bonus genitori separati

Bonus genitori separati: dopo 4 anni arriva il pagamento Bonus genitori separati: previsto dal decreto n. 41/2021, è stato attuato a fine 2022, ma l’INPS riuscirà a pagare nei prossimi mesi

Bonus genitori separati: norma di riferimento

Il bonus genitori separati nasce con l’articolo 12-bis del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41, convertito dalla legge 21 maggio 2021, n. 69. Per la misura il decreto ha istituito un fondo da 10 milioni di euro per il 2022, destinato ai genitori separati o divorziati in difficoltà economica. Il contributo doveva garantire la continuità dell’assegno di mantenimento non ricevuto durante la pandemia.

Ragioni del bonus genitori separati

Il Governo ha introdotto questa misura per sostenere i genitori separati che, a causa della crisi pandemica, non hanno ricevuto l’assegno di mantenimento. L’obiettivo era garantire un aiuto economico ai genitori in stato di bisogno, con figli minori o con disabilità grave a carico conviventi. La pandemia ha infatti aggravato la precarietà lavorativa di molte persone, rendendo impossibile per alcuni ex coniugi rispettare gli obblighi di mantenimento.

A chi spetta la misura

Il bonus è stato previsto in favore dei genitori separati o divorziati che non hanno ricevuto l’assegno di mantenimento nel periodo 8 marzo 2020 – 31 marzo 2022. I beneficiari devono aver convissuto con figli minori o figli maggiorenni con disabilità grave e trovarsi in stato di bisogno economico.

Il reddito annuo del richiedente non deve superare 8.174 euro. Inoltre, l’ex coniuge o ex convivente deve aver subito una riduzione del reddito di almeno il 30% rispetto al 2019, una sospensione lavorativa di almeno 90 giorni o la cessazione dell’attività lavorativa.

In cosa consiste il bonus genitori separati

Il bonus prevede un contributo massimo di 800 euro al mese per un anno, con un pagamento in un’unica soluzione fino a 9.600 euro. L’importo dipende dalla somma non ricevuta dell’assegno di mantenimento. Le risorse sono limitate e saranno erogate fino all’esaurimento del fondo.  

Quando verrà corrisposto

Dopo quattro anni di attesa, l’INPS ha sbloccato i fondi. I genitori che hanno presentato domanda entro il 2 aprile 2024 riceveranno il pagamento nei prossimi mesi. L’erogazione avverrà in un’unica soluzione. Se il fondo sarà rifinanziato, potrebbero aprirsi nuove finestre per le domande.

Fondi nei prossimi mesi

La misura ha subito ritardi a causa di problemi burocratici. Il testo iniziale del decreto Sostegni era vago e inapplicabile. Servivano modifiche per includere le coppie di fatto e chiarire i criteri di accesso. Il decreto attuativo è arrivato solo a fine 2022.

La fase operativa è partita nel 2024 con l’apertura delle domande online. La verifica dei requisiti ha richiesto un grande lavoro, rallentando ulteriormente i tempi di pagamento. Ora l’Inps assicura che i fondi saranno distribuiti nei prossimi mesi.

 

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assegno di maternità

Assegno di maternità Assegno di maternità: importo rivalutato 2025, requisiti soggettivi e reddituali e indicazioni per fare domanda

Assegno di maternità: che cos’è

L’assegno di maternità è un contributo economico previsto per ogni figlio nato a partire dal 1° gennaio 2001 o per ogni minore in affidamento preadottivo o in adozione che alla data indicata non sia stato dato in affidamento.

A chi spetta l’assegno di maternità

Le donne residenti in Italia, con cittadinanza italiana o comunitaria o straniere in possesso di determinati requisiti hanno diritto all’assegno di maternità.

L’assegno spetta alle madri disoccupate o che, pur lavorando, non godono di altre indennità di maternità erogate dall’INPS o dal datore di lavoro. La misura spetta anche alle madri che beneficiano di indennità  di maternità in misura inferiore all’assegno di maternità. In quest’ultimo caso l’assegno è erogato per la differenza.

Importo dell’assegno di maternità 2025

L’importo mensile dell’assegno di maternità per nascite, affidamenti e adozioni verificatesi dal 1° gennaio al 31 dicembre del 2025, come da comunicato della Presidenza del Consiglio dei Ministri, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 4 febbraio 2025, è pari a Euro 407,40 se spettante nella misura intera.

La circolare INPS 19 febbraio 2025, n. 45 informa che, in base alla variazione della media 2024 dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, l’importo totale dell’Assegno mensile di maternità, se spetta nella misura intera, sarà di 2.037 euro per le nascite, gli affidamenti preadottivi e le adozioni senza affidamento che si verificheranno dal 1° gennaio 2025 al 31 dicembre 2025.

Requisito economico ISEE per l’assegno di maternità

Inoltre, in seguito alla rivalutazione comunicata dalla presidenza, sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati dello 0,8% per il 2025, relativamente al valore dell’indicazione della situazione economica equivalente (ISEE), la soglia non deve essere superiore a euro 20.382,90.

Domanda: come e quando farla

La domanda per richiedere l’assegno di maternità deve essere presentata al Comune di residenza entro 6 mesi.

Il termine decorre dalla nascita o dalla data di ingresso effettivo in famiglia del minore adottato o in affidamento.

Quando può essere presentata da soggetti diversi:

  • Se la madre del bambino è minorenne, il padre, se maggiorenne, può presentare domanda. Se anche il padre del bambino è minorenne il genitore della madre, che ne ha la responsabilità genitoriale o un legale rappresentante, può fare domanda.
  • Se la madre del minore o colei che lo avuto in adozione o in affido è deceduta, la domanda può essere inoltrata dal padre che lo abbia riconosciuto (o dal coniuge della donna adottiva o affidataria). Il minore però deve collocato presso la famiglia anagrafica del soggetto che fa la domanda e deve essere sottoposto alla sua responsabilità genitoriale.
  • Se la madre ha abbandonato il bambino o il minore è stato dato in affidamento esclusivo al padre, la domanda può essere presentata da quest’ Il minore in questo caso deve trovarsi presso la famiglia anagrafica del padre e deve essere sottoposto alla sua responsabilità genitoriale. La madre deve risultare residente o soggiornante in Italia al momento del parto, in questo caso l’assegno spetta al padre.
  • Se i coniugi si sono separati la domanda può essere presentata dall’adottante o dall’affidatario preadottivo. Il minore tuttavia deve far parte della famiglia anagrafica del soggetto che presenta la domanda e l’assegno non deve essere già stato riconosciuto alla madre adottiva o affidataria.
  • In caso di adozione speciale (art. 44 comma 3 legge n. 184/1983) la domanda può essere presentata dall’adottante non sposato. Il minore però deve essere collocato presso la famiglia anagrafica del richiedente e deve essere sottoposto alla sua responsabilità genitoriale.
  • Se il minore non è riconosciuto o non è riconoscibile dai genitori la domanda può essere presentata dal soggetto a cui il minore è stato affidato dal giudice. In questo caso il bambino deve rientrare nella famiglia anagrafica del soggetto a cui è stato affidato.

Documenti da produrre per la domanda

Chi presenta la domanda per l’assegno di maternità deve anche produrre alcuni documenti.

  • Una DSU valida che indichi i redditi percepiti dal nucleo famigliare nell’anno precedente.
  • Un’autocertificazione che dichiari il possesso dei requisiti richiesti dalla legge per fare domanda, l’assenza di altri trattamenti economici e di non aver fatto domanda per l’assegno di cui all’art. 75 dlgs n. 151/2001 per lavori atipici e discontinui. Qualora il soggetto dichiari di beneficiare di qualche indennità legata alla maternità deve indicarne l’importo.

 

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trust familiare

Il trust familiare Il trust familiare: cos’è, come funziona, qual è la sua disciplina, il funzionamento, i costi, vantaggi e svantaggi

Cos’è il trust familiare

Il trust familiare è un istituto giuridico che consente di destinare beni a uno scopo determinato, con l’affidamento della loro gestione a un trustee, nell’interesse di beneficiari designati. Viene spesso utilizzato per proteggere il patrimonio familiare, pianificare la successione e garantire il benessere dei propri cari.

Disciplina del trust familiare

In Italia, il trust non è regolato da una legge specifica, ma è riconosciuto grazie alla Convenzione dell’Aja del 1985 (ratificata con legge 364/1989). La normativa applicabile viene scelta nell’atto istitutivo del trust, solitamente secondo ordinamenti di common law. La giurisprudenza italiana, con alcune sentenze della Corte di Cassazione, ha chiarito importanti aspetto del trust (Cass. n. 8082/2020; Cass. n. 2043/2017, n. 19376/2017).

Come funziona il trust familiare

Il trust si costituisce mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata. I soggetti coinvolti sono:

  • il disponente: colui che trasferisce i beni al trust;
  • il trustee: l’amministratore dei beni secondo le regole dell’atto istitutivo;
  • i beneficiari: coloro che ricevono i benefici del trust;
  • il guardiano (facoltativo): sorveglia l’operato del trustee.

Quando conviene istituirlo

Il trust familiare è utile per:

  • la pianificazione successoria: evitare divisioni ereditarie conflittuali;
  • la protezione del patrimonio: mettere al riparo i beni da azioni esecutive;
  • la tutela di soggetti deboli: garantire assistenza a familiari disabili o minori.

Quanto costa istituire un trust familiare

I costi variano in base alla complessità dell’atto e al valore dei beni coinvolti. Solitamente comprendono:

  • il compenso del notaio (per l’atto pubblico);
  • gli onorari dell’avvocato;
  • le eventuali imposte di registro e ipocatastali;
  • il compenso annuale del trustee

Vantaggi e svantaggi del trust familiare

Come tutti gli istituti giuridici il trust familiare presenta aspetti positivi e negativi.

Vantaggi

  • Tutela patrimoniale: separazione dei beni dal patrimonio personale.
  • Riservatezza: il trust non è pubblicamente consultabile.
  • Flessibilità: personalizzazione delle clausole per esigenze familiari.

Svantaggi

  • Costi elevati: sia iniziali sia di gestione.
  • Complessità giuridica: richiede consulenza legale specializzata.
  • Contenziosi fiscali: possibile conflitto con l’Agenzia delle Entrate.

Giurisprudenza rilevante

Ecco alcune importanti sentenze sul trust familiare:

Cassazione n. 3886/2015: “L’atto denominato trust, funzionale, quoad effectum, all’applicazione di un regolamento equiparabile a un fondo patrimoniale, va qualificato ai fini tributari come atto costitutivo di vincolo di destinazione, con le conseguenti assoggettabilità alla relativa imposta dei beneficiari della destinazione e responsabilità d’imposta del notaio rogante”.

Cassazione n. 25423/2019: la costituzione del fondo patrimoniale, pur se finalizzata ai bisogni familiari, non è un obbligo di legge, bensì un atto a titolo gratuito, privo di una controprestazione a favore dei costituenti. Di conseguenza, tale atto è soggetto ad azione revocatoria ordinaria qualora sussista la mera conoscenza del pregiudizio arrecato ai creditori. La Corte ha inoltre precisato che la costituzione o un trust familiare non integra di per sé l’adempimento di un dovere giuridico, non essendo prevista come obbligatoria dalla legge. Pertanto, essa rimane suscettibile di revocatoria, salvo che si dimostri l’esistenza di un dovere morale specifico e l’intenzione di adempierlo attraverso tale atto.

Corte d’Appello di Firenze  n. 2061/2024: L’atto istitutivo di un trust familiare, anche se finalizzato al sostegno economico di un figlio, è considerato un atto a titolo gratuito. Questo perché non è previsto come obbligatorio dalla legge e non prevede una controprestazione economica a favore di chi lo istituisce (disponente).

 

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mantenimento al figlio maggiorenne

Mantenimento al figlio maggiorenne che si disinteressa del padre Mantenimento al figlio maggiorenne: dovuto se non è economicamente autosufficiente, non rileva che si disinteressi del padre

Mantenimento al figlio maggiorenne

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 3552/2025, ha ribadito un principio fondamentale in materia di mantenimento al figlio maggiorenne non autosufficiente. L’obbligo del genitore non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, ma richiede un’accurata verifica della situazione economica e lavorativa del figlio, anche se questo non dimostra interesse per il genitore obbligato.

Revoca del mantenimento del figlio maggiorenne

Un padre chiede la revoca dell’assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne perché economicamente indipendente. L’uomo lamenta inoltre il disinteresse del figlio per il suo stato di salute, a causa del quale, da anni subisce interventi chirurgici. Il Tribunale respinge la richiesta, perché di fatto il giovane non ha ancora raggiunto un’indipendenza economica stabile. La Corte d’Appello conferma in gran parte la decisione, sottolineando che l’obbligo di mantenimento si protrae in assenza di autosufficienza economica.

Non rileva il rapporto affettivo

La Cassazione ritiene inammissibile il ricorso del padre, evidenziando alcuni aspetti del diritto al mantenimento dei figli.

Il genitore deve continuare a garantire il supporto economico fino a quando il figlio non ottiene un’adeguata autosufficienza finanziaria. Il giudice deve verificare l’effettivo inserimento nel mondo del lavoro, valutando il tipo di occupazione, la stabilità del reddito e le prospettive future del giovane. Il diritto del figlio a ricevere l’assegno non dipende dalla qualità del rapporto con il genitore obbligato. L’eventuale distanza affettiva non costituisce infatti motivo valido per interrompere il sostegno economico. Per ottenere la revoca dell’assegno, il genitore deve provare piuttosto un significativo peggioramento delle proprie condizioni finanziarie. Nel caso in esame, però tale prova non è stata fornita.

Autosufficienza economica

La decisione della Cassazione conferma un orientamento consolidato. Il mantenimento del figlio maggiorenne resta cioè un obbligo fino a quando non si accerta una reale autosufficienza economica. Il disinteresse affettivo vero il genitore obbligato non incide sulla persistenza dell’assegno, poiché il diritto al mantenimento è di natura patrimoniale e non morale. I genitori che desiderano ottenere la revoca dell’assegno devono dimostrare con prove concrete il raggiungimento dell’autonomia economica del figlio. Inoltre, eventuali difficoltà finanziarie del genitore devono essere adeguatamente documentate per incidere sulla decisione del giudice.

La Cassazione ribadisce in sostanza il principio di responsabilità genitoriale, sottolineando l’importanza di garantire ai figli le condizioni necessarie per una reale indipendenza economica, a prescindere dalla relazione affettiva con gli stessi.

 

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Nessun mantenimento alla ex se non cerca lavoro Mantenimento alla ex: non è dovuto l’assegno alla moglie che, per età e capacità, può mantenersi da sola ma non si attiva per cercare lavoro

Assegno di mantenimento alla ex

La Cassazione, con l’ordinanza n. 3354/2025, ha deciso che l’assegno di mantenimento alla ex è dovuto se dimostra di aver cercato attivamente lavoro senza successo. La capacità lavorativa è un criterio essenziale per determinare il diritto all’assegno. È responsabilità del richiedente fornire prove di un’infruttuosa ricerca occupazionale. L’assegno, previsto dall’articolo 156 del codice civile, difende la solidarietà coniugale ma non copre ciò che il coniuge potrebbe ottenere autonomamente. Nel caso specifico, la richiesta della ex moglie è stata respinta poiché non ha dimostrato di aver cercato lavoro e ha rifiutato ingiustificatamente un’offerta.

Mantenimento post-separazione: art. 156 c.c.

Il Tribunale si esprime in prima istanza sulla separazione personale di due coniugi. Il marito contesta la decisione, chiedendo che la colpa della separazione venga attribuita alla moglie e che la richiesta di mantenimento venga respinta. La moglie non ha infatti soddisfatto le condizioni dell’articolo 156 c.c., che richiedono l’assenza di redditi adeguati. In giudizio, la moglie chiede il rigetto delle richieste del marito e che un terzo creditore del coniuge le paghi le somme dovute come mantenimento.

Mantenimento negato senza ricerca attiva

La Corte rigetta invece le richieste della moglie, accogliendo parzialmente quelle del marito. L’indagine istruttoria non permette alla Corte di stabilire se la fine del matrimonio sia attribuibile a uno o entrambi i coniugi. Tuttavia, riguardo al mantenimento richiesto dalla moglie, esso viene negato poiché ha rifiutato un’offerta lavorativa senza giustificazioni e non ha cercato attivamente lavoro. La donna si è limitata a inviare un curriculum a una banca, lamentando difficoltà nel trovare occupazione per mancanza di un mezzo proprio. Secondo la Corte l’assegno non è dovuto data la giovane età della richiedente, la breve durata del matrimonio e l’assenza di figli. L’assegno mensile di 250 euro decretato dal Tribunale non è giustificabile poiché non è stato neanche dimostrato il tenore di vita durante il matrimonio durato solo quattro anni.

Differenze economiche e difficoltà lavorative

La parte soccombente ricorre in Cassazione sottolineando che il marito possiede un notevole patrimonio immobiliare e un reddito adeguato mentre lei  durante il matrimonio si occupava della casa e della famiglia. Tra i due esisteva una significativa disparità economica e patrimoniale; inoltre va considerata la sua difficoltà nel trovare lavoro in Calabria, regione nota per problemi occupazionali.

Mantenimento alla ex escluso se capace di lavorare

La Cassazione però rigetta il ricorso sottolineando il mancato sforzo nella ricerca lavorativa da parte della moglie. Gli Ermellini ribadiscono che in tema di separazione dei coniugi, spetta al richiedente dimostrare lattivazione sul mercato del lavoro compatibile con le proprie capacità professionali in assenza di adeguati redditi propri. L’assegno previsto dall’articolo 156 c.c., pur esprimendo un dovere solidaristico, non può comprendere ciò che ordinariamente ci si può procurare autonomamente.

Per la Cassazione quindi le differenze reddituali non sono rilevanti se manca la prova della ricerca attiva di impiego; nel caso specifico è stato provato semmai il rifiuto ingiustificato dell’offerta lavorativa proposta.

 

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comodato familiare

Il comodato familiare Contratto di comodato familiare: a cosa serve e qual è la disciplina. Quando è possibile chiedere la restituzione del bene secondo la Cassazione

Comodato familiare: cos’è e come funziona

Per comodato familiare si intende il contratto con cui il proprietario (comodante) concede gratuitamente la disponibilità di un immobile ad un soggetto (comodatario, in questo caso solitamente il figlio/a del comodante) con lo specifico scopo di soddisfare le esigenze della famiglia di quest’ultimo.

Dal punto di vista pratico, dunque, il quadro è chiaro: il comodato familiare è la soluzione con cui, in genere, i genitori provvedono a procurare un’abitazione al proprio figlio/a per consentirgli di risiedervi con la propria famiglia.

Sotto l’aspetto giuridico, come vedremo, l’istituto del comodato familiare pone degli interrogativi in ordine alla possibilità di richiedere la restituzione del bene da parte del comodante e alla destinazione del bene in caso di separazione dei coniugi beneficiari del comodato (o di conclusione della loro convivenza).

Il contratto di comodato: disciplina generale

In linea generale, il comodato è il contratto con cui si concede l’uso gratuito di un bene mobile o immobile, con l’obbligo per il comodatario di conservarlo con la diligenza del buon padre di famiglia e di restituirlo al termine dell’utilizzo o allo scadere della durata concordata nel contratto.

Il contratto di comodato, che può essere concluso per iscritto o verbalmente, si perfeziona con la consegna del bene (in questo, oltre che per la gratuità, si differenzia dalla locazione, che invece si perfeziona con la stipula del contratto). La consegna del bene, peraltro, genera la mera detenzione da parte del comodatario e non il possesso, e di conseguenza non si configurano i presupposti di una possibile successiva usucapione.

In particolare: il comodato precario

Un aspetto rilevante ai fini dell’analisi del comodato familiare è la distinzione tra comodato a tempo determinato e il c.d. comodato precario.

Va ricordato, infatti, che in un contratto di comodato non è obbligatorio stabilire la durata: ciò ha importanti conseguenze in tema di restituzione del bene.

In particolare, se il comodato è previsto per una durata predeterminata o per un utilizzo specifico, il comodatario sarà tenuto a restituire il bene alla scadenza o al termine dell’utilizzo, e il comodante potrà richiederne la restituzione anticipata solamente in caso di insorgenza di un bisogno urgente e imprevedibile.

Diversamente, se il contratto non prevede alcuna scadenza, né questa sia desumibile dall’uso cui la cosa è destinata, il comodante può richiedere la restituzione del bene ad nutum, cioè in qualsiasi momento, ed il comodatario è tenuto ad adempiere. In questo caso, come detto, si parla di comodato precario, un istituto che trova la sua disciplina nell’art. 1810 del codice civile.

Il termine di durata nel comodato familiare

Tale distinzione ha importanti riflessi sulla disciplina del comodato familiare.

Sono molto frequenti, infatti, nell’esperienza dei nostri tribunali, le controversie relative all’interpretazione del contratto di comodato familiare e in particolare all’individuazione dell’esistenza o meno di un termine di durata.

Ebbene, il costante orientamento della giurisprudenza, anche di legittimità, è quello di inquadrare il comodato familiare nella disciplina generale del comodato (artt. 1803-1809 c.c.) e non in quella particolare del comodato precario di cui all’art. 1810.

Infatti, il contratto stipulato allo scopo di soddisfare le esigenze della famiglia del comodatario contiene di per sé un termine implicito, che afferisce all’esistenza di tali necessità. Solo nel momento in cui non sussistono più i bisogni familiari insorge il diritto alla restituzione da parte del comodante.

Ciò significa che nel comodato familiare il comodante non ha diritto di richiedere in qualsiasi momento la restituzione del bene (come invece accade nel comodato precario), ma può farlo solo quando vengano meno le necessità della famiglia o quando insorga una necessità del comodante imprevista ed urgente, come da disciplina generale.

Comodato familiare e separazione, la giurisprudenza

Va ulteriormente precisato che il termine implicito di durata così individuato fa riferimento non già all’esistenza della famiglia del comodatario, ma alla sussistenza delle necessità della stessa: ciò significa che il diritto alla detenzione del bene continua a sussistere anche in caso di separazione dei coniugi (o di conclusione della convivenza di fatto), e anche se l’immobile oggetto di comodato sia assegnato al coniuge collocatario che non sia il figlio/a del comodante.

Così, ad esempio, se i genitori del marito concedono in comodato familiare un immobile di loro proprietà al proprio figlio e questi, successivamente, si separi dalla moglie e il giudice assegni a quest’ultima l’immobile in quanto collocataria della prole, il comodato familiare continuerà a sussistere (esistendo ancora le esigenze della famiglia), nonostante il figlio/comodatario non vi abiti più.

Tutto questo è confermato da costante giurisprudenza di Cassazione, tra le cui pronunce segnaliamo la recente ordinanza Cassazione n. 573 del 9 gennaio 2025 e la sentenza delle Sezioni Unite n. 20448 del 2014. Riguardo alla necessità urgente e imprevista che dà diritto al comodante di chiedere la restituzione prima del termine, si veda Cass. n. 18619/2010, secondo cui tale bisogno deve essere “serio e non voluttuario”. Per l’applicabilità di quanto sopra esposto anche ad una situazione di convivenza di fatto, si rimanda a Cass. n. 13592/2011.

 

Per ulteriori approfondimenti, vedi anche la nostra guida generale al contratto di comodato

assegno unico universale figli

Assegno unico universale: la guida completa Cos’è l’assegno unico universale, quali leggi lo disciplinano, requisiti soggettivi e reddituali per richiederlo, come fare domanda e importi AUU 2025

Assegno unico universale: cos’è

L’assegno unico universale è stato previsto dalla legge n. 46/2021, che ha conferito la delega al Governo per riordinare, semplificare e rafforzare le misure a sostegno delle famiglie con figli a carico per favorire la natalità e l’occupazione femminile.

L’assegno è unico perché va a sostituire le misure precedentemente previste per i genitori con figli a carico, è universale perché si basa sul principio universalistico.

Questo beneficio economico infatti è riconosciuto su base progressiva a tutti i nuclei familiari con figli a carico. Il tutto ovviamente nei limiti delle risorse disponibili. L’assegno inoltre è modulato in base alla condizione economica del reddito familiare individuata tramite l’ISEE.

Esso inoltre può essere riconosciuto nella forma di credito d’imposta o di erogazione in danaro.

Assegno unico: quando spetta

L’articolo 2 della legge n. 46/2021 prevede il riconoscimento di un assegno mensile per ogni figlio di minore età a carico dei genitori a partire dal settimo mese di gravidanza.

Per i figli successivi al secondo l’assegno viene riconosciuto in misura maggiorata. La misura viene riconosciuta altresì per i figli maggiorenni a carico fino a 21 anni di età, con possibilità di corrispondere l’assegno direttamente al figlio, su sua richiesta, per favorirne l’autonomia. In quest’ultimo caso l’assegno spetta se il figlio maggiorenne frequenta un corso di formazione scolastico professionale, un corso di laurea o un tirocinio lavorativo (purché il reddito annuale lordo non superi gli 8000 euro lordi annuali), o è disoccupato e in cerca di lavoro presso un centro per l’impiego o un’agenzia per il lavoro o svolge infine servizio civile. La legge prevede maggiorazioni per situazioni particolari, come la disabilità del figlio o dei figli a carico, senza limiti di età.

Requisiti soggettivi del richiedente

L’assegno unico universale viene riconosciuto se il richiedente presenta contestualmente i seguenti requisiti:

– essere cittadino italiano o europeo o suo familiare titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente. Se il richiedente è cittadino di un paese non europeo deve essere in possesso del permesso di soggiorno europeo per soggiornanti di lungo periodo o del permesso di soggiorno per motivi di lavoro o di ricerca per la durata minima di un anno;

  • essere soggetto al pagamento dell’imposta sui redditi in Italia;
  • essere residente e domiciliato con figli a carico per tutta la durata di corresponsione dell’assegno;
  • essere stato o essere residente in Italia per almeno due anni, anche se non continuativi o essere titolare di un contratto di lavoro a tempo indeterminato o determinato della durata minima di due anni.

Sono previste deroghe a questi requisiti, da parte di una specifica commissione nazionale, in presenza di comprovate necessità collegate a casi del tutto particolari e comunque per periodi limitati, su proposta dei servizi sociali e sanitari locali.

Decorrenza e regole di dettaglio

Il decreto legislativo n. 230/2021 ha attuato la legge delega n. 46/2021 istituendo l’assegno unico e universale per i figli a carico e dettando le disposizioni di dettaglio della misura.

L’assegno, decorrente dal 1° marzo 2022 costituisce un beneficio riconosciuto mensilmente da marzo a febbraio dell’anno successivo ai nuclei familiari che presentano una determinata condizione economica risultante dall’indicatore della situazione economico equivalente (ISEE).

In assenza di ISEE il nucleo di riferimento viene accertato sulla base dei dati che vengono autodichiarati nella domanda.

L’assegno unico universale spetta in parti uguali a chi esercita la responsabilità genitoriale, salvo eccezioni. In caso di affidamento esclusivo infatti l’assegno, in assenza di un accordo tra le parti, viene corrisposto al genitore affidatario. Nel caso invece in cui sia stato nominato un tutore o un affidatario l’assegno viene riconosciuto nell’interesse esclusivo del tutelato o del minore in affido familiare.

Requisiti reddituali per l’assegno unico e universale

In base al decreto legislativo n. 230/2021 l’assegno unico universale spetta nella misura di 175 euro mensili per ogni figlio minorenne e per ogni figlio disabile senza limiti di età e nella misura di 85 euro per ogni figlio maggiorenne fino a 21 anni di età in presenza di un ISEE pari o inferiore ai 15.000 euro.

Gli importi suddetti si riducono gradualmente in presenza di un ISEE di 40.000 euro. Per ISEE superiori a 40.000 euro l’importo resta costante e senza maggiorazioni.

Per le mamme di età inferiore ai 21 anni sono previste delle maggiorazioni di 20 euro mensili per ogni figlio. Maggiorazioni sono previste anche quando entrambi i genitori siano titolari di reddito da lavoro o quando uno dei genitori sia deceduto al momento della presentazione della domanda. In questo caso la maggiorazione spetta fino a 5 anni dall’evento morte.

Maggiorazioni particolari sono previste anche per i nuclei con ISEE non superiore a 25.000 euro, come previsto dall’articolo 5 della legge n. 230/2021.

Valori ISEE e importi assegno unico 2025

La circolare INPS n. 33/2025 rende noto l’aggiornamento annuale dei valori dell’assegno e delle soglie ISEE di riferimento in base all’indice del costo della vita. Nel 2024 la variazione ISTAT valida dal 1° gennaio 2025 è dello 0,8% per cui gli importi adeguati a detto valore sono stati indicati nella tabella allegata alla circolare.

Al di là delle maggiorazioni indicate nella tabella continuano ad applicarsi anche le seguenti:

  • maggiorazione transitoria (per i mesi di gennaio 2025 e febbraio 2025) per compensare le perdite rispetto al regime preveggente per i nuclei con ISEE fino a 25.000 euro e figli minori;
  • per nuclei con figli di età inferiore a un anno si ha un incremento del 50% fino al compimento di un anno;
  • per nuclei familiari con almeno 3 figli (di età fino a 3 anni) e un ISEE pari o inferiore a 45.939,56 per il 2025 l’incremento è del 50% per ogni figlio;
  • per nuclei con almeno 4 figli a carico si ha una maggiorazione di 150 euro.

Ovviamente per determinare l’importo della prestazione in base alla relativa soglia ISEE è necessario presentare una nuova Dichiarazione Sostituiva Unica per il 2025. Si ricorda che per velocizzare i tempi è possibile presentare la DSU in modalità precompilata.

Come fare domanda

La domanda può essere presentata a partire dal 1° gennaio di ogni anno ed è riferita al periodo compreso tra il mese di marzo dell’anno di presentazione e il mese di febbraio dell’anno successivo. Può provvedere a tale incombenza un genitore o chi esercita la responsabilità genitoriale.

L’istanza può essere presentata:

  • online tramite SPID, CIE o CNS dal sito dell’INPS nel servizio dedicato “Assegno unico e universale per i figli a carico”;
  • presso gli istituti di patronato;
  • contattando il numero verde 803164, gratis da rete fissa o lo 06.164.164 (a pagamento da cellulare);
  • tramite l’app “INPS mobile”.

Assegno unico universale 2025: domanda e arretrati

La circolare INPS n. 33/2025 ricorda che, nel rispetto del principio di semplificazione, l’assegno unico è erogato d’ufficio, in continuità per chi ha già beneficiato di questa misura.

Per il 2025 quindi, chi ha già beneficiato dell’AUU, non dovrà presentare una nuova domanda per l’assegno unico universale, fermo restando l’obbligo di comunicare eventuali variazioni come la nascita di un figlio o il raggiungimento della maggiore età da parte di un altro.

Erogazione dell’assegno

Presentata alla domanda l’assegno viene riconosciuta a partire dal mese successivo a quello di presentazione. Ferma restando la decorrenza l’INPS riconosce l’assegno entro il termine di 60 giorni dalla sua presentazione.

La corresponsione dell’assegno avviene tramite accredito su conto corrente bancario o tramite bonifico domiciliato, salvi casi particolari.

bonus mamme

Bonus mamme: la guida Bonus mamme: fino al 2026 esonero totale dei contributi per mamme con tre figli, stop per mamme con due figli

Bonus mamme: esonero contributivo totale

Il bonus mamma è un beneficio contributivo che la legge di bilancio 2024 n. 213/2023  ha previsto per favorire la natalità e il lavoro femminile.

Il comma 180 dell’articolo 1 prevede che per i periodi di paga compresi tra il 1° gennaio 2024 fino al 31 dicembre 2026, alle lavoratrici madri di tre o più figli, che hanno un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato (escluso quello domestico) spetti un esonero contributivo del 100%.

L’esonero riguarda la quota dei contributi dovuti per invalidità, vecchiaia e superstiti, che sono a carico del lavoratore fino al compimento del 18° anno di età del figlio più piccolo.

Limite annuo dell’esonero contributivo

Il limite annuo dell’esonero è fissato in 3000 euro. L’importo va comunque riparametrato su base mensile.

Facendo un rapido calcolo, e quindi dividendo l’importo annuo di 3000 euro per 12 mensilità l’importo mensile massimo di esonero contributivo è di 250,00 euro.

Esonero in via sperimentale per le mamme con due figli

Il comma 181 dell’art. 1 della legge di bilancio 2024 prevede inoltre, in via sperimentale, in relazione ai periodi di paga compresi tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2024, l’esonero contributivo totale anche per le lavoratrici madri di due figli e con un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato fino al compimento del 10° anno di vita dei figlio più piccolo. Da questo esonero sono esclusi però i rapporti di lavoro domestico.

Esonero contributivo: come fare?

Con la circolare n. 27 del 31 gennaio 2024 l’INPS ha fornito le istruzioni sugli aspetti pratici della misura. Il documento dispone che le lavoratrici in possesso dei requisiti richiesti per ottenere l’esonero possano comunicare al loro datore di lavoro la volontà di avvalersene. A tal fine devono comunicare il numero dei figli e per ciascuno di essi il codice fiscale. I datori di lavoro possono quindi esporre nelle denunce retributive l’esonero spettante alla lavoratrice.

In alternativa, la lavoratrice potrà comunicare direttamente all’INPS il numero dei figli e i codici fiscali di ciascuno, compilando un applicativo dedicato.

Il messaggio INPS del 6 maggio 2024 n. 1702 ha infatti comunicato il rilascio dell’applicazione denominata “Utility esonero lavoratrici madri” il cui utilizzo è limitato alle lavoratrici fruitrici del bonus i cui figli non abbiano i codici fiscali inseriti nel flusso Uniemens.

Bonus mamme: compatibilità esoneri a carico datore

Poiché il bonus mamme va a sgravare la lavoratrice dal pagamento dei contributi dovuti per la sua quota, esso è compatibile con gli esoneri contributivi previsti per i datori di lavoro.

Il bonus mamme è alternativo però all’esonero sulla quota dei contributi previdenziali dovuti per invalidità, vecchiaia e superstiti, ossia sulla quota IVS, che sono sempre a carico del lavoratore, come previsto dal comma 15 dell’art. 1 della legge di bilancio 2024.

Bonus mamme 2025: precisazioni INPS

Come precisato dal messaggio INPS n. 401 del 31 gennaio 2025 la legge di bilancio non ha confermato il bonus mamme previsto dal comma 181 della legge di bilancio 2024. Le mamme con due figli e con contratto a tempo indeterminato dal 1° gennaio 2025 infatti non beneficeranno più di questo bonus.

Continuano invece a beneficiare del bonus le mamme lavoratrici con tre figli perché la misura è stata confermata fino al 2026 “anche nelle ipotesi in cui la nascita (o laffido/adozione) del terzo figlio (o successivo) si verifichi nel corso delle annualità 2025-2026″. 

L’INPS chiarisce infine che la legge di bilancio 2025, dal 1° gennaio 2025, ha previsto in favore delle lavoratrici dipendenti (escluso il settore del lavoro domestico) e autonome con retribuzione o reddito imponibile ai fini previdenziali non superiore a 40.000 euro su base annua un esonero contributivo parziale “della quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti a carico del lavoratore.” Queste donne devono essere mamme di due o più figli e l’esonero spetta fino al compimento del 10° anno del figlio più piccolo.

 

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rifiuto rapporti sessuali

Rifiuto rapporti sessuali: addebito del divorzio contrario alla CEDU Rifiuto rapporti sessuali: contrasta con il rispetto della vita privata ritenerlo causa di addebito del divorzio

Rifiuto rapporti sessuali nel vincolo matrimoniale

Rifiuto rapporti sessuali e addebito del divorzio. La sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo del 23 gennaio 2025 affronta il tema del dovere coniugale di intrattenere rapporti sessuali e dei riflessi giuridici per il coniuge che non lo rispetta. La decisione a cui giunge la Corte riconosce il diritto di ogni individuo di scegliere se avere o meno rapporti sessuali, anche all’interno del matrimonio. Il consenso, ha ribadito la Corte, è un elemento imprescindibile per la libertà sessuale e qualsiasi atto sessuale non consensuale costituisce violenza. I giudici sono chiamati a interpretare le norme sui diritti e doveri coniugali in linea con il rispetto della vita privata e della libertà sessuale di ciascun coniuge.

Rifiuto rapporti sessuali: divorzio addebitato alla moglie

La sentenza pone fine a una vicenda che vede protagonista una coppia francese in crisi matrimoniale. L’autorità giudiziaria competente addebita il divorzio alla moglie, ritenuta responsabile di aver interrotto i rapporti intimi con il marito per oltre dieci anni. La Corte d’Appello di Versailles ha ritenuto questo rifiuto una violazione grave e ripetuta dei doveri matrimoniali, rendendo intollerabile la vita comune. La donna però ha impugnato la decisione fino alla Corte di Cassazione, che ha respinto il ricorso. A quel punto, la parte soccombente ha adito la Corte Edu, affermando il suo diritto al rispetto della vita privata (articolo 8 Cedu), che la sentenza avrebbe violato.

Diritto francese: i rapporti sessuali sono un dovere coniugale

Il codice civile francese, così come quello italiano, prevede una serie di diritti e doveri derivanti dal matrimonio, tra cui la “comunione di vita”, spesso interpretata come “comunità di letto”. La giurisprudenza francese include tra i doveri coniugali anche quello di intrattenere rapporti sessuali, sanzionando la prolungata astensione dalle relazioni intime.

Vita privata comprende quella sessuale, serve consenso

La Corte Edu però ha accolto il ricorso della donna, rilevando una violazione dell’articolo 8 della Cedu da parte dell’ordinamento francese. La Corte ha sottolineato come la nozione di “vita privata” includa anche la vita sessuale e che, di conseguenza, qualsiasi ingerenza in tale ambito debba essere giustificata e proporzionata. Nel caso specifico, la Corte ha criticato l’approccio del diritto francese, che sanziona il rifiuto di rapporti sessuali all’interno del matrimonio. Un tale obbligo, secondo la Corte, è sproporzionato e contrario al principio per cui solo ragioni gravi possono giustificare ingerenze nella sfera sessuale.

La Corte ha inoltre evidenziato come il dovere coniugale, previsto dall’ordinamento francese, non tenga conto del consenso ai rapporti sessuali, elemento fondamentale per la libertà sessuale di ciascun individuo. Qualsiasi atto sessuale non consensuale, ha ricordato la Corte, costituisce violenza sessuale.

Cosa prevede l’ordinamento italiano

Anche l’ordinamento italiano, pur non prevedendo espressamente un obbligo di vita sessuale, include tale aspetto tra i doveri coniugali. Il rifiuto di intrattenere rapporti sessuali può essere sanzionato con l’addebito della separazione, come confermato da diverse sentenze della Cassazione.

Attenzione però, perché la sentenza della Corte Edu impone una nuova interpretazione delle norme che regolano i rapporti coniugali. I giudici dovranno quindi considerare la vita sessuale come un elemento importante della relazione, ma mai determinante per una pronuncia sanzionatoria nei confronti del coniuge che rifiuti il proprio consenso a rapporti sessuali.

 

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affidamento condiviso

Affido condiviso L’affido condiviso (o affidamento condiviso) e il principio di bigenitorialità: la centralità degli interessi del minore nei provvedimenti del giudice sulla separazione dei coniugi

L’affido condiviso nella separazione

L’affido condiviso (o affidamento condiviso) è la condizione in cui, di regola, si trovano i figli in conseguenza della separazione dei genitori.

Affido congiunto e affido esclusivo

L’affido congiunto si contrappone ad altre possibili soluzioni che il giudice può adottare in sede di separazione dei coniugi con prole. Come ad esempio l’affido esclusivo ad uno solo dei genitori in considerazione di particolari circostanze (in particolare, quando l’affidamento all’altro genitore, anche in via condivisa, sia contrario all’interesse del minore).

Affido condiviso come funziona

Fino all’emanazione della legge 54/2006, la regola, in tema di affidamento dei figli in sede di separazione, era rappresentata dall’affido esclusivo.

Con tale provvedimento legislativo, invece, si è scelto di rendere centrale il ruolo dell’affido condiviso paritario per garantire, da un lato il diritto di ciascun coniuge all’esercizio della responsabilità genitoriale e alla partecipazione alle decisioni più importanti nell’interesse dei figli; e dall’altro, il diritto di questi ultimi alla c.d. bigenitorialità.

Il principio della bigenitorialità

Il principio della bigenitorialità è riassunto nella formula dell’art. 337-ter del codice civile. Lo stesso dispone che “il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”.

Più in generale, il secondo comma della norma citata evidenzia come oggi l’affidamento condiviso rappresenti la regola, in quanto impone al giudice, in caso di separazione dei coniugi, di valutare prioritariamente “la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori”.

Solo quando tale strada non sia percorribile egli è chiamato a stabilire a quale dei genitori i figli debbano essere affidati, fermi restando il diritto e il dovere di ciascuno dei genitori di contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli.

Quali sono le regole per l’affidamento condiviso

Il regime di affido paritario non esclude, peraltro, che tra i due genitori ne sia individuato uno presso la cui abitazione i figli continueranno a dimorare.

Il collocamento dei figli

Al genitore collocatario, di norma, è concessa la possibilità di continuare ad abitare nella casa familiare. In tal caso, all’altro genitore viene garantita la presenza dei figli presso il proprio domicilio (evidentemente, una casa diversa presso cui il coniuge non collocatario è andato a vivere dopo la separazione). Sta al giudice, in assenza di accordo tra le parti, individuare i giorni o i periodi in cui i figli si trasferiscono presso l’abitazione del genitore non collocatario (frequente è, ad esempio, l’adozione di provvedimenti giudiziali che prevedano i c.d. fine settimana alternati presso ciascun genitore).

La casa familiare

Una particolare tendenza emersa nelle decisioni della più recente giurisprudenza è quella di prevedere, nell’interesse dei figli, che questi abitino permanentemente nella casa familiare e che ad alternarsi nella presenza all’interno di essa siano gli ex coniugi.

Stabilità di vita

In altre parole, tali provvedimenti mirano a garantire una stabilità emotiva, nei rapporti e nella vita quotidiana, in favore dei figli ed evitare che questi ultimi siano trattati, come si usa dire, come “pacchi postali”, in continua peregrinazione tra le attuali abitazioni dei due genitori. I giudici che seguono tale orientamento impongono, dunque, a ciascun genitore di abbandonare, in determinati giorni, la casa familiare per far posto all’altro coniuge.

Tale filone giurisprudenziale, che annovera anche autorevoli pronunce di legittimità (v. Cass., ord. n. 6810/2023), incontra, per avverso, le critiche di chi vi scorge un’eccessiva gravosità per i coniugi nella gestione della propria vita e dei propri rapporti quotidiani.

Quando decade l’affido condiviso

In ultima analisi, con l’affido condiviso viene garantita la partecipazione di entrambi i genitori alle più importanti decisioni relative alla cura e all’educazione dei figli, si pensi ad esempio al percorso scolastico da seguire, alle attività extrascolastiche da praticare o alle scelte in ambito sanitario, come la decisione di sottoporsi o meno ad un vaccino.

Diritto all’ascolto del minore

In ogni caso, ai figli minori è garantito l’ascolto da parte del giudice, ai sensi dell’473 bis 4 c.p.c. che prevede in capo al minore che abbia compiuto gli anni dodici (o meno, se capace di discernimento) un generale diritto di essere ascoltato in relazione ai provvedimenti giudiziali che lo riguardano.

Revisione affido condiviso figli

Infine, va ricordato che ogni provvedimento giudiziale in tema di affidamento dei figli – ivi compreso quello che dispone sull’assegno di mantenimento  – può essere sottoposto a revisione su richiesta di uno dei genitori, ai sensi dell’art. 337-quinquies c.c.