deposito telematico sentenza impugnata

Deposito telematico sentenza: i chiarimenti della Cassazione La Suprema Corte chiarisce che per effetto del processo telematico, alla certificazione della cancelleria sull'originale in formato cartaceo è subentrata la registrazione automatica del documento informatico effettuata dal sistema

Deposito della sentenza priva della stampigliatura

La questione posta all’attenzione del Giudice di legittimità, per quanto qui rileva, attiene al seguente quesito “se il deposito di sentenza digitale priva della stampigliatura (…), apposta in via automatica dal sistema informatico di gestione dei servizi di cancelleria, indicante la data di deposito ed il numero del provvedimento, valga o meno a soddisfare l’onere di deposito del provvedimento impugnato previsto a pena di improcedibilità dall’art. 369 c.p.c., ovvero, in assenza dei predetti dati, debba addivenirsi, altrimenti, ad una pronuncia di inammissibilità del ricorso per tardività, ove non si ritenga superata la c.d. prova di resistenza”.

Rispetto al suddetto dubbio interpretativo, la S.C., ripercorrendo i precedenti formatesi in seno alla giurisprudenza di legittimità rispetto a casi analoghi, ha ricordato come l’improcedibilità del ricorso per cassazione è stata ad esempio dichiarata nel caso in cui la sentenza impugnata, redatta in formato digitale, risultava priva dell’attestazione di cancelleria circa l’avvenuta pubblicazione, la relativa data e il conseguente numero di pubblicazione e questo anche perché “la produzione di una copia della sentenza incerta nella data e priva del numero identificativo non consente di verificare la tempestività dell’impugnazione, né, in caso di accoglimento del ricorso, di formulare un corretto dispositivo che, coordinato con la motivazione, individui con esattezza il provvedimento cassato”.

Più nel dettaglio, ha spiegato la Corte, gli argomenti a sostegno dell’improcedibilità muovono dal rilievo che le disposizioni che si occupano di stabilire l’equivalenza delle copie informatiche all’originale dei provvedimenti del Giudice “anche se prive della firma digitale del cancelliere di attestazione di conformità all’originale” attribuiscono “al difensore il potere di certificazione pubblica delle “copie analogiche ed anche informatiche, anche per immagine, estratte dal fascicolo informatico ma non anche la competenza amministrativa riservata al funzionario di Cancelleria relativa alla “pubblicazione” della sentenza”.

Tale orientamento ha dunque sostenuto che “per quanto in linea generale sia possibile produrre in giudizio copie o duplicati del provvedimento impugnato estratti dal fascicolo telematico, attestando la conformità del relativo contenuto all’originale contenuto nel predetto fascicolo, ai fini della procedibilità del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 369 c.p.c. deve comunque trattarsi di copie o duplicati recanti l’attestazione di Cancelleria della pubblicazione del provvedimento, con la relativa data e il numero attribuito dal sistema”.

Deposito copia informatica con stampigliatura equivale a deposito duplicato informatico

La Corte ha proseguito il proprio esame rilevando come, in applicazione dei suddetti principi, nel caso in cui il ricorrente depositi un duplicato della sentenza telematica dal quale non sia possibile evincere la data di pubblicazione e la notificazione del ricorso, è stata, in precedenti casi, pronunciata l’inammissibilità del ricorso. Resta comunque fermo che, non si può considerare come copia non autentica la copia analogica prodotta con modalità telematiche e ciò in quanto essa risulta conforme all’esemplare presente nel fascicolo informatico.

Per dare seguito ai quesiti posti alla sua attenzione, la Corte è poi passata ad esaminare le nozioni offerte dall’ordinamento giuridico in ordine alla “copia informatica”, al “duplicato informatico” e alla “attestazioni di conformità nel processo civile”.

All’esito del suddetto esame, e per quel che qui rileva,  la Corte ha affermato che è “conferito al difensore il potere di estrarre con modalità telematiche duplicati, copie analogiche o informatiche di atti e provvedimenti contenuti nel fascicolo informatico e attestare la conformità delle copie estratte ai corrispondenti atti originali, mentre per il duplicato informatico (..) si richiede che lo stesso venga prodotto mediante processi e strumenti che assicurino che il documento informatico ottenuto sullo stesso sistema di memorizzazione o su un sistema diverso contenga la stessa sequenza di bit del documento informatico di origine”.

Per quanto infine attiene alla nozione di “contrassegno elettronico”, il Giudice di legittimità ha precisato che, ai sensi dell’art. 23, comma 2-bis, C.A.D. “Sulle copie analogiche di documenti informatici può essere apposto a stampa un contrassegno, sulla base dei criteri definiti con le Linee guida, tramite il quale e possibile accedere al documento informatico, ovvero verificare la corrispondenza allo stesso della copia analogica. Il contrassegno apposto ai sensi del primo periodo sostituisce a tutti gli effetti di legge la sottoscrizione autografa del pubblico ufficiale e non può essere richiesta la produzione di altra copia analogica con sottoscrizione autografa del medesimo documento informatico”.

Sulla base del quadro normativo di riferimento, la Corte ha rilevato pertanto che, per effetto dell’attuazione del processo telematico, alla certificazione della cancelleria sull’unico originale in formato cartaceo è subentrata la registrazione automatica del documento informatico da parte del sistema informatico. Con l’accettazione del deposito telematico, il provvedimento digitale è inserito nel fascicolo informatico e diviene poi consultabile dai difensori nella versione originale, rappresentata dal duplicato, ovvero nella copia informatica che reca la stampigliatura.

Ne consegue dunque che, il concetto di “originale risulta sostanzialmente superato dalla possibilità di accedere al duplicato (che equivale all’originale), dovendosi, altresì, evidenziare che è l’accettazione dell’atto da parte del cancelliere a determinare l’inserimento del provvedimento nel fascicolo informatico, sicché resta escluso che il difensore possa accedere al duplicato ovvero alla copia informatica se non è intervenuta la pubblicazione”.

Principi di diritto

La Corte, con sentenza n. 12971-2024, ha concluso il proprio esame enunciando, per quanto qui rileva, i seguenti principi di diritto:

“a) in regime di deposito telematico degli atti, l’onere del deposito di copia autentica del provvedimento impugnato imposto, a pena di improcedibilità del ricorso dall’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c., è assolto non solo dal deposito della relativa copia informatica, recante la stampigliatura solo rappresentativa dei dati esterni (numero cronologico e data) concernenti la sua pubblicazione, ma anche dal deposito del duplicato informatico di detto provvedimento, il quale ha il medesimo valore giuridico, ad ogni effetto di Legge, dell’originale informatico e che, per sue caratteristiche intrinseche, non può recare alcuna sovrapposizione o annotazione (e, dunque, la stampigliatura presente nella copia informatica) che ne determinerebbe, di per sé, l’alterazione (…);

b) nel regime in cui è consentito il deposito di copia analogica del provvedimento impugnato redatto come documento informatico nativo digitale e così depositato in via telematica, ove detta copia analogica sia tratta dal duplicato informatico depositato nel fascicolo informatico, l’onere di cui all’art. 369, secondo comma, n. 2, c.p.c., è assolto tramite l’attestazione di conformità della copia al duplicato apposta dal difensore”.

 

 

 

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accettazione tacita eredita

Accettazione tacita eredità: il punto della Cassazione La Corte, con due recenti ordinanze, ha precisato che si ha accettazione tacita dell’eredità quando sono posti in essere atti incompatibili con la volontà di rinunciare all'eredità

L’assunzione della qualità di erede

Con le ordinanze n. 10544-2024 e n. 7995-2024, la Suprema Corte ha avuto modo di definire alcuni tratti distintivi dell’accettazione tacita di eredità.

Nell’ambito delle sopracitate ordinanze la Corte di Cassazione si è occupata d’individuare gli elementi sulla base dei quali è possibile affermare che vi sia stata accettazione tacita da parte degli eredi.

A tal proposito, con l’ordinanza n. 10544/2024 la Corte ha ricordato che “è già stato posto il principio secondo il quale l’assunzione in giudizio della qualità di erede di un originario debitore costituisce accettazione tacita dell’eredità, qualora il chiamato si costituisca dichiarando tale qualità senza in alcun modo contestare il difetto di titolarità passiva della pretesa (…); è altresì stato posto il principio secondo il quale l’accettazione tacita di eredità può essere desunta anche dalla partecipazione in contumacia a giudizi di merito concernenti beni del de cuius (….)”.

Quando si ha accettazione tacita dell’eredità

Nella medesima direzione, con l’ordinanza n. 7995/2024, il Giudice di legittimità ha ripercorso l’orientamento della giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto, con cui è stato affermato che l’accettazione tacita dell’eredità può venire in rilievo in svariate ipotesi in cui il chiamato eserciti l’azione in giudizio, quali, a titolo esemplificativo “l’agire in giudizio del figlio del defunto nei confronti del debitore del de cuius per il pagamento di quanto al medesimo dovuto (…), la riassunzione del processo da parte del figlio del de cuius (…), la proposizione di azioni di rivendica o di azioni dirette alla difesa della proprietà o alla richiesta di danni per la mancata disponibilità dei beni ereditari, in quanto azioni che travalicano il mero mantenimento dello stato di fatto esistente all’atto dell’apertura della successione e la mera gestione conservativa dei beni compresi nell’asse ex art. 460 cod. civ.”.

Sulla base di tali principi, la Corte ha pertanto ritenuto che anche la proposizione di un ricorso per cassazione possa essere considerata quale tacita accettazione tacita dell’eredità.

Atti incompatibili con la volontà di rinuncia all’eredità

La Corte ha concluso l’esame dell’ordinanza n. 10544/2024, rigettando il ricorso proposto ed affermando che “integrano accettazione tacita di eredità gli atti incompatibili con la volontà di rinunciare all’eredità e non altrimenti giustificabili se non con la veste di erede, mentre sono privi di rilevanza gli atti che, ammettendo come possibili altre interpretazioni, non denotano in maniera univoca una effettiva assunzione della qualità di erede, spetta al giudice di merito il relativo accertamento”.

Per quanto invece attiene all’ordinanza n. 7995/2024, la Corte ha accolto il ricorso proposto e rilevato che “poiché l’accettazione tacita dell’eredità può desumersi dall’esplicazione di un comportamento tale da presupporre la volontà di accettare l’eredità, essa può legittimamente reputarsi implicita nell’esperimento, da parte del chiamato, di azioni giudiziarie, che  (…) non rientrino negli atti conservativi e di gestione dei beni ereditari consentiti dall’art. 460 cod. civ., ma travalichino il semplice mantenimento dello stato di fatto quale esistente al momento dell’apertura della successione, e che, quindi, il chiamato non avrebbe diritto di proporre se non presupponendo di voler far propri i diritti successori”.

 

 

 

 

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super interessi

Super interessi: spettano se il giudice lo specifica La Cassazione sui super interessi, ossia gli interessi maggiorati di cui all’art. 1284 co. 4 c.c., chiarisce che spettano se il giudice li indica specificamente nel titolo esecutivo

Interessi maggiorati art. 1284 comma 4 c.c.

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 12449-2024 chiarisce sinteticamente che gli interessi maggiorati o i super interessi previsti dall’articolo 1284 comma 4 c.c. spettano se il giudice di cognizione che emette il titolo esecutivo specifica se e in che misura spettano dopo aver valutato i presupposti richiesti dalla norma, ossia la natura della fonte dell’obbligazione, l’accordo delle parti sulla misura degli stessi e la domanda giudiziale per stabilirne la decorrenza.

Super interessi: omissione del giudice di cognizione

Il Tribunale di Milano dispone il rinvio pregiudiziale degli atti chiedendo alla Cassazione di risolvere la seguente questione di diritto: “se in tema di esecuzione forzata, anche solo minacciata, fondata su titolo esecutivo giudiziale, ove il giudice della cognizione abbia omesso ad indicare la specie degli interessi al cui pagamento ha condannato il debitore limitandosi alla loro generica qualificazione in termini di “interessi legali” o “di legge” ed eventualmente indicandone la decorrenza da data anteriore alla proposizione della domanda, si debbano ritenere liquidati soltanto gli interessi di cui all’articolo 1284 1° comma codice civile o, a partire dalla stessa data di proposizione della domanda, possono ritenersi liquidati quelli di cui al 4° comma del predetto articolo”.

Super interessi: il contrasto interpretativo

Sulla questione giuridica proposta dal Tribunale milanese era in effetti presente un contrasto interpretativo.

Secondo un indirizzo della Cassazione, in presenza di una esecuzione forzata, se il giudice della cognizione abbia omesso di specificare il tipo di interessi da applicare, occorre procedere alla liquidazione dei soli interessi legali art. 1284 comma 1 c.c, stante la portata generale di questa regola.

Un altro indirizzo sostenuto in particolare dalla sezione Lavoro della Cassazione, i commi 4 e 5 dell’art. 1284 c.c determinano la misura degli interessi legali  se il credito viene riconosciuto da una sentenza, anche dopo un giudizio arbitrale, anche se la sentenza nulla specifica in merito al saggio di interesse applicabile.

Il giudice deve indicare nel titolo i super interessi

La Cassazione rileva che la questione di diritto si pone perché il giudice dell’esecuzione non ha poteri di integrazione o di cognizione deve limitarsi ad attuare il contenuto del titolo esecutivo, è questa la questione su cui incentra il ragionamento la Corte di Cassazione.

Occorre però partire dall’analisi dell’articolo 1284 comma 4 c., che così dispone. “Se le parti non ne hanno determinato la misura, dal momento in cui è proposta domanda giudiziale il saggio degli interessi legali è pari a quello previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali.

Dalla formulazione della disposizione emerge che alcuni elementi della norma sono suscettibili di valutazione. La fattispecie costitutiva che regola la spettanza dei super interessi è autonoma rispetto alla prima parte della noma dedicata agli interessi legali.

Il giudice della cognizione, quando emette il titolo esecutivo deve quindi valutare i seguenti presupposti applicativi:

  • la natura della fonte dell’obbligazione perché in base alla natura del credito lo stesso può essere produttivo o non produttivo dei super interessi;
  • la determinazione contrattuale della misura degli interessi;
  • identificazione della domanda giudiziale per stabilire la decorrenza degli interessi.

Il giudice di cognizione che emetta un titolo esecutivo contente l’indicazione generica di “interessi legali” non è idonea a integrare il corretto accertamento dei presupposti appena elencati. Il titolo esecutivo giudiziale deve quindi contenere specificamente se e in che misura spettano gli interessi maggiorati.

Il principio di diritto delle Sezioni Unite

Questo infine il principio di diritto enunciato dalle SU:

“Ove il giudice disponga il pagamento degli «interessi legali» senza alcuna specificazione, deve intendersi che la misura degli interessi, decorrenti dopo la proposizione della domanda giudiziale, corrisponde al saggio previsto dall’art. 1284, comma 1, cod. civ. se manca nel titolo esecutivo giudiziale, anche sulla base di quanto risultante dalla sola motivazione, lo specifico accertamento della spettanza degli interessi, per il periodo successivo alla proposizione della domanda, secondo il saggio previsto dalla legislazione speciale relativa ai ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”. 

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