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Cane chiuso in casa senz’acqua: è reato Lasciare soli per ore tre cani in una casa sporca e senza dar loro dell’acqua sono indizi del reato di abbandono che legittimano il sequestro degli animali

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Lasciare il cane chiuso in casa senz’acqua è abbandono di animali

Lasciare tre cani soli e chiusi in casa per ore, nella sporcizia e senz’acqua è una condotta che giustifica il sequestro degli animali perché rappresentano indizi coerenti e logici del reato di abbandono di animali. Il reato contemplato dall’art. 727 comma 2 del codice penale precisa infatti che non serve lo stato di malattia dell’animale affinché si configuri lo stato di abbandono, è sufficiente che l’animale patisca una sofferenza ingiusta. Queste le ragioni per le quali la Cassazione con la sentenza n. 30369-2024 ha rigettato il ricorso della padrona dei cani contro l’ordinanza di sequestro degli animali.

Il sequestro preventivo

Un’ordinanza conferma il sequestro preventivo di tre cani disposto con decreto dal giudice per indagini preliminari. La padrona è indagata per il reato di abbandono di animali contemplato dall’art. 727 comma 2 c.p. Gli animali sono stati rinvenuti in condizioni incompatibili con le esigenze minime, in stato di abbandono, scarsa igiene e incuria nella somministrazione dell’acqua e nella cura delle malattie.

Il ricorso

La padrona, nel ricorrere avverso l’ordinanza, fa presente che dalla relazione del medico veterinario intervenuto al momento del sequestro emerge che lo stato di salute degli animali non faceva desumere l’incuria e l’abbandono di cui la stessa è stata accusata.

Gli animali non avevano zecche, presentavano una buona massa muscolare e le unghie erano in buone condizioni. La contestazione è del tutto generica e non emergono elementi oggettivi di sofferenza patita dagli animali. Insussistente quindi il fumus commissi delicti perché i fatti a lei contestati non sono stati provati adeguatamente e sono il frutto di annotazioni relative più allo stato dei luoghi che al benessere degli animali. La ricorrente lamenta inoltre la mancata valutazione della relazione del veterinario, che ha rilevato solo la presenza di malattie pregresse, normali in cani anziani. La trasmissione tempestiva di questa relazione avrebbe permesso di smentire i reati ipotizzati e contrastare gli elementi indiziari del fumus.

Il reato di abbandono di animali

Per la Cassazione le argomentazioni che hanno condotto alla decisione invece risultano puntuali, coerenti e logiche. Il giudice ha ritenuto sussistente il fumus commissi delicti del reato di abbandono di animali contemplato dall’art. 727 c.p. perché i  militari intervenuti sul posto hanno rilevato uno stato di abbandono dei tre cani di proprietà dell’indagata perché detenuti in condizioni igieniche incompatibili con i bisogni minimi che devono essere assicurati agli animali domestici. Dalle testimonianze è emerso che l’ambiente in cui i cani venivano detenuti era in pessime condizioni igieniche, le deiezioni erano diffuse, non era stato rimosso il cibo sparso per terra e non c’era acqua per gli animali, che venivano lasciati soli in casa per molte ore o in uno spazio esterno stretto e pieno di rifiuti.

Reato di abbandono: è sufficiente l’ingiusto patimento

La Cassazione ricorda che affinché si configuri il reato di abbandono di animali la detenzione degli stessi in condizioni capaci di recare loro gravi sofferenze non è solo quella che provoca una malattia, ma anche quella che produce un patire ingiusto. Non è necessaria la malnutrizione e il pessimo stato di salute, sono sufficienti quelle condotte che incidono sulla sensibilità psicofisica dell’animale provocando sofferenza e afflizione. In queste condotte rientrano i comportamenti colposi di abbandono ed incuria. Il Gip ha disposto il sequestro nel timore di una reiterazione del reato poiché, nonostante ripetute segnalazioni e diversi accessi all’abitazione, l’indagata non ha messo in atto nessun comportamento finalizzato a migliorare le condizioni di detenzione degli animali. La stessa ha infatti mantenuto inalterate nel tempo le condizioni di incuria e di degrado della propria abitazione in cui deteneva i cani chiusi per diverse ore.

La decisione relativa al sequestro si è fondata sull’annotazione della polizia giudiziaria e sulla relazione dell’ENPA, successiva al sopralluogo. La relazione del medico veterinario incaricato dall’indagata non è stata acquisita perché non presente nel fascicolo al momento della pronuncia oggetto di impugnazione. La stessa è stata infatti acquisita in data successiva.

 

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