equa riparazione avvocato

Equa riparazione: non c’è bisogno dell’avvocato La Cassazione ha ricordato che la domanda di equa riparazione può essere proposta anche dalla parte personalmente e non è più necessario che sia proposta a mezzo di un difensore

L’equa riparazione e la procura speciale

La vicenda giudiziaria che ci occupa prende avvio dalla decisione adottata dalla Corte d’appello di Napoli con la quale veniva confermata l’inammissibilità, per difetto di procura, del ricorso proposto per il riconoscimento dell’indennizzo da eccessiva durata della procedura fallimentare.

Nella specie, la procura era stata considerata carente poiché non era stato specificamente indicato il numero di procedimento nell’abito del quale l’assistito la voleva far valere, ma era stato inserito un generico riferimento al suo utilizzo per la richiesta di equa riparazione.

La Corte d’appello aveva inoltre aggiunto che il difetto di procura non poteva essere sanato con altra depositata in un secondo momento.

Avverso la suddetta decisione il richiedente l’equa riparazione aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione.

La richiesta personale dell’equa riparazione

La Corte di Cassazione, con ordinanza n. 11385-2024, ha accolto, per quanto qui rileva, il ricorso proposto.

In particolare, la Suprema Corte, dopo aver ripercorso il quadro normativo relativo alla disciplina sull’equa riparazione ha affermato che “Nel caso di specie è pacifico che il ricorso originario sia stato sottoscritto dal ricorrente. Quindi, indipendentemente dal fatto che se la parte si avvale di un difensore, la procura sottoscritta con autenticazione di firma da parte del difensore (…) non possa non essere speciale, cioè, riferita ad un singolo processo, il ricorso doveva essere ritenuto ammissibile come proposto dalla parte personalmente”.

Inoltre, ha rilevato la Corte, la soluzione prescelta dal Giudice di merito, non tiene conto del principio generale di conservazione degli atti processuali che, in via generale e come costantemente ribadito dalla giurisprudenza, deve sempre trovare applicazione.

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Decreto ingiuntivo: fino a 10mila euro lo emette l’avvocato E' quanto prevede la proposta di legge all'esame della Commissione Giustizia della Camera che riconosce agli avvocati il potere di emettere decreti ingiuntivi semplificati per crediti fino a 10mila euro

Decreto ingiuntivo semplificato: finalità

Il procedimento di ingiunzione semplificato è oggetto della proposta di legge C.1374 presentata il 10 agosto 2023 dal deputato D’Orso Valentina, assegnata alla II Commissione Giustizia della Camera.

La proposta nasce dalla necessità di sopperire alla graduale chiusura di diversi uffici dei giudici di pace, che comporterà un inevitabile sovraccarico di lavoro per gli uffici limitrofi che resteranno aperti.

Ingiunzioni di pagamento: potere agli avvocati

Il decreto ingiuntivo semplificato si inserisce nel solco di quei provvedimenti per i quali non è necessario il vaglio preventivo dell’autorità giudiziaria, come avvenuto con la Direttiva sul credito ipotecario n. 2014/17/UE, che si è ispirata alla disciplina vigente negli Stati Uniti e nel Regno Unito e che è stata recepita con il decreto legislativo n. 72/2016.

La proposta vuole infatti conferire agli avvocati il potere di emettere ingiunzioni di pagamento per crediti di importo non superiore a 10.000 euro.

Decreto ingiuntivo semplificato nel codice di procedura civile

La novità legislativa proposta comporta l’introduzione degli articoli 656 bis, 656 ter, 656 quater, 656 quinques e 656 sexies  all’interno del nuovo capo I bis del codice di procedura civile dedicato al procedimento di ingiunzione semplificato.

Per quanto compatibili si applicheranno al procedimento anche gli articoli 645, 648, 649, 650, 652, 653 e 654 c.p.c

In base al nuovo articolo 656 bis, l’avvocato munito di mandato professionale, su richiesta del suo assistito, creditore di un importo non superiore a 10.000 euro, potrà emettere un atto di ingiunzione per intimarne il pagamento al debitore nel termine di 40 giorni.

Il provvedimento dovrà contenere anche l’avvertimento al debitore di poter fare opposizione al decreto stesso sempre nel termine di 40 giorni e che, in mancanza di opposizione, il decreto verrà dichiarato esecutivo dal giudice.

In questo modo il creditore potrà procedere all’esecuzione forzata nei confronti del debitore:

  • se il credito risulta da una prova scritta;
  • se il credito riguarda onorari dovuti per prestazioni giudiziali o stragiudiziali o rimborsi ad avvocati, ufficiali giudiziari, cancellieri o altri soggetti che abbiano fornito la propria opera in occasione di un processo;
  • se il credito fa riferimento a diritti, onorari e rimborsi spettanti a notai o professionisti che esercitino arti o professioni per i quali esistono tariffe legali approvate.

Quando l’avvocato predispone il decreto indica anche le spese e gli onorari a lui dovuti applicando i parametri professionali previsti e intimando al debitore di procedere al pagamento anche di questi importi.

La sussistenza dei requisiti indicati dall’articolo 656 bis è molto importante, l’articolo 656 sexies considera infatti illecito disciplinare l’omissione dolosa o con colpa grave della verifica dei requisiti di legge richiesti per l’emanazione del decreto ingiuntivo semplificato.

Opposizione a decreto ingiuntivo

Il debitore che intende fare opposizione al decreto ingiuntivo deve proporla al giudice competente con atto di citazione notificato presso l’avvocato che ha emesso il decreto.

Nel corso della prima udienza il giudice dovrà verificare che il decreto sia stato emesso in presenza dei requisiti richiesti dall’articolo 656 bis. La loro assenza comporterà la dichiarazione di nullità dell’atto e la condanna del creditore al pagamento delle spese legali maturate fino a quel momento in favore del debitore, oltre al pagamento di una somma alla Cassa delle Ammende di importo pari al doppio del contributo unificato dovuto per la domanda da proporre in via ordinaria.

Esecutorietà del decreto ingiuntivo semplificato

La mancata opposizione al decreto ingiuntivo nel termine di 40 giorni o la mancata costituzione del debitore opponente nel giudizio di opposizione comporta invece la dichiarazione di esecutorietà del decreto ingiuntivo da parte del giudice, se il creditore ne fa istanza e se il decreto presenta tutti i requisiti richiesti dall’articolo 656 bis.

L’istanza del creditore, contenuta in un ricorso, deve indicare i documenti probatori che giustificano il diritto di credito vantato e deve essere depositata insieme al decreto di ingiunzione, ai documenti probatori e a una dichiarazione con cui conferma l’intero credito o uno di importo inferiore, se il debitore gli ha corrisposto delle somme dopo la notifica dell’ingiunzione.

Quando l’ingiunzione diventa esecutiva, l’opposizione non può essere né proposta né proseguita a meno che, ai sensi dell’art. 650 c.p.c, il debitore dimostri non averne avuto tempestiva conoscenza a causa di una notifica irregolare, di un caso fortuito o di una forza maggiore.

Se risulta o è probabile che il debitore non abbia ricevuto l’ingiunzione, il giudice dispone il rinnovo della notifica.

Atto di ingiunzione nullo

Come anticipato, l’atto di ingiunzione è dichiarato nullo con decreto del giudice quando viene emanato in assenza dei requisiti richiesti dall’articolo 656 bis. La nullità non impedisce tuttavia al creditore di proporre la domanda per il recupero del credito in via ordinaria.

Può accadere comunque che dopo l’ingiunzione il debitore corrisponda una parte delle somme indicate del decreto al creditore. In questo caso il giudice ordinerà al creditore di restituirle e lo condannerà al pagamento di una somma alla Cassa delle Ammende, pari al doppio della somma dovuta a titolo di contributo unificato per la proposizione della domanda ordinaria.

 

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esame avvocato

Esame avvocato L’esame avvocato si compone di fase scritta e orale e ha ad oggetto sia materie di diritto sostanziale che di diritto processuale

Esame avvocato cos’è e come funziona

L’esame avvocato è la prova necessaria ai laureati in giurisprudenza per conseguire l’abilitazione all’esercizio della professione forense.

Per parteciparvi, occorre prima aver terminato il periodo di tirocinio prescritto dalla legge presso studi legali e uffici giudiziari.

Come si svolge l’esame avvocato 2024

La disciplina dell’esame di avvocato è stata, negli anni recenti, oggetto di discussioni e modifiche, originate dal periodo emergenziale del 2020.

Quest’anno, la prova scritta dell’esame per l’abilitazione alla professione di avvocato si è svolta a dicembre, con la redazione di pareri in ambito di diritto civile e diritto penale e la redazione di un atto di diritto civile, penale o amministrativo.

Il tasso degli elaborati considerati idonei al superamento della prova scritta è stato del 55%, un dato definito “confortante” dal presidente della commissione centrale dell’esame.

La prova orale si svolge a partire dal mese di maggio 2024 ed è disciplinata sul modello dell’orale “rafforzato” proprio del periodo emergenziale, modalità di cui è caldeggiata, da parte di alcune associazioni di categoria, la riproposizione anche per l’anno a venire.

Le tre fasi della prova orale dell’esame avvocato

La prova orale dell’esame avvocato si compone di tre fasi, da svolgersi senza soluzione di continuità in un’unica seduta. La durata complessiva della prova per il candidato dev’essere al massimo pari a circa un’ora e mezzo.

La prova orale comincia con la somministrazione al candidato di un caso pratico da discutere davanti ai commissari d’esame. Attraverso la soluzione proposta dal candidato, è possibile valutare le sue conoscenze di diritto sostanziale e processuale, nella materia che quest’ultimo ha scelto prima dello svolgimento dell’esame, tra diritto civile, diritto penale e diritto amministrativo.

La seconda fase consiste nel classico esame, attraverso le domande della commissione, delle conoscenze e delle capacità di esposizione da parte del candidato. Oggetto delle domande sono le materie scelte tra diritto civile, penale (anche negli aspetti processuali) e amministrativo.

Infine, al candidato dell’esame avvocato vengono sottoposti dei quesiti riguardanti l’ordinamento forense e la deontologia della professione.

L’esame è superato nel momento in cui il candidato ottenga nella prova orale un voto di almeno 105 punti, con un minimo di 18 punti in ciascuna materia (non viene, cioè, ammessa la compensazione dei punteggi per le materie in cui il candidato non ottenga almeno 18 punti).

Criteri di valutazione candidati all’esame di abilitazione avvocato

Attraverso una circolare ministeriale, sono stati chiariti anche i criteri di valutazione dell’esame avvocato, che devono essere quelli della chiarezza espositiva e della logicità dei ragionamenti, oltre alla dimostrazione da parte del candidato della concreta capacità di soluzione delle questioni giuridiche e del possesso di un’idonea conoscenza della teoria relativa agli istituti giuridici oggetto di esame.

Vengono, inoltre, ritenuti oggetto di valutazione anche la capacità di operare collegamenti interdisciplinari in occasione dell’esposizione dei vari argomenti, oltre alla necessaria capacità di sintesi.

Rapporto avvocatura 2024 Cassa Forense, in collaborazione con il Censis, ha realizzato, come ogni anno, il rapporto sull'avvocatura 2024

Rapporto avvocatura 2024: i numeri

Lieve diminuzione degli avvocati anche nel 2023 ma anche maggiore familiarità con la tecnologia e l’intelligenza artificiale, che è vista come un’opportunità e non come una minaccia. gLavorare insieme ai colleghi in studi aggregati è ritenuto utile per fare di più e meglio, ma evidenziata anche stanchezza nel rincorrere le continue riforme legislative e preoccupazione per le difficoltà causate dalla burocrazia e dal ritardo nei pagamenti dei loro compensi. Questo dicono i numeri del Rapporto sull’Avvocatura 2024, realizzato come di consueto da Cassa Forense in collaborazione con il Censis e presentato l’8 maggio scorso.

Meno avvocati iscritti alla Cassa

Entrando nel dettaglio, gli iscritti alla Cassa Forense alla data del 31 dicembre 2023 sono 236.946, uomini poco più di 125 mila e donne 111.500. Il numero scende rispetto all’anno precedente, confermando il trend (-1,3%). Permane il saldo negativo tra iscrizioni e cancellazioni: nel 2023 si registrano 8.043 avvocati in meno rispetto all’anno precedente. Le cancellazioni riguardano in particolare le donne con meno di 15 anni di anzianità di iscrizione (54,2%).

Età media avvocati in aumento

L’età media degli avvocati aumenta, è passata da 42,3 anni nel 2002 a 48,3 anni nel 2023. Il fenomeno rispecchia quello dell’invecchiamento generale della popolazione. Aumenta il numero delle giovani avvocate: tra le diverse fasce d’età, la maggior parte delle donne si trova infatti nelle fasce più giovani: il 57,5% degli avvocati sotto i 34 anni e il 55,3% tra i 35 e i 44 anni. Al contrario, più della metà degli iscritti tra i 55 e i 64 anni è composta da uomini (59,9%) come per la maggior parte degli over 65 anni (75,3%). Il più giovane iscritto alla Cassa è un praticante di 22 anni, il più anziano ha 101 anni.

Il 5,7% degli avvocati svolge la professione in monocommittenza, ossia in regime di collaborazione esclusiva. Le proposte di legge per fare decadere l’incompatibilità tra professione forense e lavoro parasubordinato, svolto in esclusiva presso uno studio legale trova il favore del 73,6% degli avvocati.

Reddito avvocati

Il reddito complessivo Irpef aumenta del 5,1%, quello medio annuo per avvocato è di 44.654 euro. Tra il reddito medio degli uomini e quello delle donne ci sono più di 30 mila euro di differenza (e sono le donne a guadagnare di meno). E’ tra le avvocate che si registra il maggior tasso di crescita, 7,1% contro il 4,2% degli uomini. Sono le professioniste tra i 35 e 39 anni di età a incrementare di più i guadagni (11,6%), seguite da quelle della fascia 40-44 anni di età (9,1%). Restano sotto la media i redditi delle donne appartenenti alle classi di età maggiore, a partire dalle professioniste con un’età fra i 45 e i 49 anni (6,2%).

Circa il 70% dei professionisti dichiara un reddito professionale complessivo inferiore a 35 mila euro. Ampia è la distanza che separa in media i redditi di chi esercita la professione nel Nord rispetto al Sud del Paese.

Dal punto di vista economico, la graduatoria per livello di reddito medio acquisito nel 2023 pone al primo posto la Lombardia, con 77.598 euro annui, dato questo che si ottiene dalla media di 45.406 euro dichiarati dalle donne avvocato lombarde e dei 112.408 euro dichiarati dai colleghi uomini.

Le controversie giudiziali rappresentano il 59,3% del fatturato complessivo. Il restante 40,8% proviene dall’attività stragiudiziale.

Avvocati e intelligenza artificiale

Gli avvocati non temono l’Intelligenza Artificiale, indicata solo dal 6% come fattore di rischio professionale ma l’eccesso di adempimenti burocratici, amministrativi e fiscali (37% tra gli uomini e 38,5% tra le donne), il ritardo dei pagamenti da parte degli assistiti (31,5% tra gli uomini e 40,4% tra le donne) e l’eccesso di offerta di servizi legali a causa dell’alto numero di avvocati che esercitano la professione (35,3% tra gli uomini e 28,3% tra le donne).

onorari avvocati parastato

Onorari avvocati parastato: non vanno nel TFS La Corte Costituzionale ha chiarito che le quote onorario percepite dagli avvocati del parastato non vanno computate nel trattamento di fine servizio (TFS)

Quote onorario avvocati del parastato

La Corte costituzionale (sentenza n. 73-2024) ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 13 della legge 20 marzo 1975, n. 70 (Disposizioni sul riordinamento degli enti pubblici e del rapporto di lavoro del personale dipendente), che disciplina il trattamento di fine servizio spettante ai dipendenti degli enti pubblici non economici (cosiddetti parastatali) non soggetti al regime privatistico di trattamento di fine rapporto.
La disposizione scrutinata, si legge nel comunicato ufficiale, “in base all’interpretazione fornitane dalla giurisprudenza di legittimità, costituente «diritto vivente», pone a base del calcolo di tale emolumento il solo stipendio tabellare e gli scatti di anzianità, con esclusione di qualsiasi altro compenso”.

La qlc

La questione era stata sollevata dal Tribunale di Roma, Sez. Lavoro, chiamato a decidere sulla domanda dell’INAIL di restituzione di somme erogate, con riserva, a titolo di indennità di anzianità, ad un proprio dipendente dell’area legale.

La decisione della Consulta

La Consulta ha, anzitutto, ritenuto insussistenti i lamentati vizi di irragionevolezza e irrazionalità, rimarcando come la nozione di stipendio utile alla determinazione dell’indennità di anzianità indicata dal diritto vivente sia, al contrario, coerente con la logica di razionalizzazione che pervade la legge n. 70 del 1975, e, più in generale, con
l’ordinamento del pubblico impiego non contrattualizzato, e rispondente a specifiche esigenze di unificazione del regime giuridico ed economico del personale del parastato, oltre che di controllo e di prevedibilità della spesa pubblica.
È stata esclusa altresì la disparità di trattamento dedotta dal rimettente tra i dipendenti degli enti pubblici appartenenti all’area professionale legale e quelli con qualifica dirigenziale, per il differente status giuridico ed economico delle relative categorie.
Quanto alla censura ex art. 36 Cost., il giudice delle leggi, nel ribadire la propria giurisprudenza secondo la quale l’indennità di anzianità, così come gli altri trattamenti di fine servizio, “integra una forma di retribuzione differita e quindi è presidiata dalle garanzie costituzionali della sufficienza e della proporzionalità alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, ha – tuttavia – precisato che, affinché l’indennità di anzianità possa ritenersi conforme ai canoni costituzionali di sufficienza e di proporzionalità, non deve sussistere una rispondenza pedissequa tra la sua composizione e quella del trattamento economico di attività, tale per cui ogni singola voce della retribuzione debba essere considerata nel trattamento di fine servizio”.
Nel rapporto di lavoro non contrattualizzato, “in cui spetta alla discrezionalità del legislatore individuare, nel rispetto delle garanzie sancite dalla Costituzione, la base retributiva delle singole indennità di fine servizio e la relativa misura, la conformità ai principi espressi dall’art. 36 Cost. deve, invece, ritenersi osservata ove tali indennità esprimano, in proporzione, il trattamento economico fondamentale, che include componenti spettanti in modo fisso e continuativo (stipendio tabellare, incrementi dipendenti dall’anzianità di servizio, assegno per il nucleo familiare, oggi assegno unico)”.
Con riguardo alla “quota onorari”, ha concluso dunque la Corte, la stessa “costituisce un’attribuzione di carattere non fisso, ma accessorio e variabile, che non può, perciò, essere ricompresa nel trattamento economico fondamentale, aggiungendosi alla retribuzione riconosciuta ai legali del parastato, in ragione del loro status di pubblici dipendenti”.

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concorso magistrati

Concorso magistrati: domande entro il 12 maggio Pubblicato sulla GU del 12 aprile, il nuovo concorso, per esami, è destinato a 400 posti di magistrato ordinario

Magistrati: concorso per 400 posti

Pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 30 del 12 aprile 2024 – 4a serie speciale ‘Concorsi ed esami’ – il decreto ministeriale dell’8 aprile 2024 con cui è stato bandito un nuovo concorso, per esami, a 400 posti di magistrato ordinario.

La domanda di partecipazione, da presentarsi entro il 12 maggio 2024, va inviata esclusivamente per via telematica. In particolare, occorre collegarsi al sito www.giustizia.it e autenticarsi – nella sezione dedicata – tramite SPID di secondo livello, Carta di Identità Elettronica oppure Carta Nazionale dei Servizi.

L’indirizzo e-mail indicato dal candidato sarà utilizzato per le notifiche e le successive comunicazioni; la domanda di partecipazione inviata ed il codice identificativo saranno sempre disponibili nell’area riservata del candidato.

Le prove d’esame

Le prove di esame si svolgeranno nelle date, nella sede o nelle sedi di cui al diario contenente la disciplina delle prove scritte che sarà pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 4 giugno 2024.

L’esame consisterà in una prova scritta ed in una orale.

La prova scritta consiste nello svolgimento di tre elaborati teorici vertenti su:

  1. diritto civile;
  2. diritto penale;
  3. diritto amministrativo.

La prova orale invece verterà sulle seguenti materie:

a) diritto civile ed elementi fondamentali di diritto romano;

b) procedura civile;

c) diritto penale;

d) procedura penale;

e) diritto amministrativo, costituzionale e tributario;

f) diritto commerciale e fallimentare;

g) diritto del lavoro e della previdenza sociale;

h) diritto comunitario;

i) diritto internazionale pubblico e privato;

l) elementi di informatica giuridica e di ordinamento giudiziario;

m) colloquio su una lingua straniera scelta fra le seguenti: inglese, francese, spagnolo e tedesco.

Le prove si svolgeranno secondo le procedure previste dall’art. 8 del regio decreto 15 ottobre 1925, n. 1860, e successive modifiche, e dall’art. 3 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, ovvero con modalità telematiche, ai sensi dell’art. 1 comma 2 del decreto legislativo 5 aprile 2006 n. 160.

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bando cassazionisti

Avvocati cassazionisti: pubblicato il bando 2024 E' stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il bando 2024 per l'iscrizione nell'albo speciale per il patrocinio in Cassazione e nelle altre giurisdizioni superiori

Pubblicato in Gazzetta ufficiale (4a serie speciale ‘Concorsi ed esami’ – n. 29 del 9 aprile 2024) il bando 2024 per l’iscrizione nell’albo dei cassazionisti.
La sessione d’esame per l’iscrizione nell’albo speciale per il patrocinio davanti alla Corte di cassazione e alle altre giurisdizioni superiori è stata indetta con provvedimento del Dipartimento degli Affari di giustizia-Direzione generale degli affari interni. 

Il termine di presentazione delle domande di ammissione scade il 7 giugno 2024, seguendo anche le istruzioni per il pagamento tramite la piattaforma PagoPA allegate al decreto.

Con successivo decreto ministeriale sarà nominata la commissione esaminatrice.

 

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bandi Cassa Forense

Cassa Forense: approvati 15 bandi assistenziali 2024 L'ente previdenziale degli avvocati ha approvato per l'anno 2024 quindici bandi assistenziali in continuità con le iniziative degli anni precedenti

Approvazione bandi anno 2024

Il Consiglio di Amministrazione di Cassa Forense sulla scorta della ripartizione dei fondi dell’assistenza ha approvato, per l’anno 2024, n. 15 bandi, in continuità con le iniziative degli anni precedenti. Ne dà notizia l’ente previdenziale degli avvocati sul sito istituzionale, ricordando che “con l’entrata in vigore del Nuovo Regolamento dell’Assistenza, dal 1° gennaio 2024, vengono introdotte nuove disposizioni per la partecipazione ai bandi indetti annualmente da Cassa Forense”.

In particolare, per essere ammessi alla graduatoria dei Bandi assistenziali, l’iscritto deve essere in possesso della regolarità dichiarativa e contributiva al momento della presentazione della domanda. L’irregolarità riscontrata alla presentazione della domanda non potrà essere sanata ai fini della partecipazione allo specifico bando.

I requisiti per partecipare

Nello specifico, per essere ammessi alla graduatoria è richiesto di:

  • essere in regola, alla data di presentazione della domanda, con le prescritte comunicazioni reddituali alla Cassa (Modello 5) per l’intero periodo di iscrizione alla Cassa e per i pensionati dall’anno successivo al pensionamento;
  • essere in regola, alla data di presentazione della domanda, con il pagamento dei contributi previdenziali alla Cassa, sia iscritti a ruolo per gli anni successivi al 2000, sia in fase di riscossione diretta, anche se non oggetto di preventivo accertamento;
  • inoltre, l’art. 1 comma 6, del Nuovo Regolamento stabilisce che il richiedente non può beneficiare di più erogazioni relativa ai bandi 2024 per ciascuna tipologia di bandi (professione, salute e famiglia).

I 15 bandi 2024

In attuazione di tale previsione, il CdA ha stabilito la contestuale pubblicazione sul sito di Cassa Forense dei bandi approvati, per fornire una panoramica complessiva delle prestazioni assistenziali.  I periodi di riferimento sono stati individuati in modo progressivo e scaglionato per evitare la sovrapposizione di più domande di partecipazione rientranti nella stessa tipologia di prestazione.

Con riferimento alle due nuove iniziative contenute nei bandi n. 14/2024 e n. 15/2024 dedicati, rispettivamente, all’assegnazione di contributi per favorire l’esercizio della professione da parte di iscritti con disabilità e all’assegnazione di contributi per attrezzare una sala videoconferenze nello studio legale, sono stati previsti uno stanziamento di 400mila e 500mila euro.

Per il bando n. 14/2024 è previsto un contributo pari al 100% della spesa sostenuta al netto di Iva, fino ad un massimo di € 5.000,00, a titolo di rimborso delle spese sostenute dal 1° gennaio 2024 al 16 settembre 2024, per l’acquisizione di tecnologie e strumenti atti a favorire lo svolgimento dell’attività professionale.

Per il bando n. 15/2024 è previsto, invece, un contributo pari al 50% della spesa complessiva, al netto dell’IVA, sostenuta a partire dalla data di pubblicazione del bando e fino al 30 settembre 2024, per la realizzazione, all’interno dello studio legale, di una sala videoconferenze attrezzata.  I contributi partono da un minimo di 300 euro e non possono superare i 1.500 euro.

Cassa Forense

Cassa Forense Cassa Forense: natura e funzioni dell’ente previdenziale e assistenziale degli avvocati e obbligatorietà dell’iscrizione. La contribuzione e le relative sanzioni

Natura giuridica di Cassa Forense e vigilanza ministeriale

La Cassa Forense è l’organismo che ha la funzione di provvedere alla previdenza e all’assistenza degli avvocati iscritti all’albo.

Istituita nel 1952, ha natura di fondazione di diritto privato ed è sottoposta, per espressa previsione dello Statuto (art. 33) alla vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero dell’economia e delle finanze e del Ministero della giustizia.

Funzioni della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense

Cassa Forense, che ha sede a Roma, gode di autonomia regolamentare e gestionale e, nello specifico, persegue i seguenti scopi istituzionali (art. 2 dello Statuto):

  • assicurare agli avvocati che hanno esercitato la professione con carattere di continuità ed ai loro superstiti un trattamento previdenziale;
  • erogare assistenza a favore degli iscritti e dei loro congiunti, nonché degli altri aventi titolo in base a leggi, regolamenti e Statuto;
  • gestire forme di previdenza integrativa e complementare nell’ambito della normativa vigente.

Obbligatorietà dell’iscrizione a Cassa Forense

Quanto agli iscritti, l’art. 6 dello Statuto di Cassa Forense prevede che siano obbligatoriamente iscritti alla Cassa gli avvocati iscritti in almeno un albo professionale. Possono, inoltre, iscriversi alla Cassa i praticanti iscritti nel relativo registro.

L’obbligatorietà dell’iscrizione degli avvocati alla Cassa è prevista dalla Legge professionale forense (legge n. 247 del 31 dicembre 2012), il cui art. 21 prevede espressamente che “l’iscrizione agli albi comporta la contestuale iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense.”

L’iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense cessa d’ufficio nei seguenti casi:

  • cancellazione dell’avvocato da tutti gli albi professionali;
  • cessazione dell’iscrizione del praticante avvocato dal relativo registro;
  • negli altri casi previsti dai regolamenti (anche a domanda dell’interessato).

È importante evidenziare che, per gli iscritti alla cassa, non è ammessa l’iscrizione ad alcuna altra forma di previdenza, se non su base volontaria e comunque non alternativa alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense.

Cassa Forense: il Modello 5 e le sanzioni

Dall’iscrizione alla Cassa discende, per i professionisti forensi, l’obbligo di versare i contributi previsti dai regolamenti vigenti.

In particolare, gli avvocati sono tenuti annualmente al versamento dei contributi minimi obbligatori, che sono dovuti indipendentemente dall’entità del proprio reddito professionale. Tali contributi sono il contributo minimo soggettivo, il contributo integrativo e il contributo di maternità.

Gli avvocati sono inoltre tenuti all’invio, entro il 30 settembre di ogni anno, del cosiddetto Modello 5, una comunicazione telematica obbligatoria con cui il professionista rende noto alla Cassa il reddito netto professionale dichiarato ai fini Irpef ed il volume d’affari dichiarato a fini IVA.

Con il Modello 5, l’avvocato procede, altresì, all’autoliquidazione degli eventuali contributi dovuti, da versarsi in unica soluzione entro il 31 luglio, o in due rate dello stesso importo, entro il 31 luglio ed entro il 31 dicembre di ogni anno. Contestualmente all’invio del Modello 5, il software predisposto da Cassa Forense calcola automaticamente gli eventuali contributi in autoliquidazione dovuti in eccedenza rispetto ai contributi minimi obbligatori.

Gli avvocati iscritti alla Cassa possono, inoltre, versare somme a titolo di contribuzione modulare volontaria, che permettono al professionista di costituire una quota di pensione aggiuntiva a quella di base. La contribuzione modulare volontaria può consistere in un versamento annuale facoltativo, dall’ 1 al 10% del reddito professionale Irpef dichiarato.

Il Regolamento di Cassa Forense prevede, infine, un articolato sistema sanzionatorio, che viene applicato in caso di mancato o ritardato adempimento degli obblighi previdenziali, sia dichiarativi sia contributivi, e che comporta l’applicazione di sanzioni pecuniarie e disciplinari.

avvocati monocommittenti

Avvocati monocommittenti Gli avvocati monocommittenti svolgono la propria attività esclusivamente in favore di un unico soggetto: il dibattito sulla compatibilità con la legge professionale

La monocommittenza nella professione forense

Il tema dell’attività lavorativa svolta dagli avvocati monocommittenti è, in questi mesi, al centro del dibattito giuridico e politico, poiché è sempre più avvertita l’urgenza di offrire un adeguato inquadramento normativo a tale figura.

Attualmente, infatti, da un lato si considera l’attività dell’avvocato monocommittente – cioè, il professionista forense che fornisce la totalità delle sue prestazioni ad unico soggetto – come non rispettosa dei principi deontologici di libertà, autonomia e indipendenza.

Dall’altro, tali avvocati, che di solito instaurano questo genere di rapporto nell’ambito di uno studio legale strutturato, sono sprovvisti delle tutele garantite dall’ordinamento ai lavoratori subordinati, pur esercitando un tipo di attività per molti versi simile a quella svolta da questi ultimi.

Le proposte di legge sulla monocommittenza degli avvocati

Sono ormai diversi anni che la formalizzazione della figura degli avvocati monocommittenti è all’ordine del giorno sull’agenda politico-legislativa, senza, però, che finora si sia raggiunto un risultato concreto.

È un fatto assodato, però, che sia gli enti esponenziali degli interessi del ceto forense, sia la classe politica si siano ormai resi conto che la regolarizzazione di tale modalità di svolgimento dell’attività forense rappresenta un’urgenza improcrastinabile.

Sul tavolo, infatti, c’è innanzitutto la necessità di fornire le indispensabili tutele normative a questa categoria di lavoratori che si stima superi ormai le 20.000 unità all’interno del nostro territorio nazionale.

Tale dato è ricavato dalle dichiarazioni dei redditi ricevute da Cassa Forense, dalla cui analisi si evince che una percentuale tra il 5 e il 10% di chi esercita la professione di avvocato in Italia ha dichiarato di percepire la totalità o la quasi totalità del proprio reddito dall’avvocato titolare dello studio presso cui operano.

Avvocati monocommittenti: l’esigenza di tutele lavorative

Uno dei nodi principali della questione è rappresentato dal divieto di svolgere lavoro subordinato imposto dalla normativa sulla disciplina dell’ordinamento forense, a tutela dell’indipendenza dell’avvocato (cfr. art. 2 della l. n. 247 del 2012).

Già nel 2020, una proposta di legge si proponeva di offrire una soluzione alla questione in oggetto, prevedendo che all’avvocato monocommittente fosse riconosciuto un compenso congruo e proporzionato da corrispondersi periodicamente, a fronte di un’attività non considerabile come subordinata, ma comunque contrattualmente disciplinata nei suoi aspetti principali, a cominciare dall’indicazione della durata del rapporto. La proposta  prevedeva, inoltre, specifiche disposizioni in tema di contributi previdenziali a carico, almeno parzialmente, del titolare dello studio e di tutele del lavoratore in caso di gravidanza e infortuni.

L’abolizione del divieto di svolgimento di lavoro subordinato da parte dell’avvocato presso uno studio di un diverso professionista è stata al centro anche della proposta di legge n. 735 nel 2022.

Il Ministro Nordio sulla monocommittenza forense

Il tema è stato poi ripreso ancor più di recente, ed anche Cassa Forense ha rappresentato l’urgenza della questione, sollecitando il Parlamento sull’esigenza di una disciplina in tema di monocommittenza in ambito forense.

Da ultimo, sul tema si è registrata l’apertura da parte del Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, il quale ha riconosciuto che “si avverte la necessità di regolamentare la monocommittenza”, pur nel pieno rispetto dei principi di libertà, autonomia e indipendenza che devono caratterizzare la figura dell’avvocato nello svolgimento della sua attività.

Sulla stessa linea si è espresso il Consiglio Nazionale Forense, evidenziando che la regolamentazione dell’attività degli avvocati monocommittenti deve inserirsi in una riscrittura generale della legge professionale che riguardi ogni forma di aggregazione professionale come le società tra avvocati.

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