medici in quiescenza

L’Asl può ricorrere ai medici in quiescenza se c’è necessità La Corte costituzionale conferma la legittimità della legge della Regione Sardegna che consente l’impiego temporaneo di medici in quiescenza per garantire l’assistenza primaria nelle aree disagiate

Legittimo l’impiego straordinario di medici in quiescenza

Con la sentenza n. 84/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale sollevata contro l’art. 1, comma 1, della legge regionale sarda n. 12/2024. La norma in questione consente l’impiego, sino al 31 dicembre 2024, di medici di medicina generale in quiescenza per progetti straordinari di assistenza primaria, anche mediante contratti libero-professionali.

Garantire l’assistenza nelle aree disagiate

La disposizione mira a garantire la copertura dell’assistenza sanitaria primaria nei territori con carenza di medici, attraverso l’attivazione di ambulatori straordinari di comunità territoriale. I medici coinvolti sono abilitati all’uso dei ricettari previsti dall’art. 50 del d.l. 269/2003.

Le critiche del Governo e la posizione della Corte

Il Presidente del Consiglio ha impugnato la norma sostenendo che essa violerebbe la competenza statale in materia di ordinamento civile e contrasterebbe con l’Accordo collettivo nazionale (ACN) del 2024, che vieta l’attività convenzionata ai medici in quiescenza. La Corte, tuttavia, ha rigettato la questione, riconoscendo alla Regione Sardegna una legittima competenza in materia di organizzazione sanitaria.

Medici in quiescenza per tutelare la salute

La Consulta ha chiarito che l’adozione di misure temporanee e straordinarie è compatibile con l’ordinamento, qualora serva a garantire l’effettività del diritto alla salute, specialmente in presenza di criticità nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA). Negare questa possibilità impedirebbe alle Regioni di far fronte a situazioni emergenziali, compromettendo le garanzie minime costituzionali.

tolleranza del 5%

Tutor autostrade: la tolleranza del 5% è obbligatoria per legge La Cassazione chiarisce: le multe per eccesso di velocità rilevate col tutor devono applicare una tolleranza del 5%, con minimo di 5 km/h

Tutor e limiti di velocità

La Cassazione, con ordinanza n. 15894/2025, ha ribadito un principio fondamentale in materia di sanzioni per eccesso di velocità: anche quando l’infrazione è rilevata tramite sistema “tutor”, deve essere applicata la tolleranza del 5% prevista dal regolamento di esecuzione del Codice della Strada, in base all’art. 345, comma 2.

La riduzione ha un minimo garantito di 5 km/h, anche quando la percentuale applicata risulterebbe inferiore.

Il caso: contestazione di una multa per tutor

Nel caso esaminato, l’automobilista aveva impugnato una sanzione per eccesso di velocità accertata mediante sistema tutor, lamentando la mancata applicazione della prevista riduzione tecnica. I giudici di merito avevano respinto il ricorso, ma la Cassazione ha accolto il motivo, riconoscendo la violazione del diritto alla corretta applicazione della norma tecnica.

La normativa di riferimento

L’articolo 345 del Regolamento di esecuzione del Codice della Strada stabilisce che, per le rilevazioni elettroniche, i valori di velocità devono essere considerati al netto della tolleranza tecnica, pari al 5% della velocità rilevata, e comunque mai inferiore a 5 km/h.

La Corte sottolinea che non si tratta di una facoltà, ma di un obbligo normativo, che garantisce l’affidabilità della rilevazione automatica.

Tolleranza del 5%: più tutele per gli automobilisti

Con questa decisione, la Cassazione rafforza la tutela dei conducenti contro errori di calcolo o rigidità applicativa dei sistemi automatici. Chi riceve una multa con tutor può sempre verificare se è stata applicata correttamente la tolleranza e, in caso contrario, contestarla dinanzi al giudice di pace.

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responsabilità medica

Responsabilità medica: colpa del dentista per danni al “nervo” La Cassazione conferma la responsabilità medica penale del dentista per danni anatomici durante un’estrazione dentaria

Responsabilità medica

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 22474/2025, ha riconosciuto la responsabilità medica penale di un odontoiatra che, durante l’esecuzione di un intervento di estrazione dentaria, ha provocato l’interruzione della corticale ossea mandibolare. Il paziente ha riportato danni anatomici permanenti e sintomi post-operatori invalidanti, elementi che hanno portato alla condanna del professionista per lesioni colpose.

La condotta colposa: oltre il rischio consentito

Secondo i giudici, l’intervento è stato condotto con imperizia e negligenza, violando le regole di buona pratica clinica. L’interruzione della corticale, pur essendo un rischio teoricamente possibile, non rientrava tra gli eventi inevitabili in un’estrazione eseguita correttamente, come accertato dalla consulenza tecnica.

La motivazione della Cassazione

La Suprema Corte ha sottolineato che la responsabilità non deriva dalla scelta di procedere all’estrazione, ma dalla modalità con cui è stata eseguita la manovra chirurgica. L’odontoiatra ha omesso di adottare cautele e tecniche conservative volte a evitare il danno. Ne deriva una responsabilità per lesioni colpose, aggravata dalla natura permanente delle conseguenze subite dal paziente.

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furto d'auto

Furto d’auto in hotel? Niente risarcimento senza contratto di deposito La Cassazione nega l’indennizzo per il furto d’auto in hotel: serve un vero contratto di deposito, non basta il parcheggio all’interno della struttura

Furto d’auto nel parcheggio dell’hotel

Con l’ordinanza n. 12840/2025, la Corte di Cassazione ha stabilito che in caso di furto d’auto nel parcheggio di un hotel, l’albergatore non è automaticamente responsabile, a meno che non sia stato perfezionato un contratto di deposito. L’esistenza di tale contratto è infatti il presupposto imprescindibile per poter ottenere un indennizzo.

Il contratto di deposito: quando si perfeziona

Secondo il Codice civile (artt. 1766 ss.), il contratto di deposito è di natura reale: si perfeziona solo con la consegna della cosa mobile e, in certi casi, anche delle chiavi, quando necessarie alla custodia. Il depositario ha l’obbligo di custodire e restituire il bene, salvo eventi indipendenti dalla sua volontà.

Nel caso del furto, l’art. 1780 c.c. stabilisce che il depositario è liberato dalla responsabilità solo se denuncia immediatamente l’accaduto e dimostra che l’evento non gli è imputabile.

Il caso: furto d’auto e richiesta di risarcimento

Un cliente (Sempronio) aveva soggiornato in un albergo, parcheggiando la propria auto in un’area interna alla struttura. In seguito al furto del veicolo, aveva citato l’hotel per ottenere un risarcimento, sostenendo che il servizio di parcheggio fosse incluso nel soggiorno e che ciò integrasse un contratto di deposito.

La struttura alberghiera si è difesa sostenendo che non vi era stata alcuna consegna né dell’auto né delle chiavi, e che il cliente aveva solo usufruito di uno spazio delimitato, senza alcun accordo specifico di custodia.

Nessuna responsabilità dell’hotel

Sia il tribunale di primo grado che la Corte d’appello hanno respinto la richiesta di risarcimento. Il cliente ha proposto ricorso per Cassazione, invocando una presunta violazione dell’art. 1780 c.c., ma la Suprema Corte ha confermato le decisioni precedenti.

Gli Ermellini hanno chiarito che il solo fatto che il parcheggio sia interno alla struttura non implica la nascita automatica di un contratto di deposito. Senza consegna del veicolo e delle chiavi, e in assenza di specifiche condizioni pattuite, manca il presupposto giuridico per l’obbligo di custodia e, di conseguenza, per il risarcimento in caso di furto.

colpa medica

Colpa medica e mancata informazione: danno biologico va provato La Cassazione ha escluso il danno biologico per i genitori di due figlie malate, pur riconoscendo la lesione del diritto all'informazione

Colpa medica e diritto all’informazione

Con l’ordinanza n. 15076/2025, la terza sezione civile della Cassazione ha ribadito un principio chiave in tema di colpa medica: la violazione del dovere di informazione da parte del medico non implica, di per sé, il riconoscimento del danno biologico a favore dei pazienti o dei loro familiari. La decisione nasce da un caso complesso che ha coinvolto due genitori rimasti all’oscuro della patologia genetica delle figlie gemelle, nate affette da talassemia major.

Il diritto a essere informati

Il giudice del rinvio, confermando la responsabilità del sanitario, ha riconosciuto ai genitori il danno non patrimoniale derivante dalla lesione del diritto all’informazione, ma ha escluso il danno biologico in assenza di prova clinica di una compromissione dell’integrità fisica o psichica.

In particolare, la mancanza di informazione diagnostica prenatale non è stata ritenuta sufficiente per configurare un danno alla salute. Le sofferenze morali e le difficoltà pratiche affrontate dai genitori per curare le figlie (comprese le trasferte per il trapianto di midollo e la successiva inseminazione artificiale con selezione genetica) hanno giustificato un risarcimento per danno morale, ma non hanno soddisfatto i criteri per l’attribuzione del danno biologico.

Niente danno se manca la prova del nesso causale

La Corte ha chiarito che, per riconoscere un danno biologico, è indispensabile dimostrare un nesso di causalità tra la condotta del medico e la patologia insorta nei soggetti lesi. Nel caso concreto, le malattie successivamente sviluppate da entrambi i genitori non sono state ritenute direttamente collegate alla violazione del dovere informativo. In assenza di evidenze mediche che attestassero una compromissione dell’integrità fisica conseguente alla condotta sanitaria, il danno biologico è stato escluso.

Allo stesso modo, la maggior sofferenza morale riconosciuta alla madre per il peso psicofisico della gravidanza non spontanea, preceduta anche da aborti spontanei, è stata liquidata come danno morale differenziato rispetto al padre, ma non ha integrato un pregiudizio alla salute fisica certificabile.

No al diritto a nascere sani

Ulteriore aspetto rilevante dell’ordinanza riguarda il rigetto del ricorso proposto, una volta divenute maggiorenni, dalle stesse figlie gemelle contro medico e struttura sanitaria. La Cassazione ha ribadito che non esiste un diritto soggettivo a nascere sani, e che la presenza di una malattia genetica non è risarcibile se non è provocata da un comportamento medico colposo diretto alla persona del nato.

In questo senso, il danno lamentato dalle figlie non trova fondamento giuridico, mancando sia il presupposto del nesso eziologico che quello della titolarità di un diritto leso nella condotta sanitaria prenatalizia.

La liquidazione del danno morale non è duplicazione risarcitoria

Infine, la Suprema Corte ha rigettato anche il ricorso del medico e dell’Azienda sanitaria, che contestavano un presunto raddoppio risarcitorio per il danno morale. Secondo la Cassazione, il giudice del rinvio ha correttamente distinto le voci di pregiudizio non patrimoniale, riconoscendo un risarcimento pieno per:

  • la perdita del diritto all’autodeterminazione (non essere stati messi in condizione di decidere consapevolmente);

  • le conseguenze morali derivanti dalla gestione della malattia delle figlie.

Tutte le voci riconosciute rientrano nel danno morale, senza sconfinare in forme di risarcimento vietate o sovrapposte.

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polizze catastrofali

Polizze catastrofali: per grandi, medie, piccole e micro imprese Polizze catastrofali: cosa sono e in cosa consiste l’obbligo della stipula per le imprese di grandi, medie, piccole e micro dimensioni

Polizze catastrofali: cosa sono

Le polizze catastrofali sono polizze assicurative che la legge di bilancio 2024 (n. 213/2023) ha reso obbligatorie per tutte le imprese che hanno la sede legale in Italia, per proteggerle da eventi catastrofici e calamità naturali (Cat Nat). La normativa è conseguente ai fenomeni climatici che negli ultimi anni si sono abbattuti sul territorio italiano con ripercussioni negative anche sulle attività economiche e produttive.

Il decreto attuativo, DM n. 18 del 30 gennaio 2025 ha dettato le modalità di attuazione e di operatività degli schemi assicurativi dei rischi catastrofali.

Polizze catastrofali: il termine del 31 marzo 2025

L’articolo 1 comma 101 e successivi della legge di bilancio n. 213/2023 aveva stabilito l’obbligo di adeguamento al 31 dicembre 2024.

Il decreto Milleproroghe ha rinviato però tale obbligo al 31 marzo 2025.

Rinvio per medie, piccole e micro imprese

Il Senato il 21 maggio 2025 con 78 voti a favore, nessuno contrario e 53 astenuti ha approvato in via definitiva il “ddl di conversione con modificazioni, del decreto-legge 31 marzo 2025, n. 39, recante misure urgenti in materia di assicu­razione dei rischi catastrofali.” Il testo della nuova legge n. 78/2025 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale per entrare in vigore il 31 maggio 2025.

Fatta questa necessaria premessa, che cosa stabilisce il testo definitivo? Chi e quando deve sottoscrivere le polizze catastrofali?

Imprese obbligate e termini per la stipula

Le grandi imprese, con più di 250 dipendenti, devono stipulare dette polizze entro il termine del 30 giungo 2025, anche se l’obbligo è in vigore dal 31 marzo 2025. Il decreto infatti ha previsto per queste imprese un periodo transitorio di 90 giorni, fino al 30 giugno, per permettere alle aziende prive di contratto di adeguarsi.

Le medie imprese con un minimo di 50 dipendenti fino a un massimo di 250,   avranno invece altri sei mesi di tempo, ossia fino al 1° ottobre 2025, per stipulare i contratti assicurativi.

Per le micro e piccole imprese l’obbligo è  posticipato al 31 dicembre 2025.

La mancata stipula comporterà il mancato accesso a incentivi statali e risorse pubbliche per sviluppare l’attività. Le imprese che intendono chiedere determinati aiuti dovranno infatti dimostrare di essere in regola con la stipula.

Obbligo assicurativo: eccezioni

Sono esclusi dall’obbligo assicurativo gli immobili che non possono essere assicurati perchè:

  • costruiti o ampliati in assenza di un titolo edilizio valido o ultimati quando il titolo non era obbligatorio;
  • oggetto di sanatoria o con procedimento di sanatoria o condono in corso.

Indennizzo assicurativo

L’indennizzo spettante in caso di evento catastrofale spetta al proprietario dell’immobile se l’imprenditore assicura beni di proprietà altrui impiegati per l’attività di impresa, comunicando al proprietario la stipula della polizza. L’indennizzo, una volta corrisposto, deve essere impiegato solo per ripristinare i beni danneggiati. Se questa regola non viene rispettata all’imprenditore spetta comunque una somma per la riparazione del lucro cessante nel limite del 40% dell’indennizzo massimo indennizzabile.

Polizze catastrofali: le faq del MIMIT

Sul sito Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) sono presenti le FAQ sulle polizze assicurative contro eventi catastrofali. Le risposte chiariscono aspetti essenziali in merito all’obbligo assicurativo per le imprese e agli effetti sull’accesso ai benefici pubblici.

Obbligo assicurativo e incentivi pubblici

Il Ministero precisa che la norma relativa allobbligo per le imprese di stipulare polizze assicurative contro calamità naturali – prevista dall’art. 1, comma 102 della Legge n. 213/2023 – non è immediatamente applicabile in modo automatico. Infatti, la disposizione stabilisce che la mancata sottoscrizione della polizza deve essere tenuta in considerazione nella concessione di contributi, agevolazioni e sovvenzioni pubbliche, ma non ne definisce in modo vincolante gli effetti.

Questo significa che l’inadempimento all’obbligo assicurativo non comporta automaticamente lesclusione dai benefici pubblici, ma richiede un’espressa valutazione da parte dell’ente erogatore, secondo i criteri stabiliti nei singoli provvedimenti attuativi.

Nessuna retroattività della norma

Il MIMIT chiarisce inoltre che la disciplina in questione non ha efficacia retroattiva. Pertanto, l’obbligo assicurativo e le eventuali conseguenze sulla concessione di agevolazioni pubbliche si applicano solo a partire dalla data di recepimento della norma da parte delle specifiche misure di incentivazione o dalle eventuali diverse decorrenze indicate nei relativi atti.

autovelox tutor telelaser decreto

Autovelox, tutor e telelaser: cosa cambia  Il decreto sulle modalità e la collocazione degli autovelox e dei dispositivi di rilevazione della velocità è operativo dal 12 giugno 2025

Decreto autovelox: trasparenza e sicurezza

Il Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti dell’11 aprile 2024, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 28 maggio 2024, introduce importanti cambiamenti per autovelox, tutor e telelaser, a tutela degli automobilisti. Le regole diventano operative a partire dal 12 giugno 2025, come previsto dall’art. 6 dello stesso decreto.

Il provvedimento si occupa della segnalazione preventiva dei sistemi di rilevazione della velocità e dei luoghi di installazione di queste apparecchiature. Queste modifiche mirano a migliorare la sicurezza stradale e a garantire una maggiore trasparenza e correttezza nell’uso dei dispositivi di rilevazione della velocità, al fine di accertare le violazioni di cui all’articolo 142 del Codice della Strada.

La normativa rappresenta un passo avanti significativo nel controllo della velocità sulle strade italiane, limitando gli abusi e focalizzando l’uso dei dispositivi di rilevazione della velocità in aree veramente critiche.

Vediamo quali sono le principali novità introdotte dal provvedimento.

Autovelox: uso limitato

Gli autovelox non possono essere installati sulle strade urbane che presentano limiti di velocità inferiori a 50 km/h, tranne il caso in cui non sia prevista la contestazione immediata da parte delle Forze dell’Ordine. Questo per evitare sanzioni ingiuste in aree urbane caratterizzate da un andamento a bassa velocità.

Sotto i 50 km contestazione immediata

Per velocità inferiori ai 50 km/h, è prevista la contestazione immediatamente per mezzo di dispositivi mobili nei contesti urbani. Qualora non sia  possibile collocare postazioni fisse o mobili visibili, si possono impiegare dispositivi a bordo di veicoli in movimento. Questo cambiamento assicura che le sanzioni siano immediate e verificabili sul posto.

Collocazione: parola ai Prefetti

Le decisioni relative alla collocazione degli autovelox spetta ai dai prefetti, non ai comuni come prima della riforma. Questo sposta il potere decisionale a un livello superiore, limitando l’installazione degli autovelox in quei tratti di strada ad alto tasso di incidenti o nei quali è problematico eseguire contestazioni immediate. Questa centralizzazione mira a ridurre gli abusi da parte dei comuni.

Misurazione media

Per le strade extraurbane, ove possibile, si predilige la misurazione della velocità media su un tratto di strada prestabilito, anziché quella istantanea.

Dispositivi a bordo dei veicoli

L’utilizzo di autovelox a bordo di veicoli in movimento è consentito solo su strade o tratti di strada dove non sia possibile installare postazioni fisse o mobili. In tal caso, la segnaletica di preavviso deve essere integrata da un pannello luminoso con la scritta “Autovelox mobile in servizio”.

Segnalazione

I limiti di velocità devono essere segnalati a una distanza non inferiore a 1 km, prima della postazione dell’autovelox. Questa misura, che ribadisce una normativa già esistente, garantisce agli automobilisti il tempo sufficiente per adeguare la velocità prima di incontrare un dispositivo di rilevazione. Il dispositivo deve essere posizionato inoltre in modo tale da essere ben visibile agli automobilisti, anche in condizioni di scarsa illuminazione.

Omologazione

Il decreto non risolve completamente la questione dell’omologazione degli autovelox, anche se ribadisce l’importanza di avere dispositivi omologati per evitare controversie legali. Gli autovelox dovranno infatti essere omologati, e i Comuni e le Province avranno 12 mesi per disinstallare quelli non conformi. I dispositivi devono essere sottoposti inoltre a taratura periodica con cadenza stabilita dal Ministero.

Distanze minime di segnalazione

Previste distanze minime da rispettare tra il cartello di segnalazione del limite di velocità e il dispositivo di rilevazione della velocità:

  • 200 metri nelle strade di scorrimento urbane.
  • 75 metri nelle altre strade urbane.
  • 1 chilometro nelle strade extraurbane.

Gli automobilisti possono contare in questo modo su una segnalazione posta a una distanza adeguata e avere il tempo necessario per adottare la condotta più corretta, riducendo sia il rischio di sinistri che di sanzioni amministrative.

Multa unica per infrazioni ravvicinate

Se un automobilista viene multato da più autovelox entro un’ora sullo stesso tratto di strada gestito da un unico ente, deve pagare una sola multa, quella più severa. Questo evita la sovrapposizione delle sanzioni in brevi intervalli di tempo.

Gestione alle Forze di polizia

Le spese di accertamento devono essere documentabili e includere solo i costi per l’individuazione del trasgressore nelle banche dati pubbliche. La gestione delle apparecchiature è riservata alle forze di polizia, con attività minori affidate ai privati.

Rispetto della privacy

I dispositivi di autovelox devono rispettare la normativa sulla privacy (GDPR e Codice Privacy). Il titolare del trattamento (es. la Polizia Stradale) deve adottare misure di sicurezza per proteggere i dati personali. I dati devono essere trattati solo per l’accertamento delle infrazioni stradali e conservati per il tempo strettamente necessario.

Le immagini che costituiscono prove di infrazione non devono essere inviate al domicilio del proprietario del veicolo con il verbale. Il proprietario del veicolo può richiedere di visionare le immagini per conoscere l’effettivo autore della violazione. In tal caso, i volti e le targhe di altri veicoli ripresi saranno oscurati.

I dati personali possono essere trattati solo per le finalità previste dalla legge e nel rispetto dei principi di minimizzazione e riservatezza.

È vietato l’utilizzo di autovelox che effettuino la ripresa frontale del veicolo se l’apparecchiatura memorizza immagini delle persone a bordo. Sono consentiti solo dispositivi che oscurano automaticamente i volti.

 

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caso fortuito

Caso fortuito (art. 2051 c.c.) Caso fortuito (art. 2051 c.c.) nella responsabilità da cose in custodia: cos'è, come funziona e come provarlo

Responsabilità cose in custodia art. 2051 c.c

Prima di addentrarci nell’analisi del caso fortuito 2051 c.c è necessario precisare che nel sistema della responsabilità civile, l’art. 2051 del Codice civile disciplina la responsabilità del custode per i danni cagionati da cose in custodia. Si tratta di una forma di responsabilità oggettiva, che non richiede la colpa del custode, ma che può essere esclusa se il danno è causato dal caso fortuito.

Cos’è il caso fortuito 2051 c.c

Il caso fortuito 2051 c.c è un evento imprevedibile e inevitabile, che si verifica per una causa esterna alla cosa in custodia e che interrompe il nesso causale tra la cosa e il danno. Esso rappresenta l’unica causa di esonero dalla responsabilità del custode prevista espressamente dall’art. 2051 c.c.

In altre parole, anche se la cosa è sotto la custodia di un soggetto, quest’ultimo non risponde del danno se dimostra che esso è stato causato da un fattore estraneo alla propria sfera di controllo e gestione. Il caso fortuito può quindi consistere:

  • nel fatto di terzi (es. un danneggiamento doloso o colposo di un estraneo);
  • nella condotta imprevedibile della vittima (c.d. fatto del danneggiato);
  • in eventi naturali eccezionali (come nubifragi improvvisi o terremoti).

Responsabilità oggettiva del custode: una presunzione superabile

La responsabilità da cose in custodia, come stabilito dall’art. 2051 c.c., è presunta: non richiede prova della colpa del custode, ma la dimostrazione che:

  1. il danneggiante aveva la custodia della cosa;
  2. la cosa ha cagionato un danno;
  3. sussiste un nesso causale diretto tra la cosa e il danno.

Tuttavia, tale presunzione può essere superata se il custode riesce a provare il caso fortuito, ovvero a dimostrare che l’evento lesivo è dipeso da una causa a lui non imputabile, impossibile da prevedere e da evitare con la diligenza ordinaria.

Come si prova il caso fortuito 2051 c.c. 

La prova del caso fortuito 2051 c.c. grava sul custode. Egli deve dimostrare:

  • che l’evento che ha causato il danno era imprevedibile ed eccezionale;
  • che non vi era nessun nesso causale diretto tra la cosa e il danno;
  • che ha adottato tutte le misure di custodia idonee a prevenire il danno, ma l’evento si è verificato comunque.

Ad esempio, una caduta su una buca stradale può comportare la responsabilità dell’ente custode della strada. Tuttavia, se la buca si è formata per un evento imprevedibile (es. una rottura improvvisa causata da terzi) e il danno si è verificato prima che il custode potesse ragionevolmente intervenire, si può configurare il caso fortuito. In giurisprudenza, la valutazione avviene caso per caso: è necessario dimostrare che il comportamento diligente del custode non sarebbe comunque riuscito a evitare il danno.

Caso fortuito e fatto del terzo o della vittima

Come accennato sopra, il concetto di caso fortuito 2051 c.c include anche il cosiddetto:

  • fatto del terzo: quando un soggetto estraneo alla custodia interviene in modo autonomo e diretto nel causare il danno;
  • fatto del danneggiato: se la condotta della vittima è anormale, imprevedibile e determinante nella produzione dell’evento lesivo, può interrompere il nesso causale.

Tuttavia, affinché tali fatti abbiano efficacia esimente, devono essere autonomi, imprevedibili e dotati di forza causale esclusiva.

Quando non si configura il caso fortuito 2051 c.c. 

La giurisprudenza ha chiarito che non è sufficiente l’allegazione generica di eventi atmosferici o del comportamento di terzi per configurare il caso fortuito. In particolare:

  • l’omessa manutenzione (es. di scale, marciapiedi, impianti, ecc.) non è scusata dalla sola imprevedibilità del danno;
  • il custode non può invocare il caso fortuito se la cosa era in condizioni di degrado note o prevedibili.

Pertanto, anche eventi apparentemente accidentali possono non integrare il caso fortuito se rientrano nella normale prevedibilità o se derivano da una mancanza di vigilanza e custodia.

Considerazioni conclusive

Il caso fortuito 2051 c.c. costituisce una causa di esclusione della responsabilità oggettiva del custode, ma la sua applicazione è rigorosa e subordinata alla prova di un evento imprevedibile e inevitabile. Per evitare responsabilità, è fondamentale che il custode dimostri di aver adottato tutte le misure idonee alla corretta custodia della cosa e che il danno si sia verificato per cause totalmente estranee alla sua sfera di controllo.

 

Leggi anche: Caso fortuito e condotta del terzo o del danneggiato

malasanità e danno erariale

Malasanità e danno erariale: la transazione non prova la colpa medica La Corte dei conti chiarisce: l’accordo transattivo tra paziente e Asl non basta a dimostrare la responsabilità del medico. Serve la prova della colpa grave

Malasanità e danno erariale

Malasanità e danno erariale: la sola stipula di un accordo transattivo tra l’Azienda sanitaria e il paziente non è sufficiente a fondare la responsabilità del personale sanitario. Lo ha chiarito la Corte dei conti – Sezione giurisdizionale per la Calabria – con la sentenza n. 45 del 18 marzo 2025, ribadendo che la transazione può rappresentare un indice di possibile danno pubblico, ma non vale come prova automatica di colpa grave del medico.

Il caso: paralisi ostetrica e richiesta di risarcimento

Il procedimento ha preso le mosse da un’azione promossa dalla Procura contabile nei confronti di un ginecologo e di un’ostetrica, chiamati a rispondere del danno erariale indiretto che sarebbe derivato all’Azienda sanitaria in seguito al risarcimento riconosciuto ai genitori di una neonata affetta da paralisi ostetrica del plesso brachiale destro (C5-C6). La lesione, secondo l’accusa, sarebbe stata causata da errate manovre durante il parto.

L’Azienda, senza attendere un accertamento giudiziale, aveva sottoscritto una transazione con i familiari, su impulso della propria compagnia assicurativa, basandosi su una consulenza medico-legale di parte.

Nessuna colpa grave, nessuna responsabilità

La Corte, tuttavia, ha respinto la domanda risarcitoria. In primo luogo ha escluso l’applicabilità della legge Gelli-Bianco (l. n. 24/2017) per ragioni temporali, trattandosi di fatti anteriori alla sua entrata in vigore. Ma soprattutto ha rilevato l’assenza di prova circa una condotta illecita e, comunque, l’assenza di colpa grave da parte dei sanitari.

Secondo i giudici contabili, non vi era riscontro clinico di una condizione di distocia della spalla, fattore cruciale per attribuire l’evento lesivo all’operato medico. Al contrario, il buon indice di Apgar al momento della nascita costituiva un elemento indiziario in favore della correttezza dell’intervento sanitario.

L’accordo transattivo non vincola il giudice

Elemento centrale della decisione è il chiarimento sul valore della transazione nel giudizio di responsabilità: essa, spiegano i giudici, non costituisce di per sé prova della colpa del medico. L’accordo tra l’Azienda e i genitori ha infatti natura negoziale e non contiene un accertamento formale di responsabilità, configurandosi come “res inter alios acta”, cioè un atto giuridico non opponibile a chi non vi ha preso parte (artt. 1372 e 1965 c.c.).

Il giudice contabile è dunque tenuto ad accertare autonomamente e rigorosamente i presupposti della responsabilità, in particolare la condotta illecita, la colpa grave e il nesso causale tra l’agire del medico e il danno. Solo in presenza di tali elementi può essere pronunciata una condanna per danno erariale.

linee guida

Linee guida nella responsabilità medica Linee guida nella responsabilità medica: cosa sono, come incidono e applicazione nella legge Gelli-Bianco

Cosa sono le linee guida in ambito sanitario

Le linee guida nella responsabilità medica costituiscono un pilastro fondamentale nel moderno sistema di valutazione della condotta sanitaria. La loro funzione è quella di orientare l’operato dei professionisti della salute, delineando criteri scientificamente validati che possano fungere da parametro per la verifica della diligenza, perizia e prudenza del sanitario.

Tuttavia, il loro ruolo nella valutazione della responsabilità, civile e penale, del medico è stato oggetto di un’evoluzione normativa e giurisprudenziale complessa, culminata con l’emanazione della legge 8 marzo 2017, n. 24, nota come legge Gelli-Bianco.

Esso consistono in raccomandazioni redatte da enti scientifici accreditati, che individuano percorsi diagnostico-terapeutici basati sulle migliori evidenze disponibili. Esse servono a:

  • uniformare le pratiche cliniche;
  • migliorare la qualità dell’assistenza;
  • ridurre gli errori sanitari;
  • offrire uno standard oggettivo per la valutazione dell’attività sanitaria.

Sono pubblicate e aggiornate dall’Istituto Superiore di Sanità attraverso il Sistema Nazionale Linee Guida (SNLG), istituito con decreto ministeriale 27 febbraio 2018.

L’incidenza sulla responsabilità medica

L’introduzione delle linee guida nel contesto giuridico ha comportato un mutamento nell’accertamento della colpa medica. In precedenza, la responsabilità del sanitario veniva valutata caso per caso, secondo criteri soggettivi. Con il riferimento a queste invece, il giudizio tende a fondarsi su un parametro oggettivo e scientificamente accreditato.

Secondo l’impostazione attuale, il sanitario:

  • è tenuto a rispettare le linee guida accreditate, salvo casi specifici che giustifichino il discostamento;
  • non è punibile qualora l’evento si sia verificato per imperizia, se ha agito conformemente alle stesse (art. 590-sexies c.p.).

La legge Gelli-Bianco (l. 24/2017)

La legge n. 24/2017 ha sistematizzato la materia attraverso l’introduzione di queste due norme:

  • art. 5: stabilisce che i professionisti sanitari devono attenersi, nell’esercizio della propria attività, alle linee guida pubblicate nel SNLG. In assenza, si applicano le buone pratiche clinico-assistenziali;
  • art. 6 (nuovo art. 590-sexies c.p.): esclude la punibilità per imperizia in caso di rispetto delle linee guida o delle buone pratiche.

Quando non bastano

La giurisprudenza ha chiarito che le stesse:

  • non sostituiscono il giudizio clinico individuale del medico;
  • possono essere derogate in presenza di situazioni specifiche, clinicamente giustificate e documentate;
  • la responsabilità può sussistere anche in caso di rispetto formale delle linee guida, se la condotta è priva di personalizzazione sul paziente.

Secondo la Cassazione n. 10175/2020: il rispetto delle linee guida mediche non esclude automaticamente la colpa del medico, è sempre necessario valutare se le specifiche condizioni cliniche del paziente avrebbero richiesto un percorso terapeutico differente rispetto a quello standard indicato dalle linee guida. Il medico ha quindi il dovere di considerare la particolarità di ogni singolo caso e, se necessario, discostarsi dalle linee guida per adottare la soluzione più appropriata per quel determinato paziente. Il rispetto delle stesse è un elemento importante da considerare, ma non è l’unico e non esonera il medico dalla responsabilità se, nel caso concreto, un approccio diverso si sarebbe rivelato necessario e avrebbe potuto evitare l’evento lesivo.

Linee guida e responsabilità della struttura

La legge Gelli-Bianco ha differenziato anche la responsabilità tra sanitario e struttura:

  • il medico risponde ai sensi dell’art. 2043 c.c., quindi in base alla prova del dolo o della colpa  e comunque “salvo che abbia agito nell’adempimento di obbligazione contrattuale assunta con il paziente”;
  • la struttura sanitaria pubblica o privata “che, nell’adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell’opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal paziente e ancorché non dipendenti della struttura stessa” risponde contrattualmente, ex art. 1218 c.c., con conseguente onere della prova a suo carico e prescrizione decennale.

Le linee guida assumono rilevanza anche per la struttura, sia come parametro di organizzazione, sia come strumento difensivo nella valutazione dell’adeguatezza delle cure erogate.

 

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