bollo auto

Bollo auto: le novità del decreto approvato dal Governo Bollo auto: uno schema di decreto legislativo approvato dal Consiglio dei Ministri prevede possibili novità per il 2026

Bollo auto: novità in arrivo per il 2026?

Dal 1° gennaio 2026, il bollo auto subirà significative modifiche per i veicoli di nuova immatricolazione, rivoluzionando scadenze, modalità di pagamento e responsabilità. Le auto immatricolate prima di questa data continueranno a seguire le vecchie regole, salvo diverse disposizioni regionali. Lo prevede lo “schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di tributi regionali e locali e di federalismo fiscale regionale n. 276” approvato dal Consiglio dei Ministri che fida attuazione alla delega fiscale, sottoposto a parere parlamentare.

Per approfondire vedi il Dossier del Senato della Repubblica

Nuove scadenze personalizzate

A partire dal 2026, la scadenza del bollo non sarà più fissa, ma personalizzata. Il pagamento dovrà essere effettuato entro l’ultimo giorno del mese successivo a quello di immatricolazione. La validità della tassa resterà di 12 mesi, la data di scadenza però sarà legata alla singola data di immatricolazione. Un cambiamento che richiederà maggiore attenzione da parte degli automobilisti.

Addio alla rateizzazione del bollo auto

Un’altra novità è rappresentata dall‘abolizione della possibilità di rateizzare il bollo per i veicoli immatricolati dal 2026. Attualmente, molte Regioni offrono pagamenti trimestrali o semestrali. Dal 2026, invece, il pagamento sarà annuale e in una soluzione unica. Le Regioni potranno comunque introdurre agevolazioni locali.

Bollo dovuto anche per veicoli fermi

Il bollo auto, dal 2026, sarà legato al possesso del veicolo, non al suo utilizzo. Questo significa che anche i veicoli sottoposti a fermo amministrativo o giudiziario dovranno comunque pagare regolarmente la tassa. L’unica eccezione per l’interruzione del pagamento sarà la perdita del possesso (furto, demolizione, esportazione).

Pagamento nei passaggi di proprietà

Le regole sui passaggi di proprietà saranno più chiare. Il bollo sarà a carico di chi risulta intestatario all’inizio del periodo tributario. Se un’auto viene venduta a maggio, ma il periodo del bollo inizia a marzo, il pagamento sarà a carico del venditore. Questo mira a ridurre i contenziosi e a semplificare la definizione delle responsabilità.

Bollo auto: importi e calcoli come sempre

Invariati gli importi e il calcolo. Il. Bollo continuerà infatti a essere determinato in base alla potenza del motore (kW) e alla classe ambientale. Anche il Superbollo per le auto con oltre 185 kW di potenza rimarrà in vigore. Le esenzioni regionali per auto elettriche, ibride o per disabili permarranno, ma le Regioni decideranno come riconfermarle.

Per facilitare i controlli, verrà istituito l’Archivio Nazionale delle Tasse Automobilistiche (ANTA), un database unico che integrerà le informazioni per una verifica più rapida delle posizioni fiscali dei veicoli.

 

Leggi anche:  Bollo auto: guida completa

reato di sfregio

Reato di sfregio Reato di sfregio: cos’è, l’art. 583 quinquies c.p, caratteristiche del delitto, deformazione e sfregio, la sentenza della  Consulta n.83/2025

Reato di sfregio: cos’è

Il reato di sfregio o più tecnicamente “Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso” è un reato previsto dall’art. 583 quinques c.p. Questo illecito penale è stato inserito nel codice penale dall’articolo 12 della legge n. 69/2019, meglio nota come “Codice Rosso”.

Si tratta di un reato che è stato introdotto con lo scopo primario tutelare soprattutto le vittime di violenza domestica e di genere. La fattispecie però non si limita a questi soggetti ma protegge chiunque sia vittima di un comportamento così vile.

L’articolo 583 quinques c.p. 

L’articolo 583 quinques c.p che punisce il reato di sfregio  al primo comma dispone che chiunque provochi a un’altra persona lesioni che causano una deformazione permanente o uno sfregio permanente al viso venga punito con la reclusione da otto a quattordici anni.

Il comma 2 della norma prevede ulteriori conseguenze negative per il responsabile di questo reato. Se infatti una persona viene condannata per questo reato (o patteggia la pena secondo l’articolo 444 del Codice di Procedura Penale), subisce automaticamente anche l’interdizione perpetua da qualsiasi incarico legato alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno. In pratica, non potrà mai più ricoprire ruoli che implicano la gestione e la protezione degli interessi di persone vulnerabili.

Caratteristiche del reato di sfregio

Dalla lettura della norma emerge che si tratta di un reato comune, che chiunque cioè può commettere. La fattispecie punisce la condotta di chi causa lesioni che si traducono in una deformazione o in uno sfregio permanente del viso della vittima.

Dal punto di vista dell’elemento soggettivo il reato richiede il dolo, cioè la volontà di recare lesioni al volto in grado di deformarlo o sfiguralo.

La pena per il reato è la reclusione da un minimo di otto anni fino a un massimo di 14 anni e in caso di condanna o patteggiamento l’interdizione perpetua dalla possibile di svolgere funzioni di curate, tutela e amministrazione di sostegno.

Deformazione e sfregio del volto: definizioni e differenze

La Corte di Cassazione con la sentenza n. 35795/2023 è intervenuta per chiarire la differenza tra le le due tipologie di lesione contemplate dall’articolo 583 quinquies c.p.

Gli Ermellini hanno infatti previsto che quando si parla del reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso,  è fondamentale distinguere tra “deformazione” e “sfregio permanente”.

La deformazione o il deformismo implicano un’alterazione anatomica del viso di grave entità. Si tratta di un danno che ne modifica profondamente la simmetria e l’armonia complessiva, causando un vero e proprio sfiguramento. È una lesione che colpisce in modo irreversibile l’identità estetica del viso, rendendola irriconoscibile o gravemente compromessa. Lo sfregio permanente rappresenta invece un danno meno grave rispetto alla deformazione, ma comunque significativo e irreversibile. Non porta a uno sfiguramento completo, ma causa un turbamento irreversibile dell’armonia e dell’euritmia del viso. Un esempio classico è rappresentato una cicatrice permanente sul volto che, pur non stravolgendo i tratti somatici, altera in modo percettibile e duraturo l’estetica del viso.

Corte Costituzionale: pene troppo severe per casi meno gravi

Di recente la Corte Costituzionale è intervenuta su questo reato con la sentenza n. 83/2023 depositata il 20 giugno 2025.

Con questa decisione la Consulta ha dichiarato illegittimo il comma 1 dell’art. 583 quinques c.p. La pena (reclusione da 8 a 14 anni) potrà infatti essere ridotta fino a un terzo se il fatto, per circostanze o per la lieve entità del danno, risulta di minore gravità. L’assenza di un’attenuante per i fatti di lieve entità, a fronte di una pena minima molto elevata e di diverse possibili condotte punibili, rischiava di portare a condanne eccessive, rendendo la pena inefficace per la risocializzazione del condannato, non tenendo conto della sua personalità.

Illegittimo e quindi modificato anche il comma 2. L’interdizione da ruoli di tutela e curatela, prima automatica e perpetua, non è più obbligatoria. Il giudice potrà applicarla facoltativamente, basandosi su criteri discrezionali e con una durata massima di dieci anni. L’ampia descrizione del reato nel secondo comma permetteva di includere anche condotte meno gravi. Per queste, l’applicazione automatica e perpetua dell’interdizione da ruoli di tutela risultava ingiustificata, rendendo necessaria l’eliminazione dell’obbligatorietà e della perpetuità di tale pena accessoria.

 

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interessi moratori

Interessi moratori Interessi di mora: cosa sono, l'articolo 1224 c.c., differenze con quelli compensativi e corrispettivi, calcolo e transazioni commerciali

Cosa sono gli interessi moratori

Gli interessi moratori o di mora rappresentano una forma di risarcimento che il debitore deve al creditore quando ritarda nell’adempimento di un’obbligazione pecuniaria, ovvero nel pagamento di una somma di denaro. La loro funzione principale è quindi di compensare il creditore per il danno subito a causa del mancato tempestivo incasso, danno che si presume esistere automaticamente con il ritardo.

Normativa di riferimento: l’articolo 1224 c.c.

Il principale riferimento normativo per  questi interessi è l’articolo 1224 c.c. Questo articolo stabilisce che, dal giorno in cui il debitore è in ritardo, ossia in mora, con il pagamento di una somma di denaro, sono dovuti gli interessi legali, anche se non erano previsti interessi prima del ritardo. Se, invece, prima della mora erano già dovuti interessi a un tasso superiore a quello legale, gli interessi moratori saranno calcolati su questa misura più alta.

Essi svolgono una funzione risarcitoria automatica. Il creditore infatti non deve dimostrare di aver subito un danno riconducibile al ritardo. E’ sufficiente la condizione di mora a far scattare il diritto agli interessi.

Onere probatorio

Come accennato, questi interessi si applicano dal giorno del ritardo senza che il creditore debba provare di aver subito un danno. Tuttavia, se il creditore ritiene di aver subito un danno maggiore rispetto a quello automaticamente risarcito dagli interessi moratori, ha il diritto di richiedere un ulteriore risarcimento.

L’articolo 1224 c.c precisa però che questo risarcimento aggiuntivo non spetta se le parti hanno già convenuto la misura degli interessi moratori. La presunzione legale di danno da ritardo soccorre proprio quando le parti non hanno stabilito diversamente.

Interessi moratori: come si calcolano?

Il calcolo di questi interessi dipende da quanto stabilito tra le parti.

  • Se non sono stati concordati, gli interessi di mora corrispondono al tasso di interesse legale, che viene aggiornato annualmente dal Ministero dell’Economia e delle Finanze.
  • Se invece le parti hanno concordato un tasso, questo deve essere applicato, a condizione che non superi i limiti dell’usura.

Transazioni commerciali e interessi moratori

Se il ritardo nel pagamento riguarda le transazioni commerciali (incluse quelle con professionisti o lavoratori autonomi), è previsto un regime speciale (Dlgs 9 ottobre 2002, n. 231 “Attuazione della direttiva 2000/35/CE relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali”).

Gli interessi di mora decorrono automaticamente dal giorno successivo alla scadenza del termine per il pagamento. Il diritto a  questi interessi viene meno per il creditore solo se il debitore riesce a dimostrare che il ritardo nell’adempimento non è riconducibile a una causa a lui imputabile.

Tasso interessi di mora 2° semestre 2025

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze con il comunicato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14 luglio 2025 ha reso noto il tasso degli interessi di mora per i ritardi nei pagamenti delle transazioni commerciali. Il nuovo tasso di riferimento, valido dal 1° luglio al 31 dicembre 2025, è fissato al 2,15% (in luogo del 3,15% del 1° semestre).

Interessi moratori, corrispettivi e compensativi: differenze

È importante distinguere infine gli interessi di mora da altre tipologie di interessi:

  • interessi corrispettivi: sono dovuti sui crediti liquidi ed esigibili (cioè determinati nel loro ammontare e immediatamente richiedibili). Rappresentano una sorta di “prezzo” per l’utilizzo del denaro altrui e sono un’obbligazione accessoria rispetto a quella principale;
  • interessi compensativi: sono dovuti in caso di “debiti di valore”, ovvero quando l’obbligazione non riguarda direttamente una somma di denaro e servono a compensare il ritardo nella messa a disposizione di tale valore.

Gli interessi di mora, a differenza dei corrispettivi e dei compensativi, nascono invece dal ritardo nell’adempimento di un’obbligazione pecuniaria già determinata.

 

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ministero della giustizia

Ministero della Giustizia Ministero della Giustizia: cos'è, chi lo presiede, come è disciplinato e organizzato e quali funzioni svolge

Ministero della Giustizia: cos’è

Il Ministero della Giustizia è un organo centrale del governo italiano, cruciale per il corretto funzionamento dello stato di diritto.

La sua missione principale è garantire l’efficienza e la trasparenza dell’amministrazione giudiziaria in Italia, estendendo la sua competenza ai settori civile, penale, minorile e penitenziario.

Esso rappresenta un organismo fondamentale per la democrazia italiana, perché garantisce che i principi di legalità e giustizia siano concretamente applicati e accessibili a tutti i cittadini.

Attualmente, il dicastero è presieduto dal Ministro Carlo Nordio, in carica dal 22 ottobre 2022.

Per accedere ai servizi online dedicati è sufficiente visitare il sito ufficiale Ministero della Giustizia

Il Ministero nella Costituzione Italiana

Il Ministero della Giustizia riveste un’importanza tale da essere l’unico ministero esplicitamente citato nella Costituzione italiana, in particolare negli articoli 107 e 110. Questo sottolinea la sua funzione insostituibile nel mantenimento dell’ordine legale e della giustizia.

L’articolo 110 stabilisce che, fermo restando le competenze del Consiglio Superiore della Magistratura (CSM), al Ministro della Giustizia spettano l’organizzazione e il funzionamento dei servizi relativi alla giustizia. Ciò include la supervisione dell’organizzazione degli uffici giudiziari (tribunali, corti, cancellerie, segreterie), la gestione del personale amministrativo e la cura delle infrastrutture.

L’articolo 107, comma 2, conferisce al Ministro la facoltà di promuovere l’azione disciplinare nei confronti dei magistrati. Questo potere, sebbene delicato e bilanciato dal ruolo del CSM, evidenzia la responsabilità del Ministro nel garantire la correttezza e l’integrità della condotta giudiziaria.

Il ruolo di Guardasigilli

Il Ministro della Giustizia detiene anche il titolo di “Guardasigilli“, un’antica denominazione che riflette la sua funzione di custode del sigillo dello Stato. In questo ruolo, il Ministro è responsabile di controfirmare le leggi e i decreti per garantirne la pubblicazione ufficiale sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana.

Organizzazione del Ministero: normativa di riferimento

L’organizzazione del Ministero della Giustizia è definita da specifici regolamenti, tra cui il Decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 2001, n. 55, e successivi aggiornamenti come il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 15 giugno 2015, n. 84, e il più recente Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 29 maggio 2024, n. 78.

Uffici e dipartimenti del Ministero della Giustizia

Il Ministero è presieduto dal Ministro e si articola in Uffici di diretta collaborazione del Ministro e in cinque Dipartimenti principali.

 Uffici di diretta collaborazione

Supportano il Ministro nelle sue funzioni di indirizzo politico e amministrativo e includono la Segreteria del Ministro, il Gabinetto del Ministro, l’Ufficio legislativo, l’Ispettorato generale, l’Ufficio per il coordinamento dell’attività internazionale, il servizio del controllo interno, il Portavoce del Ministro, l’Ufficio stampa ed informazione e l’Unità di Missione per il PNRR.

 Dipartimenti

Ciascuno è guidato da un dirigente generale, sono il cuore operativo del Ministero e sono responsabili della gestione amministrativa delle diverse aree di competenza:

  1. Dipartimento per gli affari di giustizia: si occupa della legislazione, della cooperazione internazionale e della gestione di atti e documenti ufficiali.
  2. Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi: gestisce le risorse umane (personale amministrativo degli uffici giudiziari), l’organizzazione degli uffici e i servizi di supporto alla giustizia.
  3. Dipartimento per l’innovazione tecnologica della giustizia: promuove e implementa soluzioni tecnologiche per migliorare l’efficienza dei servizi giudiziari.
  4. Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (DAP): sovrintende alla gestione degli istituti penitenziari, alla rieducazione dei detenuti e alla sicurezza carceraria, avvalendosi del Corpo di Polizia Penitenziaria.
  5. Dipartimento per la giustizia minorile e di comunità: si occupa della tutela e del recupero dei minori coinvolti in procedimenti giudiziari, sia come vittime che come autori di reati, e dei servizi di reinserimento sociale per adulti sottoposti a misure penali non detentive.

Funzioni principali del Ministero della Giustizia

Il Ministero della Giustizia ha una vasta gamma di responsabilità che vanno oltre la semplice organizzazione degli uffici. Si ricordano le più importanti.

  • Organizzazione degli uffici giudiziari: provvede alla creazione, alla manutenzione e al funzionamento di tribunali, corti e tutti i servizi annessi (cancellerie, segreterie, ecc.), garantendo le risorse necessarie per l’operato di magistrati e personale.
  • Amministrazione penitenziaria: gestisce le carceri statali, la popolazione carceraria e la Polizia Penitenziaria, che da esso dipende. Si occupa anche della manutenzione e della costruzione di nuove strutture penitenziarie.
  • Giustizia minorile: supervisiona le strutture e i servizi dedicati ai minori, che operano su base regionale attraverso i Servizi Minorili della Giustizia. Questi servizi affrontano sia problematiche sociali (adozioni, affidamenti) sia la gestione di minori autori di reati, con l’obiettivo del loro recupero e reinserimento.
  • Vigilanza professionale: vigila sull’attività di ordini e collegi professionali, come avvocati, notai, medici, commercialisti e ingegneri, garantendo il rispetto delle norme e dei codici deontologici.
  • Casellario giudiziale: amministra la banca dati contenente le informazioni relative alle condanne penali subite dai cittadini.
  • Domande di Grazia: istruisce le domande di grazia da proporre al Presidente della Repubblica.

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società di comodo

Società di comodo: disciplina e conseguenze fiscali Società di comodo: cos’è, come viene individuata, la normativa applicabile e le conseguenze fiscali previste dall’Agenzia delle Entrate

Società di comodo: cos’è

Per società di comodo si intende una società che, pur esistendo formalmente, non svolge un’attività economica reale o comunque non genera un volume di ricavi congruo rispetto agli asset patrimoniali di cui dispone. In sostanza, si tratta di entità che rimangono inattive o marginali per evitare la tassazione su redditi effettivi o per gestire beni personali sotto forma societaria.

Le società di comodo, conosciute anche come società non operative, rappresentano pertanto un fenomeno oggetto di particolare attenzione da parte del legislatore fiscale italiano. La normativa in materia è finalizzata a contrastare l’utilizzo strumentale di strutture societarie costituite non per esercitare un’attività economica effettiva, ma per ottenere vantaggi fiscali indebiti.

La disciplina normativa

La disciplina delle società di comodo è contenuta:

  • nell’art. 30 della Legge 724/1994, che stabilisce i criteri per l’individuazione delle società non operative;
  • e, per gli aspetti sanzionatori e impositivi, nel TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi).

La normativa è integrata dalle circolari dell’Agenzia delle Entrate, che forniscono chiarimenti operativi e interpretativi.

Requisiti per essere considerate società “di comodo”

Una società è considerata di comodo se non supera il test di operatività previsto dalla legge. In pratica, occorre confrontare i ricavi effettivi conseguiti con una soglia minima presunta, calcolata in base a determinati coefficienti applicati al valore di alcuni beni patrimoniali (immobili, partecipazioni, beni mobili, ecc.).

I ricavi minimi presunti si calcolano applicando i seguenti coefficienti:

Se i ricavi realizzati risultano inferiori a quelli presunti, la società è classificata come di comodo.

Esclusioni e disapplicazione

La legge prevede cause oggettive di esclusione (es. società in liquidazione, fallimento ecc.) e possibilità di disapplicazione previa istanza all’Agenzia delle Entrate, dimostrando l’impossibilità oggettiva di raggiungere i ricavi minimi.

La disapplicazione può essere:

  • automatica, per situazioni già previste dalla normativa;
  • su istanza, per casi particolari valutati dall’Amministrazione Finanziaria.

Finalità del legislatore

L’obiettivo della normativa è quello di:

  • contrastare l’evasione e l’elusione fiscale;
  • scoraggiare l’uso di società per gestire beni personali senza reale attività d’impresa;
  • incentivare una gestione trasparente e coerente delle strutture societarie.

Le società di comodo sono spesso utilizzate per detenere immobili, autovetture di lusso o partecipazioni, al solo scopo di beneficiare di un regime fiscale più favorevole, simulando una fittizia operatività.

Conseguenze fiscali per le società di comodo

Le società che rientrano nella categoria delle “non operative” subiscono un regime fiscale penalizzante, che include:

1. Imputazione di reddito minimo

Se i ricavi effettivi sono inferiori alla soglia prevista, la società è tassata su un reddito minimo presunto, a prescindere dall’utile contabile.

2. Limitazioni all’uso delle perdite fiscali

Le perdite pregresse non possono essere portate in compensazione del reddito minimo.

3.  Esclusione da possibili compensazioni e rimborsi IVA 

4. IRES maggiorata di 10,5 punti percentuali

5. Sanzioni e controlli

L’Agenzia delle Entrate può applicare sanzioni amministrative in caso di dichiarazioni infedeli e disconoscere il regime societario se ritiene che vi sia un abuso del diritto.

Considerazioni conclusive

Le società di comodo rappresentano una tipologia societaria cui il legislatore dedica attenzione crescente, soprattutto in un contesto economico segnato da crisi e ristrutturazioni aziendali. Il test di operatività costituisce lo strumento principale per intercettare situazioni di inattività o di utilizzo distorto della forma societaria. Tuttavia, non ogni inattività comporta l’automatica applicazione delle penalizzazioni: la possibilità di disapplicazione resta uno strumento di tutela per quelle imprese che, per ragioni oggettive, non raggiungono i ricavi minimi pur mantenendo una finalità economica reale.

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impianto antincendio

Condominio: obbligo impianto antincendio Impianto antincendio: in quali casi sono obbligatori i dispositivi antincendio in condominio, il CPI e il ruolo dell'Amministratore

Impianto antincendio in condominio

La presenza di un impianto antincendio all’interno di un condominio non è sempre obbligatoria, ma dipende da precise condizioni strutturali e operative. L’obiettivo principale della presenza di eventuali obblighi è di garantire la sicurezza di tutti gli abitanti, valutando i rischi presenti e adottando le soluzioni più adeguate. Le norme vigenti stabiliscono quando è necessario dotare l’edificio di estintori, idranti e altri sistemi di protezione, e chi deve farsi carico delle relative spese.

Estintori obbligatori

La legge impone l’obbligo di installare estintori solo in determinate situazioni, come previsto dal D.M. 246/1987 e dal Testo Unico sulla Sicurezza (Decreto legislativo n. 81/2008).

Tali dispositivi devono essere presenti, ad esempio, nei locali tecnici (come centrali termiche o spazi con materiali combustibili), nelle autorimesse chiuse o sotterranee, nei vani degli ascensori se indicato dalla valutazione del rischio, e nelle aree comuni con pericoli specifici (come depositi di carburanti o quadri elettrici generali).

Inoltre, se nel condominio lavorano dipendenti come portieri o addetti alle pulizie, l’edificio è assimilato a un luogo di lavoro e gli estintori vanno installati su ogni piano.

Gli estintori devono rispettare  però precisi standard tecnici (almeno classe 21A 89BC) e devono essere collocati lungo le vie di fuga o nei pressi di potenziali fonti di incendio.

Idranti obbligatori: in quali casi?

In alcune circostanze però, gli estintori non sono sufficienti a garantire un’adeguata protezione.

Per edifici che superano i 24 metri di altezza antincendio o per autorimesse con una superficie superiore ai 300 mq, è obbligatoria infatti anche l’installazione di impianti fissi antincendio con idranti a muro o naspi rispettosi degli standard UNI EN 671-1 e 671-2. Anche centrali termiche di grande potenza o autorimesse di grandi dimensioni (più di 300 mq) possono richiedere tali sistemi.

Impianto antincendio: l’amministratore

L’amministratore condominiale ha un ruolo chiave nella gestione della sicurezza dell’edificio condominiale. Egli deve promuovere la valutazione del rischio incendio, soprattutto in presenza di lavoratori, ma è consigliabile farlo anche in loro assenza per definire le misure preventive e proteggere i residenti.

Responsabilità condivisa

Garantire la sicurezza antincendio è un dovere continuo che richiede attenzione, investimenti e collaborazione tra amministratori e condomini, accompagnati da una corretta informazione e formazione sugli eventuali comportamenti da adottare in caso di emergenza.

Certificato di Prevenzione Incendi (CPI)

Il CPI, rilasciato dai Vigili del Fuoco, certifica la conformità dell’immobile alle normative antincendio. È obbligatorio per edifici oltre i 24 metri di altezza, autorimesse con superficie superiore ai 300 mq, centrali termiche e depositi di gas. L’amministratore deve presentare una SCIA antincendio e aggiornare il certificato ogni cinque anni.

Spese e manutenzione dispositivi e impianto antincendio 

I costi per i dispositivi antincendio nelle aree comuni devono essere suddivisi tra tutti i condomini in base ai millesimi. Se invece riguardano spazi privati, paga solo chi li utilizza. La manutenzione segue la normativa UNI 9994-1:2024 e prevede controlli periodici, revisioni e collaudi, con aggiornamento del cartellino di manutenzione su ogni dispositivo.

 

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patrocinio a spese dello stato

Patrocinio a spese dello Stato 2025: sale il limite di reddito Patrocinio a spese dello Stato: in Gazzetta Ufficiale il decreto del Ministero della Giustizia che fissa il nuovo limite di reddito

Nuovo limite di reddito per il patrocinio a spese dello Stato

Sale il limite di reddito per il patrocinio a spese dello Stato. Una novità importante per tutti coloro che potrebbero aver bisogno di assistenza legale, ma si trovano in difficoltà economiche.

Il Ministero della Giustizia ha infatti pubblicato il Decreto del 22 aprile 2025, che aggiorna i limiti di reddito per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Questo significa che un numero maggiore di cittadini avrà la possibilità di accedere gratuitamente all’assistenza di un avvocato e di beneficiare della copertura delle spese legali.

Il patrocinio a spese dello Stato

Si ricorda in breve che il patrocinio a spese dello Stato è un diritto fondamentale garantito dalla Costituzione. Esso assicura a chi non ha i mezzi economici sufficienti di essere difeso in giudizio. In pratica, lo Stato si fa carico delle spese legali, permettendo a tutti, indipendentemente dalla propria situazione finanziaria, di far valere i propri diritti in tribunale o di difendersi da accuse. Questo servizio è cruciale per garantire la parità di accesso alla giustizia, principio cardine del nostro sistema democratico.

Limite di reddito adeguato all’inflazione

L’aggiornamento dei limiti di reddito è un meccanismo automatico previsto dalla legge. L’articolo 77 del Testo Unico delle spese di giustizia (D.P.R. 115/2002) stabilisce infatti che questi limiti vengano adeguati ogni due anni.

Il calcolo si basa sulla variazione dell’indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati (FOI), accertata dall’Istituto Nazionale di Statistica (ISTAT) nel biennio precedente.

Questo adeguamento periodico è fondamentale per tenere conto dell’inflazione e del costo della vita. Se i limiti rimanessero invariati, con l’aumento dei prezzi, sempre meno persone riuscirebbero a rientrare nei requisiti.

Il nuovo limite di reddito 2025

Il precedente limite, fissato con decreto del 10 maggio 2023, era pari a 12.838,01 euro. Questo importo era stato calcolato tenendo conto della variazione dell’indice dei prezzi al consumo nel periodo dal 1° luglio 2020 al 30 giugno 2022.

Per il biennio successivo, ovvero dal 1° luglio 2022 al 30 giugno 2024, l’ISTAT ha rilevato un aumento dell’indice dei prezzi al consumo pari al 6,4%. In virtù di questo incremento, il Ministero della Giustizia, di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze, ha decretato il nuovo limite.

A partire dall’11 luglio 2025, data di pubblicazione del decreto sulla Gazzetta Ufficiale, il reddito massimo annuale per poter accedere al patrocinio a spese dello Stato è stato aggiornato a 13.659,64 euro.

 

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interessi di mora

Interessi di mora: tasso secondo semestre 2025 Interessi di mora: pubblicato in GU il comunicato del MEF che indica la percentuale del tasso del secondo semestre 2025

Interessi di mora: tasso 2° semestre 2025

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 14 luglio 2025 il tasso degli interessi di mora per i ritardi nei pagamenti delle transazioni commerciali. Il nuovo tasso di riferimento, valido dal 1° luglio al 31 dicembre 2025, è fissato al 2,15% (in luogo del 3,15% del 1° semestre).

Cosa sono gli interessi di mora?

L’interesse di mora è l’importo che il debitore deve versare al creditore in caso di ritardo nel pagamento di un’obbligazione pecuniaria derivante da una transazione commerciale. Questa misura ha lo scopo di compensare il creditore per il mancato incasso nei tempi previsti.

Aggiornamento semestrale del tasso

Il tasso di riferimento viene stabilito ogni sei mesi dal MEF, in base all’art. 5 del D.Lgs. n. 231/2002 (come modificato dalla lett. e) del comma 1 dell’art. 1 del D.Lgs. n. 192/2012).

Il nuovo valore del 2,15% segna una riduzione rispetto al 4,50% e al 4,25% applicati nei due semestri del 2024 e a quello del 3,15% applicato nel primo semestre 2025.

Regole per l’applicazione

Gli interessi di mora si applicano automaticamente nei contratti tra imprese o tra imprese e Pubblica Amministrazione, salvo diversa pattuizione tra le parti.

Se il ritardo si verifica nel secondo semestre del 2025, il tasso verrà aggiornato a partire dal 1° luglio dello stesso anno.

Obiettivo della normativa

La disciplina sugli interessi di mora mira a contrastare i ritardi nei pagamenti, garantendo maggiore tutela ai creditori. Questo meccanismo incentiva il rispetto delle scadenze e contribuisce a mantenere la liquidità nel sistema economico.

 

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Allegati

conferenza di servizi

La conferenza di servizi La conferenza di servizi: istituto di semplificazione dell’attività amministrativa, tipologie e modalità decisorie

Cos’è la conferenza di servizi

La conferenza di servizi è un istituto giuridico di diritto amministrativo finalizzato a semplificare l’attività della pubblica amministrazione.

Normativa di riferimento

La normativa di riferimento base della conferenza di servizi è la legge n. 241/1990, riformata nel corso degli anni da numerosi interventi legislativi, tra i quali occorre segnalare:

  • la legge n. 15/2015, che ha previsto l’opzione di svolgere le conferenze di servizi in modalità telematica;
  • la legge Madia n. 124/2015, attuata dall’articolo 1 del decreto legislativo n. 127/2016, che ne ha riformato la disciplina.

Conferenza di servizi: tipologie

L’art. 14 della legge n. 241/1990 contiene la disciplina di diverse conferenze di servizi:

  • la conferenza di servizi istruttoria;
  • la conferenza di servizi decisoria;
  • la conferenza preliminare.

Analizziamo in breve le diverse tipologie di conferenze di servizi

Conferenza di servizi istruttoria

La conferenza di servizi istruttoria può essere convocata dall’amministrazione che gestisce il procedimento, o su richiesta di un’altra amministrazione o di un privato, quando lo ritenga necessario. L’obiettivo principale è quello di esaminare contemporaneamente gli interessi pubblici che rientrano in uno o più procedimenti amministrativi collegati tra loro, che riguardano le stesse attività o risultati. La conferenza può seguire le procedure stabilite dall’articolo 14-bis (conferenza semplificata). L’amministrazione che la indice può però anche definire modalità diverse per il suo svolgimento.

La conferenza di servizi decisoria

La conferenza di servizi decisoria viene sempre indetta dall’amministrazione che gestisce il procedimento quando, per concluderlo positivamente, è necessario ottenere l’approvazione (come pareri, intese, nulla osta) da parte di diverse amministrazioni o gestori di servizi pubblici. Se un’attività privata richiede più autorizzazioni che devono essere rilasciate al termine di diversi procedimenti, gestiti da varie amministrazioni, la conferenza di servizi può essere convocata da una qualsiasi delle amministrazioni coinvolte, anche su richiesta dell’interessato.

La conferenza do servizi preliminare

Per progetti complessi o insediamenti produttivi, l’amministrazione può convocare una conferenza preliminare, su richiesta motivata dell’interessato e con uno studio di fattibilità. Questa conferenza serve a indicare al richiedente le condizioni per ottenere tutti gli atti di assenso necessari prima di presentare la domanda o il progetto definitivo. L’amministrazione, se accetta la richiesta, indice la conferenza entro cinque giorni lavorativi. Questa conferenza si svolge secondo l’articolo 14-bis (semplificata), ma con termini dimezzati. Le amministrazioni coinvolte si esprimono sulla base della documentazione fornita. Le determinazioni vengono trasmesse al richiedente entro cinque giorni dalla scadenza del termine.Dopo la preliminare, l’amministrazione indice la conferenza simultanea sul progetto definitivo. Le decisioni prese nella preliminare possono essere modificate o integrate solo in presenza di nuovi elementi significativi emersi successivamente. Per opere pubbliche, la conferenza preliminare si esprime sul progetto di fattibilità per definire le condizioni per gli assensi sul progetto definitivo.

Conferenze di servizi decisorie: modalità di svolgimento

Le conferenze di servizi decisorie si possono svolgere principalmente in due modalità.

Conferenza semplificata 

La conferenza decisoria si svolge generalmente in forma semplificata e asincrona (art. 14 bis legge n. 241/1990). L’amministrazione la indice entro cinque giorni dall’avvio del procedimento o dal ricevimento della domanda, comunicando alle altre amministrazioni l’oggetto, la documentazione e i termini. Le amministrazioni coinvolte hanno un termine perentorio, massimo 45 giorni (o 90 per enti di tutela ambientale, paesaggistica, culturale o sanitaria), per esprimere il proprio parere motivato, in termini di assenso o dissenso, indicando eventuali modifiche necessarie. La mancata risposta o una risposta incompleta equivale ad assenso incondizionato. Entro cinque giorni dalla scadenza dei termini, l’amministrazione procede con la determinazione finale. Se ha ricevuto solo assensi (anche impliciti) o se le condizioni possono essere accolte senza modifiche sostanziali, la conferenza si conclude positivamente. In caso di dissensi insuperabili, la conferenza si chiude negativamente, respingendo la domanda. In casi complessi o su richiesta, si può optare per una riunione sincrona.

Conferenza simultanea

La prima riunione della conferenza di servizi simultanea e sincrona (art. 14 ter legge 241/1990) si tiene nella data prestabilita, anche in teleconferenza, con i rappresentanti delle amministrazioni competenti. I lavori si concludono entro 45 giorni (90 per questioni ambientali, paesaggistiche, culturali o sanitarie), rispettando il termine finale del procedimento. Ogni ente o amministrazione è rappresentato da un unico soggetto con potere decisionale vincolante. Per le amministrazioni statali, un singolo rappresentante, nominato dal Presidente del Consiglio o dal Prefetto, esprime la posizione di tutte le amministrazioni statali, potendo essere supportato da personale delle singole amministrazioni. Le Regioni e gli enti locali definiscono in modo del tutto autonomo le modalità per indicare il rappresentante unico. Gli interessati possono essere invitati alle riunioni. Al termine dell’ultima riunione, entro i termini stabiliti, l’amministrazione procedente adotta la determinazione finale basandosi sulle posizioni prevalenti. L’assenso è considerato acquisito anche se un rappresentante non partecipa, non esprime una posizione o esprime un dissenso immotivato o non pertinente. Quando un progetto richiede la Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) regionale, tutte le autorizzazioni e gli assensi necessari per realizzarlo ed esercitarlo vengono ottenuti tramite un’apposita conferenza di servizi sincrona, come stabilito dall’articolo 27-bis del D.Lgs. 152/2006.

 

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visura catastale

Visura catastale: cos’è e come chiederla online Cos'è la visura catastale, che informazioni contiene, quanto costa, tipologie e formati, come richiederla, servizi online

Visura catastale: cos’è

La visura catastale è un documento che permette di consultare diverse informazioni relative ai beni immobiliari e ai loro intestatari. La visura catastale è una sorta di “documento d’identità” di ogni bene immobile che fornisce informazioni importanti a fini legali e informativi.

Contenuto della visura catastale

La visura catastale, come anticipato, fornisce informazioni molto importanti:

  • dati identificativi e reddituali dei beni immobili (terreni e fabbricati) e relativi elenchi;
  • dati anagrafici delle persone (fisiche o giuridiche) che risultano intestatarie di tali beni;
  • dati grafici, che comprendono le mappe catastali per i terreni e le planimetrie per le unità immobiliari urbane, fornendo una rappresentazione visiva della proprietà;
  • elaborato planimetrico (con l’elenco dei subalterni e la rappresentazione grafica) e i dati (protocollo e data) degli atti di aggiornamento catastale e delle relative note.

Quanto costa una visura catastale?

Le informazioni relative agli immobili che sono contenute nella visura catastale sono pubbliche e   tutti vi possono accedere. Prima però è necessario pagare le tasse per i servizi ipotecari e catastali. Gratuita invece la consultazione delle planimetrie, servizio riservato agli aventi diritto sull’immobile o ai loro delegati. Tuttavia, i titolari, anche parziali, del diritto di proprietà o di altri diritti reali di godimento possono richiedere la consultazione gratuita e l’esenzione dai tributi per gli immobili di cui risultano intestatari in catasto. Questo tipo di agevolazione comprende visure, planimetrie e ispezioni ipotecarie dei propri immobili. Anche le visure catastali online di immobili non di proprietà possono essere rilasciate senza dover sostenere il costo dei tributi.

Visura catastale: tipologie e formati

Esistono due tipi principali di visure:

  • attuali: che riflettono la situazione attuale dell’immobile;
  • storiche: mostrano l’evoluzione nel tempo dell’immobile dal punto di vista oggettivo (modifiche variazioni)  e soggettivo (cambi di intestazione, diritti reali in favore di terzi); .

Entrambe le tipologie sono disponibili  per soggetto (intestatario) e per immobile.

I documenti sono rilasciati in due formati:

  • analitico, con un nuovo layout grafico;
  • sintetico, in formato tabellare.

Come chiedere una visura catastale

La consultazione dei dati catastali informatizzati, può essere richiesta presso:

  • qualsiasi Ufficio Provinciale – Territorio;
  • presso uno sportello catastale decentrato;
  • in modalità telematica tramite i servizi online dell’Agenzia delle Entrate. Se i dati sono informatizzati, la visura viene rilasciata in formato cartaceo allo sportello o come file PDF se richiesta online.

Per i dati disponibili su supporto cartaceo, ci si deve recare presso l’Ufficio provinciale – Territorio competente, presso il quale è possibile consultare anche gli atti storici cartacei.

La legge n. 241/90 prevede l’’accesso ai documenti catastali che non sono soggetti a consultazione diretta.

Ricerca dei dati

La ricerca dei dati può essere effettuata secondo diverse modalità:

  • per immobile: utilizzando l’identificativo catastale (particella per i terreni o unità immobiliare urbana per i fabbricati) o l’indirizzo dell’unità immobiliare urbana (limitatamente al Catasto Fabbricati);
  • per soggetto: inserendo i dati anagrafici del soggetto interessato (cognome, nome, sesso, codice fiscale per le persone fisiche; denominazione e sede legale per le persone giuridiche). Questa ricerca è possibile sia per il Catasto dei Terreni che per quello dei Fabbricati;
  • per partita: (modalità ormai in disuso) identifica un insieme di immobili detenuti dagli stessi soggetti in un dato periodo.

Servizi online 

L’Agenzia delle Entrate offre servizi di consultazione online che consentono ai titolari di diritti reali sugli immobili di accedere gratuitamente e in esenzione da tributi a visure attuali e storiche, visure mappa, planimetrie e ispezioni ipotecarie dei propri beni.

Consulta la Guida al servizio – Visure, planimetrie e ispezioni ipotecarie dei propri immobili

C’è poi il servizio di Visure catastali di immobili non di proprietà, che permette l’accesso telematico gratuito ai dati catastali anche se il richiedente non è il titolare, consentendo visure attuali per soggetto, visure attuali o storiche per immobile tramite identificativi catastali e visure della mappa.

Consultare la Guida al servizio – Visure catastali di immobili non di proprietà

L’accesso a questi servizi avviene tramite credenziali SPID, CIE o CNS all’interno dell’area riservata dei servizi telematici del sito dell’Agenzia delle Entrate.

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