avviso di giacenza

Avviso di giacenza Cos’è l’avviso di giacenza, come funziona la compiuta giacenza degli atti giudiziari: guida con giurisprudenza

Cos’è l’avviso di giacenza

L’avviso di giacenza è un documento che il servizio postale lascia nella cassetta delle lettere quando non è possibile consegnare un atto o una raccomandata direttamente al destinatario. Questo avviso informa che il plico è disponibile per il ritiro presso l’ufficio postale entro un determinato periodo.

Disciplina della compiuta giacenza degli atti giudiziari

Nel contesto degli atti giudiziari, la “compiuta giacenza” si riferisce al periodo dopo il quale un atto non ritirato si considera comunque notificato al destinatario.

Secondo l’articolo 140 del Codice di Procedura Civile, se la consegna di un atto non può essere effettuata per irreperibilità, incapacità o rifiuto del destinatario, l’ufficiale giudiziario deposita una copia dell’atto presso la casa comunale e ne dà comunicazione tramite raccomandata con avviso di ricevimento.

La notifica si considera completata quando sono trascorsi dieci giorni da quando il destinatario, non trovato al suo domicilio, ha ricevuto l’avviso di deposito dell’atto presso il comune tramite raccomandata. Trascorsi infatti dieci giorni dalla data di deposito senza che il destinatario ritiri l’atto, la notifica si considera perfezionata per “compiuta giacenza”.

È importante notare che, anche se l’atto rimane in giacenza per un periodo più lungo (fino a 180 giorni per gli atti giudiziari), gli effetti legali della notifica si producono al decimo giorno dalla data di deposito.

Lo ha chiarito la Cassazione nell’ordinanza n. 8895/2022 sancendo il seguente principio: In materia di notifiche di atti tributari tramite servizio postale, la validità della notifica è garantita anche in caso di assenza del destinatario. Se il postino non trova il destinatario a casa infatti lascia un avviso di giacenza nella cassetta postale, se poi il destinatario non ritira l’atto entro 10 giorni, la notifica si considera perfezionata. Questo vale anche se il destinatario ha ricevuto l’avviso di deposito (CAD) ma non è andato a ritirare l’atto. In questi casi, si presume che il destinatario abbia avuto conoscenza dell’atto, in base all’articolo 1335 del codice civile. Questo perché l’avviso di giacenza è stato consegnato all’indirizzo del destinatario, dandogli la possibilità di ritirare l’atto. La notifica quindi raggiunge il suo scopo quando l’avviso di giacenza entra nella sfera di conoscibilità del destinatario. Se  il destinatario sceglie di non ritirare l’atto, la notifica è comunque valida.

Come riconoscere il contenuto dell’avviso di giacenza

L’avviso di giacenza contiene informazioni utili per identificare il tipo di atto o comunicazione non consegnata. Ad esempio, il colore dell’avviso può fornire indicazioni preliminari: un avviso di colore verde è spesso associato a comunicazioni ufficiali o atti giudiziari. Inoltre, sull’avviso sono presenti codici numerici che identificano la natura del documento. Codici come 75, 76, 77, 78 e 79 indicano generalmente atti giudiziari o comunicazioni da parte di enti pubblici.

Queste informazioni permettono al destinatario di avere un’idea del contenuto della comunicazione e dell’ente mittente.

Giurisprudenza rilevante

La giurisprudenza ha più volte affrontato il tema della “compiuta giacenza” e degli effetti della notifica:

Cassazione n. 31724/2019: Se uno degli adempimenti richiesti dall’art. 140 c.p.c. viene omesso, la notificazione è nulla, ma può essere sanata se raggiunge comunque il suo scopo, ai sensi dell’art. 156 c.p.c. Ciò vale anche quando il destinatario riceve l’avviso di raccomandata riguardante il deposito del plico presso l’ufficio postale, ma decide di non ritirarlo, facendo scattare la compiuta giacenza. Tuttavia, la presunzione di conoscenza prevista dall’art. 1335 c.c può essere superata solo se il destinatario dimostra di essere stato, senza sua colpa, impossibilitato a prendere visione dell’atto.

Cassazione n. 32201/2018: Nella notificazione a destinatario irreperibile ex art. 140 c.p.c., l’avviso di ricevimento della raccomandata informativa non deve necessariamente attestare la consegna o la scadenza del termine di giacenza, né contenere tutte le annotazioni previste per le notifiche postali. Tuttavia, in base alla sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2010, deve emergere l’eventuale trasferimento, decesso o altro impedimento che renda l’avviso non conoscibile dal destinatario.

 

 

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opposizione di terzo

Opposizione di terzo all’esecuzione Opposizione di terzo all’esecuzione art. 619 c.p.c.: cos’è, chi la può proporre, come funziona la procedura e sentenze di rilievo

Cos’è l’opposizione di terzo all’esecuzione

L’opposizione di terzo all’esecuzione è un rimedio processuale a tutela di soggetti estranei a un’esecuzione forzata, che rivendicano un diritto di proprietà o altro diritto reale su un bene pignorato. Secondo l’art. 619 c.p.c., se un terzo sostiene di avere un diritto incompatibile con l’esecuzione in corso, può proporre opposizione per ottenere la liberazione del bene.

Chi può proporre l’opposizione di terzo

Sono legittimati a proporre opposizione di terzo:

  • il proprietario del bene pignorato, se dimostra che il bene non appartiene al debitore esecutato;
  • chi vanta sul bene dei diritti reali di godimento (usufrutto, uso, abitazione, servitù);
  • il creditore pignoratizio o il titolare di altri diritti di garanzia;
  • chi ha stipulato un contratto opponibile ai terzi (es. locazione registrata prima del pignoramento).

L’onere della prova del diritto vantato sul bene spetta all’opponente, che deve dimostrare la titolarità mediante documentazione idonea (es. atti notarili, contratti, registrazioni nei pubblici registri).

Procedura di opposizione di terzo all’esecuzione

L’opposizione si propone con ricorso al giudice dell’esecuzione. Tale atto deve contenere seguenti elementi:

  • l’individuazione del bene pignorato;
  • la natura del diritto vantato;
  • le prove documentali a supporto della domanda. L’articolo 621 ccc dipone infatti che il terzo opponente non possa dimostrare il suo diritto per mezzo di testimoni, a meno che l’esistenza del diritto non sia verosimile in relazione alla professione o al commercio svolti da terzo o dal debitore.

Il giudice, esaminata l’istanza, può decidere di:

  • accogliere l’opposizione e disporre l’esclusione del bene dal pignoramento;
  • rigettare l’opposizione, se il diritto vantato non è sufficientemente provato;
  • sospendere l’esecuzione in via cautelare, in attesa della decisione.

Se l’opposizione è respinta, l’opponente può impugnare la decisione dinanzi alla Corte d’Appello.

Come opporsi?

Per proporre l’opposizione di terzo all’esecuzione, l’opponente deve compiere i seguenti passaggi:

  1. raccogliere la documentazione che attesti la titolarità del diritto;
  2. depositare il ricorso presso il Tribunale competente (dove si svolge l’esecuzione);
  3. notificare il ricorso alle parti coinvolte (creditore procedente e debitore);
  4. partecipare all’udienza, ove il giudice valuterà la fondatezza della richiesta.

Il giudice, su istanza del terzo, può anche, in presenza di gravi motivi, sospendere il processo con o senza cauzione.

Giurisprudenza rilevante

Alcune sentenze significative della Corte di Cassazione in tema di opposizione di terzo all’esecuzione:

Cassazione n. 40751/2021: l’azione prevista dall’articolo 619 del codice di procedura civile, essendo qualificata in questo modo, implica che essa rimane soggetta al principio generale secondo cui l’onere della prova ricade su chi, attraverso una propria affermazione, intende far derivare conseguenze giuridiche a suo favore. Pertanto, spetterà all’opponente dimostrare il fatto giuridico su cui basa il suo presunto diritto sui beni mobili soggetti a esecuzione, come stabilito anche dalla sentenza n. 1506/1972 della Sezione 3 della Corte di Cassazione.

Cassazione n. 17913/2022: nonostante la sua struttura bifasica, il giudizio di opposizione di terzo all’esecuzione, disciplinato dall’articolo 619 del codice di procedura civile, presenta una natura unitaria. Di conseguenza, l’atto di citazione per la fase di merito, che eventualmente segue la fase sommaria dinanzi al giudice dell’esecuzione, è validamente notificato presso il difensore nominato con la procura alle liti rilasciata già nella prima fase, a meno che la parte destinataria non abbia espresso una volontà diversa e esplicita di limitare la validità del mandato difensivo a tale fase.

Cassazione civile n. 4005/2022: se un terzo vanta un diritto reale su un bene immobile soggetto a esecuzione forzata, la sua possibilità di azione varia a seconda della sua partecipazione al procedimento esecutivo: se ha preso parte al procedimento, può presentare solo opposizione agli atti esecutivi; se non ha partecipato, può presentare opposizione di terzo ai sensi dell’articolo 619 del codice di procedura civile durante il giudizio di esecuzione e, dopo la vendita e l’aggiudicazione, può rivendicare il bene nei confronti dell’aggiudicatario.

 

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lite temeraria

Lite temeraria Cosa si intende per lite temeraria, quando ricorre la responsabilità aggravata processuale ex art. 96 c.p.c. e qual è l’elemento soggettivo richiesto dalla norma

Lite temeraria e responsabilità aggravata ex art. 96

Con la locuzione “lite temeraria” giuridicamente si fa riferimento ad una posizione giudiziale sostenuta da una parte del processo nella consapevolezza della sua palese infondatezza.

In particolare, l’aver intrapreso una lite temeraria postula a carico della parte una particolare responsabilità processuale aggravata che viene sanzionata dall’art. 96 c.p.c. con l’obbligo di risarcire i danni causati alla controparte.

Tale obbligo si aggiunge, ed è quindi cosa distinta, dalla refusione delle spese prevista, in via generale, dall’art. 91 a carico della parte soccombente nel processo.

Quando si configura lite temeraria?

Presupposto della condanna per responsabilità aggravata, di cui al primo comma dell’art. 96, è la mala fede o la colpa grave di chi agisce o resiste in giudizio sapendo di essere nel torto o non avendo posto l’ordinaria diligenza nel verificare se il proprio diritto fosse effettivamente esistente.

Ulteriore presupposto per la condanna è che la parte che abbia sostenuto una lite temeraria sia risultata in totale soccombenza nel giudizio a seguito della sentenza. Una soccombenza parziale, quand’anche accompagnata dalla condanna alla rifusione delle spese di lite, non può quindi mai comportare la responsabilità aggravata di cui all’art. 96.

Inoltre, la condanna al risarcimento dei danni comportati dallo svolgimento della lite temeraria deve necessariamente conseguire ad una specifica domanda di controparte, non potendo essere dichiarata d’ufficio dal giudice.

Il risarcimento del danno per lite temeraria

Chi propone l’istanza di risarcimento per responsabilità aggravata deve dimostrare l’esistenza del danno subito, il suo nesso consequenziale con lo svolgimento del processo e l’entità del danno.

Il giudice, in ogni caso, può liquidare il risarcimento anche in via equitativa, pur rimanendo a carico della parte istante la prova del danno e l’indicazione della sua quantificazione.

Un’importante precisazione che occorre fare a proposito della pronuncia relativa al risarcimento da responsabilità processuale aggravata è che la stessa può essere domandata soltanto nel medesimo processo in cui è insorta e che la relativa decisione del giudice deve essere contenuta nella sentenza stessa.

Non è quindi configurabile un diritto della parte che abbia subito danni da lite temeraria a chiederne il ristoro in separato procedimento. Ciò vale anche per quanto riguarda i gravami, in quanto nel giudizio di appello possono essere chiesti i danni ex art. 96 c.p.c. solo se il carattere di temerarietà della lite riguardi il contegno processuale della parte tenuto nel grado di impugnazione.

La responsabilità aggravata per colpa lieve

Il secondo comma dell’art. 96 c.p.c. contempla, invece, una distinta fattispecie di responsabilità processuale aggravata, per la cui configurazione è sufficiente l’elemento soggettivo della colpa lieve.

In base a tale norma, infatti, viene pronunciata la condanna al risarcimento dei danni da lite temeraria se si accerta l’inesistenza del diritto in base al quale sia stata chiesta:

  • l’esecuzione di un provvedimento cautelare;
  • la trascrizione di una domanda giudiziale;
  • l’iscrizione di un’ipoteca giudiziale;
  • l’avvio o prosecuzione di un’esecuzione forzata.

La norma prevede che la responsabilità aggravata possa essere accertata, sempre su istanza di parte, quando l’attore/creditore abbia agito senza verificare con la normale prudenza (quindi con colpa lieve) l’effettiva sussistenza del proprio diritto ad agire.

A differenza della fattispecie contemplata dal primo comma, non è quindi necessaria la malafede o colpa grave: ciò perché le ipotesi previste dal secondo comma postulano un’ingerenza nella sfera del danneggiato più immediata e più grave, e quindi esigono un più alto grado di attenzione da parte del creditore procedente nella valutazione dell’effettiva sussistenza del proprio diritto.

Quando si applica l’articolo 96 c.p.c.?

Gli ultimi due commi dell’art. 96 c.p.c. sono di recente introduzione e prevedono due ulteriori specificazioni della disciplina della condanna per lite temeraria.

Il terzo comma, introdotto dalla legge n. 69/2009, prevede un’ipotesi di responsabilità aggravata accertabile dal giudice anche d’ufficio, a differenza di quanto previsto dai primi due commi.

Nello specifico, è previsto in capo al giudice il potere di condannare la parte dichiarata soccombente ai sensi dell’art. 91 al pagamento, in favore della parte vittoriosa, di una somma – ulteriore a quella da riconoscersi a titolo di rifusione delle spese processuali – da determinarsi in via equitativa.

Infine, il quarto ed ultimo comma dell’art. 96 c.p.c. dispone che in tutte le ipotesi contemplate dal medesimo articolo (cioè, tutto quanto abbiamo sopra esaminato) il giudice debba condannare la parte condannata per lite temeraria anche ad un pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma di denaro da quantificarsi tra i 500 e i 5.000 euro (norma introdotta dalla recente Riforma Cartabia, d.lgs. 149/22).

arbitrato

Arbitrato: guida e modello Cos'è l’arbitrato, quali sono le materie arbitrabili e non arbitrabili, tipologie di arbitrato e giurisprudenza

Cos’è l’arbitrato

L’arbitrato è uno strumento di risoluzione alternativa delle controversie regolato dagli articoli 806-840 del Codice di Procedura Civile (c.p.c). Esso consente alle parti di affidare la decisione di una controversia a uno o più arbitri, evitando così il ricorso al giudice ordinario. Si tratta di un procedimento più rapido e flessibile rispetto al processo civile, ma con specifiche caratteristiche che lo rendono adatto solo a determinate situazioni.

Il procedimento arbitrale

L’arbitrato è un procedimento in cui le parti coinvolte in una controversia nominano un collegio arbitrale per dirimere la questione. Gli arbitri emettono un provvedimento, denominato lodo arbitrale, che ha efficacia vincolante per le parti. Può essere utilizzato sia per controversie nazionali sia per dispute internazionali.

Il procedimento arbitrale è caratterizzato da:

  • autonomia delle parti: le parti possono stabilire le regole procedurali applicabili, nei limiti previsti dalla legge;
  • riservatezza: le decisioni e le attività svolte nell’arbitrato sono confidenziali;
  • efficienza: rispetto al processo ordinario, l’arbitrato è generalmente più efficiente.

Materie arbitrabili

Non tutte le controversie possono essere risolte tramite questo procedimento stragiudiziale. Secondo l’articolo 806c.p.c possono essere devolute in arbitrato le controversie su diritti disponibili, ossia quei diritti che possono essere liberamente trasferiti, modificati o rinunciati dalle parti.

Materie non arbitrali

Sono escluse invece dall’arbitrato:

  • le materie che riguardano lo stato e la capacità delle persone come le procedure di separazione e divorzio o quelle finalizzate alla dichiarazione di inabilitazione o di interdizione dei soggetti parzialmente o totalmente incapaci;
  • le questioni che coinvolgono interessi pubblici, come le controversie in materia tributaria o amministrativa;
  • i diritti indisponibili, come il diritto alla salute o alla dignità personale.

Arbitrato rituale e irrituale

La normativa distingue tra arbitrato rituale e irrituale, che si differenziano per la natura e gli effetti del lodo.

Arbitrato rituale

L’arbitrato rituale è disciplinato dagli articoli 806-832 c.p.c. Il lodo emesso dagli arbitri ha la stessa efficacia di una sentenza giudiziaria e può essere eseguito tramite un provvedimento del giudice. Questa tipologia segue un procedimento formalizzato, simile a quello giudiziario.

Arbitrato irrituale

L’arbitrato irrituale, regolato dalla volontà delle parti e dalla normativa contrattuale, non prevede l’emissione di un lodo esecutivo. La decisione degli arbitri si traduce in un contratto tra le parti e, per essere eseguita, richiede l’intervento del giudice in caso di inadempimento.

Giurisprudenza rilevante

La giurisprudenza ha chiarito molti aspetti dell’arbitrato, tra cui:

Cassazione n. 39437/2021: stabilire quale sia la volontà delle parti riguardo a una clausola arbitrale è un compito che spetta esclusivamente al giudice di primo grado. La Corte di Cassazione può intervenire solo se la motivazione del giudice di primo grado è talmente carente da non permettere di capire come è arrivato alla sua conclusione, oppure se ha applicato in modo errato le regole sull’interpretazione dei contratti.

Cassazione civile n. 19993/2020: l’impugnazione per nullità del lodo arbitrale non apre un giudizio di merito, ma un giudizio d’impugnazione su un provvedimento giurisdizionale. La competenza spetta al giudice del luogo in cui opera l’arbitro che ha emesso il lodo, indipendentemente dalla materia controversa.

Cassazione civile n. 21059/2019: per capire se un arbitrato sia rituale o irrituale bisogna analizzare attentamente la clausola compromissoria, considerando le parole usate, l’intenzione delle parti e il loro comportamento complessivo. Il fatto che la clausola non menzioni le formalità dell’arbitrato rituale non significa automaticamente che si tratti di un arbitrato irrituale.

Modello di clausola arbitrale

Ecco un esempio pratico di clausola compromissoria da inserire in un contratto:

Clausola compromissoria
“Le parti convengono che ogni controversia derivante dal presente contratto o in connessione con esso sarà risolta mediante arbitrato secondo il regolamento arbitrale [specificare il regolamento, ad esempio, della Camera Arbitrale di Milano]. Gli arbitri saranno in numero di [specificare, ad esempio, uno o tre] e saranno nominati in conformità al regolamento applicabile. Il lodo arbitrale sarà vincolante per le parti e avrà efficacia esecutiva ai sensi degli articoli 806 e seguenti del Codice di Procedura Civile.”

 

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giuramento decisorio

Il giuramento decisorio Il giuramento decisorio: disciplina, effetti e differenze con il giuramento suppletorio ed estimatorio, guida con giurisprudenza

Cos’è il giuramento decisorio

Il giuramento decisorio è un mezzo di prova regolato dagli artt. 2736 e seguenti del Codice Civile e dagli artt. 233 e seguenti del Codice di Procedura Civile. Consiste nella dichiarazione solenne resa da una parte su fatti controversi, vincolando il giudice alla decisione conforme alla risposta ricevuta.

Ammissibilità del giuramento decisorio

Il giuramento decisorio è ammissibile solo su fatti rilevanti, controversi e non altrimenti dimostrabili.

La Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 1551/2022 ha sancito infatti l’inammissibilità dell’istituto quando, in caso di ammissione dei fatti rappresentati, la formulazione delle circostanze non conduca all’accoglimento della domanda ma richieda comunque una valutazione dei fatti da parte del giudice di merito.

Effetti del giuramento decisorio

Il giuramento decisorio, una volta reso, produce specifici effetti:

  • se confessato vincola il giudice a decidere in conformità;
  • se rifiutato, il rifiuto equivale a confessione (art. 2738 c.c.) per cui confessa su fatti a se sfavorevoli e favorevoli all’altra parte;
  • se falso: può dar luogo a responsabilità penale (art. 371 c.p.) ed è punito con la pena della reclusione da sei mesi a tre anni.

Giuramento decisorio, suppletorio ed estimatorio

Il nostro ordinamento contempla tre tipi diversi di giuramento, decisorio, suppletorio ed estimatorio.

Vediamo in che cosa si distinguono:

  • Giuramento decisorio: rappresenta la prova principale ed è richiesto dalle parti su fatti controversi, può essere de scientia (o de notizia) e de veritate a seconda che i fatti per i quali viene deferito riguardino personalmente la parte o fatti altrui di cui è a conoscenza;
  • Giuramento suppletorio: viene invece disposto d’ufficio dal giudice per chiarire aspetti residui o incerti sui quali non mancano le prove, ma non risultino nemmeno pienamente provate le domande e le eccezioni delle parti;
  • Giuramento estimatorio: finalizzato a determinare l’ammontare di un credito o un valore economico (art. 2736 comma 2 c.c.). Ad esso si ricorre quando questa prova non può essere raggiunta altrimenti.

Giurisprudenza rilevante

La giurisprudenza di legittimità in particolare ha fornito negli anni importanti chiarimenti sull’istituto:

 Cassazione n. 3991/2024

“Il giuramento decisorio è una solenne dichiarazione di verità (quando si riferisce ad un fatto proprio del giurante) o di scienza (quando attiene alla conoscenza che il giurante abbia di un fatto altrui) circa lesistenza di un determinato fatto favorevole a chi lo presta, idoneo a far decidere la lite interamente o a definire un punto particolare della causa, nel caso in cui si riferisca ad uno dei momenti necessari delliter da seguire per la decisione e rispetto ai quali esso esaurisca ogni indagine”. 

Cassazione n. 14228/2023

“Il giuramento, decisorio o suppletorio che sia, non può vertere sull’esistenza o meno di rapporti o di situazioni giuridiche, né può deferirsi per provocare l’espressione di apprezzamenti od opinioni né, tantomeno, di valutazioni giuridiche, dovendo la sua formula avere ad oggetto circostanze determinate che, quali fatti storici, siano stati percepiti dal giurante con i sensi o con l’intelligenza (Cass. 25/10/2018, n.27086).”

Cassazione n. 18211/2020

“La valutazione in ordine all’ammissibilità e rilevanza del giuramento suppletorio ed estimatorio rientra nella discrezionalità del giudice di merito, e la omessa motivazione su tale discrezionale decisione non può essere invocata in sede di legittimità (Cass. n. 16157/2004; n. 9542/20 l 0)”. 

 

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decreto ingiuntivo

Decreto ingiuntivo: guida e modello Cos'è il decreto ingiuntivo, quali sono i presupposti per richiederlo, normativa di riferimento e giurisprudenza

Cos’è il decreto ingiuntivo

Il decreto ingiuntivo è uno strumento previsto dagli articoli 633 e seguenti del Codice di Procedura Civile (c.p.c), che consente di ottenere rapidamente un titolo esecutivo per il recupero di un credito certo, liquido ed esigibile. Si tratta di una procedura semplificata che non richiede una fase iniziale di contraddittorio tra le parti.

Esso consiste in un provvedimento emesso dal giudice su richiesta del creditore, finalizzato al pagamento di una somma di denaro, alla consegna di cose fungibili o alla restituzione di beni mobili determinati. Questa procedura è particolarmente utile per garantire al creditore una rapida tutela dei suoi diritti, riducendo i tempi rispetto a una causa ordinaria.

Presupposti della domanda

Ai sensi dell’articolo 633 c.p.c, i principali presupposti per ottenere un decreto ingiuntivo sono:

  • l’esistenza di un credito certo, liquido ed esigibile, determinato nel suo ammontare e non sottoposto a condizioni;
  • la prova scritta del credito che viene soddisfatta dalla produzione di documenti che dimostrino l’esistenza del credito, come contratti, fatture o assegni;
  • l’assenza di contestazioni preventive, il debitore non deve cioè aver sollevato valide obiezioni prima della richiesta.

La disciplina del codice di procedura civile

Gli articoli 633-656 c.p.c regolano dettagliatamente il procedimento per la sua emanazione. Gli articoli di maggior rilievo disciplinare sono i seguenti:

Art. 633 c.p.c: individua le condizioni per proporre la domanda, precisando che il credito deve essere documentato in forma scritta;

Art. 634 c.p.c: elenca i documenti idonei a comprovare il credito, come scritture private riconosciute o non contestate e altri documenti dotati di forza probatoria;

Art. 642 c.p.c: permette di richiedere l’esecuzione provvisoria del decreto, garantendo al creditore un’azione immediata;

Art. 645 c.p.c: regola l’opposizione al decreto ingiuntivo, offrendo al debitore la possibilità di contestare il provvedimento entro 40 giorni dalla notifica.

Quando si può richiedere?

Il decreto ingiuntivo può essere richiesto in diversi ambiti:

  • rapporti contrattuali per il pagamento di fatture commerciali o altre obbligazioni derivanti da un contratto;
  • contratti di locazione per il recupero di canoni di affitto non pagati;
  • titoli di credito come assegni e cambiali protestate;
  • rapporti professionali per il recupero di parcelle non saldate. 

Chi emette il decreto ingiuntivo

Il decreto ingiuntivo è emesso dal giudice competente per materia e valore. Solitamente si tratta del giudice di pace per importi fino a 10.000 euro, o del tribunale ordinario per importi superiori. La competenza territoriale è determinata dal luogo in cui il debitore ha domicilio o residenza.

Giurisprudenza in materia di decreto ingiuntivo

Numerose pronunce giurisprudenziali hanno chiarito importanti aspetti della procedura:

Cassazione n. 26727/2024: le Sezioni Unite hanno stabilito che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto può proporre domande alternative a quella monitoria, purché basate sul medesimo interesse. Tali domande vanno proposte nella comparsa di risposta, non oltre.

Cassazione n. 7536/2024: la fattura emessa dall’appaltatore, se è utilizzabile come prova scritta ai fini della concessione del decreto ingiuntivo, non costituisce idonea prova dell’ammontare del credito nell’ordinario giudizio di cognizione che si apre con l’opposizione, trattandosi di documento di natura fiscale proveniente dalla stessa parte.”

Cassazione n. 30733/2024: Se il giudice, in sede di opposizione a decreto ingiuntivo, si dichiara incompetente, la sua ordinanza comporta automaticamente la revoca del decreto stesso, anche se in modo implicito. Di conseguenza, non si tratta di una semplice declinatoria della competenza sulla causa di opposizione, ma di una decisione che chiude definitivamente tale fase del giudizio. Pertanto, l’eventuale riassunzione della causa dinanzi al giudice competente riguarda solo l’accertamento del credito oggetto del ricorso monitorio e non più l’opposizione al decreto ingiuntivo. Per questo motivo, il nuovo giudice non può richiedere d’ufficio il regolamento di competenza.

Modello di decreto ingiuntivo

Ecco un esempio pratico di decreto ingiuntivo:

Tribunale di [Luogo]
Decreto Ingiuntivo
N. [numero] del [anno]

Il Giudice,

  • Visti gli articoli 633 e seguenti del Codice di Procedura Civile;
  • Esaminata la documentazione prodotta dal ricorrente;

Dispone:

  1. Che il sig. [Nome e Cognome del debitore], residente in [Indirizzo], paghi al sig. [Nome e Cognome del creditore] la somma di [importo in euro], oltre interessi legali e spese di procedura.
  2. La notifica del presente decreto al debitore entro [termine per la notifica].
  3. La possibilità di proporre opposizione entro 40 giorni dalla notifica, ai sensi dell’articolo 645 CPC.

Firmato:
Il Giudice [Nome e Cognome]

 

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citazione testi

Citazione testi via pec Citazione testi a mezzo pec: il correttivo Cartabia in vigore dal 26 novembre 2024 amplia i metodi di intimazione dei testimoni

Correttivo Cartabia: testi citati anche a mezzo pec

Citazione testi anche a mezzo pec: è una delle modifiche che il correttivo Cartabia ha apportato al codice di procedura civile. A tal fine, infatti, il decreto legislativo n. 164/2024, che corregge il decreto della Riforma Cartabia  n. 149/2022, interviene sul testo dell’articolo 250 c.p.c dedicato all’intimazione dei testimoni.

Il correttivo in vigore dal 26 novembre 2024 rappresenta un tassello fondamentale nell’aggiornamento delle norme del processo civile, con l’obiettivo di migliorarne efficienza e digitalizzazione.

Intimazione testi: come cambia l’art. 250 c.p.c.

Il Correttivo Cartabia non apporta modifiche al comma 1 dell’art. 250 c.p.c Questa disposizione  continua a prevedere che la notifica ai testimoni, su richiesta della parte interessata, avvenga tramite l’ufficiale giudiziario. Nello specifico, la citazione del testimone ammesso dal giudice istruttore continua a effettuarsi con intimazione a comparire nel luogo, nel giorno e nell’ora stabilita, indicando anche il giudice che assumerà la dichiarazioni testimoniale e la causa in relazione alla quale il soggetto deve essere sentito.

Il secondo comma prevede invece un elemento di novità. Esso prevede infatti che, qualora lintimazione al testimone non avvenga a mani proprie per mezzo dell’ufficiale giudiziario o per mezzo del servizio postale, alla stessa si potrà procedere anche a mezzo pec.

Cambia anche il comma 3 della norma, che d’ora in poi presenterà la seguente formulazione letterale: L’intimazione al testimone ammesso su richiesta delle parti private a comparire in udienza può essere effettuata dal difensore attraverso l’invio di copia dell’atto mediante lettera raccomandata con avviso di ricevimento o a posta elettronica certificata  all’indirizzo risultante da pubblici elenchi.

Modificato anche il comma 4 della norma che, in conseguenza delle modifiche intervenute sui metodi per intimare i testimoni, impone al difensore di depositare la copia dellatto inviato e dellavviso di ricevimento o la ricevuta di avvenuta consegna. 

Testi citati a mezzo pec: processo telematico

La scelta di ampliare l’uso della PEC nel contesto processuale risponde alla volontà di rendere il sistema giudiziario più moderno e meno dipendente da metodi tradizionali, come fax o biglietti di cancelleria. Queste innovazioni si collocano nel quadro più ampio della digitalizzazione promossa dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), che punta a rendere il processo civile più accessibile e funzionale.

A tale fine il Correttivo ha introdotto un’altra novità significativa, sempre in materia di testimonianza. Secondo l’articolo 257-bis del codice di procedura civile, i testimoni possono ora redigere le proprie dichiarazioni su documenti informatici firmati digitalmente, che vengono trasmessi al difensore per il deposito telematico. Questa semplificazione elimina la necessità di consegnare o spedire l’atto in forma cartacea, riducendo ulteriormente i tempi e i costi.

Obiettivi del correttivo Cartabia

Il correttivo Cartabia si propone di superare alcune difficoltà applicative della riforma originaria (D. Lgs. 149/2022) e di rispondere ai contrasti interpretativi emersi nei primi mesi di attuazione. L’intervento consolida l’impianto della riforma, introducendo aggiustamenti puntuali che mirano a garantire una maggiore chiarezza normativa e a semplificare le procedure per le parti e i professionisti legali.

Tra le altre innovazioni del correttivo, si segnalano il potenziamento del rito semplificato, modifiche al recupero crediti con l’utilizzo di fatture elettroniche e l’introduzione del titolo esecutivo digitale. Questi interventi sottolineano la centralità della tecnologia nella giustizia civile, riducendo al minimo gli adempimenti burocratici e garantendo una maggiore trasparenza e tracciabilità delle comunicazioni. Un passo avanti significativo verso un sistema giudiziario più moderno, efficiente e digitalizzato, rispondendo alle esigenze di un contesto in rapida evoluzione.

 

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notifiche pec

Notifiche pec dal 30 settembre si cambia  Le notifiche pec sono regolate dalle specifiche tecniche del 7 agosto 2024, in vigore dal 30 settembre 2024

Notifiche pec e altre novità nel processo telematico

Le notifiche pec rappresentano uno degli argomenti di cui si sono occupati le specifiche tecniche del 7 agosto 2024 e che saranno in vigore dal 30 settembre 2024.

Vediamo gli aspetti più interessanti di questo argomento.

Notifiche pec: comunicazione dell’indirizzo

Le notifiche a mezzo pec, nel processo civile telematico che nel processo penale telematico, presuppongono la presenza di gestori di questa forma di comunicazione, ma non solo.

L’articolo 10 delle specifiche tecniche dispone che la Pubblica Amministrazione o l’ente privato debbano comunicare i propri indirizzi di posta elettronica certificata per poter ricevere le comunicazioni e le notificazioni. L’obbligo di comunicazione dell’indirizzo pec riguarda anche gli organi, le articolazioni territoriali e le aree organizzative omogenee come previsto dall’articolo 11 delle specifiche.

Deposito telematico e formato dei documenti informatici

Gli atti del procedimento civile o penale informatico devono essere depositati in modalità telematica presso l’ufficio giudiziario devono essere in formato PDF o PDF/A e possedere tutta una serie di requisiti necessari soprattutto per individuare la provenienza.

Ai sensi dell’articolo 16 i documenti informatici allegati agli atti, devono essere privi di macro e campi variabili. Essi possono essere anche in formato posta elettronica certificata, purché contengano i file nei formati PDF, rich text format, MPEG2 e MPEG4, particolari formati audio come MP3 (.mp3), FLAC (.flac), formato text e ipertesto.

Trasmissione a mezzo pec di atti del procedimento civile

Nel procedimento civile, l’atto in forma di documento informatico e gli allegati devono essere trasmessi dai soggetti abilitati esterni a mezzo pec. L’atto, così come i suoi allegati, devono essere contenuti nella busta telematica, che è un file in formati MIME.

La busta non può avere una dimensione superiore ai 60 Megabyte. Essa viene trasmessa all’ufficio giudiziario destinatario in allegato a un messaggio pec, che rispetta determinate specifiche per quanto riguarda il mittente, il destinatario, l’oggetto, il corpo e gli allegati. L’elaborazione della busta può restituire diverse anomalie codificate con i termini warn, error e fatal.

Notifiche pec: l’art. 21

La norma dedicata nello specifico alle notificazioni a mezzo pec è l’articolo 21 e si riferisce a quelle che vengono effettuate dagli uffici giudiziari ai soggetti abilitati esterni e agli utenti privati. La notifica viene effettuata recuperando l’indirizzo dai pubblici elenchi e la comunicazione o notificazione è riportata nel corpo del messaggio e nel file allegato. Il gestore dei servizi recupera poi ile ricevute della pec e gli avvisi di mancata consegna dal gestore pec del Ministero e lli conserva all’interno del fagiolo informatico. La ricevuta è breve per le comunicazioni. È invece completa per le notificazioni.

La comunicazione o la notificazione che contiene particolari categorie di dati personali è effettuata invece per estratto ai sensi dell’art. 22. Il destinatario effettua il prelievo dell’atto integrale accedendo all’URL contenuto nel messaggio di avviso PEC.

Notificazioni pec avvocati

L’art. 26 è dedicato nello specifico alle “Notificazioni per via telematica eseguite dagli avvocati”. Esso sancisce che, quando l’atto da notificare è un documento informatico, esso deve essere in formato PDF o PDF/A e allegato al messaggio pec. Si procede nello stesso modo quando l’atto da notificare è l’atto del processo da trasmettere all’ufficio giudiziario.

consulenza tecnica preventiva

Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite La consulenza tecnica preventiva per comporre la lite prima che venga avviato il processo conserva la sua natura cautelare

Consulenza tecnica preventiva per comporre la lite

La consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite è un istituto di diritto processuale previsto e disciplinato dall’articolo 696 bis c.p.c. Si tratta di un istituto giuridico in vigore dal 1° marzo 2006.  Questa consulenza si pone l’obiettivo di deflazionare il processo, evitandolo e componendo la lite prima che il processo abbia inizio. Esso tuttavia rappresenta anche un valido sussidio per istruire la causa giudiziale, che le parti dovessero eventualmente intraprendere.

Differenza rispetto all’accertamento tecnico

L’istituto in esame si distingue dall’istituto similare dell’accertamento tecnico per una differenza fondamentale. L’articolo 696 bis c.pc al comma 1 dispone infatti che “L’espletamento di una consulenza tecnica, in via preventiva, può essere richiesto anche al di fuori delle condizioni di cui al primo comma dell’articolo 696.”

Questo significa che la consulenza tecnica, a differenza dell’accertamento tecnico, non richiede  per il suo svolgimento la sussistenza di un periculum in mora rappresentato dalla dispersione dei mezzi di prova.

Il primo comma dell’articolo 696 c.p.c dispone infatti che l’autorità giudiziale competente possa disporre l’accertamento tecnico, così come l’ispezione, quando c’è l’urgenza di verificare, prima del giudizio, lo stato dei luoghi o la condizione di determinate cose.

Natura della consulenza tecnica preventiva

La natura cautelare della consulenza tecnica preventiva tuttavia non viene meno a causa della sua finalità conciliativa.

La Corte di Cassazione nella sentenza n. 23976/2019 ha chiarito che: “se è pur vero che, con riferimento alla consulenza tecnica preventiva di cui all’art. 669-bis cod. proc. civ., difetta il presupposto del periculum in mora, deve ritenersi – anche alla luce di quanto affermato dalla Consulta con la sentenza n. 26 del 2010 – che la disciplina dettata dagli artt. 692-699 cod. proc. civ. non esclude «la natura cautelare delle relative misure», da intendersi, all’evidenza, latamente cautelare quanto al procedimento di cui all’art. 696-bis cod. proc. civ., evidenziandosi che l’espletamento di una consulenza tecnica, in via preventiva, può essere richiesto anche in caso di urgenza e ciò trova conferma nello stesso tenore letterale dell’art. 696-bis cod. proc. civ., il quale espressamente prevede che una siffatta consulenza possa essere richiesta «anche» al di fuori (e non solo in difetto) delle condizioni di cui al primo comma dell’art. 696 cod. proc. civ., il quale fa espresso riferimento al presupposto dell’urgenza.”

Oggetto

La consulenza tecnica preventiva può essere impiegata quando si vuole procedere all’’accertamento e alla determinazione dei crediti che derivano dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o di obblighi scaturenti da fatti illeciti.

Aspetti procedurali

Dal punto di vista procedurale l’articolo 696 bis c.p.c dispone il rinvio al comma 3 dell’articolo 696 c.p.c dedicato all’accertamento tecnico preventivo. Questo comma a sua volta dispone che il Presidente del Tribunale o il Giudice di Pace provvedano nelle forme degli articoli 694 e 695 c.p.c in quanto applicabili.

La consulenza tecnica preventiva presuppone quindi una domanda, che la parte interessata deve proporre con ricorso. In questo atto la parte istante deve esporre sommariamente i fatti, anche se in modo chiaro e preciso.

Dopo che la parte provvede al deposito del ricorso il giudice con decreto fissa il termine perentorio entro l’istante deve notificare il provvedimento con cui ha fissato l’udienza e il ricorso.

Il Giudice provvede quindi alla nomina del consulente tecnico. In seguito stabilisce la data in cui le operazioni avranno inizio. All’udienza, a cui il consulente deve comparire, il giudice verifica la regolarità delle notifiche e specifica i quesiti a cui i consulente deve rispondere. Durante lo svolgimento della consulenza le parti possono essere assistite dai rispettivi consulenti.

Consulenza tecnica preventiva: esiti

La consulenza tecnica preventiva finalizzata a comporre la lite e ad evitare l’avvio della causa può avere due esiti diversi. Vediamo quali.

Conciliazione della controversia

La consulenza tecnica preventiva che si conclude con un esito positivo  prevede la formazione del processo verbale dell’avvenuta conciliazione. Il giudice attribuisce al processo verbale il valore di titolo esecutivo. In questo modo la parte adempiente potrà agire nei confronti della parte che non tiene fede agli impegni presi nell’accordo. Le modalità previste sono due: avviando l’espropriazione forzata o procedendo all’iscrizione dell’ipoteca giudiziale. Il vantaggio di questo processo verbale è che non è soggetto all’imposta di bollo.

Mancata conciliazione della controversia

Nell’ipotesi contraria, ossia se le parti non raggiungono un accordo e quindi non si conciliano, entrambe possono chiedere che la relazione redatta e depositata dal consulente venga acquisita agli atti del processo che verrà avviato.

In caso di mancata conciliazione l’ultimo comma dell’articolo 696 bis c.p.c dispone che a questo punto troveranno applicazioni le norme che regolano la consulenza tecnica nell’ambito dell’istruzione probatoria (art. 191-197 c.p.c).

Legittimo impedimento avvocati: primo sì alla riforma Il Senato ha approvato il ddl sul legittimo impedimento degli avvocati, professionisti ma anche individui meritevoli di tutela

Legittimo impedimento: il Senato approva

Nella giornata di mercoledì 18 settembre 2024, il Senato ha approvato il disegno di legge 729 della senatrice leghista Erika Stefani sul legittimo impedimento del difensore nel testo modificato dalla Commissione Giustizia con un nuovo titolo “Disposizioni in materia di legittimo impedimento del difensore”.

Il testo interviene sull’articolo 153 del codice di procedura civile, sull’articolo 81 bis delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile e sull’articolo 420 ter del codice di procedura penale.

Le modifiche contenute nella proposta della senatrice sono finalizzate a tutelare maggiormente la classe forense in materia di legittimo impedimento. L’avvocatura, fino a oggi, è stata spesso vittima di pregiudizio e discriminazione. Da anni gli avvocati segnalano una grande difficoltà nel ricevere un trattamento equo in presenza di una problematica familiare o di salute improvvisa e fonte di preoccupazione.

Senza pregiudicare il diritto di difesa non si possono obbligare gli avvocati, con gravi difficoltà familiari, personali o di salute, di presenziare alle udienze o “sanzionare” la loro assenza con la decadenza dai termini. Gli avvocati sono professionisti, ma anche individui con un loro privato, spesso difficoltoso da gestire, che meritano quindi rispetto e comprensione al pari di altre categorie, che per motivi meno gravi, non incontrano tutte le difficoltà della classe forense.

Rimessione in termini per l’avvocato impossibilitato

Il nuovo comma dell’articolo 153 del codice di procedura civile, dedicato all’improrogabilità dei termini perentori, prevede la possibilità per l’avvocato, di essere rimesso in termini con provvedimento del giudice, o del presidente del tribunale, prima della costituzione delle parti, quando detti impedimenti non gli permettono di delegare le funzioni nella gestione del proprio mandato. Ciò qualora riesca a dimostrare con idonea certificazione di essere incorso nelle decadenze per cause a lui non imputabili o derivanti da caso fortuito o forza maggiore, malattia improvvisa, infortunio, particolari condizioni di salute legate allo stato di gravidanza, per la necessità di assistere i figli o i familiari con disabilità o con grave patologia o per il bisogno improrogabile di provvedere alla cura della prole in età infantile o in età scolare.

Rinvio d’udienza se l’avvocato è impossibilitato a comparire

Il nuovo comma che invece va ad aggiungersi all’articolo 81 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, che punisce con sanzione disciplinare il difensore che non rispetti i termini fissati nel calendario del giudice, nella formulazione della Commissione, prevede il rinvio a una nuova udienza quando l’assenza dell’avvocato è dovuta a un’impossibilità assoluta di comparire per le seguenti ragioni:

  • caso fortuito;
  • forza maggiore;
  • improvvisa malattia;
  • infortunio;
  • particolari condizioni di salute legate allo stato di gravidanza;
  • necessità di assistere i figli o familiari con disabilità o grave patologia;
  • esigenze improrogabili di cura dei figli in età infantile e scolare. 

Comunicazione via pec

Il rinvio di udienza è concesso quando l’avvocato, per le suddette ragioni, non possa delegare le proprie funzioni e tali necessità siano comprovate da idonea certificazione da produrre “se possibile, prima dell’inizio dell’udienza, o comunicate alla cancelleria del giudice che procede anche a mezzo pec nei medesimi termini, il giudice dispone il rinvio a nuova udienza”.

La norma precisa comunque che l’assenza di una comunicazione anticipata della causa dell’impedimento, se giustificata, non costituisce un valido motivo di rigetto dell’istanza per il rinvio di udienza. La disposizione comunque non si applica in presenza di un mandato congiunto.

Legittimo impedimento nel processo penale

L’ultima norma su cui interviene il disegno di legge è l’articolo 420 ter del codice di procedura penale e precisamente il comma 5, che alla luce delle novità previste dal disegno di legge dovrebbe assumere la seguente formulazione letterale: “Il giudice provvede a norma del comma 1 nel caso di assenza del difensore, quando risulta che l’assenza stessa è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento proprio, della prole o dei fa­ miliari per comprovati motivi di salute prontamente comunicato. Tale disposizione non si applica se l’imputato è assistito da due difensori e l’impedimento riguarda uno dei medesimi ovvero quando il difensore impedito ha designato un sostituto o quando l’imputato chiede che si proceda in assenza del difensore impedito”.

Anche nel processo penale il legittimo impedimento per ragioni proprie del difensore o per problematiche legate alla prole o ai familiari, diventano motivi di rinvio ad una nuova udienza da parte del giudice, che provvede, anche d’ufficio, con ordinanza.

Plauso dell’avvocatura al ddl

Immediato il plauso dell’avvocatura. Per l’OCF, si tratta di “una norma di civiltà”. Per l’Aiga, il ddl consente finalmente agli avvocati e alle avvocate il diritto di chiedere la restituzione in termini e il rinvio dell’udienza qualora siano incorsi in decadenze o siano impossibilitati a presenziare l’udienza per cause a loro non imputabili derivanti da problematiche di salute, cura dei figli minori e dei parenti con disabilità e altre cause che gli impediscano di delegare le funzioni relative alla gestione del mandato.

Il presidente nazionale Carlo Foglieni ritiene che l’approvazione di questo disegno di legge rappresenti “un altro importante passo per la tutela degli avvocati  e delle avvocate anche nelle loro qualità di individui”.