libertà di espressione

Libertà di espressione avvocati con limiti di dignità e rispetto Il CNF ribadisce la libertà di espressione degli avvocati per garantire il diritto di difesa ma con i limiti di dignità e rispetto

Difesa e libertà di espressione

Il Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza n. 30/2025 pubblicata il 2 luglio 2025 sul sito del Codice Deontologico Forense, ha sottolineato il ruolo fondamentale della libertà di espressione degli avvocati. Essa è considerata cruciale per il diritto di difesa e per garantire l’equo processo, ai sensi dell’articolo 10, paragrafo 2, CEDU.

Espressione critica: valore e limiti

La pronuncia afferma che la manifestazione del pensiero da parte dell’avvocato è essenziale per il buon funzionamento della giurisdizione, aiutando a contrastare eventuali abusi. Tuttavia, tale libertà non è illimitata: va esercitata nel rispetto della dignità della professione e della fiducia della collettività, senza intaccare l’affidamento nell’ordinamento giudiziario e nella funzione sociale dell’avvocatura.

Rispetto verso magistratura e opinione pubblica

Pur consentendo critica verso il potere giudiziario, il CNF sottolinea che:

  • questa non può superare il rispetto dovuto agli organi giurisdizionali;

  • non può ledere la fiducia dell’opinione pubblica nel sistema forense;

  • deve mantenersi nei confini fissati dall’art. 1 della L. n. 247/2012, che tutela la dignità e il decoro della professione forense, anche rispetto alla figura dell’avvocato come co-protagonista del processo.

Equilibrio tra diritto di critica e credibilità professionale

La sentenza del CNF definisce un equilibrio tra:

  • il diritto/dovere dell’avvocato di esprimere la propria opinione in modo critico e incisivo;

  • e la necessità di preservare l’immagine e l’autorevolezza della categoria forense e della magistratura.

Critiche inappropriate o aggressive – soprattutto se rivolte a funzionari giudiziari – possono essere sanzionate deontologicamente.

sanzione

Avvocati: la malattia non annulla l’illecito ma attenua la sanzione Il CNF stabilisce che le condizioni di salute dell’avvocato non escludono l’illecito deontologico, ma possono ridurre la sanzione disciplinare

Malattia avvocato e responsabilità disciplinare

Sanzione avvocato: il Consiglio Nazionale Forense, con la sentenza n. 487/2024, pubblicata l’8 luglio 2025, ha chiarito un principio fondamentale in tema disciplinare: la malattia dell’incolpato non scrimina l’illecito deontologico, ma può influenzare la misura della sanzione.

Nessuna scriminante per motivi di salute

Il CNF afferma che, anche se le condizioni psicofisiche dell’avvocato possono incidere sul suo comportamento, non escludono la responsabilità disciplinare, in quanto per commettere un illecito è sufficiente la volontarietà dell’azione. La malattia, pertanto, non è una giustificazione che invalidi la procedura disciplinare.

Mitigazione della sanzione: il margine di discrezionalità

Tuttavia, la gravità ridotta per motivi di salute può rappresentare una causa di attenuazione della sanzione. L’Autorità disciplinare, nel valutare il caso, può modulare la pena commisurandola alle condizioni dell’incolpato, riconoscendo il ruolo attenuante della malattia nella valutazione complessiva.

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restituzione documenti

Restituzione documenti al cliente: illecito disciplinare anche senza danno Il CNF ha stabilito che la tardiva restituzione degli atti al cliente costituisce illecito disciplinare a prescindere dal danno subito, confermando l’autonomia della responsabilità deontologica

Mancata o tardiva restituzione dei documenti

Restituzione documenti al cliente: il Consiglio Nazionale Forense, con sentenza n. 451/2024 pubblicata il 26 giugno 2025 sul sito del Codice deontologico, ha ribadito un principio chiaro in tema di responsabilità disciplinare dell’avvocato: l’illecito previsto dall’art. 33 Cdf si configura anche quando la riconsegna dei documenti al cliente avviene con colpevole ritardo, indipendentemente dal fatto che ciò abbia prodotto un danno concreto.

La sentenza si inserisce nella giurisprudenza che valorizza la corretta gestione del rapporto fiduciario con l’assistito, ritenuto essenziale per garantire la dignità e il decoro della professione forense.

La norma violata: art. 33 cdf

L’art. 33 del Codice Deontologico impone all’avvocato di restituire al cliente, alla cessazione del mandato, tutta la documentazione ricevuta e quella formata nell’interesse dell’assistito. L’obbligo è di carattere immediato e non può essere subordinato ad altre pretese del professionista, come la liquidazione delle proprie competenze.

Nel caso esaminato dal CNF, l’avvocato aveva riconsegnato la documentazione solo dopo reiterati solleciti e con un ritardo significativo.

L’irrilevanza del danno subito dal cliente

Un aspetto centrale della decisione è l’affermazione che l’illecito disciplinare prescinde dall’accertamento di un pregiudizio effettivo.

Infatti, la circostanza che il cliente non abbia subito alcuna decadenza o preclusione non esclude la violazione del dovere deontologico. La Corte ha osservato che il rapporto fiduciario si fonda anche sulla disponibilità degli atti e sulla correttezza del comportamento professionale, elementi che assumono valore autonomo rispetto all’eventuale danno patrimoniale.

Il principio di diritto affermato

La sentenza ha chiarito in modo inequivoco che: “L’illecito disciplinare di cui all’art. 33 cdf sussiste anche qualora la documentazione sia stata restituita con colpevole ritardo, senza che ciò abbia determinato danni concreti al cliente.”

Questo principio ribadisce l’autonomia della responsabilità deontologica rispetto alla responsabilità civile o agli effetti sul processo.

Le conseguenze disciplinari e il dovere di correttezza

Il CNF ha sottolineato che l’adempimento tempestivo dell’obbligo di restituzione è espressione del dovere di diligenza, correttezza e lealtà, che costituiscono i pilastri dell’attività professionale.

Il mancato rispetto di questi principi è suscettibile di sanzione disciplinare anche in assenza di conseguenze dannose per il cliente, poiché incide sulla fiducia che deve caratterizzare il rapporto tra difensore e assistito.

modello 5

Modello 5 inviato in ritardo: il CNF chiarisce le conseguenze Il CNF chiarisce che l’invio tardivo del Mod. 5 a Cassa Forense non elimina l’illecito deontologico. La sospensione amministrativa non esclude la sanzione disciplinare

L’obbligo di comunicazione del Modello 5 alla Cassa Forense

La sentenza n. 444/2024 del CNF, pubblicata il 23 giugno 2025 sul sito del codice deontologico, affronta un tema di grande rilievo per la professione forense: la mancata o tardiva comunicazione del Modello 5 alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense.

L’adempimento è previsto dall’art. 17, comma 1, della Legge n. 576/1980, che impone agli iscritti l’obbligo di trasmettere annualmente i dati reddituali e contributivi. Il mancato invio determina gravi conseguenze sia sul piano amministrativo sia sul piano deontologico.

La sospensione amministrativa dell’iscritto

Il Consiglio Nazionale Forense ha precisato che l’omesso invio del Mod. 5 comporta l’applicazione della sospensione a tempo indeterminato dall’esercizio professionale, di natura amministrativa e non disciplinare.

In particolare, l’art. 17, comma 5, della Legge n. 576/1980 stabilisce che: “Il Consiglio dell’Ordine dispone la sospensione dell’iscritto sino alla regolarizzazione dell’inadempimento”.

Tale provvedimento non necessita di valutazione discrezionale, essendo conseguenza automatica dell’inadempimento previdenziale.

Modello 5: il rilievo deontologico dell’invio tardivo

La sentenza chiarisce che la regolarizzazione successiva della posizione previdenziale non è sufficiente a escludere la responsabilità disciplinare dell’avvocato.

L’art. 70 del Codice Deontologico Forense attribuisce rilievo autonomo alla violazione degli obblighi contributivi e previdenziali, in quanto espressione del dovere di probità, correttezza e rispetto delle regole della professione.

La condotta integra, quindi, un illecito deontologico distinto rispetto alla sospensione amministrativa.

La ratio della decisione

Secondo il CNF, l’invio tardivo del Mod. 5 determina: la cessazione automatica della sospensione amministrativa con la regolarizzazione ma non elide la violazione deontologica già perfezionata con l’omesso adempimento entro il termine.

In altre parole, la sanzione disciplinare ha finalità diversa e autonoma rispetto alla misura amministrativa di sospensione.

avvocato deve privilegiare la verità

L’avvocato deve privilegiare la verità al mandato Il CNF ribadisce che l’avvocato deve privilegiare la verità e la legge anche rinunciando al mandato. I principi deontologici su lealtà e dignità professionale

Il dovere di verità come cardine della funzione difensiva

L’avvocato deve privilegiare la verità al mandato: la sentenza n. 445/2024, pubblicata il 25 giugno 2025 sul sito del Codice Deontologico Forense, interviene su un profilo essenziale della professione: il rapporto tra l’obbligo di lealtà e verità e il mandato difensivo.

La decisione richiama il principio secondo cui l’attività dell’avvocato deve essere improntata al rispetto della verità e della legge, in quanto elementi qualificanti la funzione difensiva e la dignità professionale.

Il prevalente dovere di rispettare la legge e la verità

Il CNF ha precisato che, qualora si crei un conflitto tra il mandato ricevuto e l’osservanza della verità e della legge, l’avvocato è tenuto a privilegiare questi ultimi, anche a costo di rinunciare all’incarico.

Tale orientamento trova fondamento:

  • nell’art. 50 del Codice Deontologico Forense, che disciplina il dovere di verità e correttezza nell’attività professionale;

  • nell’art. 3 della L. n. 247/2012, che impone il rispetto dei principi di lealtà e probità;

  • nell’art. 88 del codice di procedura civile, che richiede alle parti e ai difensori comportamento leale e veritiero nel processo.

La rinuncia al mandato per giusto motivo

La sentenza sottolinea che l’ossequio alla verità rappresenta un dovere di rango superiore, in virtù del quale l’avvocato deve astenersi da qualsiasi condotta che possa porsi in contrasto con la legge o con la verità dei fatti.

Se la prosecuzione del mandato dovesse comportare una violazione di tali principi, l’avvocato è tenuto a valutare la rinuncia all’incarico per giusto motivo, quale espressione della propria indipendenza e della dignità della funzione difensiva.

Verità, mandato e dignità professionale

La pronuncia evidenzia come il dovere di verità non sia limitato all’attività processuale, ma si estende anche ai rapporti stragiudiziali e alle relazioni con la controparte e i terzi.

Questo dovere si pone come limite invalicabile alla libertà di difesa tecnica, la quale non può mai tradursi in atti contrari alla legge o idonei a ingenerare inganno nell’autorità giudiziaria o negli altri soggetti coinvolti.

modello 5

Modello 5 omesso? Risponde l’avvocato anche se “colpa” del consulente Il CNF chiarisce: l’avvocato è responsabile dell’omesso invio del Modello 5, anche se attribuito a un errore del consulente

Obbligo Modello 5: nessuna scusa per l’avvocato

Con le decisioni n.  408/2024 e 409/2024, il Consiglio Nazionale Forense ha confermato la sospensione a tempo indeterminato di due avvocati per l’omesso invio del Modello 5 alla Cassa Forense. Entrambi avevano attribuito la responsabilità a una presunta dimenticanza del commercialista. Ma il CNF ha chiarito che la gestione personale degli adempimenti previdenziali è un obbligo non delegabile.

Sospensione senza sanzione disciplinare

La sospensione dell’iscritto, disposta ex art. 17, comma 5, della legge n. 576/1980, non ha natura disciplinare. Si tratta di una misura automatica connessa all’omesso adempimento di obblighi previdenziali. Tuttavia, ciò non esclude un ulteriore giudizio deontologico, ai sensi dell’art. 70 del Codice Deontologico Forense, di competenza del Consiglio Distrettuale di Disciplina.

L’avvocato è sempre responsabile verso la Cassa

Il CNF sottolinea che l’iscritto non può esimersi dalla responsabilità per atti che restano comunque a lui riferibili. Anche quando incarica un consulente, è l’avvocato a dover vigilare sul corretto invio del Modello 5.

La semplice delega non costituisce causa di esonero da colpa.

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diritto di difesa

Avvocati: il diritto di difesa non può aggravare la sanzione Il CNF stabilisce che l’esercizio del diritto di difesa da parte dell’avvocato non può comportare un aggravamento della sanzione disciplinare, salvo condotte ostruzionistiche o dilatorie

Diritto di difesa e aggravamento sanzione

Con la sentenza n. 427/2024, pubblicata il 13 giugno 2025 sul sito del Codice deontologico, il Consiglio Nazionale Forense ha affermato un principio di particolare rilievo per il sistema deontologico forense: l’esercizio del diritto di difesa non può, di per sé, giustificare l’irrogazione di una sanzione disciplinare aggravata. La pronuncia, pubblicata il 13 giugno 2025 sul sito del Codice deontologico forense, rafforza il ruolo della difesa quale diritto inviolabile anche nell’ambito dei procedimenti disciplinari a carico degli avvocati.

Nessuna aggravante per la difesa legittima

Secondo quanto chiarito dal CNF, la sola scelta dell’incolpato di contestare la propria responsabilità disciplinare non può essere considerata un’aggravante ex art. 22, comma 1, lett. b), del Codice deontologico forense, a meno che tale atteggiamento non si traduca in una condotta concretamente defatigatoria, dilatoria o ostruzionistica.

L’articolo citato prevede infatti che la sanzione possa essere irrogata in misura più grave quando il comportamento del professionista durante il procedimento disciplinare aggravi la propria posizione, ma ciò non può derivare dal semplice esercizio del diritto di difendersi.

Opposizione alla responsabilità disciplinare

Nel caso oggetto della decisione, un avvocato era stato sottoposto a procedimento disciplinare per presunta violazione deontologica e aveva scelto di contestare le accuse. Il Consiglio territoriale di disciplina aveva ritenuto tale difesa – articolata ma corretta nei toni e nei contenuti – elemento idoneo ad aggravare la sanzione, ravvisando un atteggiamento non collaborativo.

Il CNF ha riformato la decisione, ritenendo che l’esercizio del diritto di difesa, se attuato in modo lecito e rispettoso, non possa in alcun modo essere interpretato come causa di inasprimento della sanzione. Anzi, ha sottolineato che il diritto di difendersi è un principio fondamentale anche in sede disciplinare, e che ogni valutazione sanzionatoria deve tener conto esclusivamente della gravità della condotta contestata, non del modo in cui il professionista sceglie di difendersi.

Motivazione della decisione

La sentenza sottolinea che:

  • il diritto di difesa è garantito dall’ordinamento anche nei procedimenti disciplinari;

  • la mancata ammissione di responsabilità non può equivalere a un comportamento ostruzionistico;

  • solo atteggiamenti concretamente dilatori, elusivi o irrispettosi possono configurare aggravanti.

Il CNF ha dunque precisato che la sanzione deve essere proporzionata esclusivamente ai fatti contestati e provati, non alla strategia difensiva dell’incolpato, quando questa sia esercitata legittimamente.

limiti deontologici

Critiche offensive sui social: il CNF ribadisce i limiti deontologici Il CNF ribadisce i limiti deontologici alla libertà di critica verso l’ordine: offese e accostamenti criminali sui social violano la deontologia forense

Critiche offensive sui social e limiti deontologici

Critiche offensive e limiti deontologici: la libertà di manifestare il proprio pensiero non può trasformarsi in un attacco denigratorio contro le Istituzioni Forensi. A ribadirlo è il Consiglio Nazionale Forense con la sentenza n. 415/2024, pubblicata l’8 giugno 2025 sul sito ufficiale del Codice Deontologico, che richiama con fermezza gli avvocati al rispetto dei doveri di lealtà, correttezza e rispetto verso l’Ordine professionale e l’intera Avvocatura.

I fatti: accuse offensive e accostamenti inaccettabili

Il caso trae origine dalla condotta di un avvocato che, attraverso un utilizzo improprio dei social network, ha pubblicato contenuti offensivi e denigratori rivolti alle Istituzioni Forensi, accostandole ad organizzazioni criminali e utilizzando espressioni gravemente lesive della dignità dell’Ordine. I post, pur esprimendo un pensiero critico, hanno oltrepassato la soglia del lecito per assumere i tratti della vera e propria invettiva personale.

La decisione del CNF

Nel confermare la sanzione disciplinare irrogata in primo grado, il CNF ha sottolineato che: “La libertà di manifestare la propria opinione critica sulle Istituzioni Forensi trova un limite invalicabile nei doveri di lealtà, correttezza e rispetto nei confronti dell’Ordine Forense e dell’Avvocatura in generale.”

Il giudice deontologico ha precisato che la libertà di espressione, pur costituzionalmente garantita, non è assoluta, soprattutto quando si esercita in ambiti professionali regolati da obblighi di condotta. È pertanto incompatibile con la dignità della professione l’utilizzo dei social per esprimere dissenso con toni deplorevoli, gravemente offensivi o denigratori.

Il confine tra critica e offesa

Secondo il CNF, esprimere opinioni o critiche sull’operato dell’Ordine o delle istituzioni dell’Avvocatura è legittimo, ma solo se svolto nel rispetto delle forme e dei principi di civile confronto. Quando la critica degenera in accostamenti infamanti o insinuazioni diffamatorie, si concretizza una grave violazione deontologica, poiché si compromette non solo il decoro del singolo avvocato, ma l’immagine dell’intera categoria.

modello 5

Modello 5 inviato in ritardo? L’illecito deontologico resta Il CNF chiarisce: l’invio tardivo del Modello 5 revoca la sospensione ma non esclude la responsabilità disciplinare

Modello 5, regolarizzazione non elimina l’illecito

Con le decisioni n. 407, 408 e 409 del 2024, pubblicate il 12 giugno 2025 sul sito del Codice deontologico, il Consiglio Nazionale Forense ha ribadito un principio importante in tema di responsabilità deontologica degli avvocati: l’invio tardivo del Modello 5 alla Cassa Forense non scrimina l’illecito disciplinare, anche se comporta la revoca della sospensione amministrativa.

Il caso: omissione del Modello 5 e difesa in giudizio

Il caso esaminato riguardava un avvocato sanzionato dal Consiglio Distrettuale di Disciplina per omesso invio del Mod. 5. L’incolpato aveva impugnato la decisione davanti al CNF, sostenendo che la propria posizione era stata nel frattempo regolarizzata con Cassa Forense e chiedendo quindi l’estinzione del procedimento per cessazione della materia del contendere.

La decisione del CNF: responsabilità confermata

Il Consiglio Nazionale Forense ha però rigettato l’eccezione difensiva, chiarendo che la regolarizzazione tardiva rileva solo per individuare la data finale di consumazione dell’illecito, ma non comporta l’estinzione del procedimento disciplinare.

Infatti, secondo l’art. 17, comma 5 della legge n. 576/1980 (come modificato dalla legge n. 141/1992), l’omesso invio del Mod. 5 determina la sospensione amministrativa dell’avvocato, sospensione che viene meno una volta trasmesso il modello. Tuttavia, la violazione deontologica si consuma comunque e rimane sanzionabile.

comunicazioni tra avvocati

Comunicazioni tra avvocati: vanno trasmesse all’autorità Il CNF chiarisce che le comunicazioni tra colleghi possono essere trasmesse se richieste nell’ambito di indagini penali. Obbligo deontologico cede di fronte all’autorità giudiziaria

Comunicazioni tra avvocati e consegna autorità

Comunicazioni tra avvocati: il Consiglio nazionale forense, con parere n. 23 del 12 maggio 2025, pubblicato il 3 giugno 2025 sul sito del Codice deontologico, ha fornito chiarimenti rilevanti in materia di corrispondenza tra avvocati e obblighi deontologici, rispondendo a un quesito posto dal COA di Benevento. 

Il quesito

La questione riguardava la possibilità di trasmettere le comunicazioni intercorse tra legali, a seguito di una richiesta formale da parte dei Carabinieri, delegati all’attività di indagine, nell’ambito di un procedimento penale avviato per fatti oggetto della predetta corrispondenza.

Il Consiglio dell’Ordine degli avvocati, pertanto, chiedeva delucidazioni al CNF.

Deontologia e collaborazione con l’autorità

Secondo il parere del CNF, la presenza di una richiesta esplicita proveniente dall’autorità investigativa, in questo caso i Carabinieri delegati all’indagine su fatti oggetto della corrispondenza, “prevale sull’obbligo deontologico e l’avvocato – anche per sottrarsi a eventuali conseguenze penali della mancata collaborazione – è tenuto a consegnare la corrispondenza”.

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