avvocati stabiliti

Avvocati stabiliti: il CNF chiarisce il riconoscimento del titolo Il Consiglio Nazionale Forense coglie l'occasione per dettare chiarimenti sul riconoscimento del titolo ai fini dell'iscrizione nell'elenco degli avvocati stabiliti

Avvocati stabiliti

Il Consiglio Nazionale Forense (CNF), con la sentenza n. 350/2024 pubblicata il 10 marzo 2025 sul sito del Codice deontologico, ha chiarito che il titolo di avvocato ottenuto in Romania può essere riconosciuto in Italia, ai fini dell’iscrizione nell’elenco speciale degli avvocati stabiliti, solo se rilasciato dalla Uniunea Nationala a Barourilor din Romania (U.N.B.R.), ovvero l’Ordine tradizionale di Bucarest.

Il principio espresso dal CNF

Nella sentenza, il CNF ha chiarito che il riconoscimento del titolo professionale ai fini dell’esercizio della professione forense in Italia deve avvenire nel rispetto del meccanismo di cooperazione tra i Paesi membri dell’Unione Europea. In questo contesto, è considerata valida esclusivamente l’abilitazione rilasciata dalla U.N.B.R. Ordine tradizionale, designata come autorità competente dalla normativa rumena.

Di conseguenza, il CNF ha respinto l’istanza di sospensione dell’esecutività del provvedimento di cancellazione dall’elenco speciale degli avvocati stabiliti, in quanto il titolo in questione era stato rilasciato dalla U.N.B.R. – Struttura BOTA, organismo non riconosciuto come legittima autorità abilitante per l’accesso alla professione forense in Italia.

Implicazioni della decisione

La pronuncia conferma l’orientamento rigoroso del CNF in materia di riconoscimento dei titoli professionali ottenuti all’estero, ribadendo la necessità di un controllo stringente sulle certificazioni rilasciate dagli enti preposti nei diversi Stati membri dell’UE.

Per gli avvocati stabiliti che desiderano esercitare in Italia con un titolo conseguito in Romania, la decisione del CNF rappresenta un punto fermo: solo i titoli emessi dalla U.N.B.R. tradizionale consentono l’iscrizione all’albo speciale.

sospensione cautelare avvocato

Sospensione cautelare avvocato: ha natura non sanzionatoria Sospensione cautelare avvocato: il CNF fornisce importanti precisazioni sulla natura e sull’applicazione della misura

Sospensione cautelare avvocato

La sospensione cautelare avvocato prevista e disciplinata dall’articolo 60 della legge n. 24772012 non ha natura sanzionatoria. Lo ha ribadito il CNF nella sentenza n. 336/2024, che ha chiarito anche altri aspetti della misura.

La vicenda

Un avvocato viene condannato alla pena della reclusione all’esito di un procedimento penale che lo ha visto imputato per diverse gravi fattispecie in concorso con altri soggetti. L’avvocato viene quindi sottoposto anche a procedimento disciplinare presso il consiglio distrettuale di disciplina, che si conclude con l’irrogazione della sospensione cautelare dall’esercizio della professione per otto mesi.

Sospensione cautelare avvocato eccessiva e dannosa

L’avvocato contesta di fronte al CNF diversi aspetti e presupposti che hanno condotto il CDD ad adottare il provvedimento di sospensione cautelare. Per questo ne chiede l’annullamento in via principale e, in via subordinata, la sua riduzione.

Negata la natura sanzionatoria

Per il CNF però le contestazioni sollevate da ricorrente in relazione alla sospensione cautelare avvocato risultano prive di fondamento, per diverse ragioni.

Sospensione cautelare: diversa la nuova legge

Prima di tutto il CNF ci tiene a ricordare che le SU nella sentenza n. 18984/2017 hanno chiarito che la sospensione cautelare prevista dall’articolo 60 della legge 247/2012 si distingue nettamente da quella disciplinata dall’articolo 43 del R.D.L. 1578/1933. La vecchia normativa prevedeva una misura atipica, applicabile in diverse situazioni che compromettevano l’immagine dell’avvocatura.

La nuova legge, invece, elenca specificamente i casi in cui la sospensione è legittima, eliminando il potere discrezionale. Inoltre, mentre la precedente sospensione era a tempo indeterminato, l’articolo 60 stabilisce un limite massimo di un anno e prevede l’annullamento della sospensione se, entro sei mesi, non viene emesso un provvedimento sanzionatorio. In sostanza, la nuova normativa ha introdotto maggiore certezza e limiti temporali alla sospensione cautelare.

Misura cautelare con finalità preventiva

La misura cautelare di sospensione poi ha lo scopo di prevenire la ripetizione di illeciti legati all’esercizio della professione forense e di proteggere chi potrebbe interagire con un avvocato che ha abusato del suo ruolo per scopi estranei alla difesa. La tutela della fiducia pubblica e dei clienti, insieme alla correttezza dei comportamenti, sono obiettivi fondamentali dell’ordinamento forense, pertanto la sospensione cautelare si affianca alle misure cautelari penali per garantire questi valori.

Procedimento disciplinare non necessario

La difesa del ricorrente ha anche contestato l‘eccessiva durata di otto mesi della sospensione cautelare, data la pendenza del processo penale e il rischio di un danno irreparabile in caso di assoluzione, e lamenta la mancanza di motivazione sulla durata della sospensione.

Tali contestazioni però devono ritenersi infondate, poiché la sospensione cautelare ha una natura e finalità diverse dalla sanzione disciplinare, e la sua legittimità non dipende dall’esito del procedimento penale. Inoltre, l’assenza di motivazione sulla durata della sospensione non invalida la decisione, secondo l’orientamento del Consiglio Nazionale Forense, che richiede solo l’adeguatezza della misura rispetto all’offesa al decoro professionale. Il CNF ha comunque il potere di integrare la motivazione sulla quantificazione della sanzione.

Come precisato inoltre in una precedente sentenza del 2017 la sospensione cautelare, non essendo una sanzione, non richiede l’apertura formale di un procedimento disciplinare, ma decade se non viene comminata una sanzione entro sei mesi. Tuttavia, per essere legittima, l’organo disciplinare deve poter ragionevolmente ipotizzare che il reato contestato o accertato penalmente possa avere rilevanza deontologica, anche considerando l’eventuale prescrizione dell’azione disciplinare. In sostanza, la sospensione cautelare è legata alla potenziale sussistenza di un illecito disciplinare.

Sentenza definitiva non necessaria

Infondata infine anche la doglianza che ritiene necessaria la condanna definitiva in sede penale.

Per applicare la sospensione cautelare all’avvocato. Le SU della Cassazione n. 26148/2017 hanno precisato infatti che l’articolo 60, comma 1, della legge n. 247 del 2012, permette la sospensione cautelare di un avvocato senza attendere una sentenza penale definitiva, quando si verificano situazioni di particolare gravità che danneggiano l’immagine della professione. Questa misura urgente protegge il decoro della classe forense, intervenendo tempestivamente in casi di clamore pubblico, come l’applicazione di misure cautelari penali o condanne in primo grado per reati specifici. In sostanza, la legge privilegia la tutela immediata della reputazione della professione, piuttosto che attendere l’esito finale di un processo.

 

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omessa fatturazione compensi

Omessa fatturazione compensi: per l’avvocato illecito permanente Il CNF ribadisce che l’omessa fatturazione di compensi percepiti dall’avvocato costituisce illecito deontologico permanente

Omessa fatturazione di compensi

Il Consiglio Nazionale Forense (CNF), con la sentenza n. 343/2024, pubblicata il 4 marzo 2025 sul sito del Codice Deontologico, ha ribadito un principio in materia di obblighi professionali degli avvocati: l’omessa fatturazione dei compensi percepiti costituisce un illecito deontologico permanente.

La vicenda

Nella vicenda, un avvocato veniva sanzionato dal CDD di Bologna con la sospensione dall’esercizio della professione per 6 mesi per una serie di violazioni disciplinari, tra cui l’aver incassato e trattenuto la somma di 800 euro ricevuta dai clienti per presentare istanza di conversione del pignoramento immobiliare a carico degli stessi.

Il Consiglio di disciplina, ritenendo accertato l’inadempimento del mandato professionale e utilizzo della somma ricevuta in deposito fiduciario, in difformità dall’incarico ricevuto e dall’accordo con i mandanti, sanzionava l’incolpato.

Quest’ultimo, inoltrava tempestiva impugnazione al CNF chiedendo tra l’altro di dichiarare la nullità della decisione per violazione del diritto di difesa (mancata audizione) ovvero abnormità (per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato), dichiarare la prescrizione dell’azione disciplinare, ovvero il suo proscioglimento nel merito.

Il principio sancito dal CNF

In punto di prescrizione dell’azione disciplinare, il CNF dà torto al ricorrente, giacché contrariamente da quanto asserito dallo stesso, la violazione dei doveri deontologici contestati deve essere considerata di carattere permanente secondo i principi espressi in materia dal Consiglio e dalla Suprema corte di Cassazione (cfr., tra le altre, SS.UU., sentenza n. 22463 del 26 luglio 2023).

“L’avvocato ha l’obbligo, sanzionato dagli artt. 16 e 29 codice deontologico (già art. 15 cod. prev.), di emettere fattura tempestivamente e contestualmente alla riscossione dei compensi – ricorda infatti il CNF – restando irrilevante l’eventuale ritardo nell’adempimento in parola, non preso in considerazione dal codice deontologico. In particolare, la violazione di tale obbligo costituisce illecito permanente, sicché la decorrenza del termine prescrizionale ha inizio dalla data della cessazione della condotta omissiva”.

La decisione

Tuttavia, il ricorrente ha ragione sul punto della violazione del diritto di difesa, in quanto non era stato sentito nonostante l’espressa richiesta formulata in tal senso.

Tale censura, per il CNF, merita accoglimento poiché la decisione del CDD è stata assunta “all’esito di un procedimento non regolarmente svoltosi, secondo le fondamentali regole predisposte dalla legge, e senza che all’incolpato sia stato assicurato il pieno esercizio del diritto di difesa”.

Il Consiglio Nazionale Forense accoglie, dunque, il ricorso, dichiarando la nullità del provvedimento impugnato con restituzione degli atti al CDD di Bologna.

strepitus fori

Strepitus fori: pregiudizio a decoro e immagine dell’avvocatura Strepitus fori: condotta penalmente rilevante del singolo avvocato che danneggia il decoro e l’immagine dell’intera avvocatura

Strepitus fori e sospensione cautelare

Lo strepitus fori è il danno all’immagine e al decoro dell’avvocatura che deriva dall’allarme che la vicenda processuale penale del singolo avvocato crea nell’ambiente professionale e nella collettività. Esso è presupposto per l’applicazione della misura cautelare della sospensione prevista e disciplinata dall’art. 60 della legge 247/2012, che contiene la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense. Questo quanto emerge dalla decisione del CNF n. 336/2024 pubblicata il 25 febbraio 2025 sul sito del Codice deontologico.

Condanna penale sui giornali e strepitus fori

Un avvocato viene condannato a sette anni di reclusione perchè ritenuto responsabile della commissione di diversi illeciti penali relativi al reato di bancarotta in concorso con altri soggetti, ai danni di diverse società.

Il giorno successivo, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Firenze trasmette al Consiglio Distrettuale di disciplina forense territorialmente competente copia di due articoli di giornale in cui si evidenziano i fatti e la notizia della condanna. Durante il procedimento disciplinare il difensore dell’avvocato evidenzia come la condanna penale non possa avere ripercussioni negative sull’intera categoria. L’avvocato infatti non è conosciuto a livello nazionale e la notizia non ha avuto rilevanza aldilà dei confini locali.

Il CDD di Firenze ritiene però che lo  strepitoso fori nel caso di specie sia conclamato. La vicenda fin dal suo esordio ha catturato l’attenzione di diverse testate giornalistiche cittadine e l’interesse per la vicenda è riesploso dopo la notizia della condanna. Lo strepitus fori è quindi evidente. Il fatto che nella vicenda penale fosse coinvolto un avvocato ha senz’altro prodotto un vulnus significativo all’immagine e alla considerazione che l’opinione pubblica ha della categoria professionale.

Strepitus fori: definizione e rilevanza

Il provvedimento viene impugnato dall’avvocato di fronte al CNF, chiedendo l’annullamento o la riduzione della sospensione cautelare disposta dal Consiglio Distrettuale di Disciplina.

Nel rigettare il ricorso il CNF ricorda però alcune importanti precisazioni relative allo strepitus fori e alla sanzione della sospensione, contenute nella sentenza n. 33/2021.

In questa decisione il CNF ha puntualizzato in particolare come lo strepitus fori non si possa dimostrare solo con documenti o articoli di giornale. Non basta neppure un provvedimento giudiziario per presumere la sua esistenza. Esso va valutato sia nel contesto professionale, dove gli esperti comprendono la gravità dell’evento, sia nell’opinione pubblica, che si forma sulla diffusione delle notizie, influenzata dalla portata dell’indagine e dall’importanza dei coinvolti. Lo strepitus fori rappresenta nello specifico il danno allimmagine dellOrdine forense causato dalla risonanza di un caso penale.

Esso costituisce un criterio per ladozione di misure cautelari, che possono essere revocate o modificate se non più adeguate (art. 60, comma 5, L. 247/2012). Sebbene non esplicitamente previsto dalla legge, esso è coerente con la tutela della credibilità della professione forense e limita la discrezionalità del Consiglio Distrettuale di Disciplina (CDD).

Il CDD può considerare anche elementi diversi dal clamore mediatico per valutare il danno alla reputazione dell’avvocato e della categoria.

Se poi l’illecito è strettamente legato alla professione, come l’abuso del titolo di avvocato, la sospensione cautelare può prevenire la reiterazione di comportamenti scorretti. Questo protegge chi interagisce con un avvocato che abbia usato il proprio ruolo per scopi estranei alla difesa legale. La tutela dell’affidamento della collettività e della correttezza professionale è un principio fondamentale dell’ordinamento forense (art. 1, comma 2, lett. c, L. 247/2012). La sospensione cautelare affianca la misura penale e contribuisce a garantire questi valori.

Il clamore della notizia

Nel caso esaminato, gli addebiti erano connessi all’attività difensiva e avevano avuto ampia risonanza. Il CDD ha quindi motivato adeguatamente la decisione basandosi sulla diffusione delle notizie e sul clamore della notizia nell’ambiente professionale e nell’opinione pubblica. Il Consiglio Nazionale Forense (CNF) del resto può controllare solo la legittimità formale della sospensione decisa dal CDD, senza entrare nel merito della sua opportunità o delle circostanze di fatto (CNF, sentenza n. 29/2018). Già nella sentenza n. 33/2021, il CNF aveva confermato la correttezza della motivazione del CDD, che aveva rilevato l’attualità e la concretezza del clamore suscitato dalla vicenda. Stesse conclusioni a cui è giunto quindi nel caso di specie.

 

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sospeso l'avvocato

Sospeso l’avvocato che chiama “parassiti” le controparti Il Consiglio Nazionale Forense chiarisce che l'uso di espressioni esorbitanti e gratuitamente offensive non è aderente ai doveri di probità, dignità e decoro ai quali l'avvocato deve conformarsi

Espressioni offensive dell’avvocato

Sospeso l’avvocato che dà del “manipolo di cialtroni” e “parassiti sociali” alle controparti. Il Consiglio Nazionale Forense (CNF), con la sentenza n. 323/2024, pubblicata il 2 febbraio 2025, ha ritenuto, infatti, configurata la violazione di cui all’art. 52 Cdf, poichè “il diritto di sostenere le proprie ragioni non giustifica l’uso di espressioni esorbitanti e gratuitamente offensive, ispirate da un ardore espositivo che non può essere aderente ai doveri di probità, dignità e decoro ai quali l’avvocato deve comunque conformarsi”.

Sospeso l’avvocato: la vicenda

Nel caso di specie, l’avvocato era stato sanzionato dal Cdd del Veneto, a seguito di procedimento disciplinare, per una serie di violazioni deontologiche, con la sospensione dalla professione forense per 9 mesi.

In sede disciplinare, peraltro, l’avvocato aveva precisato che “Nessuna parola utilizzata – era – stata scelta in maniera casuale”. Inoltre, che “ogni espressione – era – stata soppesata ed impiegata nella consapevolezza del suo significato”.

La decisione del Consiglio Nazionale Forense

La decisione ribadisce l’importanza per gli avvocati di mantenere un comportamento rispettoso e conforme ai principi deontologici, anche in situazioni di conflitto. L’uso di un linguaggio offensivo non solo lede la dignità delle persone coinvolte, ma compromette anche l’integrità e il decoro della professione forense.

Tra l’altro, le giustificazioni addotte dall’incolpato, che ha fermamente rivendicato la “piena e lucida consapevolezza del significato delle espressioni usate”, non sono state valutate dal Cnf, neanche come “sincera resipiscenza, quanto piuttosto come un mero e strumentale espediente difensivo, inidoneo in quanto tale a supportare la richiesta di proscioglimento”.

Per cui, per il Consiglio, la valutazione operata dal Cdd merita piena condivisione e il ricorso è rigettato.

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avvocato cassazionista

Illecito spacciarsi per avvocato cassazionista senza iscrizione all’albo speciale Il Consiglio Nazionale Forense rammenta che è illecito fregiarsi del titolo di avvocato cassazionista senza essere iscritto nell'albo speciale

Avvocato cassazionista, albo speciale

Illecito fregiarsi del titolo di avvocato cassazionista senza essere iscritto nell’albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori. E’ quanto afferma il Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 312/2024, pubblicata il 23 gennaio 2025 sul sito del Codice deontologico, rigettando il ricorso di un legale avverso la sanzione di 6 mesi di sospensione dall’esercizio della professione forense irrogata dal CDD di Palermo.

“La condotta dell’avvocato che utilizzi, nella carta intestata del proprio studio, il titolo di avvocato cassazionista pur non avendo mai effettivamente conseguito detto titolo, integra gli estremi della violazione prevista e sanzionata dall’art. 36 cdf” afferma quindi il CNF.

A nulla rileva, peraltro, “che lo stesso presenti tutti i requisiti formali e sostanziali per aver diritto al detto titolo e manchi soltanto la formale iscrizione”.

Riduzione della sanzione

Esclusa, altresì, la riduzione della sanzione disciplinare per l’incolpato che non mostra alcuna consapevolezza del proprio errore. “L’ammissione della propria responsabilità da parte dell’incolpato può essere valorizzata nell’ambito del complessivo giudizio relativo alla sua personalità ai fini della determinazione della giusta sanzione in senso più mite; attenuazione che invece deve escludersi ove, per converso, l’incolpato non mostri alcuna resipiscenza” aggiunge infatti il CNF, rigettando anche tale doglianza.

interruzione trattative stragiudiziali

Interruzione trattative stragiudiziali: l’avvocato deve comunicarla Interruzione trattative stragiudiziali: viola l’articolo 46 comma 7 l’avvocato che non la comunica al collega di controparte

Avvocato non comunica l’interruzione delle trattative

E’ responsabile sotto il profilo disciplinare l’avvocato che non comunica al collega della controparte l’interruzione delle trattative stragiudiziali. Dalla sentenza del CNF n. 291/2024 risulta infatti che l’avvocato non ha informato il collega avverso del deposito di un ricorso per la regolamentazione del diritto di visita e la determinazione dell’assegno di mantenimento per un minore.

Interruzione trattative stragiudiziali non comunicata

Il procedimento disciplinare trae origine dall’esposto di un Avvocato. L’esponente ha lamentato di non essere stato informato dal collega difensore della parte avversa del deposito di un ricorso giudiziale, in pendenza di trattative stragiudiziali. Nel novembre 2017 si è tenuto un incontro tra le parti e i loro legali presso lo studio del collega incolpato, nel corso del quale quest’ultimo ha omesso di comunicare il deposito del ricorso. A distanza di due settimane circa l’avvocato ha inviato una comunicazione alla controparte senza menzionare ancora una volta il deposito del ricorso. Solamente a inizio dicembre 2017 ha informato il collega della volontà del proprio assistito di procedere con la notifica del ricorso.

L’Avvocato denunciato ha ammesso di aver depositato il ricorso il 3 novembre 2017. Lo stesso sostiene però di averlo comunicato alla controparte durante il primo incontro di novembre. Nelle sue difese ha evidenziato anche che con una comunicazione di fine ottobre 2017 aveva avvisato che, in assenza di un incontro entro la settimana successiva, avrebbe proceduto con il deposito del ricorso.

Avvocato responsabile della violazione dell’art. 46 CDF

Il CDD competente per territorio ha ritenuto l’Avvocato denunciato responsabile della violazione dell’art. 46, comma 7, del Codice Deontologico Forense. Lo stesso però ha considerato la condotta di ridotta gravità e ha applicato la sanzione dell’avvertimento. Il CDD ha motivato la propria decisione evidenziando che lo scambio di email tra i legali dimostrava l’esistenza di trattative stragiudiziali. Pertanto, il deposito del ricorso senza preventiva comunicazione rappresentava una violazione disciplinare.

L’Avvocato incolpato ha quindi impugnato la decisione dinanzi al Consiglio Nazionale Forense (CNF), sostenendo che il CDD avrebbe erroneamente interpretato gli elementi probatori, non considerando la documentazione prodotta. La decisione sarebbe stata presa in modo acritico, senza valutare adeguatamente le circostanze del caso. La condotta contestata infine sarebbe stata meritevole solo di un richiamo verbale in presenza di una violazione.

Obbligo di comunicazione al collega

Per il CNF però i motivi di impugnazione sono infondati per cui ha confermato la decisione del CDD. Il Consiglio Nazionale Forense ha sottolineato che l’obbligo deontologico di comunicare l’interruzione delle trattative è finalizzato a garantire trasparenza e correttezza nei rapporti tra colleghi. L’Avvocato, partecipando all’incontro dei primi di novembre, ha implicitamente riconosciuto l’esistenza di trattative in corso, pertanto avrebbe dovuto informare la collega del deposito del ricorso. Il CNF ha evidenziato inoltre che la normativa deontologica in materia di diritto di famiglia impone un’attenzione particolare agli interessi del minore. L’Avvocato ha infatti il dovere di ridurre il conflitto tra le parti e favorire una soluzione condivisa. Importantissima la trasparenza nei rapporti tra colleghi nelle cause di diritto di famiglia.

 

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Allegati

Codice contratti pubblici: non si applica agli ordini degli avvocati Codice dei contratti pubblici: il COA di Milano delibera l'inapplicabilità agli ordini degli avvocati e invita il legislatore a chiarire

Codice contratti pubblici e Ordini Forensi

Il tema dell’applicazione del Codice dei contratti pubblici agli Ordini professionali è oggetto di un dibattito acceso e ancora irrisolto. L’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) e il TAR del Lazio, con la sentenza n. 7455 del 16 aprile 2024, hanno espresso la posizione secondo cui tale Codice dovrebbe essere applicabile anche agli Ordini professionali. Tuttavia, l’Ordine degli Avvocati di Milano, in linea con il Consiglio Nazionale Forense (CNF), ha assunto una posizione opposta.

Con una delibera adottata il 16 gennaio 2025, l’Ordine milanese ha affermato che gli Ordini non rientrano nell’ambito di applicazione del Codice dei contratti pubblici.

Codice dei contratti pubblici: ragioni dell’inapplicabilità

Le ragioni di questa posizione sono molteplici e radicate nella natura degli Ordini professionali. Questi, ai sensi dell’articolo 24 dell’Ordinamento Forense sono enti pubblici non economici di carattere associativo dotati di autonomia patrimoniale e finanziaria e non dipendono quindi dalla finanza pubblica. La loro struttura e funzione li distinguono dagli enti pubblici economici e dalle amministrazioni pubbliche in senso stretto. Il Codice dei contratti pubblici, pensato per garantire trasparenza e concorrenza negli appalti pubblici, non risulta coerente con il ruolo e le attività svolte dagli Ordini professionali, come gli Ordini degli Avvocati.

 

Un altro punto critico è rappresentato dagli oneri burocratici che deriverebbero dall’applicazione del Codice. Gli Ordini sarebbero costretti a gestire processi complessi e onerosi, senza che ciò comporti un reale beneficio. L’obbligo di rispettare procedure rigide rischierebbe di compromettere l’efficienza operativa degli Ordini, che già agiscono in un ambito fortemente regolamentato.

Inoltre, recenti interventi normativi hanno già escluso espressamente l’applicazione di molte disposizioni del diritto amministrativo agli Ordini professionali, riconoscendo la loro natura associativa e la specificità delle loro funzioni. Questo rafforza la convinzione che l’applicazione del Codice dei contratti pubblici agli Ordini sia non solo ingiustificata, ma anche incoerente con il quadro normativo vigente.

Consiglio dell’Ordine di Milano: richieste

Alla luce di ciò, la delibera dell’Ordine degli Avvocati di Milano chiede il riconoscimento ufficiale dell’inapplicabilità del Codice dei contratti pubblici agli Ordini professionali. Propone inoltre una modifica legislativa che chiarisca definitivamente la questione. Secondo l’Ordine, è necessario evitare che interpretazioni divergenti possano creare incertezze o difficoltà operative.

La delibera invita anche tutti gli Ordini professionali a collaborare per adottare una posizione condivisa. Si sollecita un intervento normativo che confermi in modo inequivocabile l’esclusione degli Ordini dall’ambito di applicazione del Codice. Solo attraverso un’azione comune e mirata è possibile ottenere un chiarimento normativo che tuteli l’autonomia degli Ordini e ne garantisca l’efficacia operativa.

 

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formazione continua avvocati

Formazione continua avvocati 2025 Il Consiglio Nazionale Forense ha emanato apposita delibera per disciplinare la formazione continua avvocati 2025

Formazione continua avvocati: le indicazioni del CNF

Formazione continua avvocati: anche l’anno solare dal 1° gennaio al 31 dicembre 2025 non verrà conteggiato ai fini del triennio formativo di cui al comma 3 dell’art. 12 del Regolamento CNF 6 del 16 luglio 2014 e ss mm. E’ una delle indicazioni fornite dal Consiglio Nazionale Forense con la delibera del 13 gennaio 2025.

Vengono “prorogate”, in sostanza, le medesime disposizioni degli scorsi anni, a partire dall’emergenza Covid19.

I crediti formativi necessari

Quanto ai crediti formativi necessari, viene previsto che “nell’anno solare dal 1° gennaio al 31 dicembre 2025 ciascun iscritto adempie l’obbligo formativo di cui all’art. 11 della L. 247 del 31 dicembre 2012 mediante il conseguimento di minimo quindici crediti formativi, di cui almeno tre nelle materie obbligatorie di ordinamento e previdenza forensi e deontologia ed etica professionale e dodici nelle materie ordinarie”.

Formazione a distanza

Infine, viene data la possibilità anche per quest’anno di acquisire i crediti formativi integralmente in modalità FAD.

avvocato e direttore ivg

Avvocato e direttore IVG: c’è incompatibilità? Il Consiglio Nazionale Forense risponde al quesito sottoposto dal COA di Crotone sull'incompatibilità o meno tra l'esercizio della professione forense e il ruolo di direttore dell'IVG

Avvocato e direttore IVG: il quesito al CNF

Avvocato e direttore IVG, si può? E’ il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Crotone ad aver recentemente sollevato il quesito di particolare rilevanza deontologica e normativa.

Nello specifico, il COA ha chiesto al CNF di sapere se è compatibile l’esercizio della professione forense con l’attività di direttore dell’IVG (Istituto Vendite Giudiziarie) nell’ambito dello stesso circondario di tribunale.

Il parere del CNF

Il CNF ha risposto con parere n. 58/2024 pubblicato il 9 gennaio 2025 sul sito del Codice deontologico.

Innanzitutto, occorre ricordare che l’art. 18 del Codice Deontologico Forense disciplina le cause di incompatibilità con l’esercizio della professione di avvocato, stabilendo che l’avvocato deve astenersi da attività che possano compromettere il decoro e la dignità della professione, o che determinino un conflitto di interessi. Tra le attività potenzialmente incompatibili figurano quelle che comportano subordinazione o che richiedano l’assunzione di responsabilità gestionali di un’impresa.

Fatte queste premesse, il Consiglio ha affermato che “fermo restando che l’attività di delegato alle vendite giudiziarie è una delle attività che l’avvocato può esercitare – su incarico del giudice – nel caso sottoposto all’esame sarà il COA a dover verificare, nell’esercizio della propria autonomia di valutazione, se l’attività di Direttore dell’IVG sia tale da configurare l’esistenza di una delle cause di incompatibilità previste dall’articolo 18 della legge professionale, anche alla luce delle valutazioni circa la natura giuridica dell’IVG”.