procedimento disciplinare

Avvocati: ok cancellazione durante il procedimento disciplinare La Consulta dichiara incostituzionale il divieto di cancellazione dall'albo degli avvocati durante il procedimento disciplinare

Cancellazione avvocati procedimento disciplinare

Con la sentenza n. 70 del 2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale della norma contenuta nella legge professionale forense che vieta all’avvocato sottoposto a procedimento disciplinare di richiedere la cancellazione dall’albo professionale.

Libertà professionale e autodeterminazione

La questione è sorta nell’ambito di un giudizio dinanzi alle Sezioni unite della Cassazione, relativo al rigetto da parte del Consiglio dell’Ordine dell’istanza di cancellazione presentata da un avvocato affetto da gravi patologie, per via della pendenza di più procedimenti disciplinari a suo carico.

La Corte ha chiarito che il divieto di cancellazione, pur finalizzato a impedire che la rinuncia all’iscrizione possa neutralizzare l’efficacia dell’azione disciplinare, comprime in modo eccessivo diritti costituzionali fondamentali:

  • la libertà di autodeterminazione (art. 2 Cost.),

  • il diritto al lavoro e alla sua cessazione o trasformazione (art. 4 Cost.),

  • e il principio di proporzionalità (art. 3 Cost.).

In particolare, la norma ostacola la possibilità di accedere a prestazioni previdenziali o assistenziali che richiedono la cancellazione, e limita la libertà di avviare una diversa attività lavorativa non compatibile con la permanenza nell’albo.

Nessuna giustificazione per la compressione dei diritti

La Consulta ha ritenuto che, pur essendo legittimo l’obiettivo di garantire l’azione disciplinare, questo può essere perseguito attraverso strumenti meno invasivi. L’attuale disposizione non è la misura meno restrittiva dei diritti fondamentali e, pertanto, viola il principio di ragionevolezza e proporzionalità.

Effetti della pronuncia e ruolo del legislatore

La sentenza chiarisce che, in assenza di una disciplina sostitutiva, la cancellazione volontaria in pendenza di procedimento determina l’estinzione dello stesso. Tuttavia, l’azione disciplinare potrà essere riattivata in caso di richiesta di reiscrizione, purché non prescritta.

La Corte invita infine il legislatore a intervenire con una nuova norma che, pur salvaguardando l’efficacia dell’azione disciplinare, rispetti i diritti fondamentali dell’avvocato in linea con i parametri costituzionali.

contributo unificato

Contributo unificato errato? Scatta la compensazione delle spese La Cassazione chiarisce che un errore nella determinazione del contributo unificato da parte dell'avvocato può giustificare la compensazione delle spese processuali

Contributo unificato errato e spese processuali

Un errore nella determinazione del contributo unificato può giustificare la compensazione integrale delle spese processuali. A stabilirlo è la Cassazione, terza sezione civile, con l’ordinanza n. 13145/2025, depositata il 20 maggio 2025.

La vicenda processuale

Nel giudizio d’appello, la parte ricorrente aveva erroneamente indicato come valore della controversia la somma di € 1.200,71, ai fini del pagamento del contributo unificato. Secondo la ricorrente, tale importo non avrebbe dovuto influenzare il valore effettivo della domanda. Riteneva che la liquidazione delle spese fosse stata operata su un errato scaglione tariffario.

Tuttavia, la Corte aveva condannato la parte a rimborsare € 1.378, oltre accessori. La ricorrente chiedeva invece che fosse applicato lo scaglione inferiore (fino a € 1.100), con liquidazione delle spese pari a € 332 oltre CPA, IVA e accessori.

Il principio di diritto espresso dalla Cassazione

Secondo la S.C., la dichiarazione del difensore relativa al contributo unificato non incide sul valore della causa, trattandosi di un’informazione rivolta al funzionario di cancelleria. Però, qualora l’indicazione erronea del valore sia tale da indurre in errore il giudice nella liquidazione delle spese, può costituire una “grave ed eccezionale ragione” per disporre la compensazione delle spese processuali, ex art. 92, comma 2, c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis.

La Corte ha inoltre ribadito che, ai fini della determinazione del valore della causa:

  • in primo grado, rileva la somma domandata o accordata;

  • in appello, conta solo la parte della pretesa ancora oggetto di contestazione o l’eventuale differenza accordata rispetto alla sentenza impugnata.

Nel caso concreto, la Cassazione ha accolto il ricorso in relazione al capo relativo alle spese del giudizio di appello, rideterminando i compensi per le quattro fasi indicate nel D.M. parametri forensi, oltre accessori.

Tuttavia, nonostante l’accoglimento parziale del ricorso, le spese del giudizio di legittimità sono state integralmente compensate. Secondo la Corte, non è equo che i costi dell’impugnazione, resa necessaria da un errore della parte, gravino sulla controparte che non ha nemmeno resistito all’impugnazione stessa.

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reti tra avvocati

Reti tra avvocati: cosa prevede la riforma forense Reti tra avvocati e reti multidisciplinari: cosa sono, come funzionano, autonomia degli avvocati e disciplina applicabile

Riforma Ordinamento Forense: la novità delle reti

La riforma dell’ordinamento forense 2025 prevede diversi punti di novità per gli avvocati. Una delle norme più interessanti da analizzare e comprendere è contenuta nell’articolo 15 della bozza del 15 aprile 2025 intitolato  Reti tra avvocati e reti multidisciplinari”. La disciplina delle reti però, nella sua completezza, è individuabile anche in altri articoli della Riforma. Ne è un esempio l’articolo 7 che impone il segreto professionale a tutti i componenti della rete professionale.

Reti tra avvocati e reti multidisciplinari: definizione

In base all’art 15 sopra menzionato la professione forense può essere esercitata in forma di rete, che può essere composta solo da avvocati o includere altre figure professionali. Nelle reti multidisciplinari devono esserci però almeno due avvocati iscritti all’albo. Gli altri professionisti possono partecipare alla rete, a condizione che siano anch’essi regolarmente iscritti ai propri albi.

I professionisti ammessi alla rete devono appartenere nello specifico alle categorie definite dal Ministro della Giustizia con il decreto n. 23 del 4 febbraio 2016.

Reti tra avvocati e multidisciplinari: albo

I contratti di rete tra avvocati devono essere iscritti in una sezione apposita dell’albo dell’ordine forense in cui ha sede la rete. Il contratto deve indicare la sede principale. In ogni caso la rete può avere anche sedi secondarie. L’avvocato che decide di partecipare alla rete deve informare il suo Ordine di appartenenza, se questo è diverso da quello in cui si trova il centro principale degli affari.

Costituzione e funzionamento della rete

Quando si costituisce una rete tra avvocati o una rete multidisciplinare è necessaria la presenza di un organo comune e di un fondo patrimoniale. Queste reti possono avere inoltre soggettività giuridica, se il contratto è stipulato formalmente con atto pubblico o con una scrittura privata autenticata. Il contratto inoltre deve essere iscritto in una sezione speciale dell’albo tenuto dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati e degli altri ordini professionali coinvolti. La registrazione deve avvenire nel circondario in cui ha sede la rete.

Autonomia, libertà e obblighi avvocati aderenti

Anche se l’avvocato aderisce alla rete l’incarico professionale è sempre dato personalmente. Partecipare a una rete non priva il libero professionista della propria autonomia. L’avvocato deve restare sempre libero e indipendente nel suo giudizio e nello svolgimento dell’incarico. Ogni accordo contrario è nullo.

Un avvocato inoltre può partecipare anche a più di una rete e queste possono essere tra soli avvocati o di natura multidisciplinare.

L’attività professionale svolta tramite le reti crea infine precisi obblighi, ma anche diritti di natura previdenziale, come stabiliti dalle leggi in materia.

Accesso delle reti ad appalti privati

Le reti di avvocati o di natura multidisciplinare possono partecipare a incarichi e appalti privati, così come previsto dall’articolo 12, comma 3, della legge 12 maggio 2017, n. 81.

La disposizione prevede infatti che Al fine di consentire la partecipazione ai bandi e concorrere all’assegnazione di incarichi e appalti privati, è riconosciuta ai soggetti che svolgono attività professionale, a prescindere dalla forma giuridica rivestita, la possibilità:

  1. di costituire reti di esercenti la professione e consentire agli stessi di partecipare alle reti di imprese, in forma di reti miste, di cui all’articolo 3, commi 4-ter e seguenti, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, con accesso alle relative provvidenze in materia;
  2. di costituire consorzi stabili professionali;
  3. di costituire associazioni temporanee professionali, secondo la disciplina prevista dall’articolo 48 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, in quanto compatibile.”

Reti tra avvocati e multidisciplinari: normativa

Alle reti di avvocati o multidisciplinari si applica l’articolo 3, commi 4-ter e 4-quater, del decreto legge 10 febbraio 2009 n. 5, se è compatibile. Trattasi della disciplina dei contratti di rete tra imprese.

Le reti con soggettività giuridica possono accedere infine a procedure specifiche del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza su specifica richiesta.

 

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avvocato imputato

L’avvocato imputato non può difendersi da solo La Cassazione stabilisce che l’avvocato imputato non può difendersi da solo in un processo penale: serve sempre un difensore terzo

Autodifesa avvocato imputato

Avvocato imputato: con l’ordinanza n. 18353/2025, la quinta sezione penale della Corte di Cassazione penale ha riaffermato un principio consolidato: l’autodifesa tecnica non è ammessa nel processo penale, nemmeno quando l’imputato è un avvocato iscritto all’albo speciale per il patrocinio in Cassazione. In caso di accusa penale, anche il legale indagato deve nominare un difensore terzo, non potendo rappresentarsi autonomamente in giudizio.

Il caso: autodifesa cassazionista accusata di stalking

La pronuncia trae origine dal ricorso presentato da un’avvocata cassazionista imputata per atti persecutori nei confronti dell’ex coniuge e della figlia. La donna aveva proposto ricorso personalmente, senza la nomina di un difensore, invocando il proprio diritto all’autodifesa come previsto, in via generale, dall’art. 13, comma 1, della legge n. 247/2012 (ordinamento forense).

Tuttavia, la Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso, rilevando la mancanza di un difensore formalmente nominato, condizione necessaria nei procedimenti penali.

Nessuna autodifesa tecnica nel processo penale

La Corte ha precisato che nel processo penale l’autodifesa non è ammessa in forma esclusiva. Sebbene l’art. 13, comma 1, della legge forense consenta all’avvocato di agire in proprio, tale disposizione non trova applicazione automatica nel giudizio penale, dove vigono regole speciali a tutela dell’effettività del diritto di difesa. L’articolo citato, infatti, deve essere coordinato con le specifiche norme procedurali di ciascun rito.

In particolare, nel procedimento penale, è essenziale garantire terzietà, oggettività e distacco nella strategia difensiva, obiettivi che sarebbero compromessi dalla coincidenza tra imputato e difensore. L’assenza di un filtro critico rispetto alla propria posizione può compromettere l’efficace contrapposizione tra difesa e accusa, principio cardine del giusto processo ex art. 111 Cost.

Incompatibilità con la logica del processo penale

La Cassazione esclude espressamente ogni interpretazione estensiva dell’art. 13 legge 247/2012 e dell’art. 86 c.p.c., quest’ultimo relativo esclusivamente al processo civile, dove è consentito alla parte munita dei requisiti di stare in giudizio senza il ministero di altro difensore. In ambito penale, al contrario, la natura degli interessi coinvolti, potenzialmente afflittivi per la libertà personale, impone la presenza di una difesa tecnica autonoma, distinta dalla persona dell’imputato.

La previsione non è soltanto formale: è funzionale a evitare conflitti interni e a preservare l’obiettività del contraddittorio, garantendo così i diritti dell’imputato in una prospettiva pienamente difensiva.

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consigliere forense

Il Consigliere forense deve essere diligente e imparziale Il CNF chiarisce i doveri di imparzialità e indipendenza del Consigliere forense, ribadendo le responsabilità disciplinari

Adempimento incarico di Consigliere forense

Consigliere Forense: la sentenza n. 390/2024 del CNF, pubblicata il 4 maggio 2025 sul sito del Codice deontologico, affronta il tema dell’adempimento degli incarichi istituzionali da parte degli avvocati membri delle istituzioni forensi, sottolineando l’importanza dei principi di diligenza, indipendenza e imparzialità.

Il caso esaminato

Il procedimento disciplinare ha riguardato un avvocato che, in qualità di Consigliere dell’Ordine degli Avvocati (COA) di [OMISSIS], ha compiuto una serie di azioni ritenute in contrasto con i doveri deontologici. Tra le condotte contestate:

  1. Aver indotto il COA a deliberare l’iscrizione di oltre duecento avvocati rumeni con titoli rilasciati dalla cosiddetta “struttura Bota”, nonostante la consapevolezza dell’illegittimità della procedura, derivante da precedenti sentenze e circolari del CNF.

  2. Aver promosso, pur rivestendo la carica di Consigliere del COA, una causa risarcitoria contro lo stesso Consiglio, in nome e per conto di terzi.

  3. Aver assunto il patrocinio, davanti al CNF, di numerosi iscritti alla Sezione Speciale per l’impugnazione delle delibere di cancellazione dall’Albo, nonostante il conflitto di interessi derivante dalla sua posizione istituzionale. 

  4. Aver consentito che presso il proprio studio avesse sede un’associazione costituita per difendere gli interessi degli avvocati abilitati presso la “struttura Bota”, in contrapposizione ai deliberati del COA.

La decisione del CNF

Il CNF ha confermato la responsabilità disciplinare dell’avvocato per le condotte sopra descritte, ritenendo che esse violino l’art. 69, comma 1, del Codice Deontologico Forense (CDF), il quale impone agli avvocati chiamati a far parte delle istituzioni forensi di adempiere l’incarico con diligenza, indipendenza e imparzialità.

Inoltre, il CNF ha evidenziato che la violazione dell’art. 69 CDF non esclude la concorrente responsabilità disciplinare per la violazione di principi generali contenuti nel Titolo I del CDF, ai sensi dell’art. 20 CDF. Nel caso di specie, è stata riscontrata anche la violazione dell’art. 9 CDF, relativo ai doveri di probità, dignità, decoro e indipendenza. 

Responsabilità professionale dell'avvocato

La responsabilità professionale dell’avvocato Responsabilità professionale dell’avvocato: cos'è, quando si configura, doveri dell'avvocato e Cassazione

Cos’è la responsabilità dell’avvocato

La responsabilità professionale dell’avvocato rappresenta un ambito fondamentale nel diritto civile e deontologico, essendo strettamente legata alla corretta esecuzione del mandato professionale conferito dal cliente. Il rapporto tra avvocato e assistito è regolato da regole codificate e principi giurisprudenziali, che delineano con precisione i limiti dell’obbligazione e i presupposti dell’eventuale responsabilità civile, disciplinare e penale.

La responsabilità professionale dell’avvocato si configura quando, nell’esercizio della sua attività, l’avvocato viola i doveri di diligenza, perizia o correttezza, arrecando un danno ingiusto al proprio cliente. Tale responsabilità può dar luogo a:

  • responsabilità civile, con obbligo risarcitorio;
  • responsabilità disciplinare, per violazione delle norme deontologiche;
  • responsabilità penale, in caso di comportamenti integranti fattispecie di reato (es. patrocinio infedele, truffa, falso ideologico).

Quando scatta la responsabilità dell’avvocato

La responsabilità dell’avvocato sorge quando la condotta professionale si discosta in modo significativo dallo standard richiesto a un professionista medio.

L’articolo 2236 c.c chiarisce però che “Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave.”

I casi tipici di responsabilità si configurano in presenza delle seguenti condotte:

  • mancata proposizione di un’impugnazione nei termini;
  • errata redazione di atti processuali;
  • omessa informazione al cliente sugli sviluppi della causa;
  • violazione dei doveri di lealtà e correttezza verso la controparte o il giudice;
  • inadempimento dell’obbligo di aggiornamento professionale.

L’onere della prova grava sul cliente che, per ottenere il risarcimento, dovrà dimostrare:

  1. l’inadempimento dell’avvocato;
  2. il danno subito;
  3. il nesso causale tra l’inadempimento e il pregiudizio subito.

I doveri dell’avvocato

L’avvocato, nell’esercizio della sua professione, è tenuto al rispetto di precisi doveri professionali, codificati sia dalla legge ordinaria sia dal Codice Deontologico Forense (approvato dal Consiglio Nazionale Forense).

Tra i principali doveri ricordiamo:

  • dovere di diligenza: curare con attenzione e precisione ogni aspetto del mandato;
  • dovere di competenza: possedere adeguate conoscenze tecniche e aggiornarsi costantemente;
  • dovere di lealtà e probità: comportarsi con correttezza verso il cliente, la controparte e l’autorità giudiziaria;
  • dovere di informazione: comunicare tempestivamente al cliente gli sviluppi della causa e le possibili conseguenze delle sue scelte;
  • dovere di riservatezza: mantenere il segreto professionale su fatti e informazioni appresi nell’esercizio del mandato.

L’inosservanza di tali doveri può dar luogo a responsabilità disciplinare, oltre che civile, e comportare sanzioni da parte del Consiglio dell’Ordine.

Obbligazione di mezzi e non di risultato

Un principio cardine in tema di responsabilità dell’avvocato è quello secondo cui la sua prestazione è un’obbligazione di mezzi e non di risultato. Ciò significa che l’avvocato non è tenuto a garantire l’esito favorevole della causa, ma ha l’obbligo di impiegare tutti i mezzi giuridici e tecnici adeguati, conformemente alla diligenza richiesta al professionista medio della categoria.

Limiti e condizioni della responsabilità

Non ogni errore comporta responsabilità. Per configurare la colpa professionale è necessario che l’errore:

  • sia rilevante e determinante ai fini della decisione giudiziaria;
  • non sia imputabile a cause esterne (es. comportamento scorretto del cliente, evento imprevedibile, errore del giudice non impugnabile).

Inoltre, l’azione risarcitoria nei confronti dell’avvocato è soggetta al termine di prescrizione di 10 anni, decorrente, secondo l’orientamento prevalente, dal momento in cui il cliente ha consapevolezza del danno e della sua riferibilità alla condotta del legale.

Responsabilità professionale dell’avvocato: Cassazione

Cassazione n. 475/2025: la responsabilità professionale degli avvocati esige una valutazione scrupolosa delle specifiche circostanze, escludendo meccanismi di risarcimento automatici. L’affermazione di responsabilità in capo al legale presuppone la dimostrazione inequivocabile che la sua condotta abbia generato un pregiudizio effettivo e suscettibile di quantificazione economica; in assenza di tale prova di un danno concreto e quantificabile, non si può configurare alcuna responsabilità risarcitoria.

Cassazione n. 469/2025: quando un cliente viene pienamente informato, comprende le diverse opzioni difensive disponibili e sceglie consapevolmente una strategia, tale decisione condivisa non può successivamente costituire motivo di responsabilità professionale per l’avvocato. In altre parole, se la linea difensiva è frutto di una decisione ponderata e accettata dal cliente dopo aver ricevuto adeguate spiegazioni, quest’ultimo non potrà in seguito contestare l’operato del legale basandosi su quella specifica scelta strategica.

Cassazione n. 28903/2024: Nel giudizio di responsabilità dell’avvocato per negligenza professionale, la valutazione prognostica sull’esito probabile di un’azione giudiziale (che avrebbe dovuto essere intrapresa o diligentemente seguita) e l’accertamento del nesso di causalità tra l’omissione dell’avvocato e il potenziale risultato favorevole per il cliente, rientrano nella valutazione di merito del giudice di merito.  Di conseguenza, tale valutazione prognostica non è sindacabile in sede di legittimità.

 

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azione disciplinare avvocati

Azione disciplinare avvocati: prescrizione dall’atto denigratorio La Cassazione a Sezioni unite rammenta che l’illecito per l’avvocato che offende è istantaneo per cui la prescrizione dell’azione disciplinare decorre dall’atto denigratorio

Azione disciplinare avvocati

Con la sentenza n. 6549/2025, le Sezioni Unite Civili della Cassazione hanno risolto un contrasto giurisprudenziale in tema di prescrizione dell’azione disciplinare nei confronti degli avvocati.

Il caso: denigrazione colleghi e disciplinare

La vicenda trae origine da un esposto disciplinare presentato nei confronti di un avvocato, accusato di aver denigrato pubblicamente un collega attraverso affermazioni ritenute lesive della sua reputazione.

L’azione disciplinare era stata promossa a distanza di oltre tre anni dall’episodio contestato. L’incolpato, eccependo l’intervenuta prescrizione, contestava la tardività del procedimento. Tuttavia, il Consiglio nazionale forense aveva rigettato l’eccezione, ritenendo che il termine decorresse non dalla data dell’atto denigratorio, ma dalla scoperta del fatto da parte dell’autorità disciplinare.

La questione rimessa alle Sezioni Unite

La Corte di cassazione, rilevato un contrasto tra pronunce precedenti sull’individuazione del dies a quo della prescrizione disciplinare, ha rimesso la questione alle Sezioni Unite, le quali si sono espresse nel senso della decorrenza oggettiva del termine.

La prescrizione decorre dall’atto denigratorio

La Corte ha affermato il seguente principio: “In tema di procedimento disciplinare forense, la prescrizione dell’azione decorre dalla data di commissione del fatto, e non dal momento della sua conoscenza da parte dell’organo disciplinare, anche quando si tratti di condotte a carattere diffamatorio tra colleghi.”

Secondo le Sezioni Unite, la norma contenuta nell’art. 51, comma 2, L. n. 247/2012 stabilisce in modo chiaro che il termine di prescrizione è di cinque anni e decorre dalla commissione del fatto illecito, senza introdurre eccezioni analoghe a quelle previste per i reati penali in materia di reati occulti o permanenti.

Tutela dell’affidamento e certezza del diritto

La Corte ha ritenuto che una diversa interpretazione, fondata sul momento della conoscibilità soggettiva del fatto da parte dell’organo procedente, si porrebbe in contrasto con i principi di certezza del diritto, affidamento legittimo dell’incolpato e tutela del giusto processo, oltre a risultare priva di base normativa.

Viene ribadito che il procedimento disciplinare, pur avendo natura amministrativa, non può essere soggetto a criteri estensivi di decorrenza della prescrizione, pena la violazione del principio di legalità e della parità delle parti nel procedimento.

Nella motivazione si legge: “L’interpretazione che faccia decorrere il termine prescrizionale da un momento diverso da quello della commissione del fatto rischia di tradursi in una dilatazione indeterminata della responsabilità disciplinare, con effetti lesivi della stabilità del rapporto professionale.”

Applicando tale principio, le Sezioni Unite hanno annullato la decisione del CNF e dichiarato estinta per prescrizione l’azione disciplinare, rilevando che il fatto denigratorio si era verificato nel 2019, mentre il procedimento era stato avviato soltanto nel 2023, oltre il termine massimo di cinque anni.

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segnalazioni magistrati e personale

Segnalazioni magistrati e personale: attiva la piattaforma Attiva la nuova piattaforma dell'ordine degli Avvocati di Milano che consente di effettuare segnalazioni su magistrati e personale amministrativo

Segnalazioni magistrati e personale

Segnalazioni magistrati e personale: l’Ordine degli Avvocati di Milano ha messo a disposizione una nuova piattaforma online per l’invio di segnalazioni riguardanti l’operato dei magistrati e del personale amministrativo degli Uffici Giudiziari milanesi.

Questo strumento innovativo è pensato per migliorare l’efficienza del sistema giudiziario, offrendo agli avvocati e praticanti abilitati la possibilità di segnalare sia disfunzioni sia comportamenti virtuosi riscontrati nell’attività quotidiana presso i tribunali del distretto.

Finalità della piattaforma

La piattaforma consente l’invio di:

  • segnalazioni critiche, come ritardi, inefficienze o atteggiamenti non conformi alla funzione giurisdizionale;

  • segnalazioni positive, finalizzate a valorizzare esempi di buona prassi e professionalità da parte di magistrati o personale amministrativo.

Le segnalazioni devono essere circostanziate e riferirsi a episodi concreti, rilevanti sotto il profilo della professionalità, imparzialità o della competenza giuridica.

Il contesto normativo e il ruolo dell’Ordine

A seguito della recente riforma dell’ordinamento giudiziario, l’Ordine può tenere conto delle segnalazioni ricevute:

  • per dialogare con i responsabili degli uffici giudiziari, ove emergano problematiche significative;

  • per formulare osservazioni sul profilo professionale dei magistrati, rilevanti ai fini di nomine e conferme di incarichi direttivi.

Una commissione consiliare valuterà il contenuto delle segnalazioni. Quelle fondate e rilevanti saranno eventualmente inoltrate ai capi degli uffici giudiziari competenti.

Riservatezza e accesso alla piattaforma

Tutti i dati personali raccolti tramite la piattaforma sono trattati nel rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali (Regolamento UE 2016/679), garantendo riservatezza, correttezza e trasparenza.

Per accedere al servizio è necessario autenticarsi tramite le credenziali dell’area riservata del sito dell’Ordine degli Avvocati di Milano. Il portale, il regolamento d’uso e le informative privacy sono disponibili al seguente link ufficiale:
Accedi alla piattaforma segnalazioni

obbligo di informativa avvocato

L’avvocato deve informare il cliente sull’utilizzo dell’AI Obbligo di informativa avvocato se utilizza strumenti di intelligenza artificiale per lo svolgimento dell’attività professionale

Ddl intelligenza artificiale: obbligo avvocato

Obbligo di informativa avvocato: con l’approvazione in Senato del disegno di legge delega sull’Intelligenza Artificiale, ora all’esame della Camera, emerge l’argomento di rilievo dell’obbligo di informativa al cliente sull’utilizzo dell’AI.

L’Italia grazie alla normativa europea e a quella interna in fase di definizione, compie un passo significativo verso la regolamentazione dell’uso dell’AI nei settori chiave della società, tra cui quello delle professioni intellettuali.

Tra i punti centrali della normativa, l’articolo 13 introduce infatti obblighi specifici per avvocati e professionisti in merito all’impiego dell’intelligenza artificiale, stabilendo principi di trasparenza, supervisione e centralità dell’intervento umano.

Ruolo dell’AI nelle professioni forensi

L’articolo 13 del disegno di legge stabilisce in modo inequivocabile che l’intelligenza artificiale può essere utilizzata solo per attività strumentali e di supporto all’attività professionale. Questo significa che le decisioni, le valutazioni e l’elaborazione intellettuale restano prerogativa esclusiva del professionista umano.

Il testo chiarisce infatti che il “pensiero critico umano” deve sempre prevalere, e ciò vale anche sotto il profilo qualitativo della prestazione, garantendo così che l’uso dell’AI non svuoti di contenuto il lavoro dell’avvocato.

La norma si riferisce infatti agli articoli 2229-2238 del codice civile, che regolano il contratto di prestazione d’opera intellettuale. In questo contesto, l’articolo 2230 estende, dove applicabili, le norme sul contratto d’opera in generale (articoli 2222-2228). Quindi, l’articolo 13 riguarda specificamente i contratti per prestazioni d’opera intellettuale e non si applica ad accordi come i contratti di edizione, che riguardano la cessione o l’utilizzo di opere intellettuali già create senza un incarico specifico. Queste ultime rimangono escluse quindi dalle limitazioni previste dalla norma.

Obbligo di informativa chiara e trasparente  

Uno degli aspetti più innovativi e delicati della riforma è, come anticipato, l’introduzione dell’obbligo di informativa verso il cliente. L’avvocato che intende avvalersi di sistemi di AI nell’esecuzione del mandato deve comunicarlo in modo esplicito, utilizzando un linguaggio chiaro, semplice e completo. Questo obbligo non è soltanto una nuova previsione normativa, ma si pone in continuità con i principi già sanciti dal Codice deontologico forense, che impone doveri di trasparenza, competenza e correttezza nella comunicazione col cliente.

In attesa dell’entrata in vigore definitiva della norma, è auspicabile che gli studi legali provvedano ad aggiornare i propri modelli di incarico indicando al loro interno se e in quale fasi è previsto l’utilizzo di strumenti AI, quali misure sono adottate per tutelare la privacy dei clienti, con particolare riferimento ai dati sensibili e la garanzia che l’impiego dell’intelligenza artificiale è comunque sottoposto al controllo e alla supervisione del personale umano.

Tali indicazioni rappresentano un passo necessario per mantenere integro il rapporto fiduciario tra avvocato e assistito, che è alla base della professione forense.

Cultura dell’AI nel mondo legale

Oltre all’obbligo di informativa, il disegno di legge coinvolge gli Ordini professionali nella promozione di corsi di formazione sull’AI. L’obiettivo è duplice: da un lato garantire un uso competente e responsabile delle nuove tecnologie, dall’altro favorire una cultura professionale in grado di integrare l’innovazione senza rinunciare all’etica e alla qualità della prestazione.

Considerazioni conclusive

L’introduzione dell’obbligo di informativa sull’uso dell’intelligenza artificiale rappresenta un punto di equilibrio tra innovazione e responsabilità. Per gli avvocati, si apre una nuova fase in cui sarà essenziale saper governare strumenti sempre più potenti, mantenendo però saldi i principi fondamentali della professione. La trasparenza verso il cliente non sarà solo un dovere legale, ma anche un’opportunità per rafforzare la fiducia e la qualità del servizio offerto.

gratuito patrocinio

Gratuito patrocinio: iscrizione a ruolo con la sola istanza Gratuito patrocinio: per l'iscrizione a ruolo è sufficiente l'istanza di ammissione protocollata

Istanza gratuito patrocinio e iscrizione a ruolo

Con la circolare del 24 aprile 2025, protocollo n. 81673.U, la Direzione Generale degli Affari Interni del Dipartimento per gli Affari di Giustizia ha fornito importanti chiarimenti sulla procedura di iscrizione a ruolo nei casi di deposito dell’istanza di ammissione al patrocinio gratuito, priva della delibera di ammissione del Consiglio dell’Ordine. Si chiede alla direzione di chiarire in sostanza se si può procedere all’iscrizione della causa a ruolo con la sola istanza depositata, che deve essere  protocollata presso il Consiglio dell’Ordine competente.

Normativa sul gratuito patrocinio a spese dello Stato

Per fornire una risposta coerente con il quadro normativo e giurisprudenziale la Direzione richiama il Testo Unico sulle Spese di Giustizia che contiene anche la disciplina sull’ammissione al patrocinio gratuito. La normativa prevede in particolare che l’’interessato debba presenta l’istanza al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati competente, ossia quello del luogo dove ha sede il magistrato della causa, che decide sull’istanza entro dieci giorni dal deposito. E’ l’articolo 126 del D.P.R. n. 115/2002 a stabilire questo termine.

La Direzione rileva tuttavia che il termine di dieci giorni non viene sempre rispettato. Finora, infatti l’iscrizione a ruolo è stata effettuata con la sola istanza protocollata, con la riserva di provvedere al deposito del provvedimento di accoglimento successivamente. La Direzione Generale della Giustizia Civile del resto aveva implicitamente confermato questa prassi con la nota prot. DAG 103148.U del 14.07.2015.

Obbligo contributo unificato per l’iscrizione a ruolo

La Legge di Bilancio per il 2025 poi ha introdotto nuove disposizioni per cui è lecito domandarsi  se la prassi sia ancora valida. La legge n. 207/2024 ha previsto infatti l’obbligatorietà del versamento del contributo unificato minimo di 43,00 euro. Un importo minore è previsto infatti solo per specifici procedimenti.

Patrocinio gratuito, difesa e iscrizione a ruolo

La Direzione Generale risponde al quesito sottolineando prima di tutto come il diritto di accesso alla difesa sia fondamentale. La Costituzione lo garantisce all’articolo 24 ed eventuali ritardi nella valutazione dell’istanza di patrocinio non possono pregiudicare questo diritto. Se il ritardo non è imputabile alla parte, l’ufficio giudiziario deve procedere all’iscrizione a ruolo anche con la sola istanza di ammissione purché regolarmente depositata e protocollata dal Consiglio dell’Ordine competente.

La Cassazione sulla retroattività

Del resto la Suprema Corte di Cassazione di recente si è espressa sulla retroazione del provvedimento di ammissione con la sentenza la n. 6888/2025, chiarendo un principio di diritto consolidato. Se l’istanza respinta dal Consiglio dell’Ordine viene accolta dal giudice, gli effetti dell’ammissione retroagiscono dalla data di presentazione al Consiglio dell’Ordine. Lo Stato quindi deve farsi carico delle spese legali sostenute in questo intervallo di tempo.

Indicazioni operative istanza gratuito patrocinio

Alla luce della normativa e della giurisprudenza analizzate, la Direzione  stabilisce che gli uffici giudiziari debbano iscrivere a ruolo i procedimenti civili anche senza la delibera del Consiglio dell’Ordine. L’avvocato dovrà allegare l’istanza di ammissione regolarmente depositata e protocollata e la cancelleria dovrà aprire un foglio notizie. Se l’istanza dovesse essere respinta e non confermata dal magistrato, si procederà alla riscossione delle spese.

 

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