ipoteca cos'è

Ipoteca: cos’è e come funziona Breve guida sull’ipoteca: a cosa serve, come si iscrive e a cosa dà diritto. I diritti del terzo acquirente e la liberazione dall’ipoteca

Ipoteca, diritto reale di garanzia

L’ipoteca è un diritto reale di garanzia che conferisce il diritto, al soggetto in cui favore è iscritta, di ottenere l’espropriazione e la vendita del bene ipotecato e di essere soddisfatto sul ricavato con preferenza rispetto agli altri creditori.

Tale garanzia può avere ad oggetto beni immobili, rendite dello Stato o beni mobili registrati, come navi, aeromobili e autoveicoli.

Insieme al pegno (che ha ad oggetto, invece, i beni mobili) e ai privilegi, l’ipoteca è una delle cause di prelazione che fanno venir meno la c.d. par condicio creditorum prevista dall’art. 2741 del codice civile (in base alla quale i creditori hanno eguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore).

Che cos’è l’ipoteca giudiziale

L’ipoteca può essere di tre tipi: legale, giudiziale e volontaria.

L’ipoteca legale è prevista dall’art. 2817 del codice civile in favore di determinati soggetti (ad esempio in favore dell’alienante nei confronti dell’acquirente, per tutelarlo in caso di mancato pagamento del prezzo).

L’ipoteca giudiziale spetta, invece, a chiunque ottenga un provvedimento favorevole da parte del giudice (ad es.: una sentenza) che obblighi l’altra parte al pagamento di una somma di denaro o all’adempimento di altro tipo di obbligazione. In tal caso, quindi, la sentenza è titolo per l’iscrizione di ipoteca sui beni del debitore, se questi non ottempera a quanto disposto dal giudice.

L’ipoteca volontaria, infine, è concessa spontaneamente, per iscritto con atto pubblico o scrittura privata, con una dichiarazione unilaterale o disposizione contrattuale con cui si individui con precisione l’immobile oggetto di garanzia.

Quanto dura l’ipoteca su un immobile

L’ipoteca si sostanzia in una iscrizione nei registri immobiliari, che ha valore costitutivo: solo con l’iscrizione, cioè, l’ipoteca si perfeziona e il relativo diritto diviene opponibile ai terzi acquirenti del bene.

Per l’iscrizione dell’ipoteca, il richiedente deve presentare il titolo costitutivo (ad esempio, la sentenza) ed una nota di iscrizione, in cui va precisata, tra l’altro, la somma per la quale l’ipoteca viene iscritta.

L’ipoteca ha una durata di venti anni, che decorrono dal momento dell’iscrizione nei pubblici registri; è possibile, peraltro, provvedere al rinnovo dell’ipoteca prima della sua scadenza.

Il grado dell’ipoteca

La preferenza riservata al creditore ipotecario in sede di ripartizione del ricavato della vendita del bene segue un criterio temporale, poiché, come dispone l’art. 2852 c.c. “l’ipoteca prende grado dal momento della sua iscrizione“.

In altre parole, viene soddisfatto per primo chi ha eseguito la prima iscrizione e via via gli altri creditori ipotecari a seguire, in base al proprio grado di iscrizione, sempre che la somma del ricavato sia sufficiente a soddisfarli.

Quando una casa è ipotecata si può vendere?

Il creditore ipotecario ha diritto di ottenere l’espropriazione del bene anche se questo sia stato nel frattempo venduto dal debitore ad un terzo.

Purgazione dell’ipoteca

A norma dell’art. 2858 c.c., il terzo acquirente può scegliere se pagare i creditori, rilasciare l’immobile o liberare i beni dalle ipoteche (c.d. purgazione dell’ipoteca). La liberazione dall’ipoteca si può ottenere notificando ai creditori ipotecari un atto in cui viene indicato il prezzo stabilito per la vendita; se entro quaranta giorni dalla notifica, i creditori non chiedono l’espropriazione del bene (con il fine di ottenere un prezzo più alto), il terzo acquirente ha facoltà di depositare il prezzo indicato, che servirà a soddisfare, eventualmente solo in parte, i creditori. In tal modo, l’acquirente ottiene la cancellazione delle ipoteche iscritte prima della trascrizione del suo titolo di acquisto.

Vedi gli articoli di diritto civile

delibera annullabile

Delibera annullabile se la convocazione è successiva all’assemblea Delibera annullabile se il Condominio prova l’invio della raccomandata, ma non la ricezione o il rilascio dell’avviso di giacenza

Delibera annullabile senza prova invio convocazione

Delibera annullabile se la convocazione perviene dopo l’assemblea e se il Condominio produce in giudizio solo la raccomandata di invio della convocazione assembleare alla singola condomina, senza dimostrare l’esito dell’invio. Questa la decisione assunta dal Tribunale di Roma nella sentenza n. 13794/2024.

Avviso di convocazione successivo al verbale assembleare

Una condomina cita in giudizio il condominio esponendo di non aver potuto partecipare all’assemblea condominiale del 25 novembre 2021. La stessa ha infatti ricevuto l’avviso di convocazione diversi giorni dopo la ricezione del verbale in data 30 dicembre 2021.

Parte attrice chiede quindi l’annullamento della delibera impugnata e la nullità del rendiconto 2020 approvato in quell’assemblea.

Avviso di convocazione: almeno 5 giorni prima dell’assemblea

Parte convenuta costituitasi in giudizio produce la raccomandata con avviso di ricevimento del 12 novembre 2021 con la quale ha convocato all’assemblea parte attrice.

L’art. 66 disp. att. c.c. prevede che l’avviso di convocazione debba essere comunicato almeno cinque giorni prima dell’adunanza in prima convocazione. In caso di convocazione tardiva,  omessa o incompleta la deliberazione è annullabile su istanza dei dissenzienti o degli assenti perché non convocati nelle modalità di rito.

Delibera annullabile: la mancata convocazione è vizio procedimentale

La Corte di Cassazione ha chiarito inoltre che la mancata comunicazione dell’avviso di convocazione al singolo condomino è un vizio procedimentale che comporta l’annullabilità della delibera condominiale. La legittimazione a chiedere l’annullamento spetta solo al singolo premesso che all’onere di dimostrare, in caso di contestazione, i fatti dei quali risultano l’omessa comunicazione.

Manca la prova della ricezione

A carico del Condominio, al fine di dimostrare il rispetto del termine di quell’art. 66 disp. att. c.c. è sufficiente che lo stesso dimostri che la raccomandata inviata sia pervenuta all’indirizzo del destinatario e che, in caso di mancata consegna, sia stato rilasciato avviso di giacenza presso l’ufficio postale.

Nel caso di specie però il Condominio ha prodotto solo l’atto di invio della raccomandata all’attrice datata 12 novembre 2021. Lo stesso non ha dimostrato l’esito dell’invio, considerato che detta raccomandata è stata effettuata con avviso di ricevimento.

Alla luce di quanto emerso in sede istruttoria la domanda di parte attrice deve essere accolta e quindi la delibera del 25 novembre 2021deve essere annullata.

 

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affitti brevi

Affitti brevi: dal 2 novembre obblighi di sicurezza per gli impianti Affitti brevi: dal 2 novembre scatta l’obbligo del Cin ma anche quello in materia di sicurezza degli impianti

Affitti brevi: CIN obbligatorio dal 2 novembre 2024

In materia di affitti brevi la recente normativa è intervenuta su più fronti, introducendo diverse novità. Dal 2 novembre ad esempio, tutti gli immobili e le strutture dovranno possedere il CIN, il codice identificativo nazionale ed esibirlo sia all’interno dell’immobile concesso in locazione che al suo esterno.  

Sicurezza degli impianti per gli affitti brevi

Chi vorrà concedere in locazione il proprio immobile con contratto di affitto di breve durata dovrà adempiere però anche a un altro importante obbligo.

L’articolo 13 ter del Decreto legge n. 145/2023 al comma 7 dispone che le unità immobiliari con destinazione ad a uso abitativo che saranno oggetto di contratti di locazione per finalità turistiche o ai sensi dell’articolo 4 del decreto-legge 24 aprile 2017, n. 50,  gestite con determinate forme imprenditoriali dovranno essere munite dei requisiti di sicurezza degli impianti in base alle prescrizioni stabilite dalle norme statali e regionali in vigore.

Obblighi di sicurezza: in cosa consistono

Nello specifico, le unità immobiliari dovranno essere dotate di dispositivi funzionanti per rilevare la presenza di gas combustibili e del monossido di carbonio.

I proprietari o i locatori dovranno dotare gli immobili di estintori portatili, costruiti e conservati in base alle disposizioni di legge. Questi strumenti dovranno essere posizionati in luoghi facilmente visibili e accessibili, soprattutto vicino ai punti di accesso e nei pressi delle aree di maggior pericolo. Le regole prevedono che i soggetti obbligati dovranno installare un estintore ogni 200 metri quadrati di pavimento, o frazione, con un minimo di un estintore ogni piano.

Per quanto riguarda gli estintori il decreto 145/2023 rinvia al punto 4.4 dell’allegato I  del decreto 3 settembre 2021 contenente i “Criteri generali di progettazione, realizzazione ed esercizio della sicurezza antincendio per luoghi di lavoro, ai sensi dell’articolo 46, comma 3, lettera a), punti 1 e 2, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81.”

 

 

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giurista risponde

Violazione delle distanze e limitazione al diritto di godimento del bene L’onere probatorio in caso di violazione delle distanze e limitazione al diritto di godimento del bene può essere soddisfatto mediante elementi presuntivi?

Quesito con risposta a cura di Matteo Castiglione e Nicola Pastoressa

 

In caso di violazione delle distanze, l’esistenza del danno può essere provata attraverso il ragionamento presuntivo, tenendo conto di una serie di elementi – che concorrono anche alla valutazione equitativa del danno – dai quali possa evincersi una riduzione di fruibilità della proprietà, del suo valore e di altri elementi che devono essere allegati e provati dall’attore. – Cass. 27 giugno 2024, n. 17758.

L’oggetto della materia del contendere di cui al caso in esame ha riguardato il risarcimento dei danni causati dall’installazione illegittima di una canna fumaria posta ad una distanza inferiore a quella minima rispetto al balcone del fondo limitrofo.

In sede di appello, la Corte ha rigettato la domanda risarcitoria in quanto, oltre ad aver ritenuto insussistente il danno alla salute, la parte onerata non avrebbe allegato e provato il danno derivante dalla compromissione del godimento del bene: per tali ragioni è stato infine proposto ricorso per Cassazione.

Spiegano i giudici di ultima istanza che il rispetto della distanza prevista per fabbriche e depositi nocivi ex art. 890 c.c. è collegato ad una presunzione di pericolosità assoluta se prevista da norme comunali di tipo regolamentare ovvero relativa in assenza di esse.

Nondimeno, la violazione della distanza della canna fumaria dal balcone di proprietà di parte attrice è stata accertata assieme alla sua intrinseca pericolosità attesa altresì la sua composizione in amianto e le scarse condizioni manutentive; ciò che la Corte territoriale ha omesso di valutare tuttavia, ancorché in via presuntiva, se il pericolo concreto ed attuale derivante all’esposizione a materiali nocivi abbia limitato il godimento del bene a prescindere dalle immissioni dello stesso.

È stato dato seguito al principio di diritto elaborato dalla sez. II della Corte di Cassazione (Cass., sez. II, 18 luglio 2013, n. 17635) e poi ripreso dalle Sezioni Unite del 2022 (Cass., Sez. Un., 15 luglio 2022, n. 33645) secondo cui, “in caso di violazione della normativa sulle distanze tra costruzioni, al proprietario confinante compete sia la tutela in forma specifica finalizzata al ripristino della situazione antecedente, sia la tutela in forma risarcitoria” nonché nel senso che la locuzione “danno in re ipsa” debba essere sostituita con quella di “danno presunto” o “danno normale” privilegiando la prospettiva della presunzione basata su specifiche circostanze.

Nel caso di specie, rilevano i giudici della Suprema Corte, avrebbe errato la Corte d’appello ad escludere la tutela risarcitoria per l’assenza di un danno effettivo alla salute, senza prima valutare se gli elementi presuntivi allegati fossero astrattamente idonei a compromettere il godimento del bene, dovendo accertare se, per le condizioni di tempo e di luogo, vi fosse stata una limitazione concreta nel godimento dell’immobile.

Tale provvedimento impugnato si porrebbe in contrasto con l’orientamento maggioritario (e accolto dalla sent. Cass., sez. II, 23 giugno 2023, n. 18108) secondo cui l’esistenza di un danno risarcibile ben può fondarsi su presunzioni quando vengono soppresse o limitate le facoltà di godimento e disponibilità di cui il bene ne è oggetto.

Per tali ragioni, il ricorso è stato accolto e la Corte ha disposto il rinvio ai giudici dell’appello che, in diversa composizione, dovranno conformarsi al seguente principio di diritto: “In caso di violazione delle distanze, l’esistenza del danno può essere provata attraverso il ragionamento presuntivo, tenendo conto di una serie di elementi – che concorrono anche alla valutazione equitativa del danno – dai quali possa evincersi una riduzione di fruibilità della proprietà, del suo valore e di altri elementi che devono essere allegati e provati dall’attore”.

(*Contributo in tema di “Violazione delle distanze e limitazione al diritto di godimento del bene”, a cura di Matteo Castiglione e Nicola Pastoressa, estratto da Obiettivo Magistrato n. 77 / settembre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica)

Addebito della separazione al marito bugiardo Addebito della separazione al marito che mente sulla sua vita, sul suo lavoro e sulle vicende giudiziarie che lo riguardano

Addebito della separazione all’ex che mente

L’addebito della separazione è previsto anche in caso di violazione del dovere di lealtà nei confronti del coniuge. Tale dovere è violato dal marito che racconta bugie sulla sua vita, sul suo lavoro e sulle sue vicende giudiziarie determinando così la crisi coniugale. Lo ha stabilito il Tribunale di Perugia nella sentenza n. n. 939/2024

Richiesta di addebito della separazione al marito

Una donna chiede la separazione dal marito. Il rapporto coniugale è stato compromesso dalle continue bugie del marito. L’uomo le ha fatto credere di essere un avvocato, un giudice e un docente universitario, ha tenuto nei suoi confronti condotte vessatorie e in più le ha sottratto denaro dal conto corrente. La ricorrente narra anche che il marito si è allontanato da casa senza dare più notizie. La donna chiede quindi la separazione con addebito al marito e il mantenimento di 400,00 euro mensili. La stessa lavora come badante, abita in un appartamento in locazione con il figlio e percepisce uno stipendio di 950,00 euro mensili.

Addebito separazione se violazione dovere di lealtà provoca la crisi

Il Tribunale precisa che la richiesta di addebito non può fondarsi sulla sola violazione dei doveri coniugali, è infatti necessario che tali violazioni abbiano causato la crisi coniugale o la stessa sia intervenuta quando era già maturata tra i coniugi una situazione di intollerabilità della convivenza.

Nel caso di specie è emerso che sin dall’inizio della relazione l’uomo ha “fatto credere alla moglie circostanze non vere riguardo la propria vita, la propria attività lavorative e perfino riguardo le proprie vicende giudiziarie.” L’uomo ha inoltre mentito sulle sue condizioni di salute.

Tutte queste circostanze sono state confermate da testimoni e dalla documentazione prodotta in atti.

Bugie inaccettabili: violano il dovere di lealtà coniugale

Le condotte del marito violano il dovere di lealtà coniugale. Esse risultano inaccettabili perché frutto di una capacità di inganno tale da portare il coniuge a ignorare chi sia davvero la persona che ha sposato, a temere per la sua vita e a scoprire, solo dopo una denuncia di scomparsa, vicende giudiziarie di oggettiva gravità.

“… non è dubitabile che integri violazione di un dovere coniugale la condotta di chi tradisca la fiducia personale del coniuge, manipolando grandemente la realtà e fornendo una rappresentazione mendace delle proprie condotte, della propria identità lavorativa, della propria vita.”

Indubbia quindi la responsabilità del coniuge nella disgregazione del vincolo coniugale e nell’intollerabilità della convivenza.

Mantenimento negato: nessuna disparità reddituale

Per quanto riguarda il mantenimento il Tribunale ricorda che per l’insorgenza di questo diritto devono sussistere tutta una serie di presupposti, che nel caso di specie non sussistono. La ricorrente ha sempre fatto fronte da sola alle necessità della famiglia, e si è sempre impegnata per provvedere ai suoi bisogni e a quelli del figlio. La donna è dunque economicamente indipendente e ha redditi propri, esattamente come in costanza di matrimonio. I documenti non rivelano neppure una disparità reddituale rispetto al marito, che ha vissuto anzi, durante il matrimonio, grazie alle sostanze della moglie. La richiesta di mantenimento pertanto non può essere accolta.

 

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sostituzione citofono condominio

Da citofono a videocitofono: non è innovazione La sostituzione del citofono con un videocitofono digitale non è un'innovazione e rientra nell'ambito delle manutenzioni straordinarie

Sostituzione citofono in condominio

La sostituzione del citofono con un videocitofono rientra nell’ambito delle manutenzioni straordinarie e non costituisce innovazione. Lo ha precisato il tribunale di Torino con la sentenza n. 3247/2024.

Impugnazione delibera assembleare

Nella vicenda, alcuni condomini proponevano impugnazione avverso la delibera assunta dal condominio avente ad oggetto l’esame dei preventivi per la sostituzione dei citofoni, chiedendone la declaratoria di nullità o l’annullamento. Tra le altre doglianze, lamentavano la violazione dell’art. 1136, quinto comma, c.c. con riferimento alle opere di cui all’art. 1120 c.c., in quanto si era in presenza di innovazioni da approvare con la maggioranza qualificata costituita da un numero di voti che rappresentasse la maggioranza dei partecipanti e i due terzi del valore dell’edificio, maggioranza non raggiunta nella votazione assembleare.

Prova di resistenza

Il condominio, dal canto suo, chiedeva il rigetto delle domande allegando la sussistenza della maggioranza per l’approvazione della deliberazione impugnata in forza della c.d. “prova di resistenza” e affermando che le opere approvate non integravano delle innovazioni, bensì lavori di manutenzione straordinaria per i quali la maggioranza richiesta è quella prevista dall’art. 1136 secondo comma c.c., ovvero un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell’edificio.

Cosa è da considerarsi innovazione

Il giudice preliminarmente rigetta l’eccezione di improcedibilità per mancata mediazione e, entrando nel merito, si esprime sulla doglianza degli attori relativa alle maggioranze richieste per le innovazioni.
“Costituisce orientamento consolidato della Corte di Cassazione – afferma il tribunale – quello secondo il quale deve
considerarsi ‘innovazione’, agli effetti dell’art. 1120 c.c., non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella modificazione materiale che ne alteri l’entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria (senza peraltro che ricorra la speciale previsione di cui all’art. 1117 ter c.c., introdotta dalla L. n. 220 del 2012) (cfr. Cass. n. 35957/21)”.

Al contrario, la legge (art. 3 comma 1 lettera b del D.P.R. n. 380/2001), ricorda ancora il giudicante, definisce come manutenzione straordinaria « b) “le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare ed integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni d’uso implicanti incremento del carico urbanistico».

Videocitofono non è innovazione

Nel caso di specie, le opere deliberate hanno ad oggetto il ripristino dell’intero impianto citofonico con la sostituzione di un impianto elettronico esterno costituito da un videocitofono digitale di nuova generazione. Tale opera, secondo il giudice, non è da considerarsi innovazione, rientrando invece tra quelle di straordinaria manutenzione.

“Come affermato dalla Corte d’Appello di Genova nella pronuncia n. 755 del 30.7.2020 – precisa infatti il tribunale – la previsione del videocitofono non comporta un’innovazione, poiché si tratta evidentemente di un adeguamento tecnologico di un impianto realizzato in epoca diversa e con minori caratteristiche tecniche. Il concetto di innovazione impone una trasformazione, un’introduzione di un qualcosa di completamente estraneo a quello che ha caratterizzato il bene o l’impianto comune e poco si addice a scelte che invece attengono all’evoluzione dei meccanismi per effetto del progredire della tecnologia”.
Neppure la circostanza che l’impianto divenga esterno e non per singole scale appare sufficiente, conclude il giudicante rigettando il ricorso, “a integrare una innovazione poiché si tratta semplicemente della diversa localizzazione della pulsantiera al di fuori dell’edificio”.

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convocazione assemblea condominio

Convocazione assemblea condominio: avviso in cassetta inefficace Convocazione assemblea condominio: occorre rispettare i tempi e i modi previsti dall'art. 66. disp. att. c.c.

Convocazione assemblea condominio: no all’avviso in cassetta

La convocazione all’assemblea del condominio non è efficace se viene effettuata con la semplice immissione in cassetta dell’avviso di convocazione. Il mancato rispetto delle modalità e dei tempi previsti dall’articolo 66 delle disposizioni attuative del codice civile per convocare l’assemblea condominiale rende annullabili le conseguenti delibere ai sensi dell’art. 1137 c.c da parte dei soggetti che non sono stati convocati ritualmente. Lo ha chiarito il Tribunale di Monza nella sentenza n. 1734/2024.

Convocazione irrituale all’assemblea di condominio

Un condomino proprietario di due unità condominiale conviene in giudizio il Condominio di cui fa parte, nella persona dell’amministratore pro – tempore. L’attore chiede che il Tribunale accerti e dichiari la nullità/annullabilità di una delibera condominiale per vari motivi tra cui il mancato rispetto delle regole previste dall’art. 66 disp. att. c.c. in materia di convocazione assembleare.

Annullabilità delibere convocazione irrituale assemblea

Il Tribunale accoglie l’impugnazione del condomino per le ragioni legate alle modalità di convocazione dell’assemblea. L’autorità giudiziaria rileva che nel caso di specie, in effetti, la convocazione all’assemblea condominiale che ha poi deliberato la decisione impugnata, è avvenuta con e-mail ordinaria e con l’immissione degli avvisi di convocazione nelle cassette postali. L’amministratore di condominio, procedendo in questo modo non ha rispettato le regole di convocazione previste dalla legge.

Art. 66 disp. att c.c.: modi e tempi di convocazione

L’articolo 66 disp. att. c.c. al comma 3 dispone infatti che: “L’avviso di convocazione, contenente specifica indicazione dell’ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano, e deve contenere l’indicazione del luogo e dell’ora della riunione o, se prevista in modalità di videoconferenza, della piattaforma elettronica sulla quale si terrà la riunione e dell’ora della stessa. In caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile ai sensi dell’articolo 1137 del codice su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati.”

La disposizione normativa è chiara. La convocazione alle assemblee condominiali deve essere effettuata nelle seguenti modalità:

  • con raccomandata postale;
  • a mezzo posta elettronica certificata;
  • a mezzo fax;
  • tramite consegna a mano.

Convocazione assemblea condominiale: onere della prova al mittente

Come precisato in diverse occasioni dalla giurisprudenza se un condominio eccepisce la mancata convocazione all’assemblea spetta al Condominio dimostrare di aver assolto il relativo obbligo nel rispetto dei tempi e dei modi previsti dalla legge. La convocazione effettuata per mezzo di atti recettori in forma scritta soddisfano il requisito della presunzione di conoscenza (art. 1335 c.c) ma spetta al Mittente dimostrare l’avvenuto recapito.

La presunzione di conoscenza che viene garantita dalla raccomandata con ricevuta di ritorno grazie all’attestazione dell’ufficio postale di spedizione e di arrivo del destinatario, è prova certa della spedizione del plica, per cui tutte le altre modalità alternative eventualmente scelte dall’amministratore devono avere lo stesso valore legale della raccomandata.

Convocazione in forma scritta con le garanzie della raccomandata

Per queste ragioni la riforma del Condominio del 2012 ha fatto una scelta precisa, ossia  che la convocazione alle assemblee del Condominio debba rispettare la forma scritta e debba fornire le stesse garanzie della raccomandata postale.

La pec presenta sicuramente queste caratteristiche, la convocazione con e-mail ordinaria o con la semplice immissione dell’avviso della cassetta postale invece ne sono prive. L’avviso di avvenuta lettura della email ordinaria non le conferisce il valore legale previsto dalla legge, così come l’immissione in cassetta. Il condominio infatti non ha l’obbligo di controllare giornalmente se ha ricevuto della posta.

Le delibere impugnate devono quindi essere annullate perché la convocazione è avvenuta in una modalità del tutto inefficace.

 

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mediazione familiare

Mediazione familiare: cos’è e chi la conduce La mediazione familiare è un percorso finalizzato al raggiungimento di un accordo in presenza di una crisi familiare

Mediazione familiare: definizione e finalità

La mediazione familiare consiste in una procedura rivolta alle coppie in crisi al fine di risolvere situazioni conflittuali che vengono manifestate con la volontà di procedere a una separazione o un divorzio.

La mediazione familiare prevede la collaborazione delle parti coinvolte per la risoluzione del conflitto. In questo percorso la coppia è assistita da un soggetto terzo e imparziale, che prende il nome di mediatore familiare. Il suo ruolo è quello di comunicare con le parti per aiutarle a trovare una soluzione positiva per entrambe.

Uno degli obiettivi principali nel processo di mediazione è la realizzazione della cogenitorialità per tutelare la responsabilità genitoriale di ciascun genitore nei confronti dei figli, soprattutto se minori di età.

Mediazione familiare e mediazione civile

Le differenze con la mediazione civile sono evidenti. La mediazione familiare è finalizzata a favorire gli accordi tra coniugi per risolvere problematiche soprattutto di carattere “emotivo” che possono riguardare anche il rapporto con i figli. La mediazione civile invece è finalizzata al raggiungimento di un accordo tra parti in conflitto in relazione a una controversia insorta in materia di diritti disponibili.

Mediazione familiare: l’art. 473 bis 10 c.c.

La Riforma Cartabia ha valorizzato la mediazione familiare, dedicandole un articolo specifico del codice di procedura civile nella parte dedicata ai procedimenti per le persone, i minorenni e le famiglie.

L’articolo 473 bis 10 prevede che il giudice, durante il procedimento, possa informare le parti, della possibilità di avvalersi della mediazione familiare e invitarle a rivolgersi a un mediatore familiare. Questo soggetto, che le parti possono scegliere liberamente, deve spiegare alle parti finalità, contenuto e modalità di svolgimento del percorso per consentire loro di decidere se intraprenderlo o meno.

Il giudice può decidere anche di rinviare l’adozione dei provvedimenti temporanei e urgenti se, ottenuto il consenso dei coniugi, ritiene che la mediazione familiare possa essere utile alle parti per trovare un accordo, soprattutto nell’interesse materiale e morale dei figli.

Il mediatore familiare: disciplina

La Riforma Cartabia ha anche regolato la disciplina professionale del mediatore familiare. Il DM n. 151/2023 contenente il regolamento sulla disciplina professionale del mediatore familiare compie l’attuazione del decreto legislativo n. 149/2022, che a sua volta ha attuato la legge delega n. 206/2021.

Alla luce di questa regolamentazione il soggetto che vuole esercitare la professione di mediatore familiare deve richiedere l’iscrizione in un elenco apposito. All’elenco si possono iscrive i mediatori familiari che sono iscritti da almeno 5 anni a una delle associazioni professionali, che a loro volta, devono essere inserite nell’elenco del Ministero dello sviluppo economico.

Mediatore familiare: definizione normativa

L’articolo 2 del DM n. 151/2023 definisce il mediatore familiare come: la figura  professionale  terza  e imparziale, con una formazione specifica, che interviene nei casi  di cessazione o di oggettive difficoltà relazionali di un rapporto di coppia, prima, durante o dopo l’evento separativo. Il mediatore opera al fine di facilitare i soggetti coinvolti nell’elaborazione di un percorso di riorganizzazione di  una  relazione, anche mediante il raggiungimento di un accordo   direttamente e responsabilmente negoziato e con riferimento alla salvaguardia dei rapporti familiari e della relazione genitoriale, ove presente.”

Competenze

Il mediatore familiare deve essere in possesso di conoscenze specifiche in materia di diritto di famiglia, tutela dei minori, violenza domestica e violenza di genere.

Il mediatore acquisisce queste competenze attraverso la frequentazione di un percorso di formazione iniziale a cui ne segue uno continuo nel tempo con acquisizione dei relativi crediti formativi periodici.

Requisiti morali

Il mediatore familiare per esercitare la professione deve possedere anche precisi requisiti di onorabilità. Non deve aver subito condanne penali e non deve essere stato sottoposto a specifiche misure di prevenzione e di sicurezza personali.

Deontologia

Il mediatore familiare è tenuto al rispetto anche di precise regole deontologiche, la cui violazione comporta   relative sanzioni.

Ai sensi dell’art. 6 del DM n 151/2023 il mediatore familiare deve esercitare la professione con libertà, autonomia, indipendenza di giudizio intellettuale e tecnico, buona fede,  affidamento della clientela, correttezza, responsabilità e riservatezza.

Il mediatore familiare esercita l’attività di  mediazione  con imparzialità, neutralità e assenza di giudizio  nei  confronti  dei mediandi, promuovendo fra loro un processo equilibrato e incoraggiandoli a confrontarsi in modo costruttivo.”

mediazione civile

Mediazione civile: cos’è e come funziona La mediazione civile è una procedura stragiudiziale delle controversie disciplinata dal decreto legislativo n. 28/2010

Mediazione civile: che cos’è

La mediazione civile è una procedura stragiudiziale definita dalla lettera a) dell’articolo 1 del decreto legislativo n. 28/2010. Si tratta nello specifico in un’attività, che viene svolta da un soggetto terzo e imparziale, che prende il nome di mediatore. Il mediatore nell’assistere due o più soggetti in contrasto tra di loro, si pone l’obiettivo di ricercare una soluzione amichevole per comporre la controversia, con la possibilità di formulare una proposta di accordo.

Mediazione obbligatoria e facoltativa

La mediazione può essere obbligatoria o facoltativa. La mediazione è obbligatoria nei casi previsti dall’articolo 5 del decreto legislativo n. 28/2010, ossia quando il preventivo svolgimento di questa procedura rappresenta la condizione per poter procedere in giudizio.

La mediazione è facoltativa quando le parti non sono vincolate ad avviare la mediazione per poter  avviare eventualmente una causa giudiziaria, ma decidono volontariamente di farsi assistere da un mediatore per risolvere una controversia.

Domanda riconvenzionale

La condizione di procedibilità appena vista per la mediazione obbligatoria riguarda solo la domanda principale, non quella riconvenzionale. Lo hanno precisato le SU della Corte di Cassazione nella sentenza n. 3452/2024, dopo aver spiegato la differenza tra domanda riconvenzionale collegata all’oggetto della lite e domanda riconvenzionale “eccentrica”, non subordinata cioè alla comunanza del titolo della domanda attorea. In presenza di questo tipo di domanda riconvenzionale, che allarga   l’oggetto del giudizio, la condizione di procedibilità del preventivo esperimento della mediazione non contemplato. La condizione di procedibilità della mediazione nelle materie obbligatorie vale quindi solo per gli atti introduttivi e non per le domande riconvenzionali, che tuttavia devono essere discusse in sede di mediazione.

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Materie mediazione civile obbligatoria

Tornando alla mediazione obbligatoria essa è contemplata dall’articolo 5 del decreto legislativo n. 28/2010 quando le controversie vertono su determinate materie.

Chi vuole esercitare in giudizio un’azione per risolvere una controversia in una delle materie indicate dalla norma, deve quindi avviare, in via preliminare, la procedura di mediazione.

Queste le materie che richiedono il preventivo esperimento della mediazione se si vuole poi agire in giudizio:

  • condominio;
  • diritti reali;
  • divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia;
  • locazione, comodato, affitto di aziende;
  • risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità;
  • contratti assicurativi, bancari e finanziari;
  • associazione in partecipazione, consorzio, franchising, opera, rete, somministrazione, società di persone e subfornitura.

Procedimento di mediazione

Il procedimento di mediazione presenta il primario vantaggio della durata. Essa non può superare la durata complessiva di tre mesi prorogabili di altri tre se le parti si accordano in forma scritta.

Per avviare la procedura è necessario fare domanda presso un organismo di mediazione, che provvede a fissare la data del primo incontro. Il procedimento richiede la partecipazione personale delle parti (e dei loro avvocati se la mediazione è obbligatoria o domandata dal giudice). In presenza di giustificati motivi tuttavia le parti possono delegare un rappresentante purché munito di procura e a conoscenza dei fatti. La  partecipazione personale è molto importante, il mancato rispetto di questa regola produce  effetti processuali negativi per le parti.

Del primo, così come degli incontri successivi, il mediatore redige apposito verbale.

Alla mediazione possono prendere parte anche degli esperti se la materia da trattare è moto tecnica.

La Riforma Cartabia ha previsto la possibilità di svolgere il procedimento di mediazione anche in modalità telematica. La disciplina di questa procedura particolare è contenuta nell’articolo 8 bis del decreto legislativo n. 28/2010.

Possibili esiti della mediazione civile

La  procedura di mediazione civile può avere diversi esiti. Se le parti raggiungono un accordo il mediatore ne da atto nel verbale. L’accordo è quindi redatto in formato analogico o digitale in tanti originali quanti sono le parti, a cui si aggiunge un originale da depositare presso l’organismo. Se con l’accordo le parti compiono uno degli atti contemplati dall’art. 2643 c.c. lo stesso va trascritto, ma un notaio deve prima autenticare le firme dell’accordo. Il verbale che contiene l’accordo inoltre, nei casi e nei modi previsti dall’articolo 12 del decreto legislativo n. 28/2010, costituisce un titolo esecutivo per l’espropriazione forzata.

La mediazione ha invece un esito negativo se le parti non raggiungono l’accordo. Anche in questo caso il mediatore deve darne atto nel verbale.

Costi della mediazione

La mediazione civile presenta un ulteriore vantaggio rispetto alla durata ridotta. Si tratta di una procedura che comporta costi nettamente inferiori rispetto a quelli necessari per avviare e proseguire una causa giudiziale.

Se si avvia ad esempio una mediazione in una controversia che presenta un valore non superiore ai 5000 euro la partecipazione al primo incontro e il raggiungimento dell’accordo comportano un esborso di poche centinaia di euro. Ovviamente se il valore della controversia sale salirà anche il costo della mediazione. In ogni caso il risparmio rispetto a un procedimento giudiziale è notevole, grazie anche ai numerosi benefici fiscali rappresentati dai crediti di imposta descritti nell’articolo 20 del decreto legislativo n. 28/2010.

Negoziazione assistita e mediazione: differenze

La mediazione civile, così come la negoziazione, rappresenta un metodo alternativo di risoluzione delle controversie rispetto ai processi. Nella mediazione però le parti, assistite dai loro avvocati, devono negoziare direttamente tra loro. Nella mediazione invece è il mediatore che aiuta le parti, eventualmente assistite dai loro avvocati, per fargli raggiungere un accordo.

Diverse sono anche le materie nelle quali si deve avviare una negoziazione o una mediazione così come è diversa la procedura, il rapporto con il processo, i costi e i benefici fiscali.

rifiuto ricovero

Rifiuto ricovero: il medico è libero se ha informato la paziente Il rifiuto al ricovero della paziente libera il medico da responsabilità se la informa adeguatamente sulle sue condizioni e sui rischi

Rifiuto ricovero e responsabilità medica

Il rifiuto al ricovero della paziente che poi muore, di regola, libera i sanitari da eventuali responsabilità, solo se gli stessi la hanno informata sulle sue reali condizioni di salute e sui rischi. Lo ha chiarito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 21362/2024.

Concorso di colpa della paziente

Una donna si reca al Pronto Soccorso e viene sottoposta ad alcuni esami. I medici però non le  diagnosticano un’ischemia cerebrale. La patologia viene individuata in ritardo in un altro ospedale dopo una Tac. La struttura a cui la donna si è rivolta inizialmente e sicuramente responsabile. I giudici di merito però ritengono che il rifiuto della paziente al ricovero comporti a suo carico un concorso di colpa. La Corte d’appello infatti riduce il risarcimento del danno quantificato in primo grado.

Rifiuto al ricovero non accertato

I familiari della de cuius impugnano la sentenza d’appello  e contestano il concorso di colpa attribuito all’estinta. I congiunti della vittima ritengono errata la decisione di merito per l’erronea applicazione dell’articolo 1227 c.c. La norma stabilisce infatti la diminuzione del risarcimento se il fatto colposo concorre a cagionare il danno. Nel caso di specie però non sussisterebbe un fatto colposo del creditore causante danno, in quanto la …. non ha posto in essere alcun fatto colposo perché non ha firmato alcun rifiuto di ricovero”.

Nonostante ciò la Corte rigetta il motivo d’appello, affermando che “Il rifiuto del ricovero è sicuramente un fatto idoneo a configurare un concorso colposo della vittima”, dando per scontato l’accertamento della sua esistenza.”

I consulenti comunque hanno concluso che, anche in presenza del rifiuto al ricovero, la corretta terapia anticoagulante sarebbe stata somministrata solo con due giorni di anticipo. Il danno oramai si era prodotto e tale danno deve imputarsi ai medici.

Motivazione apparente e concorso di colpa

La Cassazione si pronuncia sul ricorso principale accogliendo il secondo e terzo motivo, tra loro  collegati.

Con il secondo motivo i ricorrenti contestano la motivazione apparente della sentenza nel capo che ripartisce la responsabilità tra medico e paziente. Con il terzo invece denunciano l’omessa decisione sul concorso di colpa della vittima nella misura del 50%. Una percentuale così alta è del tutto irragionevole, visto che il medico è stato ritenuto responsabile al 100%.

Mancata informazione sulle condizioni e sui rischi

Gli Ermellini ripercorrono gli atti di causa e rilevano come il secondo motivo in relazione al terzo siano fondati e quindi meritino di essere accolti.

I consulenti tecnici d’ufficio hanno evidenziato che se la paziente non avesse rifiutato il ricovero …….la diagnostica radiologica positiva del ….. sarebbe stata anticipata di due giorni con la possibilità di anticipare la protezione con gli anticoagulanti e di contenere e, ancorché con poco verosimile efficacia, gli insulti embolici … nei due emisferi.”

I familiari però, già in sede di appello, avevano contestato che “il rifiuto del ricovero ospedaliero non vi sarebbe stato, che comunque “né la … né i di lei famigliari che l’accompagnavano furono edotti – in modo conveniente – del reale quadro clinico della paziente e della conseguente necessità di disporre l’immediato ricovero” (che “gli stessi medici del Pronto Soccorso avrebbero dovuto loro stessi disporre”), e che dalla ricostruzione del fatto sarebbe emersa la responsabilità esclusiva del Ca.Sa. che avrebbe “palesemente” disatteso “le prescrizioni e i dettami dei “protocolli medici”. 

Da motivare la percentuale di colpa attribuita alla vittima

Dai rilievi sollevati dagli odierni ricorrenti però, compresa l’assenza di informazioni sul quadro clinico della de cuius, la corte d’appello non si è occupata. Essa si è limitata ad attribuire la colpa alla vittima nella misura del 50% senza motivare. La stessa si è limitata ad affermare che Il rifiuto di ricovero ospedaliero è sicuramente un fatto idoneo a configurare un concorso colposo della vittima dato che, in ambiente ospedaliero, il paziente – che può essere seguito da una equipe di medici – è molto più tutelato per cui è normale pensare che il danno procurato dall’errore terapeutico del ….. avrebbe potuto essere attenuato”. 

La fondatezza di questo secondo motivo conduce alla fondatezza e all’accoglimento del terzo. La Corte avrebbe dovuto motivare con argomenti più chiari e specifici la misura percentuale della colpa attribuita alla vittima.

 

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