correzione errore materiale

Correzione errore materiale: nessuna condanna alle spese Correzione errore materiale: la natura amministrativa del procedimento non realizza una soccombenza con relativa condanna alle spese

Correzione errore materiale e condanna spese

Non si può disporre alcuna condanna alle spese al termine di un procedimento volto alla correzione dell’errore materiale presente in una sentenza. Lo hanno stabilito le Sezioni Unite civili nella sentenza n. 29432/2024. Questo procedimento ha infatti una natura amministrativa, per cui non si può parlare di “soccombenza”; nemmeno quando l’altra parte, partecipa al procedimento e si oppone alla correzione.

Correzione errore materiale: condanna per il soccombente

La vicenda ha inizio perché un soggetto si rivolge al Tribunale per chiedere la correzione di una sentenza ai sensi dell’art. 287 c.p.c. Controparte si oppone all’istanza ritenendo inesistente l’errore lamentato. Il Tribunale dichiara inammissibile l’istanza di correzione presentata dal ricorrente e lo condanna alle spese.

Per il Tribunale quanto dedotto configura un error in iudicando e non un errore materiale. L’istante viene quindi condannato a rimborsare alla controparte le spese del procedimento perché se la parte non ricorrente si costituisce e resiste all’istanza di correzione, al termine del procedimento si realizza una situazione di “soccombenza”.

Natura amministrativa correzione errore materiale

Nell’unico motivo sollevato il ricorrente sostiene la natura non giurisdizionale, ma amministrativa del procedimento di correzione, che si conclude con un provvedimento ordinatorio. La natura del procedimento rende inapplicabile la regola della condanna alle spese a carico del soccombente, situazione che si potrebbe realizzare solo in un procedimento giurisdizionale.

Natura giurisdizionale o amministrativa?

La Cassazione spiega che, secondo una visione minoritaria, pur rimanendo l’inammissibilità di una decisione sulle spese in caso di istanza congiunta o non contestata, è necessario pronunciarla nel caso sorga un contrasto riguardo all’ammissibilità o alla fondatezza dell’istanza di correzione.

A questa interpretazione fa riferimento l’ordinanza di rinvio che alle SU pone il seguente quesito giuridico:se, in tema di procedimento per la correzione di errori materiali, qualora la parte non ricorrente si costituisca e resista allistanza di correzione, contrapponendo il proprio interesse a quello della parte ricorrente, si configuri una situazione di soccombenza che obbliga il giudice a decidere sulle spese processuali ai sensi dellart. 91 cod. proc. civ.”

Secondo il Collegio rimettente né la struttura camerale né la funzione volontaria del procedimento sono incompatibili con un reale contrasto tra le parti (per cui) nel momento in cui tale contrasto si verifica tramite la costituzione della parte non ricorrente e la sua opposizione allistanza di correzione, esso deve essere risolto rispettando il principio del contraddittorio, anche in merito alla regolamentazione delle spese processuali”.

Natura amministrativa procedimento: nessuna soccombenza

Per le Sezioni Unite però le “peculiarità dello stesso (procedimento di correzione) impediscono ogni assimilazione non solo ai procedimenti contenziosi ma anche a quelli di volontaria giurisdizione”.

Il procedimento per correggere errori materiali, anche quando viene avviato da una sola parte, non comporta l’affermazione di un diritto verso l’altra parte o altre parti e non sostituisce quanto stabilito nel provvedimento corretto. La funzione di questa procedura è solo quella di ripristinare la corrispondenza tra l’espressione formale e il contenuto sostanziale del provvedimento già emesso”.

Si tratta solo di correggere errori presenti nella redazione del documento evidenti a prima vista.

In questo senso, la Corte ritiene che sia possibile concordare sulla natura essenzialmente amministrativa del provvedimento conclusivo questo procedimento.

Del resto il giudice, in sede di procedimento di correzione dell’errore materiale, non esercita potestas iudicandi. Di questa  si libera quando emette il provvedimento che risulta poi da correggere. Non occorre neppure una nuova procura perché di fatto non si apre una nuova fase processuale. Si verifica infatti solo un incidente nello stesso giudizio, pienamente compatibile col giudicato.

Per la Cassazione deve essere pertanto enunciato questo principio:Nel procedimento per correggere errori materiali ai sensi degli artt. 287-288 e 391-bis cod. proc. civ., essendo essenzialmente amministrativo e non volto a incidere in caso di conflitto tra le parti sull’assetto d’interessi regolato dal provvedimento da correggere, non si può procedere alla liquidazione delle spese perché non è configurabile alcuna situazione di soccombenza ai sensi dellart. 91 cod. proc. civ., neppure se chi non richiede opponendosi allistanza”.

Con questa sentenza le Sezioni Unite hanno unificato così l’orientamento giurisprudenziale su questa materia, superando le divergenze interpretative precedenti.

 

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Allegati

cli spoofing

Cli Spoofing: cos’è e come difendersi Sul Cli Spoofing l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è intervenuta con una consultazione al fine di introdurre nuove regole

Agcom: nuove regole

Nuove regole per contrastare le truffe e il telemarketing selvaggio, soprattutto, il cosiddetto “Cli Spoofing”, cioè la pratica delle chiamate internazionali con falso suffisso italiano. E’ quanto ha deciso l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni che, nella seduta del 13 novembre scorso, ha avviato una consultazione pubblica (Delibera n. 457/24/CONS) per “introdurre nuove regole dirette a contrastare frodi e telemarketing selvaggio tramite misure che impediscano il cosiddetto CLI Spoofing, ossia la pratica con cui l’utente viene ingannato sull’identità del soggetto chiamante a seguito della manipolazione del reale numero telefonico”.

Cli Spoofing: stop telefonate spam dall’estero

In particolare, l’Autorità ritiene necessario stabilire l’obbligo, per gli operatori nazionali, di bloccare le chiamate illegittime internazionali in entrata mascherate con numero telefonico nazionale, ossia quelle con prefisso italiano di rete fissa e con numeri cellulari italiani.

Certificazione velocità connessione 5G

Nello stesso provvedimento sono state individuate dall’Agcom, misure di trasparenza e corretta informazione relative alle condizioni economiche e tecniche delle offerte di servizi telefonici e di connettività, tra le quali, in particolare, la valutazione di una serie di bollini per certificare la velocità della connessione 5G.

Diffida a Tim per Cli Spoofing

In relazione all’utilizzo illecito del CLI spoofing l’Autorità, inoltre, ha diffidato TIM (Delibera n. 462/24/CONS) al rispetto degli obblighi previsti dal Codice di condotta sulle attività di teleselling e telemarketing.  Il provvedimento si è reso necessario dopo le segnalazioni di alcuni cittadini che avevano ricevuto proposte di contratto in violazione dei requisiti di trasparenza previsti dal Codice stesso. Ora TIM avrà 120 giorni di tempo per assumere e comunicare nuove e più efficaci azioni di monitoraggio sui call center partner.
L’Autorità ha inoltre approvato (Delibera n. 36/24/CIR) la proposta di impegni assunti dalla società Telecom Italia Sparkle nell’ambito di un procedimento sanzionatorio nei confronti della menzionata società per aver consentito l’utilizzo da parte di società estere non autorizzate di numeri geografici già assegnati a soggetti legalmente operanti in Italia. Gli impegni assunti dalla società sono volti a implementare misure di monitoraggio dei loro partner per evitare la reiterazione delle pratiche di CLI Spoofing.

violazione privacy

Violazione privacy per errore “umano”, nessuna sanzione Il Garante Privacy esclude la sanzione per violazione della privacy se l’errore è accidentale, lieve e privo di dolo

Violazione privacy accidentale

Violazione privacy accidentale: il Garante ha deciso di non imporre sanzioni in un caso di violazioni dovute a un errore accidentale, “umano”, e privo di dolo. La decisione è stata presa nel provvedimento n. 441/2024, che ha escluso misure correttive nei confronti di una società di autonoleggio.

La vicenda

L’incidente riguarda due turisti norvegesi che, durante una vacanza in Italia, si sono trovati a ricevere erroneamente una multa per infrazione al codice della strada e un sollecito di pagamento per pedaggi, entrambi emessi da una società di recupero crediti.

I due turisti non erano coinvolti in nessuno dei fatti contestati e, peraltro, non si trovavano nemmeno in Italia al momento dell’infrazione.

L’errore umano e la rettifica tempestiva

Il Garante ha riscontrato che la causa della violazione fosse da attribuire a un errore umano, verificatosi in modo occasionale durante la fase di data entry. Dopo l’accaduto, la società di autonoleggio ha provveduto immediatamente a correggere i dati errati, facendo annullare le contravvenzioni per violazione del codice della strada e aggiornando le proprie misure tecniche e organizzative per prevenire il ripetersi di simili errori.

Violazione privacy, nessuna sanzione

Alla luce di quanto accaduto, il Garante della privacy ha deciso di non intraprendere alcuna azione correttiva nei confronti del titolare del trattamento dei dati, come previsto dall’art. 58, comma 2, del Regolamento Generale sulla Protezione dei Dati (RGPD). Invece di applicare sanzioni, l’autorità ha adottato una decisione ai sensi dell’art. 60, comma 7, del RGPD per chiudere il procedimento. Tuttavia, ha esortato la società a compiere una verifica costante dell’adeguatezza delle misure tecniche e amministrative relative al trattamento dei dati, inclusa una corretta formazione del personale, per evitare errori simili in futuro.

azioni a difesa della proprietà

Le azioni a difesa della proprietà Una guida completa alle azioni a difesa della proprietà: dalle azioni petitorie a quelle possessorie e di nunciazione

Azioni a difesa della proprietà: tipologie ed esercizio

Le azioni a difesa della proprietà mirano a tutelare uno dei diritti reali fondamentali nel sistema giuridico italiano, protetto sia dal Codice Civile che dalla Costituzione. Questo diritto conferisce al titolare il potere di godere e disporre di un bene in modo pieno ed esclusivo. Tuttavia, possono sorgere situazioni in cui tale diritto viene leso o minacciato. In questi casi, il nostro ordinamento prevede una serie di azioni legali a difesa della proprietà.

Questa guida approfondisce le diverse tipologie di azioni disponibili, analizzandone le caratteristiche, le condizioni di applicabilità e le modalità di esercizio.

La proprietà nel diritto italiano

Secondo l’articolo 832 del Codice Civile, “il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico”. Questo diritto è quindi caratterizzato da:

  • Pienezza: il proprietario può utilizzare il bene in tutti i modi consentiti dalla legge.
  • Esclusività: il proprietario può escludere chiunque altro dall’uso del bene.

La Costituzione Italiana, all’articolo 42, riconosce e garantisce la proprietà privata, stabilendo che la proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”.

Caratteristiche del diritto di proprietà

Le principali caratteristiche del diritto di proprietà sono:

  • Assolutezza: è opponibile erga omnes, ovvero nei confronti di chiunque.
  • Immediatezza: il proprietario esercita direttamente il suo diritto sul bene, senza l’intermediazione di altri soggetti.
  • Tipicità: è un diritto previsto e disciplinato dalla legge.
  • Patrimonialità: ha un valore economico e può essere oggetto di transazioni commerciali.

Azioni a difesa della proprietà: le azioni petitorie

Le azioni a difesa della proprietà contemplate dal codice civile, cosiddette azioni “petitorie” sono quattro: l’azione di rivendicazione, l’azione negatoria, l’azione di regolamento di confini, l’azione di apposizione di termini.

Azione di rivendicazione

Tra le azioni a difesa della proprietà, l’azione di rivendicazione, disciplinata dall’articolo 948 del Codice Civile, è lo strumento legale attraverso il quale il proprietario può recuperare il possesso di un bene detenuto da terzi.

Questa azione mira ad accertare la titolarità del diritto di proprietà e a ottenere la restituzione del bene. Ex articolo 948 c.c.: “Il proprietario può rivendicare la cosa da chiunque la possiede o detiene e può perseguire l’esercizio dell’azione anche se costui, dopo la domanda, ha cessato, per fatto proprio, di possedere o detenere la cosa…”. 

Condizioni di applicabilità

Per esercitare l’azione di rivendicazione, è necessario:

  • Dimostrare il diritto di proprietà: l’attore deve fornire la prova della sua titolarità sul bene.
  • Identificare il bene: deve essere chiaro quale sia il bene oggetto della controversia.
  • Presenza di un terzo possessore o detentore: il bene deve essere in possesso o nella detenzione di un altro soggetto.

Onere della prova e Probatio diabolica

Una delle sfide principali nell’azione di rivendicazione è l’onere probatorio, noto come probatio diabolica. L’attore deve dimostrare:

  • Un valido titolo di acquisto: ad esempio, un contratto di compravendita.
  • La legittimità dei passaggi di proprietà precedenti: potrebbe essere necessario risalire fino all’acquisto originario.
  • L’assenza di usucapione da parte del convenuto: deve essere esclusa la possibilità che il convenuto abbia acquisito la proprietà per usucapione.

Giurisprudenza rilevante

La Corte di Cassazione ha affermato che l’onere probatorio nell’azione di rivendicazione si attenua se il convenuto oppone un titolo d’acquisto come l’usucapione. In tal caso, l’attore può limitarsi a dimostrare il proprio titolo e l’appartenenza del bene ai suoi danti causa in un periodo antecedente all’inizio del possesso del convenuto (Cass. n. 25865/2021).

Azione Negatoria

L’azione negatoria, regolata dall’articolo 949 del Codice Civile, è volta a far dichiarare l’inesistenza di diritti reali affermati da terzi sul bene di proprietà dell’attore. Serve a proteggere il proprietario da pretese illegittime che possano limitare il suo diritto. Ex articolo 949 c.c.: “Il proprietario può agire per far dichiarare l’inesistenza di diritti affermati da altri sulla cosa, quando ha motivo di temerne pregiudizio…”. 

Condizioni di applicabilità

  • Affermazione di diritti da parte di terzi: un altro soggetto sostiene di avere un diritto reale sul bene.
  • Pregiudizio o timore di pregiudizio: il proprietario teme che tali affermazioni possano ledere il suo diritto.
  • Prova della proprietà: l’attore deve dimostrare il suo diritto di proprietà, anche mediante presunzioni.

Onere della prova

A differenza dell’azione di rivendicazione, nell’azione negatoria l’onere della prova è meno gravoso. L’attore deve:

  • Dimostrare il proprio titolo di proprietà: può avvalersi di qualsiasi mezzo di prova, inclusa la presunzione di possesso.
  • Non è tenuto a una probatio diabolica: non è necessario risalire ai titoli di acquisto precedenti.

Il convenuto, invece, ha l’onere di provare l’esistenza del diritto affermato.

Giurisprudenza rilevante

La Cassazione ha chiarito che nell’azione negatoria il proprietario deve dimostrare il suo diritto, ma non in modo rigoroso come nell’azione di rivendicazione. Spetta al convenuto provare l’esistenza del diritto che limita la proprietà altrui (Cass. n. 1905/2023).

Azione di regolamento di confini

L’azione di regolamento di confini, prevista dall’articolo 950 del Codice Civile, è utilizzata quando esiste incertezza sulla linea di confine tra due fondi contigui. L’azione mira a stabilire giudizialmente il confine esatto. Ex articolo 950 c.c.: “Quando il confine tra due fondi è incerto, ciascuno dei proprietari può chiedere che sia stabilito giudizialmente…”

Condizioni di applicabilità

  • Incertezza sul confine: non è chiaro dove si trovi esattamente la linea di separazione tra i fondi.
  • Contiguità dei fondi: i terreni devono essere confinanti.
  • Assenza di accordo tra le parti: i proprietari non riescono a definire il confine in via amichevole.

La prova

  • Titoli di proprietà: si esaminano i documenti di acquisto dei fondi.
  • Mappe catastali: utilizzate in mancanza di altri elementi probatori.
  • Perizie tecniche: un consulente tecnico può effettuare rilievi sul terreno.

Giurisprudenza rilevante

La Corte di Cassazione ha stabilito che l’azione di regolamento di confini non richiede la probatio diabolica. È sufficiente dimostrare la proprietà dei rispettivi fondi, e ogni mezzo di prova è ammesso, inclusi testimonianze e presunzioni (Cass. n. 34825/2021).

Azione di apposizione di termini

L’azione di apposizione di termini, disciplinata dall’articolo 951 del Codice Civile, ha lo scopo di rendere visibile il confine tra due proprietà mediante l’installazione di segni materiali, come paletti, muretti o recinzioni. Ex articolo 951 c.c.: “Se i termini fra fondi contigui mancano o sono diventati irriconoscibili, ciascuno dei proprietari ha diritto di chiedere che essi siano apposti o ristabiliti a spese comuni.”

Condizioni di applicabilità

  • Confine certo ma non visibile: la linea di confine è nota, ma i segni materiali mancano o sono deteriorati.
  • Accordo sulle spese: le spese per l’apposizione dei termini sono a carico di entrambi i proprietari.

Differenze con l’azione di regolamento di confini

  • Oggetto dell’azione: l’azione di apposizione riguarda la visibilità del confine, non la sua determinazione.
  • Presupposto: il confine è certo, a differenza dell’azione di regolamento dove è incerto.

Giurisprudenza rilevante

La Cassazione ha affermato che se durante l’azione di apposizione di termini emerge una contestazione sul confine, l’azione si trasforma implicitamente in un’azione di regolamento di confini (Cass. n. 9512/2014).

Le altre azioni a difesa della proprietà

Tra le altre azioni a difesa della proprietà troviamo anche le azioni possessorie e le azioni di nunciazione:

Azioni possessorie

  • Azione di reintegrazione (spoglio): per chi è stato privato del possesso in modo violento o clandestino (art. 1168 c.c.).
  • Azione di manutenzione: per chi subisce molestie nel possesso o è stato spogliato con modalità non violente (art. 1170 c.c.).

Azioni di nunciazione

  • Denuncia di nuova opera: quando un vicino esegue lavori che possono danneggiare la proprietà altrui (art. 1171 c.c.).
  • Denuncia di danno temuto: quando si teme che una situazione possa causare danni imminenti (art. 1172 c.c.).

Queste azioni tutelano il possesso, che è distinto dalla proprietà, ma possono essere utilizzate anche dal proprietario possessore.

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doppio della caparra

Doppio della caparra: quando se ne ha diritto Doppio della caparra: restituzione solo in caso di grave inadempimento, il mero rinvio del certificato di destinazione urbanistica non basta

Restituzione del doppio della caparra

Il superamento di un termine fissato per il rilascio del certificato di destinazione urbanistica dell’immobile non dà automaticamente diritto al compratore di ottenere la restituzione del doppio della caparra confirmatoria in materia di compravendita immobiliare. Lo afferma l’ordinanza n. 28568/2024 della Corte di Cassazione. Per ottenere questa conseguenza, è necessario dimostrare una colpa grave del venditore.

Caparra confirmatoria: effetti  legali

La caparra confirmatoria rappresenta un elemento centrale nel contratto preliminare di compravendita immobiliare. Essa viene versata dall’acquirente al venditore come segno della serietà dell’accordo e come garanzia di adempimento. Se una delle parti non rispetta infatti gli impegni contrattuali, la caparra può assumere funzioni diverse: l’acquirente, in caso di inadempimento da parte del venditore, può recedere dal contratto e chiedere la restituzione del doppio dell’importo versato. Al contrario, se è l’acquirente a essere inadempiente, il venditore può trattenere la caparra.

La Cassazione però ha chiarito che il diritto alla doppia restituzione non è automatico, occorre infatti valutare la gravità dell’inadempimento. Solo un inadempimento “grave” e non giustificabile può legittimare la richiesta di vedersi restituire il doppio della caparra.

Contratto preliminare non rispettato: doppio della caparra

La  vicenda sottoposta al vaglio della Cassazione nasce da un accordo preliminare di compravendita immobiliare stipulato tra due soggetti nel novembre 2006. In questa occasione, l’acquirente versa 40.000 euro a titolo di caparra confirmatoria, impegnandosi a concludere il contratto definitivo entro il 28 febbraio 2007. Nel contratto è previsto che il venditore debba ottenere il rilascio del certificato di destinazione urbanistica entro la stessa scadenza. Detto termine però non viene rispettato.

Termine certificato di destinazione urbanistica

Nel giugno 2007, l’acquirente decide di agire legalmente contro il venditore presso il Tribunale di Frosinone. In questa sede l’attore sostiene di aver legittimamente esercitato il diritto di recesso dal contratto a causa dell’inadempimento del venditore, chiede quindi la condanna del venditore al pagamento del doppio della caparra versata. In subordine richiede la risoluzione del contratto e la restituzione della caparra. In primo grado, il Tribunale di Frosinone respinge la domanda dell’acquirente. Il termine del 28 febbraio 2007 indicato nel preliminare non ha infatti carattere essenziale per cui il suo superamento non può considerarsi un inadempimento così grave da giustificare la richiesta del doppio della caparra. La Corte d’Appello conferma la decisione del Tribunale, sottolineando che, anche qualora il venditore avesse superato il termine fissato per il rilascio del certificato di destinazione urbanistica, tale ritardo non avrebbe costituito una violazione sufficientemente significativa da comportare l’applicazione delle conseguenze di cui all’articolo 1453 del Codice Civile. Per la Corte d’Appello linadempimento non può considerarsi grave perché non ha pregiudicato l’interesse principale dell’acquirente alla conclusione del contratto definitivo.

Doppio della caparra: serve inadempimento grave

La Corte di Cassazione conferma la decisione delle autorità giudiziarie di merito, rigettando il ricorso dell’acquirente. Per gli Ermellini il termine indicato nel preliminare non può considerarsi essenziale. Le parti non hanno infatti qualificato espressamente questa scadenza come fondamentale per l’adempimento del contratto. La Suprema corte ha evidenziato inoltre che l’acquirente non ha dimostrato la gravità dell’inadempimento, elemento imprescindibile per richiedere la risoluzione del contratto con conseguente restituzione del doppio della caparra.

 

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gratuito patrocinio

Gratuito patrocinio: la guida Il gratuito patrocinio (patrocinio a spese dello Stato) è un istituto che permette ai soggetti meno abbienti di potersi difendere in giudizio

Cos’è il gratuito patrocinio

Il gratuito patrocinio, o patrocinio a spese dello Stato, è un istituto giuridico che consente alle persone che non hanno sufficienti risorse economiche di accedere alla giustizia, garantendo loro la possibilità di essere assistiti da un avvocato senza dover sostenere i costi delle spese legali. Questo beneficio viene concesso dallo Stato, che si fa carico delle spese per il patrocinio legale, tra cui onorari e altri costi necessari per la difesa. Il gratuito patrocinio consente quindi, a chi ha difficoltà economiche, di accedere alla giustizia, tutelando il diritto di difesa garantito dalla Costituzione italiana all’art. 24.

Disciplina del patrocinio a spese dello Stato

Il gratuito patrocinio è un’agevolazione che permette infatti, a chi ha un reddito basso, di essere assistito in giudizio da un avvocato senza dover sostenere le spese legali. Il DPR 115/2002, noto come “Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia”, disciplina le condizioni, i requisiti e le procedure per l’accesso a questo servizio.

A chi spetta il gratuito patrocinio

Il gratuito patrocinio spetta a tutti i cittadini italiani e agli stranieri residenti in Italia che si trovano in situazioni economiche disagiate. In particolare, il beneficio viene concesso a chi non è in grado di sostenere le spese per la difesa in un processo e il cui reddito non superi determinati limiti stabiliti dalla legge. Le condizioni per accedere al patrocinio sono basate principalmente sul reddito e sulla composizione del nucleo familiare.

Requisiti reddituali

I limiti di reddito sono adeguati in base alla variazione degli indici ISTAT con decreto del Ministero della Giustizia e del’Economia e delle Finanze. Tale limite è stabilito in relazione al reddito pro capite, tenendo conto anche del numero di componenti del nucleo familiare.

Nel calcolo del reddito, infatti, si tiene conto non solo di quello del richiedente, ma anche di quello di tutti i componenti del nucleo familiare, tranne in alcuni casi particolari come quando il processo riguarda diritti personali o conflitti all’interno del nucleo familiare.

Se il reddito supera la soglia stabilita, l’ammissione al gratuito patrocinio non è concessa. Nel caso in cui il richiedente abbia un patrimonio elevato, pur avendo un reddito inferiore alla soglia, il gratuito patrocinio potrebbe comunque essere negato.

Per l’anno 2024, il limite di reddito è di 12.838,01 (d.m. 10 maggio 2023 in GU n. 130 del 6 giugno 2023).

Altri casi di ammissione al patrocinio

Oltre ai requisiti di reddito, il DPR 115/2002 prevede che possano beneficiare del patrocinio gratuito:

  • le vittime di violenza domestica o di genere, che possono presentare domanda per ottenere assistenza legale gratuita, a prescindere dal reddito;
  • i minori stranieri non accompagnati e coinvolti in un procedimento giurisdizionale;
  • gli imputati in processi penali, che hanno diritto alla difesa d’ufficio se non possono permettersi un avvocato.

Procedimenti ammessi al gratuito patrocinio

Il gratuito patrocinio può essere richiesto in vari tipi di procedimenti legali:

  • penali: per difendersi in caso di accusa di reato;
  • civili: per cause civili, separazioni, divorzi, cause di famiglia o in ambito lavorativo.
  • amministrativi: in caso di controversie con enti pubblici;
  • processi contabili, tributari e negli affari di volontaria giurisdizione

Beneficiari e limitazioni

Il gratuito patrocinio può essere esteso a chiunque sia parte in un processo, ma ci sono alcune limitazioni. Per esempio, in ambito penale, il beneficio non viene concesso a chi ha già una condanna penale per determinati reati, come quelli legati alla mafia o al terrorismo, o se il processo riguarda un reato di grande gravità. In ambito civile, la domanda di gratuito patrocinio può essere rigettata se il processo è manifestamente infondato o se riguarda questioni di difficile risoluzione giuridica.  

Come richiedere il gratuito patrocinio

Per richiedere il gratuito patrocinio, è necessario seguire una procedura specifica.

La domanda deve essere presentata al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati del tribunale competente. È possibile richiedere l’assistenza di un avvocato per compilare correttamente la documentazione.

La domanda prevede la compilazione di moduli disponibili presso il Consiglio dell’ordine competente a cui allegare il documento di identità del richiedente. Il modulo presentato dal difensore richiede l’autentica da parte di questo soggetto della firma dell’istante.

Documentazione necessaria

Occorre fornire la copia dell’ultima dichiarazione dei redditi e, in alcuni casi, altri documenti che dimostrino la situazione economica del richiedente e del suo nucleo familiare.

Esame della domanda

Il Consiglio dell’Ordine verifica i requisiti economici e decide se concedere il patrocinio gratuito. La decisione viene comunicata al richiedente entro un periodo di tempo stabilito. In caso di rigetto la richiesta può essere fare richiesta al giudice competente per il giudizio.

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Antitrust Ryanair

Antitrust: Ryanair rimborserà i costi del check-in Chiusa dall'AGCM l'istruttoria nei confronti della compagnia irlandese che si è impegnata a rimborsare oltre un milione e mezzo di euro per i costi extra del check-in

L’Antitrust, L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha concluso l’istruttoria nei confronti di Ryanair D.A.C., risolvendo la questione con impegni concreti da parte della compagnia aerea. L’indagine era stata avviata per una presunta pratica commerciale scorretta in violazione del Codice del Consumo, in particolare riguardo alla mancanza di trasparenza sulle condizioni di check-in online e sull’aggravio di costi per il check-in in aeroporto. Lo rende noto l’Antitrust con un comunicato stampa pubblicato sul proprio sito.

Le contestazioni dell’Antitrust

Nel corso dell’istruttoria, l’AGCM aveva rilevato che le informazioni fornite da Ryanair sui costi e sulle condizioni di check-in online erano potenzialmente ingannevoli. In particolare, la compagnia non informava adeguatamente i consumatori sulla finestra temporale in cui il check-in online fosse disponibile gratuitamente e sugli eventuali costi aggiuntivi che si sarebbero applicati qualora il check-in fosse stato effettuato in aeroporto, superando il termine di scadenza per il check-in online.

Un ulteriore problema rilevato dall’Autorità riguardava l’opzione di prenotazione di un biglietto di andata e ritorno con il servizio di priorità e bagaglio a mano. Se l’utente selezionava questa opzione per una tratta, il sistema la estendeva automaticamente anche alla tratta di ritorno, senza consentire una selezione separata per ciascun volo.

Gli impegni di Ryanair e i rimborsi ai consumatori

Per risolvere la situazione, Ryanair ha preso impegni formali di risarcimento e modifica delle sue pratiche.

In particolare, la compagnia irlandese ha accettato di rimborsare interamente i consumatori che, tra il 2021 e il 2023, hanno sostenuto costi extra per il check-in in aeroporto, a causa della scarsa chiarezza sulle condizioni del check-in online. Ogni consumatore riceverà un rimborso di 55 euro, che corrisponde all’intero costo del check-in effettuato in aeroporto.

Inoltre, tutti i consumatori che, nel medesimo periodo, hanno effettuato una prenotazione di volo e poi hanno scelto di effettuare il check-in in aeroporto, pagando il supplemento, riceveranno un ristoro pari a 15 euro. In alternativa, potranno scegliere di ricevere un voucher del valore di 20 euro da utilizzare per l’acquisto di servizi Ryanair. Questo riguarda oltre 100.000 prenotazioni, e si stima che l’importo totale da rimborsare si aggiri intorno al milione e mezzo di euro.

Modifiche alle politiche di prenotazione e trasparenza

Oltre ai rimborsi, Ryanair si è impegnata a modificare la modalità di selezione dell’opzione priorità e bagaglio a mano. D’ora in poi, i consumatori avranno la possibilità di selezionare separatamente questo servizio per ciascun volo di andata e ritorno, con la visualizzazione del relativo prezzo unitario per ogni tratta, evitando così l’estensione automatica dell’opzione all’intero viaggio.

Inoltre, la compagnia ha promesso di aggiornare il sito web, l’app mobile e il testo delle email di conferma prenotazione, per garantire che i consumatori siano adeguatamente informati sulla finestra temporale in cui è possibile effettuare il check-in online gratuitamente e sugli eventuali costi relativi al check-in in aeroporto.

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fattura elettronica

Fattura elettronica: prova idonea per il decreto ingiuntivo La fattura elettronica potrà essere utilizzata per dimostrare il credito vantato e ottenere il decreto ingiuntivo dal giudice competente

Fattura elettronica: prova per il decreto ingiuntivo

La fattura elettronica costituirà una prova scritta idonea per richiedere e ottenere il rilascio del decreto ingiuntivo. Lo prevede il correttivo più recente della Riforma Cartabia (D.Lgs. n. 164/2024), approvato in via definitiva dal Consiglio dei Ministri il 29 ottobre 2024 e pubblicato in GU l’11 novembre 2024 per entrare in vigore il prossimo 26 novembre.

La fattura elettronica entra nell’art. 634 c.p.c.

I correttivi intervengono sull’articolo 634 c.p.c. La norma si occupa infatti delle prove scritte idonee a fondare la domanda per ottenere dal giudice competente il decreto ingiuntivo, atto che consente  di recuperare i crediti liquidi ed esigibili.

Dopo il primo periodo il correttivo aggiunge un secondo periodo nel quale dispone che i crediti per i quali sarà possibile ottenere l’ingiunzione di pagamento, potranno essere dimostrati anche con le fatture elettroniche trasmesse tramite il Sistema di interscambio gestito dall’Agenzia delle Entrate e istituito dal Ministero dell’economia e delle Finanze.

L’intervento correttivo equipara la fattura elettronica a quella cartacea annotata nelle scritture contabili. Si tratta di una novità molto rilevante perché l’articolo 634 c.p.c include tra le condizioni di ammissibilità per ottenere il decreto ingiuntivo, la prova scritta del credito.

La novità legislativa descritta è stata preceduta da alcuni importanti interventi giurisprudenziali. Diversi i giudici di merito hanno infatti emesso diversi decreti ingiuntivi sulla base delle fatture elettroniche prodotte come prova scritta dai creditori richiedenti.

Scritture contabili tenute con strumenti informatici

Questa novità sulle fatture elettroniche è in linea con le modifiche apportate anche al comma 2 dell’articolo 634 c.p.c.

La norma nella sua formulazione attuale dispone che: “Per i crediti relativi a somministrazioni di merci e di danaro nonché per prestazioni di servizi fatte da imprenditori che esercitano una attività commerciale e da lavoratori autonomi anche a persone che non esercitano tale attività, sono altresì prove scritte idonee gli estratti autentici delle scritture contabili di cui agli articoli 2214 e seguenti del codice civile, purché bollate e vidimate nelle forme di legge e regolarmente tenute, nonché gli estratti autentici delle scritture contabili prescritte dalle leggi tributarie, quando siano tenute con l’osservanza delle norme stabilite per tali scritture.” 

In base alla modifica contenuta nel correttivo la norma assumerà il seguente tenore:Per i crediti relativi a somministrazioni di merci e di danaro nonché per prestazioni di servizi fatte da imprenditori che esercitano una attività commerciale e da lavoratori autonomi anche a persone che non esercitano tale attività, sono altresì prove scritte idonee gli estratti autentici delle scritture contabili di cui agli articoli 2214 e seguenti del codice civile nonché di quelle prescritte dalle leggi tributarie, purché tenute, anche con strumenti informatici, con losservanza delle norme stabilite dalla legge.”

 

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riforma processo civile

Riforma processo civile: ecco i nuovi correttivi In vigore dal 26 novembre 2024 il decreto legislativo sui correttivi alla riforma Cartabia del processo civile      

In vigore i nuovi correttivi alla riforma Cartabia

I correttivi alla Riforma del processo civile approvati dal Consiglio dei Ministri (atto n. 137 bis) il 26 settembre, in secondo esame preliminare, vanno a modificare il decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, meglio noto come riforma Cartabia. 

Il testo, dopo aver ricevuto il parere favorevole da parte delle Commissioni Giustizia di Camera e Senato, il 29 ottobre 2024 è stato approvato in esame definitivo dal Consiglio dei Ministri.

Il decreto (Dlgs-164/2024) recante “Disposizioni integrative e correttive al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 149, recante attuazione della legge 26 novembre 2021, n. 206, recante delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie e misure urgenti di razionalizzazione dei procedimenti in materia di diritti delle persone e delle famiglie nonche’ in materia di esecuzione forzata” è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale l’11 novembre 2024, per entrare in vigore il 26 novembre 2024.

Dal provvedimento emerge un’attenzione particolare al processo di cognizione per garantire un miglior coordinamento, alla procedura di notifica delle impugnazioni, ai procedimenti che riguardano le persone e la famiglia e al processo esecutivo.

Processo civile: gli interventi

Scendendo nello specifico, vediamo quali sono i correttivi apportati al testo.

Regolamento di competenza

In relazione al regolamento di competenza il decreto prevede:

  • che l’incompetenza per materia, valore e territorio nei casi previsti dall’ 38 c.p.c siano rilevate d’ufficio con il decreto previsto dall’articolo 171-bis o, nei procedimenti ai quali non si applica l’articolo 171-bis, non oltre la prima udienza;
  • l’ampliamento da 20 a 40 giorni del termine per il deposito delle difese del resistente nel regolamento di competenza ex art. 47 c.p.c.

Digitalizzazione del processo

Sul tema della digitalizzazione del processo l’art. 123 c.p.c. sul giuramento dell’interprete e del traduttore il testo prevede che lo stesso venga prestato ai sensi dell’art. 193 c.p.c ossia nelle stesse modalità previste per il consulente con dichiarazione sottoscritta con firma digitale.

Comunicazioni e notificazioni

Il nuovo articolo 136 c.p.c prevede che qualora la comunicazione non abbia esito positivo per causa non imputabile al destinatario, si procederà con la notifica tramite ufficiale giudiziario nelle forme tradizionali. Se invece la notifica non ha esito positivo per causa imputabile al destinatario, l’atto viene inserito nel portale dei servizi telematici gestito dal Ministero della Giustizia. Le modalità per l’inserimento dell’atto nel portale saranno descritte nel nuovo articolo 149-bis.  

Cambia infatti anche la formulazione dell’articolo 149 bis c.p.c. dedicato alle notificazioni a mezzo PEC dell’ufficiale giudiziario. Il nuovo comma 2 dispone che  l’ufficiale giudiziario potrà trasmettere all’indirizzo di posta elettronica certificata del destinatario, risultante da pubblici elenchi o comunque accessibili alle pubbliche amministrazioni, la copia informatica dell’atto sottoscritta con firma digitale o, in alternativa, il duplicato informatico dell’atto stesso.

Il nuovo terzo comma dell’art. 149 bis c.p.c invece dispone che la notifica per il notificante si perfeziona quando il documento informatico da notificare è consegnato all’ufficiale giudiziario, per il destinatario invece quando il gestore di posta elettronica genera la ricevuta di avvenuta consegna.

Procedimento di cognizione ordinaria

Il nuovo comma. 3 dell’art. 163 bis c.p.c. sui termini per comparire prevede che il termine per la comunicazione del decreto del presidente che anticipa l’udienza di comparizione delle parti su richiesta del convenuto, debba essere comunicata almeno 90 giorni liberi (non 5 giorni) prima della nuova udienza fissata.

Sostituito completamente l’art 171 bis c.p.c che si occupa delle verifiche preliminari. Da segnalare i nuovi commi 4 e 5.

Il comma 4 prevede in particolare che il giudice, in presenza del presupposti di legge, possa disporre la prosecuzione del processo nelle forme del rito semplificato di cognizione, fissando l’udienza di cui all’articolo 281-duodecies e il termine perentorio entro il quale le parti possono integrare gli atti introduttivi con deposito di memorie e documenti.

Cambia anche l’art. 330 c.p.c. sulla notifica dell’impugnazione

Di estremo interesse il nuovo comma 2, che così dispone: “L’impugnazione può essere notificata collettivamente e impersonalmente agli eredi della parte defunta dopo la notificazione della sentenza, nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto dal defunto nell’atto di notificazione della sentenza ai sensi del primo comma o, in mancanza della suddetta dichiarazione di residenza o di elezione di domicilio, l’impugnazione può essere notificata, ai sensi dell’articolo 170, agli eredi collettivamente e impersonalmente presso il procuratore costituito o nella residenza dichiarata o nel domicilio eletto dal defunto per il giudizio.”

Rito speciale persone, famiglia e minori

Il decreto interviene sull’articolo 473 bis in misura piuttosto corposa.

Il nuovo  comma 1 stabilisce l’ambito di applicazione delle norme contenute nel titolo IV bis:

  • procedimenti sullo stato delle persone, dei minorenni e della famiglia attribuiti al tribunale ordinario, al giudice tutelare e al tribunale per i minorenni,
  • domande di risarcimento del danno derivanti dalla violazione di doveri familiari a meno che la legge non disponga diversamente.

Da segnalare anche le modifiche che lo schema apporta agli articoli 473 bis.24, 473 bis.38, 473 bis.39, 473bis.48.

Fattura elettronica per il decreto ingiuntivo

Il decreto ingiuntivo potrà essere emesso anche sulla base delle fatture elettroniche. All’art. 634 c.p.c. dopo il primo periodo i nuovi correttivi aggiungono il seguente: “Per i crediti di cui al presente comma costituiscono inoltre prova scritta idonea le fatture elettroniche trasmesse  attraverso il Sistema di interscambio istituito dal Ministero dell’economia e delle finanze e gestito dall’Agenzia delle entrate.”

Processo di esecuzione

Il nuovo comma 2 dell’art. 492 c.p.c., che si occupa della forma del pignoramento, prevede che il pignoramento debba contenere anche l’invito al debitore ad effettuare presso la cancelliera del giudice dell’esecuzione la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio in uno dei Comuni del circondario in cui si trova il giudice competente o indicare il proprio indirizzo PEC con l’avvertimento che in mancanza o in caso di irreperibilità presso la residenza al domicilio le successive notifiche saranno effettuate presso la cancelleria dello stesso giudice, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 149 bis c.p.c.

Importante anche la modifica che investe l’articolo 543 c.p.c., relativa alla forma del pignoramento nell’espropriazione presso terzi. Il nuovo sesto comma prevede che se il creditore riceve il pagamento prima della scadenza del termine prevista per il deposito della nota d’iscrizione a ruolo, lo debba comunicare immediatamente al debitore o al terzo. In questo caso, l’obbligo del terzo viene meno dal momento in cui riceve la comunicazione.

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Rifiuto ingiustificato del paziente e concorso nel danno Il rifiuto ingiustificato del paziente di un intervento emendativo di un errore medico configura un concorso colposo del creditore, ai sensi dell’art. 1227, comma 2, c.c.?

Quesito con risposta a cura di Manuel Mazzamurro e Davide Venturi

 

Il paziente ha il diritto di rifiutare il trattamento medico, ma se il rifiuto è ingiustificato, perché non correlato ad attività gravosa o tale da determinare notevoli rischi o rilevanti sacrifici, può integrare un concorso colposo del creditore, ai sensi dell’art. 1227, comma 2, c.c, ove emerga che il completamento clinico rifiutato avrebbe, più probabilmente che non, portato alla guarigione o ad apprezzabili miglioramenti, senza rischi significativi ovvero estranei a quelli del percorso terapeutico inizialmente compiutamente consentito (Cass., sez. III, 11 dicembre 2023, n. 34395 (rifiuto ingiustificato del paziente).

La decisione in commento si pone in frontale contrasto con i precedenti della Cassazione, i quali hanno sostenuto che il rifiuto del paziente di sottoporsi ad un trattamento medico non può considerarsi una condotta idonea a ridurre il quantum del danno risarcibile ai sensi dell’art. 1227, comma 2, c.c.

Funzionale all’attribuzione della responsabilità civile è il nesso di causalità nella sua doppia veste di causalità materiale e giuridica:

  • la prima necessaria per stabilire se vi sia responsabilità e a quale condotta vada imputata;
  • la seconda necessaria per delineare l’area del danno risarcibile e determinare la misura del risarcimento.

Tale distinzione assume notevole peso in particolar modo nell’indagine su eventi ad eziologia multifattoriale: in conseguenza della infrazionabilità del nesso eziologico, coerente con l’orientamento maggioritario della Cassazione che non aderisce al modello nord-americano della causalità proporzionale (così, tra gli altri precedenti, Cass. 21 luglio 2011, n. 15991), l’accertamento di questo si risolve nella dicotomia tra sussistenza ed insussistenza.

L’infrazionabilità del nesso di causalità materiale tra condotta ed evento è indirettamente confermata dall’art. 1227 c.c., che circoscrivendo la riduzione di responsabilità al solo caso di concorso causale fornito dalla vittima, esclude la frazionabilità nel caso in cui la condotta del responsabile concorra con cause naturali o condotte non colpevoli.

La materia della responsabilità medica è tipicamente teatro di eventi dall’eziologia complessa. Qui, in virtù del nuovo regime di responsabilità a doppio binario introdotto dalla L. 22 dicembre 2017, n. 219, l’istituto di cui all’art. 1227 c.c. trova rilevanza sia nel caso di responsabilità contrattuale tipico del rapporto tra paziente e struttura sanitaria sia, in forza dell’espresso rinvio contenuto nell’art. 2056 c.c., in quello di responsabilità extracontrattuale che interviene tra il primo e l’esercente la professione sanitaria.

Il caso concretamente oggetto della pronuncia in commento ha dato l’occasione alla Cassazione per esprimersi nuovamente sulla possibilità di considerare il rifiuto del paziente di sottoporsi a un trattamento medico rilevante ai fini dell’applicazione dell’art. 1227, comma 2, c.c. Questo presuppone che l’evento dannoso sia interamente ascrivibile alla responsabilità del debitore fungendo da criterio selettivo del danno risarcibile: si escludono i danni che il creditore avrebbe potuto evitare attraverso una condotta diligente.

L’analisi, rispetto al primo comma del medesimo articolo, si sposta pertanto sul piano della causalità giuridica, sul presupposto che il danno che taluno arreca a sé stesso non può essere traslato sull’autore della causa concorrente. Altra lettura individua in questa norma una portata causalistica, incentrata sull’esclusione dall’area del danno risarcibile le conseguenze non immediatamente e direttamente riconducibili alla condotta del danneggiante sulla base del fatto che la condotta del danneggiato interromperebbe il nesso di causalità giuridica già innescato, viene preferita una lettura solidaristica.

La tesi prevalente reputa, infatti, che alla regolazione della causalità sia esaustivamente demandato l’art. 1223 c.c. L’art. 1227, comma 2, va infatti letto quale norma comportamentale che addossa un dovere di autoresponsabilità al creditore. Alla luce del principio solidaristico che permea il Codice Civile ove letto attraverso il filtro dei dettami costituzionali si sancisce una regola etico-giuridica di condotta che impone doveri comportamentali ex art. 1176 c.c. anche al creditore. Così non si risarcisce il danno che sarebbe stato evitabile attraverso una condotta doverosa di quest’ultimo.

Di questo aspetto la Corte si è già occupata in un intervento del 2020 (Cass. 15 gennaio 2020, n. 515). In tale sede la Cassazione ha ricordato che il rifiuto di sottoporsi a determinate cure mediche, sia per motivi religiosi che per altra natura non può essere considerato un fattore anomalo e imprevedibile ma è espressione di un diritto di rango costituzionale.

Sul punto, tale pronuncia ribadisce l’orientamento in tema: nessuno può essere sottoposto a un trattamento sanitario senza consenso e non può essere configurato alcun obbligo a carico della vittima di sottoporsi al trattamento sanitario in quanto si tratterebbe di incidere surrettiziamente sull’intensità e sulla qualità del pieno riconoscimento del diritto di un soggetto di rifiutare un trattamento sanitario.

Il rifiuto ingiustificato del paziente non è quindi inquadrabile nell’ipotesi di concorso colposo del creditore previsto dall’art. 1227 c.c., intendendosi comprese nell’ambito dell’ordinaria diligenza di cui all’art. 1227, comma 2, c.c., soltanto quelle attività che non siano gravose o eccezionali o tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici (così anche Cass. 5 luglio 2007, n. 15231; Cass. 10 maggio 2001, n. 6502). In sostanza, i danni derivanti dalla condotta pregiudizievole del medico che il paziente abbia omesso di mitigare mediante un trattamento sanitario non sono da considerarsi “danni evitabili” secondo quanto disposto dall’art. 1227, comma 2, c.c.

La vicenda di cui si occupa la Cassazione nella sentenza in commento trae origine dalla domanda di risarcimento derivante da un intervento chirurgico negligente dal quale era poi scaturito il rifiuto del paziente-creditore di un ulteriore trattamento.

In questa occasione la Corte, in contrasto con i precedenti sopra citati, ammette che dal rifiuto del paziente di sottoporsi a trattamenti sanitari possano derivare conseguenze sul piano risarcitorio. Recuperando il nucleo centrale del principio solidaristico, la Cassazione concepisce l’art. 1227, comma 2 c.c. come un modo per ripartire i costi dell’esercizio del diritto di autodeterminazione del creditore. Non si tratta, infatti, di sanzionare l’esercizio di un diritto quanto di impedire che dei danni conseguenti a questo possa rispondere un soggetto che, effettivamente, non li ha cagionati. Attraverso il riferimento al rifiuto “ingiustificato”, poi, si introduce la necessità di un vaglio in concreto sulle ragioni del rifiuto dell’attività medica, tenendo in considerazione le relazioni tra i rischi derivanti dall’intervento e quelli derivanti dalla non sottoposizione allo stesso. È qui che si inserisce la valutazione (e la prova) sulla probabilità che l’intervento non voluto fosse determinante per l’evoluzione in senso migliorativo delle condizioni di salute del danneggiato e che non rischiasse di introdurre nel quadro clinico ulteriori e inaspettati pericoli.

Così la pronuncia in commento armonizza, nell’ambito dell’art. 1227, comma 2 c.c., la lettura solidaristica attraverso l’aggancio al principio di solidarietà e buona fede nel sindacato sulle ragioni del rifiuto, con quella causalistica mediante il rinvio al giudizio controfattuale ipotetico sul peso che l’intervento medico non accettato avrebbe avuto sul decorso causale che ha portato alle conseguenze dannose di cui il paziente-creditore si duole.

 

Contributo in tema di “Rifiuto ingiustificato del paziente e concorso nel danno”, a cura di Manuel Mazzamurro e Davide Venturi, estratto da Obiettivo Magistrato n. 78 / Ottobre 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica