corte ue conferma multa

La Corte UE conferma la multa di 2,4 miliardi a Google Conclusa la questione aperta fin dal 2017 con Google Alphabet. Per i giudici di Lussemburgo si è trattato di abuso della propria posizione dominante

Confermata multa a Google

La Corte UE conferma la multa di 2,4 miliardi a Google, per aver abusato della propria posizione dominante favorendo il serrvizio di prodotti. La sentenza è resa dalla Corte nella causa C-48/22 P | Google e Alphabet/Commissione (Google Shopping).

La vicenda

La vicenda ha inizio nel 2017, quando la Commissione aveva inflitto un’ammenda di circa 2,4 miliardi di euro a Google per aver abusato della sua posizione dominante su vari mercati nazionali della ricerca su Internet favorendo il proprio servizio di comparazione di prodotti rispetto a quello dei suoi concorrenti.

Poiché il Tribunale ha, in sostanza, confermato tale decisione e mantenuto l’ammenda di cui sopra, Google e Alphabet hanno proposto un’impugnazione dinanzi alla Corte, che è stata respinta da quest’ultima confermando così la sentenza del Tribunale.

La Commissione

Con decisione del 27 giugno 2017, la Commissione aveva constatato che, in tredici paesi dello Spazio economico europeo (SEE), “Google aveva privilegiato, sulla sua pagina di risultati di ricerca generale, i risultati del proprio comparatore di prodotti rispetto a quelli dei comparatori di prodotti concorrenti. Google aveva infatti presentato i risultati di ricerca del suo comparatore di prodotti in prima posizione e li aveva valorizzati all’interno di «boxes», accompagnandoli con informazioni visive e testuali attraenti”.

Per contro, i risultati di ricerca dei comparatori di prodotti concorrenti “apparivano soltanto come semplici risultati generici (presentati sotto forma di link blu) ed erano, per tale motivo, contrariamente ai risultati del comparatore di prodotti di Google, suscettibili di essere retrocessi da algoritmi di aggiustamento nelle pagine di risultati generali di Google”.

La Commissione ha concluso che Google aveva abusato della propria posizione dominante sul mercato dei servizi di ricerca generale su Internet nonché su quello dei servizi di ricerca specializzata di prodotti e le ha inflitto un’ammenda di EUR 2 424 495 000, per il pagamento della quale Alphabet, in quanto socia unica di Google, è stata ritenuta responsabile in solido per un importo di EUR 523 518 000.

Il tribunale e la Corte

La questione era approdata innanzi al tribunale UE, il quale aveva respinto il ricorso e confermato l’ammenda.

Google e Alphabet hanno allora proposto un’impugnazione dinanzi alla Corte, la quale con la sentenza in parola ha rigettato l’impugnazione e confermato la sentenza del Tribunale.

La decisione

Nella sentenza, la Corte ricorda che “il diritto dell’Unione sanziona non l’esistenza stessa di una posizione dominante, bensì soltanto lo sfruttamento abusivo di quest’ultima. In particolare, sono vietati i comportamenti di imprese in posizione dominante che restringano la concorrenza basata sui meriti e siano dunque suscettibili di causare un pregiudizio alle singole imprese e ai consumatori”.

Tra tali comportamenti rientrano quelli che, con mezzi diversi dalla concorrenza basata sui meriti, “ostacolano il mantenimento o lo sviluppo della concorrenza su un mercato in cui il grado di concorrenza è già indebolito, proprio in ragione della presenza di una o più imprese in posizione dominante”.

Non si può certo ritenere, in generale, “che un’impresa dominante che applichi ai propri prodotti o ai propri servizi un trattamento più favorevole di quello che essa accorda a quelli dei suoi concorrenti tenga, indipendentemente dalle circostanze del caso di specie, un comportamento che si discosta dalla concorrenza basata sui meriti” precisa la Corte. La stessa constata tuttavia che nella fattispecie, “il Tribunale ha effettivamente stabilito che, alla luce delle caratteristiche del mercato e delle circostanze specifiche del caso in esame, il comportamento di Google era discriminatorio e non rientrava nell’ambito della concorrenza basata sui meriti”.