Applicabilità art. 10bis comma 1 art. l. 241/1990

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso

 

Il comma 1 dell’art. 10bis della L. 241/1990, come modificato ad opera dell’art. 12 del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, ha carattere innovativo, non avendo valenza interpretativa o ricognitiva di un precetto già esistente a livello di principio generale e pertanto è applicabile solo ai procedimenti iniziati dopo la sua entrata in vigore. – Cons. Stato, sez. II, 4 agosto 2022, n. 6829.

Il Consiglio di Stato, ripercorrendo l’evoluzione normativa e giurisprudenziale sull’effetto conformativo del giudicato di annullamento, ha altresì chiarito la portata applicativa del comma 1 dell’art. 10bis della L. 241/1990, come modificato ad opera dell’art. 12 del D.L. 16 luglio 2020, n. 76 convertito, con modificazioni, dalla L. 11 settembre 2020, n. 120.

Il Collegio ricorda che nel tempo la limitata ampiezza dell’effetto preclusivo del giudicato di annullamento, e la corrispondente facoltà dell’Amministrazione di riesercitare il potere prendendo in esame tutti gli aspetti discrezionali e vincolati che non fossero espressamente entrati a far parte della motivazione della sentenza di primo grado, è andata diminuendo, come testimoniato dall’elaborazione giurisprudenziale sul c.d. one shot temperato, che consente all’Amministrazione Pubblica che abbia subito l’annullamento di un proprio atto, di rinnovarlo una sola volta e, quindi, di riesaminare l’affare nella sua interezza, sollevando, in via definitiva, tutte le questioni che ritenga rilevanti, senza potere in seguito tornare a decidere sfavorevolmente neppure in relazione a profili non ancora esaminati.

Nel tempo, si è dunque affermata l’idea che l’Amministrazione, nell’esercizio del potere, abbia l’onere di prendere in esame il completo panorama istruttorio e delle scelte discrezionali inerenti al provvedimento da adottare.

Si evidenzia che in tale direzione depongono sia il principio di effettività della tutela giurisdizionale, volto a impedire che, in concreto, la pronuncia di annullamento del giudice amministrativo possa essere ovviata dalla possibilità di dedurre nuovi profili di diniego che necessitano di nuove impugnative giurisdizionali, sia l’affermarsi del dovere da parte dell’Amministrazione di comportarsi secondo buona fede nei confronti del privato anche nel corso del procedimento amministrativo e nell’applicazione di norme di natura pubblicistica.

L’Amministrazione, infatti, oltre all’obbligo del rispetto delle norme pubblicistiche procedimentali, ha anche un generale dovere di comportamento in buona fede nei confronti del privato, per non generare ingiustificati affidamenti, secondo uno schema tendenziale di dissociazione tra norme di legittimità e norme di validità, peraltro sempre più destinato a perdere contorni netti per l’ingresso del mancato rispetto del canone del comportamento secondo buona fede nei canoni delle regole (anche) di legittimità che portano all’annullamento dell’atto.

Tale principio, secondo cui l’Amministrazione ha l’obbligo di comportarsi nei confronti del privato secondo criteri di buona fede oggettiva è ormai espressamente sancito a livello legislativo dal comma 2bis dell’art. 1, della L. 7 agosto 1990, n. 241, introdotto dalla L. 11 settembre 2020, n. 120, di conversione del D.L. 16 luglio 2020, n. 76, ai sensi del quale: “I rapporti tra il cittadino e la pubblica amministrazione sono improntati ai princìpi della collaborazione e della buona fede”.

In tale contesto può rientrare anche l’esigenza che l’Amministrazione analizzi sin dall’inizio per intero la vicenda amministrativa sottopostagli dal privato, senza lasciare spazi a ulteriori profili negativi per quest’ultimo, quantomeno qualora questi ultimi siano già evincibili dagli atti del procedimento.

Nella stessa ottica si inserisce anche l’evoluzione giurisprudenziale del processo amministrativo quale strumento di tutela di situazioni sostanziali, con conseguente diminuzione della discrezionalità dell’Amministrazione a seguito del giudicato di annullamento, al fine di scongiurare l’indefinita parcellizzazione giudiziaria delle controversie amministrative.

Si ribadisce, infine, che, in ambito sostanziale, la medesima esigenza di concentrazione di tutela ha ispirato la sostituzione – a opera dell’art. 12 del D.L. 16 luglio 2020, n. 76 convertito, con modificazioni, dalla L. 11 settembre 2020, n. 120 – del terzo e quarto periodo del comma 1 dell’art. 10bis della L. 241/1990, che attualmente così dispongono: “La comunicazione di cui al primo periodo sospende i termini di conclusione dei procedimenti, che ricominciano a decorrere dieci giorni dopo la presentazione delle osservazioni o, in mancanza delle stesse, dalla scadenza del termine di cui al secondo periodo. Qualora gli istanti abbiano presentato osservazioni, del loro eventuale mancato accoglimento il responsabile del procedimento o l’autorità competente sono tenuti a dare ragione nella motivazione del provvedimento finale di diniego indicando, se ve ne sono, i soli motivi ostativi ulteriori che sono conseguenza delle osservazioni. In caso di annullamento in giudizio del provvedimento così adottato, nell’esercitare nuovamente il suo potere l’amministrazione non può addurre per la prima volta motivi ostativi già emergenti dall’istruttoria del provvedimento annullato”.

Tale norma obbliga, quindi, l’Amministrazione procedente a esplicitare sin dall’adozione del primo provvedimento sfavorevole tutti gli elementi ostativi emergenti dall’istruttoria compiuta, potendo il secondo diniego, adottato in sede di riesercizio del potere, essere motivato soltanto sulla scorta di elementi fino ad allora non emersi nel corso dell’istruttoria e non di elementi noti e non esplicitati.

La disposizione in esame ha carattere innovativo, non avendo valenza interpretativa o ricognitiva di un precetto già esistente a livello di principio generale e, pertanto, imponendo un limite sostanziale al potere amministrativo, ed è applicabile solo ai procedimenti iniziati dopo la sua entrata in vigore.

A tal fine deve aversi riguardo al procedimento inziale e non a quello di riesercizio del potere a seguito di annullamento, in quanto è al momento dell’esercizio inziale che l’Amministrazione deve essere gravata dell’obbligo di prendere in esame e porre come motivo di eventuale rigetto tutti gli elementi emersi in sede procedimentale.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. VI, 25 febbraio 2019, n. 1321;
Cass. Sez. Un. 7 settembre 2020, n. 18592
giurista risponde

Limiti soccorso istruttorio Quali sono i limiti dell’istituto generale del soccorso istruttorio applicabile al di fuori della normativa degli appalti pubblici in cui è prevista una specifica disciplina dall’art. 83 del D.Lgs. 50/2016?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso

 

Il soccorso istruttorio va attivato qualora dalla documentazione presentata dall’istante residuino margini di incertezza facilmente superabili, rispondendo ad un principio di esercizio dell’azione amministrativa ispirata a buona fede e correttezza. Il limite all’attivazione del soccorso istruttorio coincide con la mancata allegazione di un requisito di partecipazione ovvero di un titolo valutabile in sede concorsuale, poiché, effettivamente, consentire ad un candidato di dichiarare, a termine di presentazione delle domande già spirato, un requisito o un titolo non indicato, significherebbe riconoscergli un vantaggio rispetto agli altri candidati in palese violazione della par condicio. – Cons. Stato, sez. VII, 8 agosto 2022, n. 7000.

Il Consiglio di Stato ha precisato i limiti dell’istituto generale del soccorso istruttorio di cui all’art. 6, comma 1, lett. b), L. 241/1990 sul procedimento amministrativo in forza del quale: “ Il responsabile del procedimento può chiedere la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete… e ordinare esibizioni documentali”. Tale istituto, infatti, ha una portata generale e, dunque, è applicabile anche al di fuori della normativa degli appalti pubblici, dove il Legislatore ha previsto una disciplina ad hoc, in parte differente da quella di cui all’art. 6, comma 1, lett. b), cit., contenuta nell’art. 83, D.Lgs. 50/2016.

Si evidenzia al riguardo che il “potere di soccorso” costituisce un istituto di carattere generale del procedimento amministrativo che, nel particolare settore delle selezioni pubbliche diverse da quelle disciplinate dal codice dei contratti pubblici, soddisfa la comune esigenza di consentire la massima partecipazione alla gara, orientando l’azione amministrativa sulla concreta verifica dei requisiti di partecipazione e della capacità tecnica ed economica, attenuando la rigidità delle forme.

Un primo elemento di differenza sostanziale rispetto al “potere di soccorso” disciplinato dal codice dei contratti pubblici, emerge dal raffronto fra il tenore testuale delle due disposizioni.

E infatti, l’art. 6, L. 241/1990 si limita a prevedere la mera facoltà a che il responsabile del procedimento eserciti il “potere di soccorso”, laddove l’istituto disciplinato dal codice dei contratti pubblici obbliga la stazione appaltante a fare ricorso al “potere di soccorso”, sia pure nei precisi limiti derivanti dalla rigorosa individuazione del suo oggetto e della sua portata applicativa.

Si ribadisce, inoltre, che il principio della tassatività delle cause di esclusione vige solo per le procedure disciplinate dal codice dei contratti pubblici, al di fuori di tale ambito: a) il “potere di soccorso” nei procedimenti diversi da quelli comparativi dispiega la sua massima portata espansiva, tendenzialmente senza limiti salvo quelli propri della singola disciplina di settore; b) in relazione ai procedimenti comparativi il “potere di soccorso” è utilmente invocabile anche ai fini del riscontro della validità delle clausole che introducono adempimenti a pena di esclusione; in quest’ottica integra il parametro di giudizio di manifesta sproporzione che il giudice amministrativo è chiamato ad effettuare, ab externo e senza sostituirsi all’Amministrazione, nel caso venga impugnata una clausola di esclusione per l’inadempimento di oneri meramente formali.

Si osserva altresì che di recente il Consiglio di Stato ha affermato la portata generale del soccorso istruttorio che trova applicazione, anche nell’ambito delle procedure concorsuali, fermo il necessario rispetto del principio della par condicio per cui l’intervento dell’Amministrazione diretto a consentire al concorrente di regolarizzare o integrare la documentazione presentata non può produrre un effetto vantaggioso a danno degli altri candidati.

In quest’ottica, il limite all’attivazione del soccorso istruttorio coincide con la mancata allegazione di un requisito di partecipazione ovvero di un titolo valutabile in sede concorsuale, poiché, effettivamente, consentire ad un candidato di dichiarare, a termine di presentazione delle domande già spirato, un requisito o un titolo non indicato, significherebbe riconoscergli un vantaggio rispetto agli altri candidati in palese violazione della par condicio.

In generale, può quindi affermarsi che il soccorso istruttorio va attivato, qualora dalla documentazione presentata dall’istante residuino margini di incertezza facilmente superabili, rispondendo tale scelta amministrativa ad un principio di esercizio dell’azione amministrativa ispirata a buona fede e correttezza.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. V, 22 novembre 2019, n. 7975; Id., sez. V, 17 gennaio 2018, n. 257; Id., 8 agosto 2016, n. 3540; Cons. Stato, sez. II, 28 gennaio 2016, n. 838;
Cons. Stato, sez. IV, 7 settembre 2004, n. 5759
giurista risponde

Interpretazione diritto UE Il modo in cui il Consiglio di Stato interpreta e applica il diritto dell’Unione europea rientra nell’ambito del sindacato riservato alla Corte di cassazione per motivi inerenti alla giurisdizione ai sensi dell’art. 111, comma 8, Cost.?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso

 

È inammissibile il ricorso col quale si denunci un eccesso di potere giurisdizionale, sub specie di diniego di giustizia, del giudice amministrativo di ultima istanza, derivante dal presunto radicale stravolgimento delle norme di riferimento, nazionali o unionali, interpretate in senso incompatibile con la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea. – Cass. Sez. Un. 30 agosto 2022, n. 25503.

Sulla base di quanto affermato dalla Corte di giustizie UE, adita in via pregiudiziale ex art. 267 TFUE, con l’ord. 19598/2020, le Sezioni unite della Corte di Cassazione hanno ritenuto di poter dare continuità all’orientamento giurisprudenziale che interpreta in senso restrittivo la nozione di sindacato per motivi inerenti alla giurisdizione di cui all’art. 111, comma 8, Cost.

Si è, dunque, esclusa l’impugnabilità delle sentenze del Consiglio di Stato che facciano applicazione di prassi interpretative elaborate in sede nazionale ritenute confliggenti con sentenze della Corte di giustizia, quali ipotesi di eccesso di potere giurisdizionale da denegata giustizia, derivante da un radicale stravolgimento delle norme di riferimento, nazionali o unionali.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    CGUE, sez. IX, 7 luglio 2022, in causa C-261/21;
CGUE, Grande Sezione, 21 dicembre 2021, in causa C-497/20
Difformi:      Cass. Sez. Un. 29 dicembre 2017, n. 31226; Id., 6 febbraio 2015, n. 2242
giurista risponde

Principio di rotazione affidamenti Come va inteso il principio di rotazione nel caso in cui gli affidamenti in successione concernano prestazioni solo parzialmente assimilabili?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso

 

Il principio di rotazione non si applica nel caso di diversità tra le prestazioni oggetto degli affidamenti in successione, cioè a dire di “sostanziale alterità qualitativa” delle prestazioni oggetto delle due commesse. – Cons. Stato, sez. V, 7 settembre 2022, n. 7794.

Il Consiglio di Stato, richiamando la consolidata giurisprudenza sul punto, ricorda che il principio di rotazione e il conseguente divieto, nelle procedure sottosoglia, di invitare il precedente affidatario nell’affidamento delle nuove commesse, trae fondamento nell’esigenza di evitare rendite di posizione in capo al gestore uscente, la cui posizione di vantaggio deriva dalle informazioni acquisite durante il pregresso affidamento.

Esso è volto a garantire il corretto esplicarsi del principio di concorrenza, garantendo la turnazione di diversi operatori nella realizzazione del “medesimo servizio”.

Il principio di rotazione non si applica, tuttavia, nel caso di diversità tra le prestazioni oggetto degli affidamenti in successione, cioè a dire di “sostanziale alterità qualitativa” delle prestazioni oggetto delle due commesse.

Dunque, nel caso in cui gli affidamenti in successione siano solo parzialmente assimilabili, ma contenutisticamente distinti, posto che il nuovo affidamento ha ad oggetto prestazioni nuove e diverse, afferenti ad una diversa categoria merceologiche, il suddetto principio non trova applicazione, non sussistendo il presupposto della continuità tra le prestazioni contrattuali.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. V, 28 febbraio 2022, n. 1421; Id., 15 dicembre 2020, n. 8030;
Cons. Stato, sez. III, 25 aprile 2020, n. 2654)
giurista risponde

Sindacabilità provvedimento art. 80 co. 5 Codice contratti pubblici In che limiti è sindacabile dal giudice il provvedimento di esclusione ex art. 80, comma 5, in relazione alla ritenuta sussistenza di una condotta integrante un grave illecito professionale?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso

 

Spetta alla stazione appaltante, nell’esercizio della sua discrezionalità, apprezzare autonomamente le pregresse vicende professionali dell’operatore economico, con la conseguenza che un provvedimento di esclusione adeguatamente motivato e che consenta di ricostruire agevolmente l’iter logico-giuridico seguito dall’amministrazione non risulta sindacabile. – Cons. Stato, sez. V, 8 settembre 2022, n. 7823.

Nelle gare pubbliche il giudizio su gravi illeciti professionali è espressione di ampia discrezionalità da parte dell’Amministrazione, cui il Legislatore ha voluto riconoscere un ampio margine di apprezzamento circa la sussistenza del requisito dell’affidabilità dell’appaltatore.

L’art. 80, comma 5, lett. c), D.Lgs. 50/2016 non contempla alcun “automatismo” tra la pendenza di un procedimento penale per una ipotesi di reato astrattamente assimilabile ad un “grave illecito professionale” e la sanzione dell’esclusione della gara, ponendo, al contrario, in capo alla Stazione appaltante l’onere di verificare, in concreto, se le condotte rilevate in sede penale siano effettivamente idonee a rendere dubbia l’integrità e/o l’affidabilità dell’operatore economico.

Spetta alla stazione appaltante, nell’esercizio di tale ampia discrezionalità, apprezzare autonomamente le pregresse vicende professionali dell’operatore economico, persino se non abbiano dato luogo ad un provvedimento di condanna in sede penale, perché essa sola può fissare il punto di rottura dell’affidamento nel pregresso o futuro contraente.

Nel caso esaminato, la stazione appaltante aveva escluso un operatore economico sulla base di una richiesta di rinvio a giudizio per il reato di cui all’art. 353 c.p.p., ritenuta idonea a minare l’integrità e l’affidabilità dell’operatore economico.

Come più volte affermato dalla giurisprudenza, in simili circostanze, un provvedimento che reca una motivazione particolarmente ampia, enunciando le ragioni di fatto e individuando le disposizioni a giustificazione del contenuto, consentendo agevolmente la ricostruzione dell’iter logico-giuridico seguito dall’Amministrazione, non risulta sindacabile.

E infatti il sindacato che il giudice amministrativo è chiamato a compiere sulle motivazioni di tale apprezzamento deve essere mantenuto sul piano della “non pretestuosità” della valutazione degli elementi di fatto compiuta; in particolare, la non manifesta abnormità, contraddittorietà o contrarietà a norme imperative di legge nella valutazione degli elementi di fatto. Il sindacato, inoltre, non può pervenire ad evidenziare una mera non condivisibilità della valutazione stessa.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. V, 27 ottobre 2021, n. 7223
giurista risponde

Omissione pronuncia istanza rinvio CGUE La condotta del giudice che ometta di pronunciarsi sull’istanza di rinvio alla Corte di giustizia dell’Unione europea, formulata da una delle parti in causa ex art. 267 T.F.U.E., è qualificabile come omissione di pronuncia dovuta ad errore di fatto con conseguente ammissibilità della revocazione della sentenza?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso

 

Il Consiglio di Stato ha sottoposto la questione all’Adunanza Plenaria. – Cons. Stato, sez. V, ord. 3 ottobre 2022, n. 8436.

La Sezione si interroga sull’omesso rinvio pregiudiziale in conseguenza del travisamento della questione di conformità del diritto interno al diritto unionale e se tale errore nel quale sia incorso il giudice possa essere qualificato come errore di fatto, ai sensi dell’art. 395, comma 1, n. 4, cod. proc. civ., cui rinvia l’art. 106, comma 1, cod. proc. amm., o se, invece, sia un errore di diritto, che esclude, come è noto, l’ammissibilità del rimedio revocatorio

Si afferma, in particolare che: “L’errore di fatto, cui consegua omessa pronuncia su domanda, motivo di ricorso o eccezione, è ragione di revocazione della sentenza del Consiglio di Stato per errore di fatto ai sensi dell’art. 395, comma 1, Cod. proc. civ., cui rinvia l’art. 106 Cod. proc. amm., alle condizioni fissate dalla sentenza dell’Adunanza plenaria 22 gennaio 1997, n. 3, cui la giurisprudenza successiva si è costantemente uniformata. In particolare occorre che l’errore di fatto – quand’anche esiti nell’omissione di pronuncia – abbia le note caratteristiche dell’errore di fatto c.d. revocatorio ovvero: a) consistere nell’erronea percezione del contenuto materiale degli atti del processo (ovvero in una svista, in un errore di lettura, nell’ “abbaglio dei sensi”) per il quale il giudice abbia fondato il suo convincimento su di un falso presupposto di fatto; b) attenere ad un punto non controverso e sul quale la decisione non abbia espressamente motivato; c) essere decisivo, vale a dire trovarsi in un rapporto di stretta consequenzialità con la pronuncia adottata dal giudice (ovvero, più chiaramente, più opportunamente, la soluzione con la quale il giudice ha chiuso la controversia), di modo che si possa dire che se l’errore non sia fosse verificato l’esito sarebbe stato diverso”.

Tuttavia, il fraintendimento della questione di compatibilità euro-unitaria viene ritenuto tradizionalmente dalla giurisprudenza un errore di diritto.

In particolare, nel caso in cui l’errore riguardi l’individuazione (prima) e l’interpretazione (poi) della questione giuridica da risolvere, si è in presenza di un fraintendimento che non è dei sensi ma del giudizio e per tradizione tale errore si qualificherebbe come errore di diritto.

Dando atto, tuttavia, della sussistenza di recenti orientamenti contrastanti sul punto, la V Sezione del Consiglio di Stato ha sottoposto all’Adunanza plenaria le seguenti questioni:

a) se e a quali condizioni la condotta del giudice che ometta di pronunciarsi sull’istanza di rinvio alla Corte di giustizia dell’Unione europea formulata da una delle parti in causa ex 267 T.F.U.E. sia qualificabile come omissione di pronuncia dovuta ad errore di fatto con conseguente ammissibilità della revocazione della sentenza pronunciata ai sensi degli artt. 106 cod. proc. amm. e 395, comma 1, n. 4) cod. proc. civ.;

b) in particolare, se configuri l’omissione di pronuncia di cui sopra il caso in cui il giudice non si sia pronunciato sull’istanza di rinvio in conseguenza di un fraintendimento in cui è incorso in merito alla questione di possibile incompatibilità delle disposizioni interne da applicare per risolvere la controversia con il diritto dell’Unione europea prospettata dalla parte nei motivi di appello.

giurista risponde

Riparto giurisdizione controversie finanziamenti pubblici Come opera il riparto di giurisdizione sulle controversie riguardanti la concessione o la revoca di finanziamenti pubblici?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso

 

Sussiste sempre la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, mentre alla Pubblica Amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare gli effettivi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale. Qualora la controversia attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo sul presupposto di un addotto inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione o dall’acclarato sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, la giurisdizione spetta al giudice ordinario. – C.G.A.R.S., 4 ottobre 2022, n. 1000.

Il Consiglio di Giustizia Amministrativa per la Regione Sicilia ha ribadito i confini tra la giurisdizione ordinaria e quella amministrativa sulle controversie in riguardanti la concessione o la revoca di finanziamenti pubblici.

Si evidenzia, in particolare, che la controversia promossa per ottenere l’annullamento del provvedimento di revoca di un finanziamento pubblico, concerne una posizione di diritto soggettivo – devoluta quindi alla giurisdizione di un giudice ordinario –, tutte le volte in cui l’Amministrazione abbia inteso far valere la decadenza del beneficiario dal contributo in ragione della mancata osservanza, da parte sua, di obblighi al cui adempimento la legge o il provvedimento condizionano l’erogazione, mentre riguarda una posizione di interesse legittimo – con conseguente devoluzione al giudice amministrativo – allorché la mancata erogazione del finanziamento, pur oggetto di specifico provvedimento di attribuzione, sia dipesa dall’esercizio di poteri di autotutela dell’amministrazione, la quale abbia inteso annullare il provvedimento stesso per i vizi originari di legittimità o revocarlo per contrasto originario con l’interesse pubblico.

Il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo in materia di controversie riguardanti la concessione e la revoca di contributi e sovvenzioni pubbliche deve essere attuato sulla base del generale criterio di riparto fondato sulla natura della situazione soggettiva azionata, con la conseguenza che: sussiste sempre la giurisdizione del giudice ordinario quando il finanziamento è riconosciuto direttamente dalla legge, mentre alla Pubblica Amministrazione è demandato soltanto il compito di verificare l’effettiva esistenza dei relativi presupposti senza procedere ad alcun apprezzamento discrezionale circa l’an, il quid, il quomodo dell’erogazione.

Qualora la controversia attenga alla fase di erogazione o di ripetizione del contributo, sul presupposto di un addotto inadempimento del beneficiario alle condizioni statuite in sede di erogazione o dall’acclarato sviamento dei fondi acquisiti rispetto al programma finanziato, la giurisdizione spetta al giudice ordinario, anche se si faccia questione di atti formalmente intitolati come revoca, decadenza o risoluzione, purché essi si fondino sull’inadempimento alle obbligazioni assunte di fronte alla concessione del contributo.

In tal caso, infatti, il privato è titolare di un diritto soggettivo perfetto, come tale tutelabile dinanzi al giudice ordinario, attenendo la controversia alla fase esecutiva del rapporto di sovvenzione e all’inadempimento degli obblighi cui è subordinato il concreto provvedimento di attribuzione. Viceversa, è configurabile una situazione soggettiva d’interesse legittimo, con conseguente giurisdizione del giudice amministrativo, solo ove la controversia riguardi una fase procedimentale precedente al provvedimento discrezionale attributivo del beneficio, oppure quando, a seguito della concessione del beneficio, il provvedimento sia stato annullato o revocato per vizi di legittimità o per contrasto iniziale con il pubblico interesse, ma non per inadempienze del beneficiario.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cass. Sez. Un. 30 luglio 2020, n. 16457;
Cons. Stato, sez. III, 12 aprile 2022, n. 2733
giurista risponde

Termine triennale art. 80 comma 10bis codice contratti pubblici Il termine triennale ex art. 80, comma 10bis del D.Lgs. 50/2016 decorre dall’accertamento del fatto o dal momento della sua realizzazione?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso

 

Il termine triennale, ex art. 80, comma 10bis del codice dei contratti pubblici, volto ad escludere la rilevanza dei fatti determinanti l’impossibilità di contrattare con la pubblica amministrazione, decorre non dalla commissione materiale del fatto in sé, bensì dall’accertamento del fatto. – Cons. Stato, sez. IV, 7 ottobre 2022, n. 8611.

Il Consiglio di Stato conferma l’adesione all’orientamento in forza del quale: “In assenza di un accertamento definitivo, contenuto in una sentenza o in un provvedimento amministrativo divenuto inoppugnabile, per individuare il dies a quo del termine triennale capace di elidere la rilevanza dei fatti determinanti l’impossibilità di contrattare con la pubblica amministrazione, deve aversi riguardo alla data dell’accertamento del fatto, idoneo a conferire a quest’ultimo una qualificazione giuridica rilevante per le norme in materia di esclusione dalle gare d’appalto e non, dunque, la mera commissione del fatto in sé.

Si evidenzia, inoltre, che: “Prima dell’accertamento definitivo, la condotta oggetto di procedimento penale, ai fini della valutazione ex art. 80, comma 5, lett. c), del codice degli appalti, può rilevare nella sua dimensione fattuale ed extra-penale entro il previsto limite temporale triennale e può continuare a rilevare, anche oltre tale limite, se e in quanto abbia formato oggetto di contestazione in giudizio, ossia allorquando la correlativa azione penale abbia varcato la soglia processuale di instaurazione del giudizio dibattimentale o di una sua forma alternativa per l’emissione di una pronuncia di condanna o di una pronuncia ad essa equiparabile (cfr. art. 80, comma 1), suscettibile, come tale, di accertare fatti integranti gravi illeciti professionali”. Ne deriva pertanto che la condotta oggetto di un procedimento penale e suscettibile di integrare un grave illecito professionale può rilevare anche oltre il suddetto limite temporale di durata triennale se e in quanto abbia formato oggetto di contestazione, nei termini sopra indicati.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. IV, 31 dicembre 2012, n. 8563;
Corte Giust. UE, Sez. IV, 24 ottobre 2018, in causa C- 124/17
giurista risponde

Impugnabilità bando di gara e clausole L’ambito di immediata impugnabilità di un bando di gara non è circoscritto alle sole sue clausole stricto sensu escludenti?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso

 

L’ambito di immediata impugnabilità di un bando di gara non è circoscritto alle sole sue clausole stricto sensu escludenti, ma ricomprende anche altre evenienze particolari, tra le quali quella in cui la lex specialis del caso concreto non sia tale da consentire la formulazione di una seria e ponderata offerta ovvero qualora si sia in presenza di disposizioni abnormi o illogiche che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica del partecipante alla gara. – Cons. Stato, sez. V, 26 ottobre 2022, n. 9138.

Ha chiarito il Consiglio di Stato che solo le cd. “clausole immediatamente escludenti” legittimano l’impugnazione anche dell’operatore economico che non abbia partecipato alla selezione, ricordando che, secondo la giurisprudenza, la categoria ricomprende: “a) clausole impositive, ai fini della partecipazione, di oneri manifestamente incomprensibili o del tutto sproporzionati per eccesso rispetto ai contenuti della procedura; b) regole che rendano la partecipazione incongruamente difficoltosa o addirittura impossibile (così l’Ad. plen. 3/2001); c) disposizioni abnormi o irragionevoli che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica ai fini della partecipazione alla gara; ovvero prevedano abbreviazioni irragionevoli dei termini per la presentazione dell’offerta (cfr. Cons. Stato, sez. V, 24 febbraio 2003, n. 980); d) condizioni negoziali che rendano il rapporto contrattuale eccessivamente oneroso e obiettivamente non conveniente (cfr. Cons. Stato, sez. V, 21 novembre 2011, n. 6135; sez. III, 23 gennaio 2015, n. 293); e) clausole impositive di obblighi contra ius (es. cauzione definitiva pari all’intero importo dell’appalto: Cons. Stato, sez. II, 19 febbraio 2003, n. 2222); f) bandi contenenti gravi carenze nell’indicazione di dati essenziali per la formulazione dell’offerta (come, ad esempio, quelli relativi al numero, qualifiche, mansioni, livelli retributivi e anzianità del personale destinato ad essere assorbiti dall’aggiudicatario), ovvero che presentino formule matematiche del tutto errate (come quelle per cui tutte le offerte conseguono comunque il punteggio di “0” pt.); g) atti di gara del tutto mancanti della prescritta indicazione nel bando dei costi della sicurezza “non soggetti a ribasso” (cfr. Cons. Stato, sez. III, 3 ottobre 2011, n. 5421)”.

Ne deriva che le rimanenti clausole, in quanto non immediatamente lesive, devono essere impugnate insieme con l’atto di approvazione della graduatoria definitiva, che definisce la procedura concorsuale ed identifica in concreto il soggetto leso dal provvedimento, rendendo attuale e concreta la lesione della situazione soggettiva (Cons. Stato, sez. V, 27 ottobre 2014, n. 5282), postulando perciò la preventiva partecipazione alla gara.

Si precisa tuttavia, che: “L’ambito di immediata impugnabilità di un bando di gara non è circoscritto alle sole sue clausole stricto sensu escludenti, ma ricomprende anche altre evenienze particolari, tra le quali quella in cui la lex specialis del caso concreto non sia tale da consentire la formulazione di una seria e ponderata offerta ovvero qualora si sia in presenza di disposizioni abnormi o illogiche che rendano impossibile il calcolo di convenienza tecnica ed economica del partecipante alla gara. L’onere di immediata impugnativa delle prescrizioni di gara in evenienze della specie appare per altro verso un rimedio quanto mai efficace per evitare che un operatore economico partecipi alla gara in via “esplorativa”, se non addirittura opportunistica, ossia con la riserva mentale di impugnarne gli esiti, laddove sfavorevoli, denunciando proprio la vaghezza delle regole circa gli elementi strutturali ed i contenuti dell’offerta”.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. IV, 7 novembre 2012, n. 5671;
Cons. Stato, Ad. plen. 11 giugno 2001, n. 3
giurista risponde

Controversie mobilità personale scolastico Le controversie concernenti le procedure di mobilità del personale scolastico si configurano come atti di macro-organizzazione rientranti nella giurisdizione del giudice amministrativo?

Quesito con risposta a cura di Claudia Buonsante, Giusy Casamassima e Ilenia Grasso

 

Le controversie concernenti procedure di mobilità del personale scolastico rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario non configurandosi quali atti di macro-organizzazione, cioè atti di portata generale con i quali l’amministrazione organizza i propri uffici (come ad es. gli atti che fissano le piante organiche), ma piuttosto come meri atti privatistici di gestione del rapporto di lavoro. – Cons. Stato, sez. VII, 27 ottobre 2022, n. 9201. 

Il Consiglio di Stato ha ribadito l’insussistenza della giurisdizione del giudice amministrativo sulle controversie concernenti le procedure di mobilità del personale scolastico, non trattandosi di atti di macro-organizzazione.

Richiamando al riguardo quanto affermato dalle Sezioni Unite della Cassazione, si ribadisce che: “In materia di procedura di trasferimento e mobilità del personale docente, la controversia avente ad oggetto la domanda di annullamento dell’ordinanza del Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca dell’8 aprile 2016, n. 241, adottata ex art. 462, comma 6, D.Lgs. 297/1994, nella parte in cui non consente la valutazione del servizio pre-ruolo presso le scuole paritarie, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario, in quanto l’ordinanza in questione, lungi dal dettare le linee fondamentali di organizzazione degli uffici o dal determinare le dotazioni organiche complessive, si limita alla previsione di norme di dettaglio circa i termini e le modalità di presentazione delle domande relative alle procedure di mobilità – che non possono essere ascritte alla categoria delle procedure concorsuali per l’assunzione, né equiparate all’ipotesi di passaggio da un’area funzionale ad altra – come definite dalla contrattazione collettiva integrativa nazionale, sicché il petitum sostanziale dedotto involge un atto di gestione della graduatoria, incidente in via diretta sulla posizione soggettiva dell’interessato e sul suo diritto al collocamento nella giusta posizione nell’ambito della graduatoria medesima. La mobilità quindi è vicenda che è relativa a rapporto già costituito anche quando esterna”.

Si richiama, altresì, quanto già affermato dal Consiglio che ha aderito a tale orientamento della Corte di Cassazione concludendo che: “In forza degli artt. 5 e 386 c.p.c., la giurisdizione si determina in base alla domanda e, ai fini del riparto tra il giudice ordinario e il giudice amministrativo, rileva non già la prospettazione delle parti, bensì il petitum sostanziale, il quale va identificato non solo e non tanto in funzione della concreta pronuncia che si chiede al giudice, ma anche, e soprattutto, in funzione della causa petendi, ossia dell’intrinseca natura della posizione dedotta in giudizio ed individuata dal giudice con riguardo ai fatti allegati ed al rapporto giuridico del quale detti fatti sono manifestazione). In tema di lavoro pubblico “contrattualizzato” non sono configurabili situazioni di interesse legittimo con specifico riguardo ad ipotesi di procedura di mobilità del personale docente qualificando come diritto soggettivo l’interesse pregiudicato da decisioni assunte in esito a procedimenti riconducibili all’esercizio dei poteri del privato datore di lavoro, senza che rilevi che la pretesa giudiziale sia stata prospettata come richiesta di annullamento per il vizio prodotto dalla illegittimità di un atto amministrativo presupposti.

 

PRECEDENTI GIURISPRUDENZIALI
Conformi:    Cons. Stato, sez. VI, 5 marzo 2020, n. 1625;
Cass., Sez. Un., 26 giugno 2019, n. 17123;
Id., 23 settembre 2013, n. 21677; Id., 27 dicembre 2011, n. 28800