pensioni 2025

Pensioni 2025: tutte le opzioni   Pensioni 2025: tutte le formule di accesso alla pensione nel 2025, regole e requisiti particolari per i dipendenti pubblici

Pensioni 2025: le novità

Il 2025 introduce nuove regole per accedere alla pensione: le opzioni per le pensioni 2025 includono requisiti ordinari, flessibilità in uscita e agevolazioni specifiche.

Pensione 2025 di vecchiaia

La pensione di vecchiaia richiede 67 anni di età e 20 anni di contributi.

Pensione 2025 anticipata

Per la pensione anticipata Fornero:

Uomini: 42 anni e 10 mesi di contributi.

Donne: 41 anni e 10 mesi di contributi.

Dipendenti Pubblica Amministrazione: pensione 2025

Come per il privato, dal 1 gennaio 2025 il limite è stato portato a 67 anni. Possibilità di trattenimento in servizio fino a 70 anni nel limite del 10% delle nuove assunzioni.

Personale scolastico: il limite dei 65 resta valido per il 2025, per cessazioni e prosecuzioni decorrenti dal 1° settembre 2025 si attendono le circolari del Ministero competente.

Dipendenti ex INPDAP: la legge di bilancio 2024 ha modificato le regole per la pensione anticipata.

Regole particolari sono previste per il personale sanitario.

Per i dipendenti pubblici la finestra mobile è di 6 mesi per la pensione anticipata, di 9 mesi invece per la Quota 103.

Uscite flessibili 2025

Queste le regole per le uscite flessibili 2025.

Quota 103

  • 62 anni di età, 41 anni di contributi.
  • Tetto assegno: 5 volte il minimo INPS.
  • Valida solo per il 2025, con una finestra di 7 mesi (privati) e 9 mesi (pubblici).

Opzione Donna

  • Età minima: 61 anni (ridotta per madri con uno o due o più figli a 60 e 59 ).
  • Contributi: 35 anni.
  • Riservata a lavoratrici con invalidità o dipendenti ddi datori in crisi.
  • Calcolo interamente contributivo.

APE Sociale

  • Età minima: 63 anni.
  • Contributi: 30-36 anni, secondo la categoria.
  • Riservata a disoccupati, caregiver, invalidi superiori al 74% e lavoratori di attività gravose.

RITA

  • Anticipo tramite fondi pensione.
  • Età: 57 anni (disoccupati da un minimo di 24 mesi) o 62 anni.
  • Contributi minimi: 20 anni.

Lavoratori precoci (Quota 41)

  • 41 anni di contributi per chi ha versato 12 mesi di contributi effettivi prima del 19° anno di età. L’accesso è riservato ai disoccupati involontari, a chi cura familiari disabili. A chi ha un’invalidità superiore al 74% e a chi svolge attività gravose o usuranti.
  • Nel 2025 la finestra mobile per il settore privato è di 3 mesi decorrenti dalla maturazione dei requisiti, mentre per il settore pubblico la finestra mobile è di 6 mesi.

Pensione disabili

Chi ha un’invalidità pari o superiore all’ accede alla pensione se ha 61 anni (uomini) e 56 anni (donne) con contributi minimi di 20 anni. I titolari di questo trattamento possono cullare la pensione con i redditi da lavoro autonomo occasionale fino a 5000,00 euro.

Isopensione

Prepensionamento fino a 7 anni prima, a carico del datore di lavoro.

Contratto di espansione

Pensione anticipata con 62 anni e 20 anni di contributi.

64 anni con la pensione complementare

Dal 2025 può andare in pensione anticipata chi compie almeno 64 anni entro il 31.12.2025, ha versato 20 anni di contributi nel regime obbligatorio. In caso di mancato raggiungimento della soglia per la pensione pubblica si può sommare la rendita periodica vitalizia o temporanea del fondo pensione complementare.

 

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modello red

Modello RED: cos’è, a cosa serve, quando si presenta Guida al modello RED: che cos’è, quali sono i soggetti tenuti a presentarlo ed entro quando bisogna inviare il RED 2024

Che cos’è il modello RED

Il modello RED è il documento telematico che i percettori di pensione devono compilare per dichiarare quei redditi che risultano rilevanti ai fini del riconoscimento di alcune prestazioni economiche.

Vi sono, infatti, alcune prestazioni assistenziali previste dalla legge – come la maggiorazione sociale o l’integrazione del minimo della pensione – per il cui riconoscimento devono ricorrere determinati requisiti reddituali (c.d. prestazioni collegate al reddito).

Perciò, l’Inps, cioè l’ente erogatore di tali prestazioni, deve essere messo in condizioni di conoscere i redditi percepiti dal titolare di trattamento pensionistico, per valutare correttamente se questi abbia diritto a tali ulteriori prestazioni.

Quali sono i pensionati che devono presentare il modello RED?

Con il modello RED, quindi, vengono comunicati tutti quei redditi che non vengono dichiarati con le ordinarie comunicazioni annuali.

In particolare, devono compilare il modello RED:

  • i pensionati che non sono tenuti ad inviare all’Agenzia delle Entrate la dichiarazione dei redditi con modello 730 o con modello Redditi PF e che siano percettori di redditi ulteriori alla pensione (es. redditi immobiliari);
  • i pensionati che abbiano presentato la dichiarazione dei redditi ma che non erano tenuti a indicarvi determinati redditi, ulteriori alla pensione (es. interessi bancari), che invece influiscono sul riconoscimento o meno delle prestazioni economiche erogate dall’Inps;
  • i pensionati che percepiscono redditi che vanno dichiarati in modo diverso all’Agenzia delle Entrate (es. redditi da lavoro autonomo: al riguardo, vedi il nostro approfondimento sul Divieto di cumulo pensione con redditi da lavoro autonomo);
  • sono, inoltre, tenuti alla compilazione del modello RED i pensionati che hanno il coniuge o un altro familiare percettori di redditi che influiscono sulla determinazione del diritto a prestazioni erogate dall’Inps.

Chi non deve inviare il Modello Red

Di converso, non sono tenuti all’invio del modello RED i pensionati che hanno inviato all’Agenzia delle Entrate la dichiarazione dei redditi (o che non sono tenuti all’invio della stessa) e che non percepiscono ulteriori redditi, oltre a quelli dichiarati.

Come si presenta il modello RED 2024

Il modello RED si può presentare rivolgendosi a un CAF autorizzato, dove si potrà ricevere l’opportuna assistenza, oppure collegandosi in modo autonomo sul sito www.inps.it, autenticandosi con Spid o Carta Nazionale dei Servizi.

Per chi sceglie di inviare da sé il modulo, da quest’anno è possibile fare affidamento sul modello RED precompilato, che prende il posto del modello RED semplificato. In sostanza, si tratta di una funzione molto utile che permette di completare l’inserimento dei propri dati reddituali semplicemente confermando, integrando o rettificando i dati precompilati.

Scadenza modello RED: quando si deve fare il Red 2024

L’Inps ha già comunicato, con il messaggio n. 3301 dello scorso 4 ottobre, che la scadenza per il Modello RED 2024, relativo ai redditi percepiti nel 2023, è fissata al 28 febbraio 2025.

Il mancato invio della dichiarazione, ove dovuta, può portare alla sospensione o revoca della prestazione collegata al reddito da parte dell’Inps, a seguito di successivi controlli.

Ai fini della dichiarazione reddituale, l’INPS ha messo a disposizione dal 23 dicembre 2024, la videoguida personalizzata, per facilitare i pensionati (circa 700mila) tenuti a inviare il modello Red, utilizzando comodamente da casa il RED Precompilato entro la scadenza del 28 febbraio 2025.

La video guida, oltre a ricordare la scadenza per l’invio, le diverse modalità di trasmissione della dichiarazione per il 2022, le modalità per gli espatriati prima e dopo il 2022, permette anche di verificare – tramite il servizio Consulente digitale delle pensioni – l’eventuale diritto a ulteriori prestazioni.

pensioni 2025

Pensioni 2025: le novità della manovra Pensioni 2025: la manovra di bilancio prevede una serie di misure che tuttavia non portano benefici di rilievo per i pensionati italiani

Pensioni 2025: nuove regole, più flessibilità

La legge di bilancio 2025 introduce significative novità sul fronte delle pensioni, con l’obiettivo di migliorare la flessibilità in uscita. Tra le principali modifiche spicca la possibilità di anticipare la pensione a 64 anni, grazie al cumulo dei fondi di previdenza complementare. Tuttavia, non mancano criticità.

Contributivo: anticipo per chi ha la complementare

Dal 2025, i lavoratori che hanno aderito al sistema contributivo puro potranno richiedere la pensione anticipata a 64 anni. Per farlo, dovranno accumulare almeno 20 anni di contributi e raggiungere un importo minimo di trattamento pari a tre volte l’assegno sociale (534,41 euro mensili nel 2024).

La grande novità è la possibilità di includere nel calcolo anche la rendita dei fondi di previdenza complementare. Questa modifica permette di colmare eventuali lacune nel raggiungimento della soglia minima richiesta. Tuttavia, il requisito contributivo aumenterà progressivamente: 25 anni nel 2025 e 30 anni dal 2030.

Chi non ha aderito alla previdenza complementare continuerà a seguire le regole attuali. Potrà accedere alla pensione anticipata a 64 anni solo se il trattamento previsto soddisfa i requisiti minimi senza l’apporto di rendite integrative.

Le agevolazioni per le donne: opzione donna ampliata

Opzione donna richiede 61 anni come requisito anagrafico e 35 anni invece come requisito contributivo in un’unica gestione previdenziale. Di questa opzione potranno beneficiare anche le lavoratrice che hanno maturato i predetti requisiti entro il 31 dicembre 2024.

A opzione donna possono accedere anche le donne con 60 anni di età se madri di un figlio e con 59 anni di età se madri di almeno 2 figli nel caso in cui le stesse d+siano state licenziate p siano alle dipendenze di un datore di lavoro in crisi.

Il nuovo comma 179 dell’articolo 1 della legge di bilancio 2025 amplia l’applicazione di opzione donna consentendo alle madri di quattro figli di accedere alla pensione con un anticipo di 16 mesi rispetto all’età ordinaria.

Quota 103

Per la pensione anticipata con quota 103 è necessario avere 62 anni di età e aver versato 41 anni di contributi.  Finestra mobile di 7 mesi per i privati, che sale a 9 mesi per i dipendenti pubblici.

Ape sociale rifinanziata

Nuove risorse per l’ape social che permette di andare in pensione anticipata a 63 anni e 5 mesi di età e 30 anni di contributi, che salgono a 32 anni per i lavoratori edili e a 35 per coloro che svolgono attività gravose.

Pensioni minime

Per quanto riguarda le pensioni minime, la manovra prevede un incremento simbolico a partire dal 2025. La rivalutazione del 2,2% porta il trattamento minimo da 598,61 euro a 616,67 euro. Nel corso del 2025 per 13 mesi, i titolari dell’assegno sociale, se hanno compiuto alleno 70 anni, beneficeranno di un aumento di 8 euro al mese a condizione che siano ciechi titolari di trattamento pensionistico, sordomuti, invalidi civili totali, ciechi civili totali, maggiorenni.

Perequazione pensioni residenti all’estero

Per i residenti all’estero, nel 2025, in via del tutto eccezionale, non viene riconosciuto l’incremento derivante dalla perequazione automatica per i trattamenti pensionistici individuali complessivi superiori all’importo minimo stabilito dal regime generale INPS. Questa esclusione eccezionale avrà effetti anche sui ratei futuri. Resta comunque garantito l’incremento fino a raggiungere l’importo minimo, adeguato secondo la perequazione automatica.

Critiche e prospettive future

La manovra ha ricevuto elogi e critiche. La stessa ha introdotto misure interessanti, ma non ha risolto i nodi strutturali del sistema pensionistico. Se da un lato si incentiva l’uso dei fondi integrativi, dall’altro si alza l’asticella per il pensionamento anticipato, creando nuove disuguaglianze. Resta da vedere se queste riforme sapranno garantire un equilibrio tra sostenibilità finanziaria e tutela dei diritti dei lavoratori. Per ora, il dibattito resta aperto.

 

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pignoramento della pensione

Pignoramento della pensione: limiti Il pignoramento della pensione è soggetto a specifici limiti per garantire al titolare il minimo vitale per il suo sostentamento

Cos’è il pignoramento della pensione

Il pignoramento della pensione è un argomento di grande interesse per molti pensionati italiani, soprattutto per coloro che si trovano in difficoltà economiche e rischiano di vedere una parte della propria pensione decurtata per estinguere alcuni debiti.

In questo contesto, l’articolo 545 del Codice di Procedura Civile stabilisce i limiti e le modalità con cui è possibile procedere al pignoramento delle somme erogate come pensione.

Cosa dice l’articolo 545 del Codice di Procedura Civile

L’articolo 545 del Codice di procedura civile regola il pignoramento dei crediti che il debitore vanta nei confronti di terzi, tra i quali rientrano anche le pensioni. Questo articolo prevede specifiche limitazioni per tutelare il diritto alla sussistenza del debitore, affinché non si vedano compromessi i mezzi di sostentamento minimo necessari per vivere dignitosamente.

La legge cerca infatti di bilanciare la necessità di soddisfare i crediti con il diritto del debitore a conservare una parte delle proprie entrate, soprattutto quando queste derivano dai trattamenti pensionistici.

La pensione, infatti, può essere pignorata solo in parte. Il comma 7 statuisce che: “Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, di indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza, non possono essere pignorate per un ammontare corrispondente al doppio della misura massima mensile dellassegno sociale, con un minimo di 1.000 euro. La parte eccedente tale ammontare è pignorabile nei limiti previsti dal terzo, dal quarto e dal quinto comma nonché dalle speciali disposizioni di legge”. 

Pignoramento della pensione: il minimo “vitale”

Il minimo vitale è un concetto fondamentale nella regolamentazione del pignoramento della pensione. L’articolo 545 stabilisce infatti che una parte della pensione debba sempre rimanere intoccabile, per garantire che il pensionato non resti senza i mezzi necessari per il suo sostentamento.

Se l’importo della pensione è già basso e il pignoramento ridurrebbe eccessivamente la somma disponibile per il mantenimento, il giudice può intervenire per ridurre l’ammontare pignorabile, sempre tenendo conto delle esigenze di vita del pensionato.

Dal 2022 il minimo della pensione impignorabile è di euro 1.000,00. Questo significa che le pensioni inferiori a 1.000,00 mensili non possono essere pignorate; le pensioni di importo superiore possono essere pignorate, ma solo per la parte eccedente.

Ad ogni modo, per limporto eccedente il minimo vitale, il pignoramento è possibile solo per un quinto delleccedenza (e non per l’intera eccedenza).

I crediti impignorabili

L’art. 545 del Codice di procedura civile “elenca” i crediti impignorabili, stabilendo al comma 1, che “Non possono essere pignorati i crediti alimentari, tranne che per cause di alimenti, e sempre con lautorizzazione del presidente del Tribunale o di un giudice da lui delegato e per la parte dal medesimo determinata mediante decreto”, e al successivo comma 2 che “Non possono essere pignorati crediti aventi ad oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nellelenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattia o funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza. 

Inoltre, alcuni tipi di pensione sono esenti da pignoramento in determinati casi. Per esempio, le pensioni di invalidità civile, le indennità di accompagnamento e le altre prestazioni assistenziali non possono essere pignorate, poiché sono destinate a garantire la sussistenza del beneficiario in situazioni di difficoltà o invalidità. Queste indennità sono, infatti, tutelate da leggi specifiche che le rendono impignorabili, a prescindere dall’importo.

Pignoramento Agenzia delle Entrate

Qualora il pignoramento sia effettuato dall’agente della riscossione, la vigente normativa prevede ulteriori limiti: la quota pignorabile non deve superare un decimo se la pensione è inferiore o pari a euro 2.500, un settimo se è compresa tra 2.500 e 5.000 euro e un quinto se è maggiore di 5.000 euro.

Nel caso in cui i creditori pignoranti sono più di uno e i crediti eterogenei, si può pignorare fino al doppio quinto della pensione: quindi si può arrivare sino al 40% della parte eccedente il minimo vitale.

 

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rivalutazione pensioni

Rivalutazione pensioni 2025: novità e limiti Rivalutazione pensioni 2025: incrementi dello 0,8%, minime a +1,90 euro al mese, dettagli su scaglioni, rivalutazione e prospettive future

Rivalutazione pensioni 2025: cosa prevede il decreto

Le pensioni italiane subiranno un modesto aumento nel 2025, frutto della rivalutazione legata all’inflazione. Lo ha stabilito il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanza del 15 novembre 2024, che disciplina la perequazione automatica delle pensioni a partire dal 1° gennaio 2025. I numeri rivelano incrementi esigui, sollevando dubbi sull’effettiva tutela del potere d’acquisto dei pensionati. Ecco quali cambiamenti porterà la rivalutazione pensioni 2025.

Cosa aspettarsi dalla rivalutazione

Nel 2025, le pensioni aumenteranno dello 0,8%, un valore determinato dal tasso d’inflazione registrato nel 2024. Questo incremento è tra i più bassi degli ultimi anni, influenzato dalla riduzione dell’inflazione rispetto ai picchi recenti. Gli assegni più alti tuttavia subiranno un trattamento differenziato, con aumenti ridotti progressivamente in base alla fascia di reddito.

Il ritorno al sistema a scaglioni

Dal 2025 si applicherà nuovamente il sistema a scaglioni, abbandonando quello a fasce utilizzato nel 2024. Ecco come saranno calcolati gli aumenti:

  • pensioni fino a quattro volte il minimo (fino a 2.394,44 euro lordi): aumento dello 0,8%;
  • tra quattro e cinque volte il minimo (da 2.394,45 a 2.993,04 euro): aumento dello 0,72%;
  • oltre cinque volte il minimo (sopra 2.993,05 euro): aumento dello 0,6%.

Il meccanismo consente un recupero parziale dell’inflazione per gli assegni più alti, con percentuali graduate.

Esempi pratici aumenti rivalutazione pensioni 2025

Gli incrementi mensili risultano molto contenuti. Una pensione da 1.000 euro lordi crescerà di 8 euro, mentre un assegno da 1.500 euro vedrà un incremento di 12 euro. Per redditi superiori, come una pensione da 4.000 euro, l’aumento sarà di circa 30 euro al mese.

Pensioni minime: incremento simbolico

Le pensioni minime subiranno un aumento simbolico. L’importo minimo passerà da 614,77 a 616,67 euro al mese, con un incremento netto di soli 1,90 euro mensili.

È importante notare che questo aumento non compensa la riduzione rispetto al 2024, quando era stato applicato un incremento straordinario del 2,7%. In totale, nel 2025 l’assegno minimo crescerà di soli 24,70 euro all’anno.

Differenze con gli anni precedenti

Gli aumenti pensionistici nel 2023 e nel 2024 erano stati più consistenti grazie a un’inflazione più alta. Nonostante ciò, gli assegni più alti avevano subito tagli più severi, con recuperi parziali dell’inflazione. Nel 2025, le percentuali di recupero saranno meno punitive, ma la base di calcolo limitata rende gli aumenti poco significativi.

Conguagli e possibili modifiche

Il dato dello 0,8% in ogni caso è provvisorio, calcolato sui primi tre trimestri del 2024. Eventuali variazioni negli ultimi mesi potrebbero portare a conguagli alla fine del 2025. Tuttavia, l’impatto complessivo su redditi bassi e medi resta modesto.

Prospettive per il futuro

Un’ulteriore questione riguarda le promesse politiche sulle pensioni minime. Forza Italia aveva annunciato di voler portare l’assegno minimo a 1.000 euro al mese entro il 2027, ma l’obiettivo appare sempre più lontano senza ulteriori interventi legislativi.

Considerazioni finali

L’aumento delle pensioni nel 2025 mostra limiti evidenti. Se da un lato il meccanismo di rivalutazione preserva parzialmente il potere d’acquisto, dall’altro gli incrementi rispecchiano un’inflazione moderata, che non compensa il costo della vita. Le pensioni minime, in particolare, continuano a soffrire di un aumento insufficiente rispetto alle promesse politiche. Il sistema rimane vincolato a parametri economici prudenti. Il dibattito sulla necessità di interventi più incisivi resta comunque aperto.

 

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pensione di inabilità

Pensione di inabilità: spese per la CTU non dovute Pensione di inabilità: il titolare del trattamento, se in condizione di disagio economico non è tenuto a pagare le spese della CTU

Pensione di inabilità e disagio economico

Il titolare della pensione inabilità, in disagio economico, se chiede prestazioni previdenziali o assistenziali non può essere obbligato a pagare le spese della consulenza tecnica dufficio (CTU), a meno che la sua pretesa sia infondata o temeraria. Lo ha sancito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 30147/2024, con cui ha annullato un decreto del Tribunale di Roma.

Pensione di inabilità: la vicenda

La vicenda nasce dalla decisione del Tribunale di Roma, che aveva rigettato la richiesta di pensione ordinaria di inabilità e di assegno ordinario di invalidità presentata da una ricorrente. Il Tribunale nel respingere le richieste aveva posto a carico della stessa le spese della CTU. Decisione incomprensibile, considerato che la stessa aveva dichiarato un reddito familiare inferiore al limite previsto per l’esonero dalle spese processuali.

La ricorrente ha impugnato quindi la decisione in Cassazione, lamentando la violazione dell’art. 152 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile. La norma prevede infatti che chi si trova in condizioni economiche disagiate non deve sostenere le spese del processo, inclusa la CTU, se il giudizio riguarda prestazioni previdenziali o assistenziali.

Spese della CTU non possono gravare sul richiedente

La Corte di Cassazione ha infatti accolto il ricorso, richiamando un principio consolidato. Essa ha sancito infatti che nei giudizi relativi a prestazioni previdenziali o assistenziali, le spese della CTU non possono gravare sul ricorrente che rispetta i limiti reddituali previsti, salvo che la domanda risulti palesemente infondata o temeraria.

Nella pronuncia, la Corte evidenzia che il giudice di merito non si è attenuto a questo principio. La ricorrente aveva infatti chiaramente i requisiti reddituali per l’esonero e la sua pretesa non era manifestamente infondata o avanzata in malafede. Il Tribunale, pertanto, non aveva il potere di condannarla al pagamento delle spese di CTU.

La Corte ha quindi cassato senza rinvio la parte del decreto che poneva le spese della CTU a carico della ricorrente. Ha inoltre condannato l’INPS, controparte del giudizio, al rimborso delle spese del processo di legittimità.

Art. 152 disp. att. c.p.c.: norma a tutela dei più fragili

L’art. 152 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile tutela chi si trova in difficoltà economiche. Essa stabilisce infatti che non può essere condannato al pagamento di spese processuali, competenze o onorari nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali od assistenziali. In questi casi, l’esonero si applica anche alle spese per la CTU, strumento spesso necessario per accertare le condizioni di salute o di invalidità. Tuttavia, l’esonero non si applica se il ricorso è palesemente infondato o temerario, cioè se manca del tutto una base giuridica o fattuale per la richiesta.

 

 

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pensione reversibilità

Pensione reversibilità anche senza domanda La pensione di reversibilità si basa sui requisiti maturati dal de cuius, non serve la domanda  amministrativa

Pensione reversibilità: per il diritto rilevano i requisiti

La pensione di reversibilità rappresenta un diritto fondamentale che si lega al raggiungimento dei requisiti pensionistici del de cuius, ossia la persona deceduta. La sua concessione non dipende dalla presentazione, da parte del de cuius, della domanda amministrativa per ottenere il trattamento previdenziale, ma esclusivamente dalla maturazione dei requisiti richiesti. Questo principio, riaffermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 30315/2024, stabilisce che il diritto alla reversibilità non può essere negato per la semplice mancanza di una domanda formale da parte del titolare deceduto.

Domanda di reversibilità su pensione di anzianità

La questione affrontata dalla sezione Lavoro della Corte di Cassazione riguarda una donna che, in qualità di erede, aveva richiesto la reversibilità della pensione del marito deceduto. Quest’ultimo percepiva una pensione di invalidità, ma al momento del decesso aveva maturato i requisiti per accedere a un trattamento pensionistico più favorevole, quello di anzianità. Il de cuius aveva accumulato 35 anni di contributi e aveva richiesto il riscatto degli anni di laurea, completando quasi interamente l’iter necessario per il miglior trattamento. L’unica condizione non ancora soddisfatta era il pagamento dell’ultima rata per il riscatto degli anni di studio, a cui aveva provveduto la moglie dopo la morte del marito. La donna, pertanto, ha chiesto che la pensione di reversibilità venisse calcolata in base al trattamento più vantaggioso, ovvero quello di anzianità, e non su quello di invalidità percepito dal marito.

Pensione di reversibilità: contano i requisiti

La Corte di Cassazione ha confermato il diritto della moglie di ricevere la pensione di reversibilità parametrata al trattamento di anzianità, anche se il marito non aveva presentato la domanda per questo tipo di pensione prima della morte. La pronuncia si fonda su un principio chiaro: i requisiti previdenziali raggiunti sono sufficienti a far valere il diritto al miglior trattamento pensionistico. La mancanza del presupposto amministrativo della domanda da parte del de cuius non può pregiudicare il diritto dell’erede.

Il riscatto degli anni di laurea, anche se formalmente concluso post mortem, contribuisce a consolidare il diritto del de cuius al trattamento di anzianità. Questo aspetto si traduce in un beneficio economico maggiore per la pensione di reversibilità spettante all’erede.

Questa sentenza è significativa infatti non solo per la donna che ha ottenuto il riconoscimento del suo diritto, ma anche per tutti i casi analoghi futuri. Essa infatti stabilisce che:

  • il diritto alla reversibilità si basa sui requisiti previdenziali raggiunti dal de cuius;
  • la mancata presentazione della domanda non inficia il diritto degli eredi;
  • è legittimo parametrare la reversibilità al trattamento più favorevole, se i requisiti sono stati maturati.

In situazioni simili gli eredi possono quindi avanzare una richiesta per ottenere il trattamento previdenziale più favorevole, anche se il de cuius non ha presentato formalmente la domanda.

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Allegati

pensioni minime

Pensioni minime: bonus di 154,94 euro Pensioni minime: bonus di 154,94 euro in arrivo a dicembre per i pensionati con redditi bassi per fornire un sostegno concreto

Pensioni minime: bonus 154,94 euro in arrivo a Natale

In arrivo a dicembre il bonus da 154,94 euro per oltre 400.000 titolari delle pensioni minime. Il messaggio INPS n. 3821 del 15 novembre 2024 descrive questo beneficio aggiuntivo di 154,94 euro, che rappresenta un sostegno significativo per i pensionati con redditi bassi. L’attenzione verso la trasparenza nei criteri di attribuzione e il rispetto dei limiti reddituali garantisce un approccio equo e mirato. Le nuove disposizioni sottolineano l’impegno dell’INPS nel fornire un aiuto concreto a una platea che necessita di protezione sociale, specie nei periodi critici, come quello natalizio.

Vediamo quindi in cosa consiste questa misura, chi sono i beneficiari e quali limiti reddituali devono essere rispettati.

Cos’è il bonus di 154,94 euro

Il bonus consiste in una somma forfettaria di 154,94 euro che l’INPS erogherà con la rata di dicembre 2024 per sostenere i redditi più bassi. Per i titolari di pensioni con decorrenza infrannuale, l’importo sarà calcolato in proporzione ai mesi di percezione della pensione.

Bonus di 154,94 euro: fonte normativa

Il bonus di 159,94 euro trova la sua fonte normativa nell’articolo 70, comma 7 della finanziario del 2011 (legge n. 388/2010). La somma erogata non è soggetta a tassazione e verrà corrisposta in modo automatico. Per il suo riconoscimento l’INPS terrà conto dell’importo della pensione attuale e dell’ultimo reddito registrato non precedente al 2020.

Pensioni minime: i beneficiari del bonus

Il bonus è destinato ai pensionati che percepiscono trattamenti a carico dell’Assicurazione Generale Obbligatoria (AGO) e delle forme sostitutive o integrative, gestite dall’INPS o dagli enti di previdenza regolati dal D.Lgs. n. 509/1994. Sono esclusi dalla misura  i titolari di prestazioni non classificate come pensioni e i pensionati con redditi complessivi che superano i limiti fissati.

Limiti reddituali e calcoli

Il limite massimo del trattamento pensionistico per ricevere il bonus è fissato a 7.936,87 euro annui. Per importi di pensione compresi tra  7.781,93 euro e 7.781,93 euro (trattamento minimo INPS), il bonus sarà rappresentato dalla differenza tra 7.936,87 euro e l’importo della pensione.

Il reddito complessivo assoggettabile all’IRPEF,  invece, comprensivo del trattamento pensionistico, non deve superare una volta e mezza il trattamento minimo annuale, fissato a 11.672,9 euro. Per i pensionati coniugati, il reddito cumulato con quello del coniuge non può eccedere tre volte il trattamento minimo, pari a 23.345,79 euro. In caso di separazione legale ed effettiva, il reddito del coniuge non viene considerato. Se tali limiti vengono superati, il diritto all’importo aggiuntivo decade.

Modalità di erogazione ed eventuale recupero

Il beneficio sarà indicato nella comunicazione ufficiale ai pensionati, che specificherà anche la normativa di riferimento. Esso sarà corrisposto nella rata di pensione di dicembre 2024, con la dicitura: “Importo Aggiuntivo (Legge 23 dicembre 2000 n. 388) – Credito Anno 2024”. Per i pensionati che non percepiscono trattamenti dall’INPS, l’importo sarà erogato dalla Cassa Professionale competente, individuata tramite il Casellario centrale dei pensionati.

Se dovessero emergere condizioni di reddito o anagrafiche non conformi, l’INPS potrà recuperare le somme indebitamente corrisposte.

 

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pensione anticipata

Pensione anticipata: nuovi scenari dopo la Cassazione Pensione anticipata: cosa cambia soprattutto per i lavoratori dopo che la Cassazione ha valorizzato i contributi figurativi

Pensione anticipata e pronuncia della Cassazione

La pensione anticipata è uno dei temi più dibattuti nel panorama previdenziale italiano, soprattutto alla luce delle recenti evoluzioni normative e giurisprudenziali. Due decisioni della Corte di Cassazione (si tratta delle due sentenze “gemelle” n. 24916/2024 e n. 24952/2024) hanno recentemente cambiato l’orientamento riguardo al requisito dei 35 anni di contributi effettivi necessari per accedere a questa forma di pensionamento, stabilendo che tale requisito non è più indispensabile.

Queste decisioni potrebbero avere un impatto significativo su molti lavoratori italiani, in particolare su coloro che hanno attraversato periodi di disoccupazione, malattia o altre situazioni coperte da contribuzione figurativa.

In questo articolo, approfondiremo le implicazioni di queste pronunce, analizzando il contesto normativo, le motivazioni della Corte e le possibili conseguenze per il sistema previdenziale e i lavoratori.

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Il contesto normativo della pensione anticipata

Per comprendere appieno la portata delle pronunce della Cassazione, è fondamentale esaminare il quadro normativo entro cui si inserisce. La pensione anticipata, introdotta con la Riforma Fornero del 2011, permette ai lavoratori di ritirarsi dal lavoro prima dell’età pensionabile di vecchiaia, a condizione di aver maturato una significativa anzianità contributiva. I requisiti tradizionali per accedere alla pensione anticipata erano:

  • Per gli uomini: almeno 42 anni e 10 mesi di contributi.
  • Per le donne: almeno 41 anni e 10 mesi di contributi.

Oltre a questi requisiti contributivi, era necessario che almeno 35 anni di contributi fossero “effettivi”, ossia derivanti da attività lavorativa reale. Questo escludeva dal conteggio i cosiddetti contributi figurativi, ovvero quelli accreditati per periodi di non lavoro coperti da specifiche tutele previdenziali, come malattia, disoccupazione indennizzata, cassa integrazione, servizio militare e maternità.

Pensione anticipata: contributi effettivi e figurativi

La distinzione tra contributi effettivi e figurativi è stata per lungo tempo un elemento cruciale nel determinare l’accesso alla pensione anticipata. I contributi effettivi sono quelli versati dal datore di lavoro o dal lavoratore autonomo durante l’effettiva attività lavorativa, rappresentando il frutto del lavoro svolto. Sono direttamente correlati alla prestazione lavorativa e alla retribuzione percepita.

I contributi figurativi, invece, sono accrediti contributivi riconosciuti in specifiche situazioni previste dalla legge, senza oneri per il lavoratore o per il datore di lavoro. Questi periodi sono coperti dall’ordinamento per garantire una continuità contributiva anche in assenza di lavoro effettivo. Rientrano tra i contributi figurativi i periodi di:

  • malattia o infortunio sul lavoro;
  • disoccupazione;
  • cassa integrazione guadagni;
  • servizio militare obbligatorio o servizio civile;
  • assistenza a familiari disabili, usufruendo dei permessi previsti dalla Legge 104/1992.

Fino alla recente sentenza, per accedere alla pensione anticipata era necessario che almeno 35 anni dei contributi fossero effettivi, escludendo dunque i periodi coperti da contribuzione figurativa dal calcolo di questa quota minima. Questa limitazione penalizzava i lavoratori che, per motivi non dipendenti dalla loro volontà, avevano interrotto l’attività lavorativa per periodi protetti dalla legge.

Contributi figurativi per la pensione anticipata

La Corte di Cassazione, con le sentenze innovative, ha stabilito che il requisito dei 35 anni di contributi effettivi non è più necessario per accedere alla pensione anticipata. Questa decisione rappresenta una svolta significativa, in quanto modifica un’interpretazione consolidata della normativa previdenziale.

Le motivazioni della Cassazione

La Corte ha fondato in sostanza la sua decisione su diversi principi giuridici e costituzionali:

  • interpretazione conforme ai principi costituzionali: le norme previdenziali devono essere interpretate in modo coerente con i principi sanciti dalla Costituzione, in particolare il principio di uguaglianza (art. 3) e il diritto alla previdenza sociale (art. 38). Escludere i contributi figurativi dal conteggio per la pensione anticipata potrebbe violare questi principi, creando disparità di trattamento tra lavoratori in situazioni analoghe;
  • valorizzazione dei contributi figurativi: i contributi figurativi sono riconosciuti dall’ordinamento come periodi di contribuzione validi a tutti gli effetti. Rappresentano periodi in cui il lavoratore, pur non svolgendo attività lavorativa, è comunque tutelato dalla legge. La loro esclusione dal calcolo dell’anzianità contributiva necessaria per la pensione anticipata contrasterebbe con la finalità stessa della protezione previdenziale;
  • eliminazione di disparità di trattamento: la distinzione tra contributi effettivi e figurativi creava una disparità ingiustificata tra lavoratori che avevano maturato la stessa anzianità contributiva complessiva. Questa differenziazione penalizzava coloro che, per cause indipendenti dalla loro volontà, non avevano potuto accumulare 35 anni di contributi effettivi;
  • funzione sociale della previdenza: la Corte ha ribadito che il sistema previdenziale ha una funzione sociale fondamentale, volta a garantire la sicurezza economica dei lavoratori anche nei periodi di difficoltà. Riconoscere pienamente i contributi figurativi rafforza questa funzione, evitando penalizzazioni ingiuste.

Il caso che ha originato la sentenza

Le sentenze traggono origine da un caso concreto in cui i lavoratori avevano richiesto la pensione anticipata, avendo maturato l’anzianità contributiva complessiva richiesta, ma senza raggiungere i 35 anni di contributi effettivi a causa di periodi di disoccupazione indennizzata e malattia. L’INPS aveva rigettato la domanda, sostenendo che non erano stati soddisfatti tutti i requisiti previsti dalla normativa vigente.

I lavoratori hanno impugnato la decisione, sostenendo che i contributi figurativi dovessero essere considerati validi ai fini del raggiungimento dell’anzianità contributiva necessaria. La questione è giunta fino alla Corte di Cassazione, che ha accolto le argomentazioni, stabilendo un nuovo orientamento interpretativo.

Implicazioni pratiche per i lavoratori

La decisione della Corte di Cassazione può avere importanti ripercussioni per numerosi lavoratori italiani. Come ad esempio:

  • Accesso facilitato alla pensione anticipata: molti lavoratori che finora non potevano accedere alla pensione anticipata a causa della mancanza dei 35 anni di contributi effettivi potranno ora farlo, considerando nel computo anche i contributi figurativi. Questo apre nuove opportunità per coloro che hanno avuto carriere lavorative discontinue o interrotte da periodi di difficoltà.
  • Valorizzazione dei periodi di tutela: I periodi di malattia, disoccupazione, maternità e altri eventi protetti saranno pienamente riconosciuti, riflettendo una maggiore attenzione verso le situazioni di fragilità del lavoratore. Questo riconoscimento rafforza il principio di solidarietà su cui si basa il sistema previdenziale italiano.
  • Riduzione delle disparità: La sentenza elimina una distinzione che penalizzava ingiustamente alcuni lavoratori, promuovendo una maggiore equità nel sistema previdenziale. Si supera così una barriera che creava disuguaglianze tra chi aveva avuto una carriera lavorativa lineare e chi aveva affrontato periodi di interruzione.
Ape social

Ape Social: verifica requisiti entro il 30 novembre L'Inps pubblica avviso sulla scadenza del termine per la presentazione della domanda di verifica delle condizioni di accesso all'anticipo pensionistico

Ape Sociale termine domanda

Ape Sociale: scade il 30 novembre 2024 il termine per la presentazione della domanda di verifica delle condizioni di accesso all’anticipo pensionistico. Lo rammenta l’Inps con un avviso pubblicato sul sito istituzionale, rammentando condizioni e presupposti dell’Ape social.

Ape Social: a chi spetta

L’indennità, rammenta l’istituto, “spetta ai lavoratori iscritti all’Assicurazione Generale Obbligatoria dei lavoratori dipendenti, alle forme sostitutive ed esclusive della stessa, alle gestioni speciali dei lavoratori autonomi e alla Gestione Separata che si ritrovano in determinate condizioni lavorative, personali e familiari”.

Per verificare condizioni e requisiti di accesso l’Inps rinvia all’apposita pagina “APE Sociale – Anticipo pensionistico – Verifica Requisiti”.

Requisiti

Per ottenere l’indennità è necessario che i soggetti in possesso delle condizioni indicate dalla legge abbiano, al momento della domanda di accesso, i seguenti requisiti:

  • almeno 63 anni e 5 mesi di età;
  • almeno 30 anni di anzianità contributiva; per i lavoratori che svolgono le attività gravose, l’anzianità contributiva minima richiesta è di 36 anni (o almeno 32 anni, per le categorie di gravosi illustrate nella pagina APE Sociale). Ai fini del riconoscimento dell’indennità, i requisiti contributivi richiesti sono ridotti, per le donne, di 12 mesi per ogni figlio, nel limite massimo di due anni;
  • non essere titolari di alcuna pensione diretta.

L’accesso al beneficio è inoltre subordinato alla cessazione di attività di lavoro dipendente, autonomo e parasubordinato svolta in Italia o all’estero.

Incompatibilità

L’indennità non è compatibile con i trattamenti di sostegno al reddito connessi allo stato di disoccupazione involontaria, con l’assegno di disoccupazione, nonché con l’indennizzo per la cessazione dell’attività commerciale.

Ape social anche nel 2025

La misura, in vigore dal 1° maggio 2017 e già prorogata fino al 31 dicembre 2024, sarà oggetto di ulteriore proroga al 31 dicembre 2025, come previsto dall’articolo 24 del Disegno di legge di bilancio 2024, già approvato dalla Camera e in via di definizione al Senato.

Per approfondimenti leggi anche la nostra guida all’Ape Social