interessi di mora

Interessi di mora: tasso primo semestre 2025 Interessi di mora: pubblicato in GU il comunicato del MEF che indica la percentuale del tasso del primo semestre 2025

Interessi di mora: tasso 1° semestre 2025

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 17 marzo 2025 il tasso degli interessi di mora per i ritardi nei pagamenti delle transazioni commerciali. Il nuovo tasso di riferimento, valido dal 1° gennaio al 30 giugno 2025, è fissato al 3,15%.

Cosa sono gli interessi di mora?

L’interesse di mora è l’importo che il debitore deve versare al creditore in caso di ritardo nel pagamento di un’obbligazione pecuniaria derivante da una transazione commerciale. Questa misura ha lo scopo di compensare il creditore per il mancato incasso nei tempi previsti.

Aggiornamento semestrale del tasso

Il tasso di riferimento viene stabilito ogni sei mesi dal MEF, in base all’art. 5 del D.Lgs. n. 231/2002. Il nuovo valore del 3,15% segna una riduzione rispetto al 4,50% e al 4,25% applicati nei due semestri del 2024.

Regole per l’applicazione

Gli interessi di mora si applicano automaticamente nei contratti tra imprese o tra imprese e Pubblica Amministrazione, salvo diversa pattuizione tra le parti.

Se il ritardo si verifica nel secondo semestre del 2025, il tasso verrà aggiornato a partire dal 1° luglio dello stesso anno.

Obiettivo della normativa

La disciplina sugli interessi di mora mira a contrastare i ritardi nei pagamenti, garantendo maggiore tutela ai creditori. Questo meccanismo incentiva il rispetto delle scadenze e contribuisce a mantenere la liquidità nel sistema economico.

 

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morte animale d'affezione

Morte animale d’affezione: risarcito il danno Morte animale d'affezione: risarcito il danno non patrimoniale, il rapporto con l’animale contribuisce allo sviluppo della personalità

Morte animale: lesione diritto costituzionale

La morte dell’animale d’affezione attribuisce il diritto al risarcimento del danno non patrimoniale. La perdita del proprio animale lede la sfera relazionale e affettiva tutelata a livello costituzionale dall’articolo 2. Il rapporto cane – padrone completa e sviluppa la personalità umana. Lo ha specificato il Tribunale di Prato con la sentenza n. 51/2025.

Danni non patrimoniali: morte animale d’affezione

Una famiglia affida la cagnolina Adel a una pensione per animali. Durante il soggiorno, l’animale muore. La Polizia Municipale li informa del decesso.

Quando i padroni arrivano alla struttura, trovano Adel abbandonata a terra con una coperta. Nessuno li aveva avvisati del peggioramento della cagnolina. La struttura non aveva contattato né loro né un veterinario. Un addetto rivela che Adel stava male da giorni. I volontari l’avevano trovata disidratata per una forte diarrea. La responsabile però non aveva dato indicazioni su come aiutarla.

I padroni, sconvolti, notano anche la scarsa igiene della struttura. Decidono quindi di agire in giudizio. Chiedono la risoluzione del contratto per inadempimento, la restituzione delle somme pagate e il risarcimento dei danni. Ritengono che la pensione abbia violato l’obbligo di custodia.

Per il risarcimento del danno non patrimoniale, invocano l’articolo 2 della Costituzione. Essi sostengono che il rapporto uomo-animale realizza la persona umana. Citano anche l’articolo 42 della Costituzione e l’articolo 6 del Trattato UE, per i danni economici e morali. Chiedono al giudice inoltre di considerare la sofferenza di Adel, lasciata morire senza cure.

La parte convenuta si difende e contesta la versione dei padroni e nega il diritto al risarcimento per la morte di Adel. Si appella a un orientamento della Cassazione, secondo cui la perdita di un animale non costituisce danno esistenziale. Sostiene inoltre che chi chiede il risarcimento deve provare il danno subito e il nesso di causa.

Sviluppo della personalità umana

Il Tribunale ricostruisce i fatti e decide di non seguire l’orientamento della Cassazione. Riconosce infatti agli attori il danno non patrimoniale. Secondo il giudice, la perdita di un animale d’affezione può ledere la sfera affettiva di una persona. Il rapporto tra padrone e animale contribuisce allo sviluppo della personalità. Se provato, il danno deve essere risarcito.

Le prove fotografiche mostrano che Adel era un membro della famiglia. Giocava con i bambini, veniva festeggiata ai compleanni e accompagnava la famiglia nelle gite. Dormiva nel letto con loro. Esisteva insomma un forte legame affettivo.

La morte improvvisa e le modalità dell’abbandono hanno causato ai padroni una grande sofferenza. Non sono stati informati delle condizioni della cagnolina e hanno scoperto il tragico evento solo all’ultimo momento. La sofferenza è stata aggravata dallo stupore e dal senso di tradimento. Si fidavano della struttura, dove avevano già lasciato Adel in passato.

Il Tribunale riconosce quindi il danno non patrimoniale, la padrona riceve 6.000 euro per il suo coinvolgimento diretto, gli altri membri della famiglia invece ottengono 4.000 euro ciascuno.

 

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deposito cauzionale

Il deposito cauzionale Deposito cauzionale: cos'è, qual’è la normativa di riferimento, che funzione svolge, regole di  restituzione e giurisprudenza

Cos’è il deposito cauzionale

Il deposito cauzionale è una somma di denaro versata a garanzia dell’adempimento di obbligazioni derivanti da un contratto, spesso utilizzato nei contratti di locazione e nelle utenze domestiche. Questa forma di tutela è disciplinata dal Codice Civile e dalla giurisprudenza e può essere trattenuta solo in presenza di determinate condizioni.

Non è un anticipo sul prezzo, ma una forma di tutela per il creditore in caso di inadempimento o danni. A esso si ricorre ad esempio:  

  • nei contratti di affitto, per coprire eventuali danni all’immobile o mancati pagamenti;
  • nelle utenze domestiche, per garantire il pagamento delle bollette;
  • nei contratti commerciali o di fornitura come garanzia di esecuzione.

Normativa di riferimento

Questo istituto trova il suo fondamento giuridico negli articoli del Codice Civile che regolano le obbligazioni e le garanzie:

Art. 1590 c.c. – Restituzione della cosa locata: Impone al conduttore di restituire l’immobile nello stato in cui lo ha ricevuto, salvo l’uso normale.

Art. 2744 c.c. – Divieto di patto commissorio: impedisce al creditore di trattenere automaticamente il deposito cauzionale a titolo definitivo senza verifica dell’inadempimento.

Art. 11 della Legge 392/1978 (Legge sullequo canone): stabilisce che il deposito cauzionale per le locazioni non può superare le tre mensilità e deve produrre interessi legali.

Funzione del deposito cauzionale

Il deposito cauzionale ha la funzione principale di garanzia per il creditore:

  • di tipo reale perché tutela il creditore in caso di inadempimento contrattuale;
  • di tipo risarcitorio perchè copre eventuali danni causati dalla controparte;
  • con funzione deterrente perchè incentiva il rispetto delle obbligazioni, dissuadendo comportamenti scorretti.

Restituzione: termini e modalità

Il deposito cauzionale deve essere restituito al termine del contratto, salvo inadempimenti o danni, nel rispetto delle seguenti regole generali:

  • la sua restituzione integrale, se non vi sono irregolarità;
  • la corresponsione con gli interessi legali, se previsto dal contratto o dalla legge ( 11 L. 392/1978) per le locazioni;
  • la possibilità di trattenerlo parzialmente o totalmente, solo se sussistono giustificati motivi.

Deposito cauzionale nelle locazioni: cosa sapere

La legge sulle locazioni abitative prevede regole specifiche:

  • in base all’articolo 11 della legge n. 392/1978 il deposito cauzionale non può superare le tre mensilità del canone;
  • l’istituto deve essere specificato nel contratto.
  • sempre in base all’articolo 11 della legge n. 392/1978, il locatore è obbligato a corrispondere al conduttore gli interessi legali maturati sul deposito alla fine di ogni anno;
  • l’omissione del versamento degli interessi può costituire inadempimento

Quando il locatore può trattenerlo

Ci sono dei casi però in cui il locatore può trattenere il deposito cauzionale:

  • in caso di mancato pagamento di canoni o spese accessorie (condominio, bollette).
  • quando l’immobile concesso in locazione presenta danni che superano il normale deterioramento d’uso.
  • quando il locatore deve sostenere delle spese per il ripristino dell’immobile perché il conduttore, in violazione del contratto aha effettuato, ad esempio, lavori non autorizzati.

Il locatore non può trattenerlo invece quando:

  • l’immobile alla restituzione presenta una usura normale (es. imbiancatura, segni di normale utilizzo);
  • Quando il locatore non fornisce prova dei danni con documentazione (es. verbale di consegna, perizia fotografica).

Deposito cauzionale nelle utenze domestiche

Le società fornitrici di luce, gas, acqua possono richiedere un deposito cauzionale a tutela del pagamento delle bollette.

A questo proposito si segnalano le regole principali di ARERA sul deposito cauzionale:

  • non è richiesto a chi attiva la domiciliazione bancaria;
  • l’importo è stabilito in base al consumo e al tipo di utenza;
  • deve essere restituito al termine del contratto o detratto dall’ultima bolletta.

Cosa fare in caso di mancata restituzione

Se il deposito non viene restituito quando la legge lo prevede si possono tentare diverse strade:

  • inviare una diffida formale tramite raccomandata A/R o PEC;
  • tentare una conciliazione tramite l’Organismo di Mediazione o le associazioni dei consumatori.
  • agire per vie legali, ricorrendo al Giudice di Pace, se la somma è inferiore a 000 euro.

Giurisprudenza: sentenze rilevanti

Negli anni, la Corte di Cassazione ha chiarito molteplici aspetti riguardanti il deposito cauzionale:

Cassazione n. 194/2023

Il locatore ha la possibilità di non restituire immediatamente il deposito cauzionale se avvia un’azione legale chiedendo che tale deposito sia utilizzato, in tutto o in parte, per coprire i danni subiti. Questi danni possono essere di qualsiasi tipo, non solo quelli causati all’immobile stesso, ma anche altri importi rimasti insoluti.

Cassazione n. 15884/2021

L’obbligo del locatore di un immobile urbano di corrispondere al conduttore gli interessi legali sul deposito cauzionale è un dovere inderogabile, sancito sia dalla legge n. 392 del 1978 che dalla legge n. 841 del 1973. Questa norma è stata introdotta per tutelare il conduttore, considerato la parte più debole del contratto, e per evitare che il deposito cauzionale, attraverso gli interessi maturati, si trasformi in un aumento del canone di locazione.

Cassazione n. 18069/2019

Il diritto alla restituzione del deposito cauzionale matura al termine del contratto e alla riconsegna dell’immobile, indipendentemente dalla presenza di danni. Eventuali danni possono essere oggetto di una domanda riconvenzionale di risarcimento da parte del locatore, nel rispetto dei termini di legge. La semplice allegazione di danni non è sufficiente per negare il diritto alla restituzione del deposito. In altre parole, il conduttore ha diritto alla restituzione del deposito cauzionale al termine della locazione, mentre il locatore può agire legalmente per ottenere un risarcimento per eventuali danni.

Differenza con la caparra

Aspetto Deposito Cauzionale Caparra (Art. 1385 c.c.)
Finalità Garanzia per l’adempimento del contratto Garanzia e impegno alla conclusione del contratto
Restituzione Alla fine del rapporto contrattuale, salvo inadempimenti Solo in caso di adempimento o scioglimento consensuale
Interessi Dovuti se previsto dalla legge o dal contratto Non spettano interessi
Trattamento fiscale Non è assimilabile al canone di locazione Può avere effetti fiscali se trattenuta
Applicazione comune Locazioni, utenze, forniture Contratti preliminari, compravendite immobiliari

 

scrittura privata

La scrittura privata Scrittura privata: definizione, utilità, valore legale, utilizzo, tipologie, giurisprudenza di rilievo e fac-simile

Cos’è la scrittura privata

La scrittura privata è un documento sottoscritto da una o più parti con lo scopo di formalizzare un accordo. Essa rappresenta una delle forme più comuni di prova documentale nel diritto civile e commerciale, con effetti vincolanti tra le parti.

A cosa serve

Si tratta un atto giuridico redatto senza l’intervento di un pubblico ufficiale, che ha valore legale tra le parti che la sottoscrivono. Può essere utilizzata per diversi scopi, tra cui:

  • contratti di compravendita, locazione o prestazione d’opera;
  • accordi tra privati per la regolamentazione di diritti e obblighi reciproci;
  • dichiarazioni di riconoscimento di debito o transazioni economiche;
  • patti tra soci in ambito societario.

Valore legale della scrittura privata

Ai sensi dell’art. 2702 del Codice Civile, la stessa fa piena prova fino a querela di falso della provenienza delle dichiarazioni da chi l’ha sottoscritta. Per garantire l’autenticità della firma e conferire una maggiore efficacia probatoria, la stessa può essere autenticata da un notaio o da un pubblico ufficiale, acquisendo in tal caso il valore di atto pubblico.

Quando può essere utilizzata?

E’ ampiamente utilizzata per formalizzare accordi in svariati ambiti, tra cui:

  • rapporti patrimoniali e obbligazioni;
  • dichiarazioni unilaterali di impegno;
  • cessione di crediti o riconoscimenti di debiti;
  • regolazione di rapporti tra soci o tra coniugi in sede di separazione.

Tipologie di scrittura privata

Le principali categorie includono:

  1. scrittura privata semplice: documento firmato dalle parti, con valore probatorio limitato senza autenticazione;
  2. scrittura privata autenticata: sottoscrizione autenticata da un notaio o pubblico ufficiale, che attesta l’identità delle parti;
  3. scrittura privata con firma digitale: dal punto di vista giuridico è equiparata alla forma scritta, se conforme alla normativa sulla firma elettronica qualificata.

Giurisprudenza

Cassazione n. 10472/2024: la proprietà di un immobile può essere dimostrata anche attraverso una semplice scrittura privata, senza necessità di un atto pubblico. Tuttavia, affinché tale scrittura privata sia valida a tal fine, è indispensabile che tra le parti sia stato stipulato un accordo, noto come patto fiduciario.

Cassazione n. 3194/2024: la legge non elenca in modo rigido i casi in cui la data di una scrittura privata non autenticata può essere valida per terzi. Pertanto, il giudice può decidere se un fatto, diverso dalla registrazione, dimostra con certezza che il documento è stato creato prima di una certa data.

Cassazione n. 24841/2020: il riconoscimento tacito o la verificazione di una scrittura privata ne confermano la provenienza dal sottoscrittore, ma non la veridicità del contenuto, che può essere contestato con qualsiasi prova ammissibile. La querela di falso è necessaria solo per negare la provenienza della firma, non per contestare la veridicità delle dichiarazioni, per cui si usano le normali azioni per contrasto tra volontà e dichiarazione.

Differenze con l’atto pubblico

Caratteristica Scrittura privata Atto pubblico
Redatto da Privati cittadini Notaio o pubblico ufficiale
Valore probatorio Tra le parti fino a querela di falso Piena prova anche nei confronti dei terzi
Necessità di testimoni No Sì, se richiesto dalla legge
Esecutività No, salvo riconoscimento in giudizio Sì, immediata

Fac-simile di scrittura privata

Un esempio di modello per il riconoscimento di un debito:

Tra il Sig. Mario Rossi, nato a Milano il 10/01/1980, residente in Via Roma 1, C.F. XXXXXXX,

e il Sig. Luca Bianchi, nato a Torino il 15/05/1985, residente in Via Verdi 2, C.F. XXXXXXX,

si conviene quanto segue:

  1. Il Sig. Mario Rossi dichiara di riconoscere un debito nei confronti del Sig. Luca Bianchi per l’importo di 000,00 euro derivante da prestito concesso in data 01/02/2024.
  2. Il pagamento verrà effettuato in due rate mensili di 2.500,00 euro ciascuna, con scadenza il 30/03/2024 e il 30/04/2024.
  3. Il presente documento ha valore di riconoscimento del debito ai sensi dell’ 1988 c.c..

Letto, confermato e sottoscritto.

Milano, 15/03/2025

Mario Rossi
Luca Bianchi

 

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donazione modale

Donazione modale La donazione modale: disciplina, l'articolo 793 c.c., natura e limiti. Guida con giurisprudenza recente in materia

Cos’è la donazione modale?

La donazione modale, disciplinata dall’articolo 793 del Codice Civile, è una particolare tipologia di donazione che prevede l’imposizione di un onere (o modus) a carico del donatario. In sostanza, il donante trasferisce un bene o un diritto con l’obbligo, per il beneficiario, di soddisfare una determinata prestazione.

Disciplina normativa: l’art. 793 c.c.

L’articolo 793 c.c. stabilisce che la donazione “può essere gravata da un onere”, specificando che tale onere non deve eccedere il valore del bene donato. Se l’onere supera il valore della donazione, il donatario è tenuto a eseguirlo solo nei limiti del valore del bene ricevuto.

Il mancato rispetto dell’onere può portare alla risoluzione della donazione per inadempimento, su richiesta del donante o dei suoi eredi, se l’adempimento dell’onere è essenziale per la donazione stessa.

Natura giuridica dell’onere

L’onere nella donazione modale ha una duplice natura:

  1. obbligatoria, in quanto impone un obbligo a carico del donatario, che può essere oggetto di esecuzione forzata;
  2. eventualmente risolutiva, nel caso in cui il mancato rispetto dell’onere comporti la risoluzione della donazione.

Tuttavia, se l’onere ha solo natura morale o sociale, non può essere fatto valere giudizialmente.

Limiti e caratteristiche della donazione modale

La donazione modale incontra alcuni limiti:

  • non può essere utilizzata per aggirare norme imperative (ad esempio, non può imporre condizioni contrarie alla legge o ai principi di ordine pubblico);
  • non deve annullare lo spirito di liberalità della donazione, il donante cioè non può imporre oneri tali da svuotare la donazione del suo contenuto benefico;
  • l’onere non può eccedere il valore del bene donato, altrimenti il donatario sarà tenuto solo nei limiti del valore del bene ricevuto.

Giurisprudenza sulla donazione modale

La Corte di Cassazione ha chiarito diversi aspetti relativi alla donazione modale:

Cassazione n. 1197/2025: in tema di azione revocatoria ex art. 2901 c.c. avente ad oggetto una donazione modale, l’imposizione di un onere al donatario, come l’obbligo di assistenza materiale e morale del donante, non vale a trasformare il titolo dell’attribuzione da gratuito in oneroso, purché tale peso non assuma carattere di corrispettivo e costituisca una mera modalità del beneficio senza snaturare l’essenza di atto di liberalità della donazione. La valutazione circa la natura dell’onere imposto al donatario, se “modus” o elemento tale da imprimere carattere di onerosità al negozio, costituisce indagine di fatto riservata al giudice di merito e incensurabile in sede di legittimità se congruamente motivata.

Cassazione n. 8875/2024: la donazione modale (art. 793 c.c.) è considerata, anche a fini fiscali, una donazione indiretta a favore del terzo beneficiario dell’onere, purché l’imposizione dell’onere sia motivata da spirito di liberalità del donante. In pratica, quando un donante impone al donatario di eseguire una prestazione a favore di un terzo, si configura una doppia donazione: una diretta al donatario e una indiretta al terzo.

Cassazione n. 28580/2022: la risoluzione della donazione modale per inadempimento dell’onere è possibile solo se espressamente prevista nell’atto di donazione, come stabilito dall’art. 793 c.c. Questa norma, diversa dalla precedente, richiede una clausola risolutiva esplicita per derogare al principio generale di risolubilità dei contratti. Tale clausola è essenziale e inderogabile, poiché l’ordinamento non tutela automaticamente il donante in caso di inadempimento del “modus”. L’assenza di questa previsione impedisce al donante o ai suoi eredi di richiedere la risoluzione e la restituzione dei beni, anche se l’inadempimento è accertato. Questa interpretazione restrittiva sottolinea la necessità di una chiara volontà delle parti nell’atto di donazione per consentire la risoluzione.

 

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diritti reali di godimento

I diritti reali di godimento Cosa sono i diritti reali di godimento (iura in re aliena), caratteristiche, differenza con la proprietà, giurisprudenza in materia

Diritti reali di godimento: cosa sono

I diritti reali di godimento, noti anche come iura in re aliena, sono diritti che conferiscono al titolare la facoltà di utilizzare e godere di un bene di proprietà altrui, limitando in parte le prerogative del proprietario. A differenza del diritto di proprietà, che è pieno ed esclusivo, i diritti reali di godimento attribuiscono specifiche facoltà di utilizzo senza trasferire la titolarità del bene.

Tipologie di diritti reali di godimento

Nel sistema giuridico italiano, i principali diritti reali di godimento sono:

  1. Usufrutto: consente al titolare (usufruttuario) di godere di un bene altrui, traendone utilità e frutti, con l’obbligo di rispettarne la destinazione economica e di restituirlo al termine della durata concordata.
  2. Uso: diritto di utilizzare un bene altrui e, se fruttifero, di raccoglierne i frutti limitatamente ai bisogni propri e della propria famiglia.
  3. Abitazione: diritto di abitare una casa altrui limitatamente ai bisogni propri e della propria famiglia.
  4. Servitù prediali: peso imposto su un fondo (servente) per l’utilità di un altro fondo (dominante), appartenente a diverso proprietario.
  5. Superficie: diritto di edificare e mantenere una costruzione al di sopra o al di sotto di un suolo di proprietà altrui.
  6. Enfiteusi: diritto di godere di un fondo altrui con l’obbligo di migliorarlo e di pagare un canone periodico al proprietario.

Caratteristiche distintive

I diritti reali di godimento presentano le seguenti caratteristiche:

  • Immediatezza: il titolare esercita direttamente il diritto sul bene, senza intermediazioni.
  • Assolutezza: sono opponibili erga omnes, ossia nei confronti di chiunque.
  • Tipicità: sono previsti e disciplinati tassativamente dalla legge; non è possibile crearne di nuovi tramite accordi privati.
  • Inerenza: il diritto è strettamente legato al bene su cui insiste e segue le vicende giuridiche di quest’ultimo.

Differenze rispetto al diritto di proprietà

Mentre il diritto di proprietà conferisce al titolare il potere pieno ed esclusivo di godere e disporre del bene in modo assoluto, i diritti reali di godimento limitano tali facoltà, attribuendo al titolare specifici diritti di utilizzo senza trasferirgli la proprietà. Ad esempio, nell’usufrutto, l’usufruttuario ha il diritto di utilizzare il bene e di percepirne i frutti, ma non può alienarlo o modificarne la destinazione economica.

Giurisprudenza rilevante

La giurisprudenza italiana ha più volte affrontato questioni relative ai diritti reali di godimento:

Cassazione n. 25786/2020: ai fini del diritto di edificare (“ius aedificandi”), in relazione al diritto di superficie si considera costruzione qualsiasi manufatto non completamente interrato che presenti solidità, stabilità e un collegamento fisso al suolo. Tale collegamento può avvenire tramite appoggio, incorporazione o fissaggio a una struttura preesistente o realizzata contestualmente. Il materiale utilizzato non è rilevante, purché l’opera comporti un ampliamento della superficie e della funzionalità dell’immobile.

Cassazione n. 8911/2016: Secondo gli articoli 979 e 980 c.c., l’usufrutto non può durare oltre la vita dell’usufruttuario. Se concesso a più soggetti “pro quota” e in assenza di usufrutto congiuntivo, si estingue per ciascuno alla sua morte. Tuttavia, l’usufruttuario può cedere il proprio diritto, in tutto o in parte, per un periodo determinato o per l’intera durata. In tal caso, se il cessionario muore prima del cedente, l’usufrutto prosegue fino alla vita di quest’ultimo, rendendolo trasmissibile “mortis causa” nei limiti della sua esistenza.

Cassazione n. 18465/2020: In materia di servitù prediali, il concetto di “utilitas” è ampio e comprende qualsiasi elemento che, secondo la valutazione sociale, sia strumentale alla destinazione del fondo dominante e ne migliori il godimento. La servitù può soddisfare diverse esigenze, garantendo maggiore amenità e abitabilità, anche attraverso la riduzione di rumori o impedendo costruzioni con destinazioni fastidiose o sgradevoli.

Cassazione n. 14687/2014: il limite del diritto di abitazione previsto dall’art. 1022 c.c. non va inteso in senso quantitativo, ossia in base alla porzione di casa necessaria ai bisogni del titolare e della sua famiglia. Piuttosto, esso impone un vincolo d’uso, vietando qualsiasi destinazione diversa dall’abitazione personale dell’”habitator” e dei suoi familiari.

 

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mutuo solutorio

Mutuo solutorio valido: lo dice la Cassazione Sezioni Unite: valido il mutuo solutorio, è presente la disponibilità delle somme in favore del mutuatario

Mutuo solutorio valido: presente la datio rei giudica

Il mutuo solutorio, contratto per estinguere un debito precedente con la banca è legittimo e produce la “datio rei giuridica” che caratterizza il mutuo, anche se le somme accreditate sul conto vengono immediatamente e automaticamente impiegate dall’istituto di credito per estinguere gli obblighi precedenti. Lo hanno chiarito le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 5841/2025.

Decreto ingiuntivo pagamento mutui: opposizione

Un istituto di credito ottiene un decreto ingiuntivo perché ha concesso diversi mutui ai medesimi soggetti e gli stessi non sono ancora rientrati nel pagamento. I clienti però si oppongono al decreto ingiuntivo, contestando la richiesta di pagamento. Per gli opponenti la condotta della banca deve ritenersi illegittima perché la stessa ha solo “apparentemente” erogato le somme concesse a titolo di mutuo. Le somme infatti non sono mai uscite dalle casse dell’istituto poiché utilizzate per estinguere i mutui e le aperture di credito concesse in precedenza.

Il Giudice di primo grado accoglie in parte l’opposizione e limita l’efficacia del titolo esecutivo a un determinato importo. La Corte d’Appello invece rigetta l’appello sollevato dai clienti della banca.

Nella sentenza il giudice di secondo grado precisa infatti che: il fatto che l’importo erogato fosse stato utilizzato per estinguere i precedenti debiti ipotecari era legittimo e non privava il mutuo della sua causa in concreto.”

Le parti soccombenti però non desistono e ricorrono in Cassazione precisando che nel caso di specie non si è verificata la tradito della somma con conseguente disponibilità delle stesse sul conto. La banca si sarebbe infatti riappropriata delle somme e dall’estratto conto si evince chiaramente un mero giroconto bancario e non l’erogazione di un mutuo.

Dubbi interpretativi sul mutuo solutorio

La seconda sezione della Cassazione nell’ordinanza interlocutoria rileva che i primi due motivi del ricorso sollevano questioni decisive sul mutuo solutorio, sul quale la giurisprudenza della stessa Corte non risulta uniforme.

Nel caso di specie ci si chiede se il ripianamento delle passività pregresse, effettuato dalla banca in modo autonomo e immediato mediante operazione di giroconto, come contestato dai ricorrenti, possa soddisfare il requisito della disponibilità giuridica della somma in favore del mutuatario. In particolare, ci si domanda se tale ripianamento possa configurare una modalità di utilizzo dell’importo mutuato, effettivamente entrato nella disponibilità del mutuatario.

Le Su dovrebbero quindi rispondere ai seguenti quesiti:

  • il mutuo solutorio è valido?
  • in caso di risposta positiva al primo quesito il contratto costituisce titolo esecutivo?
  • in caso di risposta affermativa ai due quesiti precedenti infine è valido anche il ripianamento delle passività di mutuo eseguito con un mero giroconto “autonomo e immediato” ossia senza il consenso del mutuatario?

Mutuo solutorio: tesi contrapposte

La Corte di Cassazione a SU prima di decidere ricorda le affermazioni dei due opposti orientamenti.

  • Per il primo orientamento il mutuo solutorio è valido, l’accredito delle somme sul conto integra la datio rei del mutuo, l’effettività della tradito è dimostrata dall’utilizzo del denaro per estinguere il debito esistente, per cui il patrimonio del debitore viene purgato da una posta negativa. Il ripianamento delle passività rappresenta infatti uno dei modi con i quali la somma erogata a mutuo può essere impiegata e tale utilizzo non è illecito. Il mutuo solutorio quindi consiste in una mera dilazione del termine di pagamento del debito preesistente o un pactum de non petendo.
  • Per l’orientamento opposto invece per il perfezionamento del mutuo è necessario che si verifichi il passaggio effettivo delle somme dal mutuante al mutuatario perché in questo modo si verifica l’effettiva acquisizione delle somme. Tale ipotesi non può verificarsi infatti se la banca impiega subito le somme per ripianare il mutuo precedente. In sostanza senza un trasferimento effettivo della proprietà delle somme non c’è acquisizione delle stesse e quindi non c’è l’obbligo di restituirle.

La soluzione delle Sezioni Unite

Le Sezioni Unite pongono fine al contrasto affermando che il contratto di mutuo si perfeziona e l’obbligo di restituzione sorge in capo al mutuatario nel momento in cui la somma mutuata, pur non essendo materialmente consegnata, è resa giuridicamente disponibile al mutuatario tramite accredito sul conto corrente. Non è rilevante che tali somme siano immediatamente utilizzate per saldare debiti pregressi con la banca mutuante, poiché tale destinazione è il risultato di atti dispositivi distinti e separati dal contratto stesso. Anche in caso di tale utilizzo, il contratto di mutuo, noto come mutuo solutorio, costituisce un valido titolo esecutivo se rispetta i requisiti dell’articolo 474 del codice di procedura civile.

 

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eredità digitale

Eredità digitale: il decalogo del Notariato Online il decalogo aggiornato del Notariato per sensibilizzare i cittadini sull'importanza della gestione dei beni digitali

Eredità digitale: online il decalogo del Notariato

Con l’evoluzione tecnologica e la crescente digitalizzazione della vita quotidiana, il concetto di eredità si amplia oltre i beni materiali, includendo asset digitali come account online, criptovalute, contenuti social e archivi cloud. Tuttavia, la normativa in materia di successione digitale rimane incerta e frammentata, rendendo essenziale una pianificazione preventiva.

Per sensibilizzare i cittadini sull’importanza di gestire il proprio patrimonio digitale, il Consiglio Nazionale del Notariato ha pubblicato un decalogo aggiornato, disponibile su www.notariato.it. Questo vademecum sostituisce i documenti diffusi nel 2012 e integra le recenti novità normative.

Cos’è l’eredità digitale?

L’eredità digitale comprende due principali categorie di risorse:

  • Offline: file personali, documenti digitali, software acquistati, domini web;
  • Online: account di posta elettronica, social network, e-commerce, home banking, wallet di criptovalute.

Pianificare la successione digitale è cruciale, poiché molte piattaforme operano fuori dall’Italia e dall’Unione Europea, rendendo complessa la gestione post mortem in assenza di precise disposizioni.

Cosa non rientra nell’eredità digitale?

Alcuni asset non possono essere trasmessi agli eredi, tra cui:

  • Contenuti concessi in licenza (es. account streaming);
  • Beni digitali illeciti o piratati;
  • Identità digitale e firme elettroniche;
  • Password: la loro trasmissione non implica automaticamente la cessione dei diritti sulle risorse collegate.

Strumenti per la gestione dell’eredità digitale

Per garantire un passaggio ordinato dei beni digitali, si possono adottare diverse strategie:

  • Mandato post mortem: permette di affidare a una persona di fiducia le credenziali di accesso con istruzioni specifiche su gestione o cancellazione dei dati;
  • Testamento digitale: metodo più sicuro per disporre dei propri asset digitali, con valore legale per risorse di rilievo economico e personale;
  • Designazione di un contatto erede: alcune piattaforme consentono di nominare un referente che gestisca l’account in caso di decesso.

Decalogo Notariato per l’eredità digitale

  1. Assenza di una normativa specifica: pianificare l’eredità digitale è fondamentale per evitare complicazioni.
  2. Le password non fanno parte dell’eredità: devono essere custodite e aggiornate regolarmente.
  3. Utilizzo del mandato post mortem: si possono affidare credenziali a una persona di fiducia con istruzioni precise.
  4. Affidare una password non equivale a trasmettere la proprietà dei beni digitali.
  5. Alcuni beni digitali non sono trasmissibili: contenuti in licenza, firme elettroniche, identità digitale.
  6. Le criptovalute sono beni digitali con valore economico e vanno trattate come asset patrimoniali.
  7. I conti online sono equiparabili ai conti bancari tradizionali, gli eredi possono reclamarne il contenuto.
  8. Possibili controversie internazionali: le piattaforme online hanno spesso sede all’estero, creando ostacoli legali.
  9. Verificare le policy delle piattaforme: alcune consentono la nomina di un erede digitale, altre prevedono la cancellazione automatica dell’account.
  10. Consultare un notaio di fiducia per trovare la soluzione più adatta alle proprie esigenze.

Allegati

manleva

Manleva: breve guida La manleva: definizione, applicazione, differenze rispetto al contratto di fideiussione e di assicurazione e giurisprudenza

Cos’è la manleva

La manleva è un accordo con cui una parte (manlevante) si impegna a tenere indenne un’altra parte (manlevato) dalle conseguenze pregiudizievoli di un determinato evento. Questo istituto giuridico trova ampia applicazione nei contratti, nei rapporti di lavoro e nelle transazioni commerciali, garantendo la tutela patrimoniale del soggetto manlevato.

Differenza tra manleva e fideiussione

Sebbene entrambe le figure mirino a proteggere un soggetto da obblighi economici, la fideiussione e la manleva presentano differenze sostanziali:

  • Natura dell’obbligo: la fideiussione è un contratto accessorio che garantisce un’obbligazione principale, mentre la manleva non è necessariamente legata a un’obbligazione preesistente.
  • Coinvolgimento delle parti: il fideiussore si obbliga nei confronti del creditore del debitore principale, mentre il manlevante assume direttamente su di sé le conseguenze patrimoniali dell’evento oggetto di manleva.
  • Ambito di applicazione: la fideiussione è regolata espressamente dal Codice Civile (art. 1936 c.c.), mentre la manleva trova fondamento nella libera contrattazione tra le parti.

Differenza tra manleva e assicurazione

La manleva ha finalità simili con l’assicurazione, ma anche rispetto a questo istituto presenta differenze importanti.

  • Rapporto giuridico: l’assicurazione è un contratto regolato dal Codice Civile (art. 1882 c.c.), mentre la manleva è un accordo tra privati che non necessita di una forma specifica.
  • Premio e rischio: nel contratto assicurativo, l’assicurato paga un premio in cambio della copertura di un rischio. Il manlevante invece assume un obbligo senza la previsione di un corrispettivo automatico.
  • Intervento di terzi: l’assicurazione prevede la partecipazione di una compagnia assicurativa, la manleva invece è un accordo diretto tra due parti.

Quando e come si applica

La manleva si applica in diversi ambiti.

  • Contratti commerciali: un’azienda può manlevare un fornitore da eventuali richieste di risarcimento.
  • Rapporti di lavoro: un datore di lavoro può essere manlevato da responsabilità per atti compiuti dai dipendenti.
  • Procedure legali: una parte può essere manlevata dagli oneri derivanti da una causa legale.

L’applicazione dell’istituto avviene mediante un accordo scritto, in cui si specificano:

  • le parti coinvolte (manlevante e manlevato);
  • il tipo di rischio o responsabilità coperta;
  • l’ambito temporale e territoriale di validità.

Giurisprudenza rilevante

La giurisprudenza ha consolidato diversi principi, chiarendo il valore legale e l’applicabilità dell’istituto:

  • Cassazione n. 37709/2021: l’accordo concluso tra le parti configura un c.d. patto di manleva, contratto atipico, dal quale scaturisce l’obbligo del mallevadore di tenere indenne il manlevato dalle conseguenze patrimoniali dannose di eventi o di atti il cui verificarsi sia del tutto eventuale.
  • Cassazione n. 29416/2024: la formulazione di una domanda di garanzia (per manleva o regresso) nei confronti di un terzo di cui si richieda la chiamata in causa esula, per consolidato indirizzo di nomofilachia, dal novero delle ipotesi di litisconsorzio necessario, sicché resta connotato da discrezionalità il provvedimento del giudice che detta istanza di evocazione del terzo, pur tempestivamente formulata, accolga o rigetti la richiesta.
  • Cassazione n. 20152/2017: la clausola di manleva è una disposizione contrattuale utilizzata per trasferire a un terzo le conseguenze risarcitorie derivanti dall’inadempimento di un’obbligazione contrattuale. Tale soggetto assume l’onere di manlevare e tenere indenne il creditore da eventuali danni o pretese risarcitorie. Nel caso di clausole di questo tipo inserite nei contratti di assicurazione, è necessaria un’esplicita approvazione nel rispetto dell’articolo 1341 del Codice Civile.

 

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testamento olografo

Testamento olografo Testamento olografo: definizione, requisiti, differenza con altri tipi di testamento, validità e impugnazione, giurisprudenza

Cos’è il testamento olografo?

Il testamento olografo è una delle forme di testamento previste dall’ordinamento giuridico italiano ed è disciplinato dall’art. 602 del Codice Civile. Si tratta di un atto unilaterale con cui una persona dispone delle proprie volontà successorie, redatto senza l’intervento di un notaio e con piena autonomia del testatore.

Requisiti del testamento olografo

Affinché questo tipo di testamento sia valido, deve rispettare tre requisiti fondamentali:

  1. Autografia: deve essere scritto interamente a mano dal testatore , lo stampatello però non è ammesso a meno il testatore non scriva abitualmente i questo modo.
  2. Data: deve contenere l’indicazione del giorno, mese e anno di redazione.
  3. Firma: il testatore deve apporre la propria firma per identificare la paternità dell’atto.

La mancata osservanza di anche uno solo di questi elementi può comportare l’invalidità del testamento.

Differenze con altri tipi di testamento

Il testamento olografo si distingue dalle altre forme di testamento previste dal Codice Civile:

  • Testamento pubblico: redatto da un notaio alla presenza di due testimoni.
  • Testamento segreto: scritto dal testatore o da un terzo e consegnato sigillato a un notaio.

A differenza di queste forme, quello olografo non richiede l’intervento di terzi, garantendo riservatezza e nessun costo di redazione. Tuttavia, essendo un documento privato, presenta maggiori rischi di smarrimento, alterazione o contestazione.

Validità e impugnazione del testamento olografo

Il testamento olografo può essere impugnato dai soggetti legittimati per vari motivi:

  • Vizi di forma: mancanza di autografia, data o firma.
  • Incapacità del testatore: se redatto da una persona non in grado di intendere e volere.
  • Vizi della volontà: errore, dolo o violenza che abbiano influito sulla decisione del testatore.

Giurisprudenza rilevante

Alcune pronunce significative della Corte di Cassazione riguardano la validità del testamento olografo:

Corte di Cassazione n. 10065/2020: L’art. 590 c.c. consente agli eredi di confermare o eseguire una disposizione testamentaria nulla, ma la sua applicabilità presuppone l’effettiva esistenza di una volontà del de cuius espressa nel testamento. Di conseguenza, la norma non trova applicazione nei casi in cui sia accertata la falsità della sottoscrizione, poiché ciò esclude qualsiasi collegamento tra il testamento e la volontà del testatore.

Cassazione n. 31322/2023: Il testamento olografo, per essere valido, deve riportare la data completa di giorno, mese e anno, scritta di pugno dal testatore. Questa data è un elemento essenziale, la cui mancanza o alterazione da parte di terzi può invalidare il testamento. Se l’alterazione della data avviene contestualmente alla redazione del testamento, questo è nullo. Tuttavia, se l’intervento del terzo è successivo, il testamento rimane valido, purché sia possibile accertare la volontà originale del testatore.

Cassazione n. 5505/2017: La validità di un testamento olografo, ovvero scritto interamente a mano dal testatore, è strettamente legata alla sua autografia. L’intervento di terzi nella redazione dell’atto, anche solo guidando la mano del testatore, compromette questa caratteristica essenziale e rende il testamento nullo. La legge richiede che il testamento olografo sia scritto di pugno dal testatore in ogni sua parte, senza ausilio di mezzi meccanici o interventi esterni. Questo requisito garantisce che il documento rifletta la volontà autentica del testatore.

Fac-simile di testamento olografo

Di seguito un esempio di testamento olografo conforme alla normativa:

TESTAMENTO OLOGRAFO

Io, [Nome e Cognome], nato a [Luogo di nascita] il [Data di nascita], residente in [Indirizzo], nel pieno possesso delle mie facoltà mentali, dispongo delle mie volontà testamentarie nel modo seguente:

  1. Nomino erede universale [Nome del beneficiario] nato a [Luogo e data di nascita].
  2. Lascio a [Nome] la proprietà del mio immobile sito in [Indirizzo].
  3. Lascio a [Nome] la somma di [Importo] depositata presso [Istituto bancario].
  4. Dispongo che i miei beni vengano divisi secondo le quote di legge tra gli eredi legittimi.

Redatto a [Luogo], il [Data].

Firma: [Firma del testatore]

 

 

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