senza eccettuare chi versi in condizioni di oggettiva e documentata impossibilità di acquisirla in ragione di una disabilità.

Legge 91/1992

E’ stata, pertanto, dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 9.1 della legge 5 febbraio 1992, n. 91 «nella parte in cui non esonera dalla prova della conoscenza della lingua italiana il richiedente [la cittadinanza] affetto da gravi limitazioni alla capacità di apprendimento linguistico derivanti dall’età, da patologie o da disabilità, attestate mediante certificazione rilasciata dalla struttura sanitaria pubblica».

Eguaglianza formale e sostanziale

Secondo la Consulta, è violato, anzitutto, il principio di eguaglianza formale per trattamento uguale – ingiustificato e irragionevole – di situazioni diverse. Infatti, con l’imposizione generalizzata del requisito linguistico, il legislatore non ha tenuto conto della condizione di coloro che, in ragione di determinate menomazioni, versano in situazione oggettivamente diversa dalla generalità dei richiedenti la cittadinanza.

Ancora, la disciplina uniforme dettata dall’art. 9.1 offende il principio di eguaglianza nella sua declinazione sostanziale perché frappone, anzi che rimuovere, un ostacolo all’acquisto dello status di cittadino per tale specifica categoria di persone vulnerabili e dà luogo ad una loro discriminazione indiretta.

Il requisito della prova

Infine, la Consulta ha ritenuto che la norma sia irragionevole perché contraria al principio «ad impossibilia nemo tenetur»: il requisito della prova della conoscenza della lingua a livello intermedio si rivela, infatti, una condizione inesigibile per quegli stranieri che siano oggettivamente impediti ad apprenderla in ragione di una disabilità.

licenza edilizia

Licenza edilizia La licenza edilizia: definizione, evoluzione normativa nella concessione edilizia e nel permesso di costruire, giurisprudenza rilevante

Cos’è la licenza edilizia

La licenza edilizia era, un tempo, un’autorizzazione rilasciata dalle autorità competenti per la realizzazione di interventi edilizi. Essa serviva a certificare che i lavori da eseguire fossero conformi alla normativa urbanistica e alle leggi edilizie locali. La licenza si distingue dalla concessione edilizia, in quanto originariamente era un vero e proprio atto di “permissio” da parte dell’amministrazione pubblica, che legittimava l’inizio dei lavori.

La licenza edilizia si basava sul presupposto che l’amministrazione avesse il diritto di autorizzare o vietare la costruzione di edifici, in funzione del rispetto delle norme di pianificazione territoriale, dell’estetica del paesaggio e delle esigenze di sicurezza.

Dalla licenza edilizia alla concessione edilizia

L’introduzione della legge 28 gennaio 1977, n. 10, segna un momento fondamentale nell’evoluzione della licenza edilizia, quando la licenza edilizia viene sostituita dalla concessione edilizia. In questo periodo, l’autorità comunale non rilasciava più una licenza “discrezionale”, ma una concessione che divenne un atto vincolato, basato sull’esistenza di determinate condizioni legali.

La concessione edilizia, a differenza della licenza, non dipendeva più dalla valutazione soggettiva dell’amministrazione, ma era subordinata alla verifica del rispetto di specifici requisiti stabiliti dal piano regolatore e dalle normative urbanistiche locali.

La concessione edilizia: un nuovo approccio

La legge n. 10/1977 stabilì che la concessione edilizia doveva essere rilasciata se l’opera proposta fosse conforme agli strumenti urbanistici, alla legislazione edilizia e alle prescrizioni del piano territoriale. Questo significava che i comuni non avevano più un margine di discrezionalità nel decidere se autorizzare o meno l’opera, ma erano obbligati a rilasciare la concessione se il progetto rispettava le normative. La concessione edilizia mirava a semplificare le pratiche burocratiche, rendendo l’iter edilizio più chiaro e uniforme.

La sostituzione con il permesso di costruire

Con l’entrata in vigore del Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), la concessione edilizia venne sostituita dal permesso di costruire. Sebbene il permesso di costruire rappresenti una continuazione del principio giuridico della concessione edilizia, esso ha introdotto una maggiore semplificazione e velocizzazione dei procedimenti burocratici e ha ridotto le distinzioni tra interventi ordinari e straordinari.

La principale novità del permesso di costruire è che l’amministrazione non si limita a verificare la conformità dell’opera rispetto alle normative, ma ha anche il compito di valutare l’impatto dell’opera sull’ambiente e sulla qualità urbana. Inoltre, il permesso di costruire non è più rilasciato da un atto discrezionale dell’amministrazione, ma è subordinato a controlli puntuali su vari aspetti tecnici e normativi.

Giurisprudenza sulla licenza edilizia

Nel corso degli anni, la giurisprudenza ha avuto un ruolo fondamentale nell’evoluzione delle norme relative alla licenza edilizia e alle successive forme di autorizzazione edilizia. Diverse sentenze hanno cercato di chiarire la distinzione tra i vari tipi di autorizzazione e di interpretare la legittimità di determinate pratiche edilizie.

Cassazione civile n. 29166/2021

La licenza o concessione edilizia ha rilevanza solo nel rapporto tra la Pubblica Amministrazione e il privato richiedente, senza influenzare i rapporti tra privati, che restano regolati dal codice civile, dalle leggi speciali in materia edilizia e dai regolamenti locali. Pertanto, nelle controversie tra privati riguardanti opere edilizie, la presenza o assenza della concessione è irrilevante, salvo il caso di licenza in deroga. Il rispetto della concessione non garantisce di per sé l’assenza di violazioni dei diritti di terzi, così come la mancanza della licenza non comporta automaticamente un illecito, purché la costruzione sia conforme alle norme vigenti.

Cassazione n. 43840/2018

La mancata approvazione della licenza edilizia non incide sulla qualificazione di un’area come “cantiere”, secondo la definizione fornita dal D. Lgs. n. 81/2008. Diversamente, si rischierebbe di escludere dall’applicazione del diritto penale del lavoro attività edili abusive o completamente irregolari, favorendo l’elusione della normativa predisposta a tutela dei lavoratori, un’eventualità evidentemente inaccettabile.

Cassazione n. 2852/1983

La licenza edilizia ha la funzione limitata di eliminare un ostacolo di natura pubblicistica all’esercizio del diritto di edificare, senza tuttavia conferire all’attività del privato un carattere di interesse generale. Inoltre, esso non incide sugli eventuali vincoli di diritto privato che possano impedire la realizzazione dell’opera, i quali restano pienamente efficaci e non subiscono alcuna interferenza. Di conseguenza, anche quando la licenza è stata rilasciata legittimamente, il giudice ordinario conserva il potere di valutare la conformità della costruzione alle disposizioni del regolamento edilizio, in particolare per quanto riguarda il rispetto delle distanze legali.

 

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abusi edilizi sopravvenuti

Abusi edilizi sopravvenuti: le sanzioni valgono per tutti La Corte Costituzionale ha stabilito che anche le autonomie speciali devono attenersi al regime sanzionatorio dettato per gli abusi edilizi sopravvenuti

Abusi edilizi sopravvenuti

Anche le autonomie speciali devono attenersi al regime sanzionatorio dettato dall’art. 38 del TU Edilizia per gli abusi edilizi sopravvenuti. Lo ha affermato la Consulta che, con la sentenza n. 22/2025, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 10, della legge della Provincia di Bolzano 10 gennaio 2022, numero 1 (Disposizioni collegate alla legge di stabilità provinciale per l’anno 2022), per violazione degli articoli 4 e 8 dello statuto speciale, in quanto in contrasto con le norme fondamentali di riforma economico sociale, quali sono gli articoli 36 e 38 del d.P.R. 6 giugno 2001, numero 380 (Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia).

Il regime sanzionatorio della fiscalizzazione dell’abuso

La Corte Costituzionale ha per la prima volta riconosciuto che, al pari dell’articolo 36 del Testo unico edilizia, anche l’articolo 38, nel prevedere un peculiare regime sanzionatorio (fiscalizzazione dell’abuso) per i cosiddetti “abusi edilizi sopravvenuti” (ossia realizzati in conformità a un titolo abilitativo in seguito annullato), mira a proteggere interessi di primaria importanza e di segno complessivamente unitario (in quanto correlati al governo del territorio e alla tutela del paesaggio e dell’ambiente), con conseguente necessità di attuazione uniforme a livello nazionale che non può subire differenziazioni regionali.

Le sanzioni valgono anche per le autonomie speciali

Nella sentenza si afferma, in particolare, “che le specifiche condizioni richieste dall’articolo 38 (impossibilità di procedere alla rimozione dei vizi procedurali e impossibilità tecnica di procedere alla restituzione in pristino), per consentire il pagamento di una sanzione pecuniaria pari al valore venale dell’opera abusiva in luogo della demolizione, costituiscono elementi determinanti del punto di equilibrio tra opposti interessi, individuato dal legislatore statale al fine di un ordinato governo del territorio”.

Pertanto, ha concluso il giudice delle leggi, alle Regioni ad autonomia speciale e alle Province autonome non è dato introdurre ulteriori criteri di valutazione dell’impossibilità di ripristino, né della determinazione del “prezzo” da pagare per evitare la demolizione di un immobile; né, infine, graduare la sanzione in funzione della gravità del danno urbanistico arrecato dalla trasformazione del territorio.

permesso di costruire

Permesso di costruire Permesso di costruire: definizione, normativa di riferimento, rilascio, differenza con la SCIA e giurisprudenza

Cos’è il permesso di costruire?

Il permesso di costruire è un atto amministrativo che autorizza l’inizio di un intervento edilizio, che deve rispettare una serie di normative urbanistiche, ambientali e tecniche. Si tratta di uno degli strumenti più importanti per garantire che le opere edilizie siano conformi ai piani regolatori comunali, alle leggi sul paesaggio, alla sicurezza e alla qualità dell’ambiente urbano.
Esso è disciplinato dal Testo Unico dell’Edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), che ha sostituito la precedente “concessione edilizia”, stabilendo regole uniformi su tutto il territorio nazionale.

Normativa di riferimento

Il D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 è la normativa principale che regola il permesso di costruire. Il Testo Unico dell’Edilizia ha armonizzato e semplificato le procedure di rilascio di autorizzazioni edilizie, offrendo indicazioni precise su come e quando ottenere il permesso di costruire.

Gli articoli salienti

Alcuni articoli salienti di questa normativa sono:
• l’articolo 10: che stabilisce che il permesso di costruire è necessario per gli interventi edilizi che comportano una modificazione sostanziale dell’uso del suolo, come nuovi edifici, ampliamenti e modifiche strutturali significative;
• l’art. 11: che definisce le caratteristiche del permesso di costruire, ossia la trasferibilità ai successori e aventi causa, la sua irrevocabilità e onerosità. Il permesso di costruire inoltre non incide sulla titolarità della proprietà o di altri diritti reali e non comporta limitazioni dei diritti dei terzi;
• l’articolo 12: che stabilisce i presupposti per il suo rilascio;
• l’art. 15: che stabilisce l’efficacia temporale e la decadenza del permesso a costruire;
• l’articolo 20: che regolamenta il procedimento per il rilascio e i tempi, stabilendo anche le modalità di ricorso in caso di diniego.
Oltre al Testo Unico, ogni comune ha una propria normativa edilizia che deve essere rispettata. I regolamenti locali possono prevedere ulteriori specifiche, come le modalità di presentazione della domanda, i documenti necessari e le procedure per il rilascio.

Quando viene rilasciato il permesso di costruire?

Il permesso viene rilasciato quando si ha intenzione di realizzare interventi edilizi che comportano una modificazione sostanziale del territorio, come la costruzione di nuovi edifici, la ristrutturazione o l’ampliamento di edifici esistenti, qualsiasi intervento che modifichi l’assetto urbanistico di un’area.
La richiesta viene presentata al comune, il quale deve verificarne la conformità rispetto al piano regolatore e ad altre normative settoriali (sicurezza, ambiente, paesaggio, salute pubblica, ecc.).

Una volta ottenuto il permesso, il richiedente ha un termine per avviare i lavori e, generalmente, è obbligato a completare l’opera entro i termini stabiliti.

Differenza tra permesso di costruire e SCIA

Una delle principali distinzioni nel panorama delle autorizzazioni edilizie riguarda la differenza tra permesso di costruire e SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività). Mentre il permesso di costruire è obbligatorio per le opere più rilevanti e che impattano maggiormente sull’urbanistica, la SCIA si applica a interventi più semplici che non modificano in modo sostanziale il territorio o la struttura edilizia esistente.

Permesso di costruire vs SCIA

• Permesso di Costruire: richiesto per interventi edilizi complessi o per nuove costruzioni che possano influire sul piano regolatore, sull’assetto urbano o sull’ambiente. L’amministrazione pubblica ha il compito di valutare la conformità del progetto con le normative urbanistiche e ambientali.
• SCIA: la SCIA è una dichiarazione che il soggetto interessato presenta per avviare determinati lavori edilizi. L’intervento deve essere conforme agli strumenti urbanistici vigenti, ma, in questo caso, non è necessaria l’autorizzazione preventiva da parte dell’amministrazione, che potrà solo controllare la correttezza dell’intervento successivamente.

La SCIA è spesso usata per interventi di minore impatto, come lavori di manutenzione ordinaria, interventi di ristrutturazione leggera o modifiche interne a edifici esistenti, mentre il permesso si applica in casi in cui l’opera comporta una vera e propria trasformazione del territorio.

Giurisprudenza rilevante

Nel corso degli anni, la giurisprudenza ha avuto un ruolo fondamentale nell’interpretare e applicare la normativa, risolvendo le controversie relative alla sua applicazione:

Consiglio di Stato n. 962/2025

Il soggetto legittimato a impugnare un permesso di costruire, come un proprietario confinante, deve rispettare termini specifici per presentare il ricorso. Questi termini decorrono dal momento in cui i lavori hanno inizio (c.d. an dell’edificazione) o, eventualmente, da quando l’interessato ne viene a conoscenza.
Trascorsi i 60 giorni previsti per l’impugnazione, il ricorso è considerato tardivo e non può essere esaminato dal giudice, indipendentemente dalla conformità dell’opera al titolo edilizio.

Cassazione n. 23186/2018

La totale difformità dal permesso di costruire, secondo l’articolo 31 del Testo Unico dell’Edilizia (DPR 380/2001), si verifica quando l’intervento edilizio realizzato si discosta completamente da quello autorizzato. Questo avviene in due casi principali:

1. Modifica sostanziale dell’organismo edilizio – Se l’opera costruita differisce integralmente per tipologia, forma, volumetria o destinazione d’uso rispetto a quanto previsto nel permesso di costruire.

2. Superamento dei volumi autorizzati – Se vengono realizzati volumi edilizi eccedenti i limiti approvati, tali da costituire un’unità edilizia autonoma o comunque significativa rispetto al progetto iniziale. In sintesi, la totale difformità si ha quando l’opera costruita è radicalmente diversa da quella autorizzata, tanto da configurare un nuovo organismo edilizio.

TAR Campania – Salerno n. 1611/2015

E’ illegittimo che un’Amministrazione richieda, come condizione per il rilascio del permesso di costruire, la dimostrazione della regolarità del richiedente nei confronti dei tributi comunali. Tale pretesa altera la finalità del potere amministrativo, utilizzandolo per scopi estranei rispetto a quelli stabiliti dalla legge, che disciplina il permesso di costruire con criteri specifici e autonomi.

 

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telemedicina

Telemedicina: ok alla piattaforma nazionale Il Garante Privacy ha dato il via libera allo schema di decreto del ministero della Salute che disciplina i trattamenti di dati personali nell'ambito della Piattaforma Nazionale di telemedicina

Telemedicina: ok Dm Salute

Dopo aver chiesto ed ottenuto maggiori garanzie a tutela dei dati trattati, il Garante privacy ha dato via libera allo schema di decreto del Ministero della salute che disciplina i trattamenti di dati personali nell’ambito della Piattaforma nazionale di telemedicina (PNT) prevista dal PNRR.

Valutazione d’impatto preventiva

Lo schema di decreto ha accolto le numerose modifiche chieste dal Garante. In particolare, rispetto alla prima bozza del decreto trasmessa dal Ministero, è stato introdotto l’obbligo della valutazione d’impatto preventiva, anche in considerazione della natura, dell’oggetto, delle finalità e dell’elevato numero di persone coinvolte.

Nello schema di decreto, tra l’altro, sono stati specificati la tipologia di dati trattati e delle operazioni eseguibili, i motivi di interesse pubblico rilevante e le misure specifiche e appropriate per tutelare i diritti degli interessati.

EDS

Sono stati individuati i servizi resi disponibili dalla PNT per finalità di cura e di governo, le modifiche alla disciplina dell’Ecosistema Dati Sanitari (EDS), i ruoli del trattamento e le specifiche finalità e i compiti attribuiti ai diversi soggetti coinvolti.

Su richiesta del Garante, particolare attenzione è stata posta sulle misure di sicurezza tecniche e organizzative per offrire garanzie adeguate al rischio.

Misure idonee

Lo schema di decreto prevede, tra l’altro, l’adozione di misure idonee ad attenuare il pericolo dell’utilizzo fraudolento di identità digitali, la cifratura dei dati mediante algoritmi robusti, l’introduzione di IPS (Intrusion Prevention System), il monitoraggio degli eventi di sicurezza, la gestione dei possibili incidenti e la tracciabilità delle operazioni.

Aggiornamento linee guida

L’Autorità ha evidenziato, infine, la necessità di aggiornare le “Linee guida per i servizi di telemedicina – requisiti funzionali e livelli di servizio” approvate con decreto del Ministero della salute nel 2022 in funzione della nuova disciplina sul FSE 2.0 e delle disposizioni del Regolamento europeo.

 

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ddl nucleare

Ddl nucleare: cosa prevede Ddl nucleare sostenibile: approvata dal Consiglio dei Ministri la delega al governo in materia di energia nucleare sostenibile, ecco cosa prevede

Ddl nucleare sostenibile, ok dal Governo

E’ stato approvato il 28 febbraio 2025, dal Consiglio dei ministri il Ddl nucleare sostenibile. Il testo, contenente “delega al Governo in materia di energia nucleare sostenibile” è stato approvato in esame preliminare, su proposta del presidente Giorgia Meloni e del ministro dell’ambiente e della sicurezza energetica Gilberto Pichetto Fratin.

Obiettivi e mix energetico italiano

Il ddl è volto all’inserimento del nucleare sostenibile e da fusione nel cosiddetto “mix energetico italiano” e interviene in forma organica sotto i profili economico, sociale e ambientale, nel quadro delle politiche europee di decarbonizzazione con orizzonte temporale il 2050, coerentemente con gli obiettivi di neutralità carbonica e di sicurezza degli approvvigionamenti.

L’intervento, si legge nel comunicato stampa di palazzo Chigi, ha lo scopo di:

  • garantire la continuità nell’approvvigionamento energetico in presenza di un incremento costante della domanda e favorire il raggiungimento dell’indipendenza energetica;
  • concorrere agli obiettivi di decarbonizzazione necessari a fronteggiare il cambiamento climatico;
  • garantire la sostenibilità dei costi gravanti sugli utenti finali e la competitività del sistema industriale nazionale.

Linee di intervento principali

Di seguito le linee di intervento principali:

Superamento delle esperienze nucleari precedenti

Si assicura una cesura netta rispetto agli impianti nucleari del passato (cosiddetti di “prima” o di “seconda generazione”), destinati alla definitiva dismissione, salvo eventuale riconversione, e l’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili, incluse le tecnologie modulari e avanzate. In quest’ottica, si valuterà l’istituzione di un’Autorità indipendente competente per la sicurezza nucleare, con compiti di regolazione, vigilanza e controllo sulle infrastrutture nucleari.

Disciplina organica ciclo di vita dell’energia nucleare

Si prevede una disciplina organica dell’intero ciclo di vita dell’energia nucleare (eventuale fase di sperimentazione – progettazione – autorizzazione degli impianti – esercizio degli impianti – gestione, stoccaggio e smaltimento dei rifiuti radioattivi – smantellamento degli impianti).

Coordinamento e dialogo con i gestori delle reti elettriche

Lo sviluppo della nuova politica nucleare viene valutato anche nel suo impatto sull’assetto complessivo del sistema elettrico nazionale, incluso quello sul mercato elettrico.

Garanzie

I promotori dei progetti nucleari devono fornire adeguate garanzie finanziarie e giuridiche per coprire i costi di costruzione, gestione e smantellamento degli impianti e per i rischi, anche a loro non direttamente imputabili, derivanti dall’attività nucleare.

multa strisce blu

Multa strisce blu Multa strisce blu: definizione, normativa di riferimento, quando scatta, la multa, come contestarla, ricorsi possibili e giurisprudenza

Cos’è la multa per le strisce blu?

La multa strisce blu è conseguenza della presenza delle strisce blu che delimitano le aree di sosta a pagamento nei centri urbani. Il mancato pagamento o il superamento del tempo consentito può comportare infatti l’emissione di una multa per sosta non autorizzata.

La multa per le strisce blu è una sanzione amministrativa inflitta quando un veicolo sosta quindi in un’area di parcheggio a pagamento senza aver corrisposto la tariffa prevista o avendo superato il tempo per cui si è pagato.

Normativa di riferimento

Il riferimento normativo principale è l’articolo 7 del Codice della Strada (D.lgs. 285/1992), che attribuisce ai Comuni la facoltà di regolamentare la sosta a pagamento, stabilendo tariffe, esenzioni e modalità di controllo.

Quando scatta la multa?

Le multe per la violazione della disciplina sulle strisce blu scattano nei seguenti casi:

  • mancato pagamento del ticket di sosta;
  • superamento del tempo di sosta pagato;
  • esposizione del ticket in modo non visibile;
  • utilizzo improprio dei permessi per residenti o disabili.

Tuttavia, il verbale di accertamento e di contestazione per la violazione delle regole sulle strisce blu  è nullo se non vi sono parcheggi gratuiti nelle vicinanze, come stabilito dalla sentenza della Corte di Cassazione n. 116/2007.

A quanto ammonta la multa strisce blu?

L’importo della multa per strisce blu è stabilito dall’articolo 7, comma 15 del Codice della Strada e varia a seconda del regolamento comunale.

Se la multa non viene pagata entro 60 giorni, l’importo può aumentare e all’importo si vanno ad aggiungere le spese di notifica e di mora.

In base al nuovo comma 15 dell’art 7 le violazioni della sosta tariffata di cui al comma 1 lettera f) sono punite con le sanzioni base di cui al comma 14 primo periodo che varia da 42 a 173 euro. Per permettere il recupero della somma non corrisposta, se la violazione consiste nel mancato pagamento dell’intera somma dovuta la sanzione sopraindicata è maggiorata “di un importo pari alla tariffa corrispondente all’intero periodo tariffato nel giorno di calendario in cui avviene l’accertamento.” Se invece il mancato pagamento è parziale occorre fare riferimento a quanto precisato nelle lettere a, b e c sempre del comma 15 dell’art. 7 e la sanzione varia al variare del tempo in più in cui il conducente occupa il parcheggio rispetto a quello per il quale è stata corrisposta la tariffa. Regole ulteriori per il recupero delle somme non corrisposte sono contenute nel comma 15. 1 dell’articolo 7 del Codice della Strada.

Quando e come contestare la multa?

Esistono diverse circostanze in cui è possibile contestare una multa per strisce blu:

Assenza di parcheggi gratuiti nelle vicinanze

Secondo la Cassazione, sentenza n. 116/2007, le amministrazioni comunali devono prevedere anche parcheggi gratuiti nelle vicinanze. Se non ci sono, la multa può essere contestata.

Assenza di segnaletica chiara

Se i cartelli che indicano la sosta a pagamento sono mancanti, danneggiati o non visibili, la multa può essere impugnata.

Guasto del parcometro

Se il parchimetro non è funzionante e non esiste un’alternativa di pagamento elettronico, è possibile contestare la multa allegando una prova (foto, testimoni, segnalazione al Comune).

Veicolo rubato o venduto

Se la multa è stata emessa su un veicolo rubato o venduto prima della data della sanzione, è sufficiente fornire copia della denuncia o del passaggio di proprietà.

Sanzione errata

Errori nell’indicazione della targa, della data o del luogo possono rendere la multa nulla.

Modalità di ricorso per la multa strisce blu

Se si ritiene che la multa sia ingiusta, si può contestare in due modi:

Ricorso al Prefetto

  • Deve essere presentato entro 60 giorni dalla notifica della multa;
  • Si può inviare tramite raccomandata A/R o PEC al Prefetto della provincia in cui è stata emessa la multa;
  • Il Prefetto decide entro 120 giorni: se accoglie il ricorso, la multa viene annullata, altrimenti l’importo può raddoppiare.

Ricorso al Giudice di Pace

  • Va presentato entro 30 giorni dalla notifica della multa;
  • Prevede un costo di €43 a titolo di contributo unificato per multe fino a €100;
  • È consigliabile presentare prove documentali e, se possibile, farsi assistere da un avvocato.

Giurisprudenza rilevante

  • Cassazione Civile, sentenza n. 116/2007: i Comuni devono garantire la presenza di parcheggi gratuiti nelle vicinanze delle strisce blu.
  • Cassazione Civile, sentenza n. 20293/2024: il Comune, quando gestisce direttamente un parcheggio custodito, ha l’obbligo di garantire nelle vicinanze un’area di parcheggio senza custodia o senza dispositivi di controllo della durata della sosta.Tale obbligo non si applica nelle zone pedonali, nelle aree a traffico limitato e nelle zone classificate come categoria A” dal D.M. 2 aprile 1968, n. 1444. Quest’ultima categoria include aree con edifici di particolare valore storico-culturale e zone di rilevanza urbanistica individuate dalla giunta, caratterizzate da specifiche esigenze di traffico.
  • Cassazione Civile, sentenza n. 16258/2016: la sosta nei parcheggi delimitati dalle strisce blu con un ticket scaduto comporta l’applicazione della sanzione prevista dall’ 7, comma 15, per ogni frazione di ora, analogamente a quanto avviene nel caso in cui il conducente non abbia acquistato alcun biglietto.

 

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