condotta irreprensibile

Condotta irreprensibile avvocato già “specchiatissima e illibata” Condotta irreprensibile avvocato: cos’è, normativa, chi la valuta e cosa dice il CNF in caso di cancellazione e richiesta di reiscrizione

Condotta irreprensibile: requisito per l’iscrizione all’albo

La condotta irreprensibile dell’avvocato, definita prima del 2012 con i termini “specchiatissima e illibata” è uno dei requisiti richiesti dalla legge per l’iscrizione all’albo.

L’articolo 17 della legge n. 247/2012, contenente la “Nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense” al comma 1 lettera h) richiede infatti la “condotta irreprensibile secondo i canoni previsti dal codice deontologico” tra i requisiti di cui l’avvocato deve essere in possesso per potersi iscrivere all’albo.

Che cosa si intende per condotta irreprensibile?

La definizione e i confini della condotta irreprensibile li fornisce il CNF nella sentenza n. 214/2017. In questa decisione il Consiglio nazione Forense precisa che quando si valuta l’affidabilità di un avvocato, le condotte moralmente apprezzabili che rilevano non sono quelle della sua vita privata, ma piuttosto quelle che sono pertinenti alla sua capacità di svolgere correttamente i compiti assegnati.

E’ fondamentale inoltre non prendere in considerazione o valutare condotte che, per la loro natura, occasionalità, distanza nel tempo, o qualsiasi altro motivo, non siano ragionevolmente in grado di influenzare l’affidabilità attuale dell’avvocato rispetto alla sua specifica funzione o attività. In altre parole, si devono considerare solo i comportamenti che hanno un impatto concreto e attuale sulla sua professionalità e integrità in quel contesto specifico.

Valutazione della condotta irreprensibile dell’avvocato

La sentenza n. 214/2017 del CNF, richiamando quanto sancito da due sue precedenti sentenze, ricorda che spetta al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati (C.O.A) valutare in modo autonomo e indipendente la “condotta irreprensibile”. Questa valutazione però non deve essere automaticamente condizionata dall’esito di un eventuale procedimento penale che abbia coinvolto l’interessato. Di conseguenza, una condanna penale non comporta un automatico impedimento all’iscrizione. Il C.O.A deve considerare tutti gli elementi per determinare se la condotta dell’individuo sia compatibile con la dignità e il decoro della professione forense, indipendentemente da sentenze penali.

Giurisprudenza recente sulla condotta irreprensibile

Sempre il CNF in tre recenti sentenze si è espresso sulla “condotta irreprensibile” dell’avvocato fornendo così importanti indicazioni.

La reiscrizione all’albo di un altro COA è una nuova iscrizione

Nella sentenza n. 473/2024, il CNF si trova a decidere sul ricorso presentato da un avvocato, che dopo essere stato cancellato dall’albo di del COA Pordenone in seguito alla sua detenzione, si è visto rigettare l’iscrizione presso il COA di Belluno a causa dell’assenza della condotta irreprensibile e dell’assenza del legame territoriale, ossia il domicilio, all’interno del circondario.

Nel rigettare il ricorso il CNF ricorda, prima di tutto, che per la reiscrizione all’albo degli avvocati, l’interessato deve aver rimosso le cause della precedente cancellazione, ma anche dimostrare di possedere ancora i requisiti originali di iscrizione. Il COA quindi deve riesaminare tutti i requisiti previsti dall’articolo 17, commi da 1 a 7, della Legge 247/2012, inclusa la condotta irreprensibile. Per principio consolidato il COA può cancellare d’ufficio un iscritto condannato per reati che compromettano tale condotta, indipendentemente da un procedimento disciplinare.

La reiscrizione è considerata infatti una nuova iscrizione, richiedendo la verifica di tutti i requisiti legali richiesti per essere inseriti nell’albo.

Il CNF ha sancito lo stesso principio nella sentenza n. 477/2024. Il Consiglio ha infatti rigettato il ricorso di un avvocato, originariamente iscritto all’albo di Pordenone, che dopo la detenzione e l’affidamento in prova, si è visto rigettare l’iscrizione al COA di Rovigo.

Reiscrizione allo stesso albo: tutti i requisiti di cui al co.1, art. 17, Legge n. 247/2012

Nella sentenza n. 475/2024 il CNF si è espresso su un ricorso presentato da un avvocato che, dopo essere stato cancellato dall’albo dopo un periodo di detenzione, si è visto rigettare la reiscrizione allo stesso albo del COA di Pordenone per assenza di condotta irreprensibile, incertezza del domicilio professionale e permanenza dello stato di esecuzione della pena nella forma dell’affidamento in prova.

Il CNF anche nel caso della richiesta di reiscrizione allo stesso albo enuncia lo stesso principio esposto nei due casi precedenti. Per la reiscrizione all’albo dopo la cancellazione verificatasi a causa della pena detentiva irrogata all’avvocato, non è sufficiente la condotta irreprensibile. Il COA infatti deve valutare il possesso di tutti i requisiti che l’articolo 17 della legge 24772012 richiede, per procedere all’iscrizione.

Leggi anche: Avvocati: come valutare la condotta irreprensibile

consapevolezza dell'errore

Avvocati, stop attenuanti se manca consapevolezza dell’errore Il CNF esclude la riduzione della sanzione disciplinare per l’avvocato che non dimostra alcuna consapevolezza dell’errore; l’ammissione di responsabilità può valere solo se accompagnata da resipiscenza

Attenuanti se c’è consapevolezza dell’errore

Stop attenuanti per l’avvocato se non c’è consapevolezza dell’errore. Il Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza n. 44/2025, pubblicata il 31 luglio sul sito del Codice deontologico, ha confermato la sospensione di sei mesi inflitta dall’organo distrettuale a un avvocato in seguito a false accuse penali nei confronti di colleghi, ribadendo principi chiave in tema di consapevolezza e responsabilità personale.

Il caso

Un avvocato del foro di Trapani aveva denunciato due colleghi (COA di Trapani e CDD di Palermo) per abuso d’ufficio, ritenendo il procedimento disciplinare avviato nei propri confronti un atto arbitrario. Tuttavia, il consiglio distrettuale accertò la falsità delle accuse e applicò la sospensione di sei mesi. Il ricorrente, poi condannato in sede penale per calunnia dal GIP, non mostrò alcuna resipiscenza nel ricorso al CNF.

Consapevolezza dell’errore, responsabilità e resipiscenza

Il CNF ha ribadito che la responsabilità disciplinare è provata non solo dalla presentazione delle false accuse, ma anche dalla loro consapevolezza, tipica di un avvocato, con l’intento di screditare i colleghi. Inoltre, l’assenza di una vera resipiscenza — sia nell’esposto sia nella memoria difensiva — ha reso inammissibile qualsiasi attenuazione della sanzione.

Ammissione della responsabilità e attenuanti personali

La sentenza sottolinea come l’ammissione di responsabilità possa entrare nel giudizio disciplinare solo se accompagnata da una sincera resipiscenza. L’assenza di chiara presa di coscienza del danno causato, infatti, impedisce l’applicazione di un trattamento sanzionatorio più mite.

ai act legge europea intelligenza artificiale

AI Act: la legge europea sull’intelligenza artificiale Cosa prevede la legge sull'intelligenza artificiale che mira a garantire i diritti fondamentali dei cittadini europei e al contempo detta misure specifiche sull'IA nella giustizia

AI Act in vigore

Il Consiglio Ue ha approvato in via definitiva, il 21 maggio 2024, il Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio (AI Act) che stabilisce regole armonizzate sull’intelligenza artificiale.

Il Regolamento 2024/1689 che introduce regole, obblighi e divieti sull’intelligenza artificiale, è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea del 12 luglio 2024 ed è entrato in vigore il 1° agosto 2024.

Applicabilità scaglionata del regolamento

Le nuove disposizioni però sono applicabili a due anni dallentrata in vigore del Regolamento, ossia a partire dal 2 agosto 2026, con alcune eccezioni:

  • dal 2 febbraio 2025 i divieti per le pratiche ad “alto rischio inaccettabile”e l’obbligo di alfabetizzazione del personale;
  • dal 2 agosto 2025 le regole che riguardano i modelli di AI di uso generale, il regime di governance e le sanzioni;
  • dal 2 agosto 2027: la Commissione Europea potrà aggiornare l’elenco dei sistemi di IA considerati ad alto rischio per tenere conto dei progressi tecnologici;
  • dal 2 agosto 2028: la Commissione dovrà pubblicare una revisione generale del Regolamento AI per valutarne l’efficacia e l’impatto.

La rilevanza del rischio

L’intervento normativo in esame è fondato su un sistema di misurazione del rischio definito in modo chiaro; ciò significa che maggiore è il rischio di causare danni, più severe saranno le norme volte a disciplinare la materia dell’intelligenza artificiale.

Tale approccio si tradurrà nell’introduzione di obblighi di trasparenza meno gravosi per gli ambiti interessati dall’intelligenza artificiale che presentano un rischio limitato, mentre, al contrario, i sistemi di AI considerati ad alto rischio saranno sottoposti a limiti e obblighi più stringenti per poter essere utilizzati all’interno dell’Unione Europea.

Categorie di intelligenza artificiale

In generale, è possibile distinguere le seguenti categorie di intelligenza artificiale, individuate in base alla diversa valutazione del rischio che le caratterizza:

  • sistemi di AI vietati dal 2 febbraio 2025 perché implicano un rischio inaccettabile, quali, a mero titolo esemplificativo, l’AI che sfrutta la manipolazione comportamentale cognitiva e il riconoscimento delle emozioni in determinati ambiti;
  • sistemi di AI ad alto rischio ma consentiti nel rispetto di stringenti condizione e requisiti;
  • sistemi di AI a rischio basso o minimo.

Obblighi di trasparenza

Il Regolamento spiega che per trasparenza “si intende che i sistemi di IA sono sviluppati e utilizzati in modo da consentire un’adeguata tracciabilità e spiegabilità, rendendo gli esseri umani consapevoli del fatto di comunicare o interagire con un sistema di IA”.

I sistemi di IA ad alto rischio dovrebbero essere progettati in modo da consentire ai fornitori di comprendere il funzionamento del sistema di IA, valutarne la funzionalità e comprenderne i punti di forza e i limiti. I sistemi di IA ad alto rischio dovrebbero essere accompagnati da informazioni adeguate sotto forma di istruzioni per l’uso.

Intelligenza artificiale nella giustizia

Nel provvedimento normativo si legge che “Alcuni sistemi di IA destinati all’amministrazione della giustizia e ai processi democratici dovrebbero essere classificati come sistemi ad alto rischio, in considerazione del loro impatto potenzialmente significativo sulla democrazia, sullo Stato di diritto, sulle libertà individuali e sul diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale”.

L’utilizzo di strumenti di IA, precisa il provvedimento, può fornire “sostegno al potere decisionale dei giudici o all’indipendenza del potere giudiziario, ma non dovrebbe sostituirlo: il processo decisionale finale deve rimanere un’attività a guida umana. Non è tuttavia opportuno estendere la classificazione dei sistemi di IA come ad alto rischio ai sistemi di IA destinati ad attività amministrative puramente accessorie, che non incidono sull’effettiva amministrazione della giustizia nei singoli casi”.

Punteggio sociale

La legge si occupa anche di indicare i sistemi di intelligenza artificiali che, consentendo di attribuire un punteggio sociale alle persone fisiche, possono portare “a risultati discriminatori e all’esclusione di determinati gruppi. Possono inoltre ledere il diritto alla dignità e alla non discriminazione e i valori di uguaglianza e giustizia. Tali sistemi di IA valutano o classificano le persone fisiche o i gruppi di persone fisiche sulla base di vari punti di dati riguardanti il loro comportamento sociale in molteplici contesti o di caratteristiche personali o della personalità”.

In considerazione dei rischi sopra indicati, il testo stabilisce che tali sistemi dovrebbero pertanto essere vietati, senza, tuttavia, che vengano pregiudicate le “pratiche lecite di valutazione delle persone fisiche effettuate per uno scopo specifico in conformità del diritto dell’Unione e nazionale”.

Istituzione di organi di governo

Nell’ambito dell’intervento normativo in esame è stato istituito:

  • l’ufficio per l’IA per mano della Commissione europea, con “la missione di sviluppare competenze e capacità dell’Unione nel settore dell’IA e di contribuire all’attuazione del diritto dell’Unione in materia di IA”;
  • il gruppo di esperti scientifici indipendenti avente la finalità di “integrare i sistemi di governance per i modelli di IA per finalità generali” e “sostenere le attività di monitoraggio dell’ufficio per l’IA”, anche fornendo “segnalazioni qualificate all’ufficio per l’IA che avviano attività di follow-up quali indagini”;
  • il comitato europeo, composto da rappresentanti degli Stati membri, per l’intelligenza artificiale che “dovrebbe sostenere la Commissione al fine di promuovere gli strumenti di alfabetizzazione in materia di IA, la sensibilizzazione del pubblico e la comprensione dei benefici, dei rischi, delle garanzie, dei diritti e degli obblighi in relazione all’uso dei sistemi di IA”;
  • il forum consultivo, cui è affidato il compito di “raccogliere il contributo dei portatori di interessi all’attuazione del presente regolamento, a livello dell’Unione e nazionale”.

Sistema sanzionatorio

Il testo stabilisce che la violazione di quanto previsto dall’art. 5 del Regolamento in tema di “Pratiche di IA vietate” è “soggetta a sanzioni amministrative pecuniarie fino a 35 000 000 EUR o, se l’autore del reato è un’impresa, fino al 7 % del fatturato mondiale totale annuo dell’esercizio precedente, se superiore”.

AI ACT: obblighi in vigore dal 2 agosto 2025

  • A partire dal 2 agosto 2025, i fornitori di modelli di intelligenza artificiale di uso generale (GPAI), gli utilizzatori che li impiegano in attività professionali nell’UE e i soggetti che li integrano in altri prodotti sono tenuti a rispettare nuovi obblighi. I fornitori devono fornire una documentazione tecnica dettagliata che includa l’architettura, i dati di addestramento, i limiti e i rischi dei modelli. Devono inoltre allegare istruzioni chiare per l’uso e la sorveglianza umana.
  • Tutti i contenuti generati dai GPAI (testi, immagini, audio, video) devono essere automaticamente etichettati con marcatori tecnici, come watermark, per renderli riconoscibili come prodotti dall’IA. Ci sono eccezioni limitate per scopi di sicurezza pubblica o editing minimo.
  • I modelli GPAI considerati a “rischio sistemico” a causa della loro potenza o scala sono soggetti a requisiti aggiuntivi. Questi includono la valutazione e mitigazione dei rischi, audit di sicurezza annuali, sistemi di gestione degli incidenti e la tracciabilità sull’uso di dati protetti da copyright.
  • Il mancato rispetto di queste norme può comportare l’applicazione di sanzioni significative, fino a 15 milioni di euro o il 3% del fatturato globale. Previste anche la  sospensione o l’interdizione dall’utilizzo dei modelli non conformi alle regole.
  • I modelli già esistenti hanno un periodo di transizione fino al 2 agosto 2027 per adeguarsi alle nuove regole. Parallelamente, gli Stati membri devono istituire autorità nazionali competenti per garantire l’applicazione e la vigilanza di queste normative.
  • Le autorità nazionali competenti, operative entro il 2 agosto 2025, avranno il compito di sorvegliare i sistemi di intelligenza artificiale, e dovranno essere dotate di risorse tecniche e umane adeguate.
  • A livello europeo, l’Ufficio per l’IA e il Consiglio europeo per l’IA coordineranno l’applicazione uniforme delle normative.
  • In vigore le sanzioni per le violazioni.
  • La Commissione creerà anche una banca dati UE per i sistemi di IA ad alto rischio, garantendo tracciabilità e trasparenza nel mercato.
  • Obbligo per ogni Stato membro di inviare alla Commissione un rapporto sulle condizioni delle risorse delle autorità competenti.

Il DDL italiano sull’AI

Per completezza, si ricorda che il 24 aprile 2024 il Governo italiano ha approvato un disegno di legge in materia di intelligenza artificiale.

Al momento il testo, che ha subito modifiche rispetto a quello originario, è in stato di relazione in Senato dopo una prima approvazione il 20 marzo 2025 e l’approvazione da parte della Camera del 25 giugno 2025.

L’intervento normativo italiano si propone di introdurre criteri regolatori volti a equilibrare “il rapporto tra le opportunità che offrono le nuove tecnologie e i rischi legati al loro uso improprio, al loro sottoutilizzo o al loro impiego dannoso”.

Il disegno di legge in questione non verrà superato dalla nuova normativa europea, al contrario, i due impianti normativi sono destinati ad integrarsi e ad armonizzarsi tra di loro.

 

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Allegati

deontologia forense

Deontologia forense: guida generale Deontologia forense: le regole che disciplinano l'attività degli avvocati a tutela della collettività e della clientela

Deontologia forense: definizione

La deontologia forense rappresenta l’insieme delle norme etiche e di comportamento che gli avvocati devono osservare nell’esercizio della loro professione. Queste regole guidano l’agire dell’avvocato nei rapporti con clienti, colleghi, controparti e altre figure professionali. Esse contribuiscono al corretto funzionamento dell’ordinamento giuridico e al raggiungimento degli scopi della giustizia. La deontologia garantisce inoltre la tutela dell’affidamento della collettività e della clientela, assicurando la correttezza dei comportamenti, la qualità e l’efficacia delle prestazioni professionali.

Deontologia forense: il Codice deontologico  

Il Codice Deontologico Forense raccoglie queste regole. Il testo è stato approvato dal Consiglio Nazionale Forense il 31 gennaio 2014 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 16 ottobre 2014. Da allora però ha subito diverse modifiche. Una significativa revisione è avvenuta con la seduta amministrativa del CNF del 23 febbraio 2018, il cui comunicato è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 13 aprile 2018.

Il Codice è stato poi modificato nella seduta amministrativa del 23 febbraio 2024, con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale il 3 maggio 2024 ed è entrato in vigore il 2 luglio 2024. Questa modifica è stata particolarmente rilevante perché ha introdotto l’art. 25-bis in materia di rispetto della normativa sull’equo compenso.

Struttura del Codice deontologico

Il Codice Deontologico Forense è strutturato in sette Titoli, ciascuno dei quali disciplina specifici ambiti della professione forense. Questa organizzazione permette una chiara e sistematica trattazione dei doveri e delle regole di condotta. I titoli sono i seguenti:

  1. Principi generali: le fondamenta etiche e i doveri generali dell’avvocato.
  2. Rapporti con il cliente e con la parte assistita: dettaglia i doveri dell’avvocato nei confronti di coloro che rappresenta.
  3. Rapporti con i colleghi: regola le interazioni e la condotta tra avvocati.
  4. Doveri dell’avvocato nel processo: specifica i comportamenti da adottare durante le fasi processuali.
  5. Rapporti con terzi e controparti: definisce le regole di condotta dell’avvocato nei confronti di soggetti diversi dal cliente e dai colleghi.
  6. Rapporti con le Istituzioni forensi: regolamenta i doveri dell’avvocato nei confronti degli organi di autogoverno della professione.
  7. Disposizione finale: precisa l’entrata in vigore del Codice decorsi 60 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta ufficiale.

Deontologia Forense: i principi generali

I principi generali delineano l’essenza della professione forense. L’avvocato tutela la libertà, l’inviolabilità e l’effettività della difesa, assicurando la regolarità del giudizio e del contraddittorio. Le norme deontologiche sono cruciali per garantire l’affidamento della collettività e la qualità della prestazione professionale. Esse si applicano a tutti gli avvocati nell’esercizio della loro attività professionale, nei rapporti reciproci e con i terzi. Dette norme si estendono anche ai comportamenti nella vita privata, qualora compromettano la reputazione personale o l’immagine della professione forense.

Tra i doveri fondamentali elencati nei principi generali figurano il dovere di evitare incompatibilità, il dovere di probità, dignità, decoro e indipendenza, il dovere di fedeltà al mandato, il dovere di diligenza, il dovere di segretezza e riservatezza, il dovere di competenza e aggiornamento professionale, e il dovere di rispettare gli adempimenti fiscali, previdenziali e assicurativi.

Responsabilità disciplinare

La responsabilità disciplinare scaturisce dalla violazione dei doveri e delle regole di condotta imposte dalla legge o dalla deontologia.Essa discende nello specifico dalla inosservanza dei doveri e delle regole di condotta dettate dalla legge e dalla deontologia, nonché dalla coscienza e volontà delle azioni od omissioni. L’avvocato è sottoposto a procedimento disciplinare anche per comportamenti non colposi che abbiano violato la legge penale, ferma restando ogni autonoma valutazione sul fatto commesso. Egli è personalmente responsabile per condotte ascrivibili a suoi associati, collaboratori e sostituti, determinate da suo incarico, salvo che il fatto integri una loro esclusiva e autonoma responsabilità. La responsabilità disciplinare riguarda anche le società tra avvocati. Essa concorre con quella del socio quando la violazione è ricollegabile a direttive impartite dalla società.

Potestà disciplinare

Gli organi disciplinari hanno la potestà di applicare sanzioni adeguate e proporzionate alla violazione deontologica commessa, nel rispetto delle procedure previste. La valutazione del comportamento è complessiva e la sanzione è unica anche in presenza di più addebiti nello stesso procedimento. La sanzione deve essere commisurata alla gravità del fatto, al grado della colpa, all’eventuale dolo, al comportamento precedente e successivo dell’incolpato, e alle circostanze soggettive e oggettive della violazione. Si tiene conto anche del pregiudizio subito dalla parte assistita, della compromissione dell’immagine della professione e dei precedenti disciplinari.

Sanzioni: tipologie

Le sanzioni disciplinari sono graduate in base alla gravità dell’infrazione.

  • Avvertimento: informa l’incolpato che la sua condotta non è stata conforme e lo invita a non commettere altre infrazioni. Si applica per fatti non gravi, quando vi è motivo di ritenere che non vi saranno recidive.
  • Censura: consiste nel biasimo formale e si applica quando la gravità dell’infrazione, la responsabilità e i precedenti suggeriscono che l’incolpato non commetterà ulteriori infrazioni.
  • Sospensione: consiste nell’esclusione temporanea dall’esercizio della professione (da due mesi a cinque anni) o dal praticantato. Si applica per infrazioni gravi o quando non sono presenti le condizioni per la sola censura.
  • Radiazione: si traduce nell’esclusione definitiva dall’albo, elenco o registro, impedendo l’iscrizione a qualsiasi altro. Viene inflitta per violazioni molto gravi che rendono incompatibile la permanenza dell’incolpato nella professione.

Nei casi più gravi le sanzioni possono essere aumentate nel loro massimo, mentre in quelli meno gravi possono essere diminuite. Per infrazioni lievi e scusabili, è previsto il richiamo verbale, che non costituisce sanzione disciplinare.

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espressioni offensive

Espressioni offensive dell’avvocato: verità, continenza e pertinenza Espressioni offensive dell'avvocato: guida all'illecito disciplinare punito dall'art. 52 Codice deontologico forense

Espressioni offensive: art. 52 Codice Deontologico

In base all’articolo 52 del Codice deontologico forense l’avvocato ha il dovere di evitare espressioni offensive o sconvenienti sia negli scritti depositati in giudizio sia durante lo svolgimento della sua attività professionale. Tale divieto vale nei confronti di colleghi, magistrati, controparti o terzi. L’uso di un linguaggio offensivo è sempre una condotta disciplinarmente rilevante, anche se l’avvocato agisce per ritorsione, a seguito di una provocazione o in risposta a offese subite. La reciprocità non giustifica l’illecito.

La violazione di questo divieto comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura.

Il limite della continenza

L’avvocato nell’esercizio della sua attività difensiva può quindi esercitare legittimamente il diritto di critica, fornendo giudizi e valutazioni in relazione a un evento. Tale diritto però deve essere esercitato entro precisi limiti oggettivi, tra i quali rileva senza dubbio la correttezza del linguaggio che si utilizza. La continenza espressiva richiede infatti che la critica si manifesti in un dissenso motivato e rispettoso, anche se si basa su un’interpretazione soggettiva. Sebbene il linguaggio possa essere forte o “provocatore”, deve sempre rispettare il limite della continenza formale. Ciò significa che la critica è lecita solo se non si traduce in attacchi personali, insulti od offese gratuite che colpiscono la dignità morale e professionale del soggetto criticato.

Il limite della pertinenza

Questo limite dispone che affinché espressioni ingiuriose possano essere considerate lecite nell’esercizio del diritto di difesa, è necessario che siano strettamente pertinenti all’oggetto della controversia e che siano funzionali alla tutela degli interessi della parte assistita.

Il limite della verità

Il limite della verità in relazione all’utilizzo delle espressioni sconvenienti od offensive nell’esercizio della difesa è un tema assai delicato. Il CNF in diverse sentenze ha chiarito tuttavia che se l’espressione utilizzata è offensiva e lesiva della dignità poco importa che i fatti denunciati con l’uso di un linguaggio colorito, siano veri.

Espressioni offensive: illecito disciplinare se dirette alla persona 

L’art. 52 del Codice deontologico è norma di indubbio rilievo perché impone limiti precisi all’avvocato nell’esercizio dell’attività difensiva. La giurisprudenza del Consiglio nazionale Forense (CNF) nel corso degli anni si è preoccupata però di chiarirne in modo più approfondito il contenuto.

Nella sentenza n. 159/2012 il CNF ha precisato che l’uso di un linguaggio forte, persino crudo, è lecito quando la discussione in tribunale si mantiene su un piano oggettivo, affrontando le questioni processuali e le tesi contrapposte. Al contrario, il comportamento diventa illecito e sanzionabile nel momento in cui la discussione trascende sul piano personale, ledendo il decoro e la dignità professionale degli altri.

Lo stesso concetto si riviene nella sentenza del CNF n. 122/2012, la quale chiarisce che il diritto dell’avvocato di dissentire dalle tesi avversarie, anche con un linguaggio forte e aspro per evidenziarne l’infondatezza giuridica, deve essere riconosciuto. Tuttavia, questo diritto si esaurisce quando le espressioni utilizzate non si limitano a criticare la tesi, ma si trasformano in un giudizio di valore sulle qualità personali, morali o professionali della controparte, sia essa l’avvocato o il cliente. L’uso di un lessico volgare non è mai tollerato, in quanto porta la discussione su un piano personale e soggettivo, tradendo la funzione difensiva.

Diritto di difesa: si supera il limite se si ingiuria la controparte

Interessante anche quanto sancito dalla sentenza del CNF n. 23/2025, che citando la precedente pronuncia n. 120/2017, afferma che nel bilanciamento tra il diritto di difesa e il decoro/onore della controparte, il primo ha la precedenza. Di conseguenza, un avvocato non commette un illecito disciplinare se usa espressioni forti negli atti per esporre le proprie tesi difensive e per fare valutazioni pertinenti alla controversia, anche se queste possono sembrare disdicevoli. Tuttavia, il limite viene superato se le espressioni offensive sono gratuite, ovvero non collegate alla strategia difensiva e hanno l’unico scopo di ingiuriare.

Nella motivazione di questa sentenza il CNF, nel richiamare la sentenza n. 74/2020 ha modo di chiarire anche che il limite all’uso di un linguaggio forte da parte di un avvocato si definisce in base alla natura della disputa. Finché la discussione rimane oggettiva, concentrandosi sulle questioni processuali e sulle tesi legali, è tollerato un linguaggio anche aspro.

Tuttavia, quando il confronto scivola sul piano personale e soggettivo, attaccando la persona dell’avversario piuttosto che le sue argomentazioni, si configura una violazione dell’articolo 52 del codice deontologico e si rende necessaria l’applicazione di una sanzione disciplinare a tutela del decoro professionale.

Espressioni offensive: decoro anche nella vita privata

L’avvocato comunque ha il dovere di mantenere un comportamento dignitoso e decoroso non solo nell’esercizio della sua attività professionale, ma in ogni situazione, anche nella vita privata. Deve sempre astenersi dall’usare espressioni offensive o sconvenienti. La valutazione su cosa costituisca un illecito deve essere fatta caso per caso, tenendo conto del contesto in cui le espressioni vengono pronunciate.

 

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omessa fatturazione avvocato

Omessa fatturazione avvocato: violate lealtà e dignità forense Il CNF sancisce che l’omessa fatturazione è illecito deontologico perché lede l’immagine dell’avvocatura e viola i doveri di solidarietà e correttezza fiscale

L’obbligo di fatturazione come dovere deontologico

Omessa fatturazione avvocato: con la sentenza n. 453/2024, pubblicata il 26 giugno 2025 sul sito del Codice deontologico, il Consiglio Nazionale Forense si è espresso in modo netto sull’omessa fatturazione da parte dell’avvocato, qualificandola come condotta disciplinarmente rilevante.

La decisione richiama gli artt. 16 e 29 del Codice Deontologico Forense, che impongono l’obbligo di adempiere correttamente agli obblighi fiscali e previdenziali.

Secondo il CNF, la fatturazione non è solo un adempimento civilistico e fiscale, ma rappresenta anche un preciso dovere deontologico, strettamente connesso alla lealtà e alla trasparenza dell’attività professionale.

Violazione del principio di solidarietà fiscale

La sentenza evidenzia che l’omessa emissione della fattura costituisce violazione del principio di solidarietà, in quanto l’adempimento fiscale è funzionale alla giusta redistribuzione degli oneri pubblici.

L’avvocato, in quanto professionista iscritto all’albo, è tenuto a operare in conformità ai valori della correttezza fiscale e della trasparenza. La violazione di questi obblighi compromette la fiducia della collettività e danneggia l’immagine dell’intera categoria forense.

L’immagine della professione e la responsabilità disciplinare

Il CNF ha sottolineato che il rispetto dei doveri tributari costituisce un canone generale dell’agire professionale, volto a tutelare l’affidamento dei cittadini nella figura dell’avvocato come professionista leale e corretto.

La condotta omissiva non si esaurisce in una mera infrazione tributaria, ma assume rilevanza deontologica autonoma, poiché contrasta con il dovere di dignità e decoro sancito dal Codice Deontologico.

La ratio della decisione

Il Consiglio ha affermato che: “Il dovere di lealtà e correttezza fiscale nell’esercizio della professione è un canone generale dell’agire di ogni avvocato, che mira a tutelare l’affidamento che la collettività ripone nell’avvocato stesso quale professionista leale e corretto in ogni ambito della propria attività.”

La corretta fatturazione è quindi una manifestazione concreta di quei valori di legalità, trasparenza e solidarietà che caratterizzano la funzione difensiva.

separazione carriere giudici

Separazione delle carriere: cosa prevede la riforma Il disegno di legge sulla riforma della Giustizia sulla divisione delle carriere della magistratura requirente e giudicante ha ricevuto il secondo ok del Senato e ora va alla Camera

Separazione delle carriere: ok del Senato

Il disegno di legge sulla separazione delle carriere, disegno di legge costituzionale di riforma contiene le “Norme in materia di ordinamento giurisdizionale e di istituzione della Corte disciplinare”.

Il testo ha iniziato il suo articolato iter in Parlamento e ha ricevuto la prima approvazione della Camera  il 16 gennaio 2025.

L’iter

Il testo della riforma della separazione delle carriere, come reso noto dal ministero della Giustizia, il 26 marzo 2025  ha ricevuto poi il parere non ostativo della Commissione Giustizia del Senato ed è stato trasmesso alla commissione Affari costituzionali, per il prosieguo dell’esame.

L’esame del testo è stato ripreso dal Senato dove il 1° luglio è stato approvato l’articolo che interviene sulla formulazione del comma 10 dell’articolo 87 della Costituzione. La modifica prevede che il Presidente della Repubblica presieda sia il CSM giudicante che requirente, non più l’unico CSM previsto dalla formulazione originaria del comma 10 art. 87 Costituzione. Nella stessa giornata è iniziato anche l’esame dell’articolo 2 che modifica l’art. 102 della Costituzione. Larticolo 2, che modifica l’art. 102 della Costituzione, è stato approvato invece il 3 luglio 2025. Martedì 15 luglio 2025 invece è stato approvato l’articolo 3, che introduce due CSM, uno per la magistratura requirente e l’altro per quella giudicante. Prevista la composizione dei due organismi con membri estratti a sorte.

Il 16 luglio l’aula di palazzo Madama, infine, ha approvato senza modifiche tutti gli 8 articoli del Ddl e il 22 luglio 2025 c’è stato il secondo via libera con 106 voti favorevoli, 61 contrari e 11 astensioni.

Il testo tornerà alla Camera per il terzo step e successivamente di nuovo a palazzo Madama.

Cosa prevede la riforma

Il testo, composto da otto articoli, interviene infatti sugli articoli 87, 102, 104, 105, 106, 107 e 110 della Costituzione, disponendo la separazione delle carriere dei magistrati, introducendo un sistema di sorteggio per la componente laica del CSM e istituendo l’Alta Corte per giudicare gli errori dei magistrati.

L’approvazione del testo da parte del Senato potrebbe slittare alla seconda settimana di luglio 2025.

Separazione delle carriere

Il primo punto della riforma, che la magistratura non ha accolto con favore, dispone la separazione delle carriere. La modifica prevede che i magistrati requirenti non possano passare al ruolo della magistratura giudicante e viceversa.

Indipendenza della magistratura requirente

La separazione delle carriere mira anche a garantire la piena indipendenza della magistratura requirente da qualsiasi tipo di influenza e di interferenza da parte del Governo e da parte di altri poteri, al pari della magistratura giudicante.

Due CSM

La riforma interviene anche sulla composizione del Consiglio Superiore della Magistratura. Il CSM  verrà diviso in due sezioni, una dedicata ai magistrati requirenti e una ai magistrati giudicanti, presiedute entrambe dal Presidente della Repubblica.

Nomina della componente laica del CSM

La componente laica del CMS, costituita attualmente dai membri eletti dal Parlamento, verrà nominata per sorteggio, sempre con la finalità di garantire la piena indipendenza e imparzialità del Consiglio Superiore della Magistratura.

Istituita l’Alta Corte

Per giudicare gli illeciti disciplinari dei magistrati viene istituita l’Alta Corte, che si va a sostituire in questo modo al Consiglio Superiore della Magistratura.

esame avvocato 2025

Esame avvocato 2025: tutto su bando, prove e scadenze Online il bando per l’esame di Stato per avvocato 2025. Scopri requisiti, date, struttura delle prove e modalità di invio delle domande dal 1° ottobre all’11 novembre

Pubblicato il bando per la sessione 2025

Esame avvocato 2025: il Ministero della Giustizia ha ufficializzato il bando per l’esame di abilitazione forense – sessione 2025, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 56 del 18 luglio 2025 (IV Serie Speciale Concorsi ed Esami). Il bando, emanato con decreto ministeriale del 30 giugno 2025, disciplina termini e modalità per accedere alla procedura.
Le domande dovranno essere inoltrate esclusivamente in modalità telematica dal 1° ottobre all’11 novembre 2025.

Le prove d’esame: struttura e calendario

L’esame di Stato si articola in una prova scritta e una prova orale, da svolgersi presso le Corti d’Appello indicate nel bando (tra cui Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo, Firenze, e altre sedi).

Prova scritta

È fissata per l’11 dicembre 2025 e consiste nella redazione di un atto giudiziario su traccia fornita dal Ministero. Il candidato sceglierà la materia tra diritto civile, diritto penale o diritto amministrativo.
Il tempo a disposizione è di sette ore, calcolato a partire dalla dettatura del tema.

Prova orale

Si svolgerà non prima di 30 giorni dalla pubblicazione degli ammessi e si compone di tre fasi:

  1. Discussione di un caso pratico nella materia prescelta (tra civile, penale o amministrativo).

  2. Trattazione di tre quesiti giuridici, di cui almeno uno processuale.

  3. Colloquio su ordinamento forense, diritti e doveri dell’avvocato.

Procedura per l’invio della domanda

Per partecipare all’esame, il candidato deve collegarsi al sito del Ministero della Giustizia (www.giustizia.it) e accedere alla sezione “Strumenti/Concorsi, esami, assunzioni”. L’autenticazione avverrà tramite SPID di secondo livello, Carta d’Identità Elettronica (CIE) o Carta Nazionale dei Servizi (CNS).

Dopo la registrazione, il sistema guiderà l’utente nella compilazione del modulo, nella selezione della Corte d’Appello e del Consiglio dell’Ordine competente. Dopo il pagamento via PagoPA, si procederà all’invio definitivo della domanda, che verrà confermato da una ricevuta in formato PDF.

Requisiti per l’ammissione all’esame

Possono partecipare i candidati che abbiano completato la pratica forense entro il 10 novembre 2025. È ammessa l’iscrizione anche per chi prevede di concluderla entro quella data, purché lo dichiari formalmente in fase di presentazione della domanda.

Criteri di valutazione

Prova scritta

Ogni componente della commissione può attribuire fino a 10 punti. L’ammissione all’orale avviene con un punteggio minimo di 18 punti.

Prova orale

Anche per il colloquio orale, ogni commissario dispone di 10 punti per ciascuna materia. L’idoneità è riconosciuta ai candidati che ottengano almeno 18 punti per materia.

Misure di supporto per candidati con disabilità e DSA

Il bando prevede agevolazioni specifiche per i candidati con disabilità o disturbi specifici dell’apprendimento (DSA). Tra le misure previste:

  • strumenti compensativi;

  • tempi aggiuntivi;

  • supporti personalizzati per le prove scritte e orali.

 

Leggi anche la guida Esame avvocato

patto di quota lite

Patto di quota lite: la ratio del divieto Il CNF ribadisce che il divieto di patto di quota lite mira a tutelare il cliente e la dignità forense, evitando commistioni nei rapporti professionali

Patto di quota lite: il CNF spiega la ratio

Il Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza n. 25/2025, pubblicata il 20 luglio sul sito del Codice deontologico, ha riaffermato il divieto di patto di quota lite ai sensi di art. 25 co. 2 del CDF e art. 13 commi 3 e 4 L. n. 247/2012. Tale divieto tutela l’interesse del cliente e la dignità della professione forense, impedendo la commistione tra interessi del legale e risultati della lite. 

La ratio del divieto di patto di quota lite

Secondo la sentenza, la ratio del divieto risiede nella necessità di preservare l’indipendenza dell’avvocato e evitare che il compenso, se collegato all’esito della lite, trasformi il rapporto professionale in un rapporto associativo. In tal caso, l’avvocato parteciperebbe direttamente agli interessi pratici esterni della prestazione, compromettendo la trasparenza e l’imparzialità.  

Impatto sul rapporto cliente‑avvocato

La decisione sottolinea che un equo compenso basato sul valore previsto dell’affare è lecito, ma è vietato un accordo che leghi la remunerazione all’esito pratico della lite. In questo modo si evita la trasformazione del rapporto in una forma di partecipazione economica ai frutti del contenzioso. 

Conferme da giurisprudenza e dottrina

La sentenza n. 25/2025 si inserisce in una consolidata giurisprudenza: Cassazione n. 2169/2016, CNF n. 260/2015, n. 26/2014 e n. 225/2013 avevano già chiarito tale principio. Conferma anche l’orientamento espresso nella recente Cass. n. 23738/2024. 

In sintesi, il CNF riafferma che il divieto di patto di quota lite è necessario per proteggere il rapporto di fiducia tra cliente e avvocato e tutelare la dignità della professione, evitando che il legale diventi partecipe dell’esito economico della lite.

interessi moratori

Interessi moratori avvocati: da quando decorrono La Cassazione chiarisce che gli interessi moratori per i crediti professionali degli avvocati decorrono dalla messa in mora, anche stragiudiziale, e non dalla liquidazione del credito

Decorrenza interessi moratori nei crediti professionali

Con l’ordinanza n. 19421/2025, la Cassazione ha ribadito un principio fondamentale in materia di crediti professionali maturati dagli avvocati: gli interessi moratori, ai sensi dell’art. 1224 del codice civile, decorrono dalla messa in mora del debitore, che può coincidere sia con la proposizione della domanda giudiziale sia con una richiesta stragiudiziale di adempimento.

Tale principio si applica anche qualora la liquidazione del compenso professionale avvenga nell’ambito del procedimento di cui all’art. 14 del d.lgs. n. 150/2011.

Il caso esaminato dalla Suprema Corte

Nel caso esaminato, due avvocati avevano prestato assistenza legale a favore di una società, successivamente condannata dal Tribunale di Bergamo – in contumacia – al pagamento della somma di € 10.248,99, oltre interessi legali dalla data della domanda e spese processuali.

I professionisti hanno impugnato la decisione, contestando l’erronea applicazione degli interessi legali in luogo di quelli moratori, e la decorrenza di tali interessi dalla domanda giudiziale, anziché dalla messa in mora avvenuta mediante più atti stragiudiziali.

Applicabilità del d.lgs. 231/2002 ai compensi forensi

La Corte, accogliendo il ricorso dei legali sul punto, ha affermato che la disciplina prevista dal d.lgs. n. 231/2002 in tema di ritardi nei pagamenti nelle transazioni commerciali si applica anche ai contratti d’opera professionale. Tuttavia, per il riconoscimento degli interessi moratori è necessario che il ritardo non sia giustificato da una causa non imputabile al debitore, come previsto dall’art. 3 dello stesso decreto.

Ne deriva che la liquidazione del credito da parte del giudice non incide sulla decorrenza della mora, né può escluderla in caso di liquidazione in misura inferiore a quanto richiesto. Pertanto, gli interessi moratori decorrono dalla domanda, anche se la somma riconosciuta è diversa da quella originariamente domandata, purché sussista una condotta dilatoria ingiustificata.

La necessità dell’atto di costituzione in mora

La Corte ha invece rigettato la doglianza relativa alla mancata rivalutazione del credito. Le ricorrenti sostenevano che, in assenza di contestazioni sulla parcella, gli interessi e la rivalutazione monetaria dovessero maturare automaticamente dalla scadenza del pagamento.

Secondo la Cassazione, la mora non sorge automaticamente, nemmeno in presenza di crediti illiquidi. È necessario un atto formale di costituzione in mora, i cui effetti si producono solo per la parte di credito riconosciuta o accertata. Il principio romanistico in illiquidis non fit mora è superato solo quando il debitore, pur in presenza di un credito non determinato nel quantum, sia in grado di compierne una stima.

Condotta colpevole e interessi moratori

La Corte richiama il proprio orientamento consolidato (Cass. n. 24973/2022), secondo cui la mora del debitore può configurarsi anche in presenza di un credito illiquido, qualora il debitore abbia la possibilità di stimarne l’entità sulla base di tariffe professionali e attività chiaramente documentate.

Pertanto, l’ingiustificata contestazione del credito o una condotta dilatoria possono integrare una colpa rilevante ai fini dell’applicazione degli interessi moratori. In questi casi, gli interessi decorrono dalla domanda giudiziale, ma limitatamente alla parte del credito non contestata o accertata con sentenza.

Conclusioni operative per gli avvocati

L’ordinanza n. 19421/2024 conferma che, per ottenere gli interessi moratori nei crediti professionali, è indispensabile procedere alla costituzione in mora del debitore, anche a mezzo di diffida stragiudiziale. La liquidazione giudiziale non esclude la mora, che si radica nella condotta colpevole del debitore.

È pertanto opportuno, nella gestione dei crediti professionali, formalizzare tempestivamente la richiesta di pagamento tramite diffide scritte, in modo da far decorrere gli interessi ai sensi del d.lgs. n. 231/2002, anche prima dell’introduzione del giudizio.

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