avvocato deve privilegiare la verità

L’avvocato deve privilegiare la verità al mandato Il CNF ribadisce che l’avvocato deve privilegiare la verità e la legge anche rinunciando al mandato. I principi deontologici su lealtà e dignità professionale

Il dovere di verità come cardine della funzione difensiva

L’avvocato deve privilegiare la verità al mandato: la sentenza n. 445/2024, pubblicata il 25 giugno 2025 sul sito del Codice Deontologico Forense, interviene su un profilo essenziale della professione: il rapporto tra l’obbligo di lealtà e verità e il mandato difensivo.

La decisione richiama il principio secondo cui l’attività dell’avvocato deve essere improntata al rispetto della verità e della legge, in quanto elementi qualificanti la funzione difensiva e la dignità professionale.

Il prevalente dovere di rispettare la legge e la verità

Il CNF ha precisato che, qualora si crei un conflitto tra il mandato ricevuto e l’osservanza della verità e della legge, l’avvocato è tenuto a privilegiare questi ultimi, anche a costo di rinunciare all’incarico.

Tale orientamento trova fondamento:

  • nell’art. 50 del Codice Deontologico Forense, che disciplina il dovere di verità e correttezza nell’attività professionale;

  • nell’art. 3 della L. n. 247/2012, che impone il rispetto dei principi di lealtà e probità;

  • nell’art. 88 del codice di procedura civile, che richiede alle parti e ai difensori comportamento leale e veritiero nel processo.

La rinuncia al mandato per giusto motivo

La sentenza sottolinea che l’ossequio alla verità rappresenta un dovere di rango superiore, in virtù del quale l’avvocato deve astenersi da qualsiasi condotta che possa porsi in contrasto con la legge o con la verità dei fatti.

Se la prosecuzione del mandato dovesse comportare una violazione di tali principi, l’avvocato è tenuto a valutare la rinuncia all’incarico per giusto motivo, quale espressione della propria indipendenza e della dignità della funzione difensiva.

Verità, mandato e dignità professionale

La pronuncia evidenzia come il dovere di verità non sia limitato all’attività processuale, ma si estende anche ai rapporti stragiudiziali e alle relazioni con la controparte e i terzi.

Questo dovere si pone come limite invalicabile alla libertà di difesa tecnica, la quale non può mai tradursi in atti contrari alla legge o idonei a ingenerare inganno nell’autorità giudiziaria o negli altri soggetti coinvolti.

modello 5

Modello 5 omesso? Risponde l’avvocato anche se “colpa” del consulente Il CNF chiarisce: l’avvocato è responsabile dell’omesso invio del Modello 5, anche se attribuito a un errore del consulente

Obbligo Modello 5: nessuna scusa per l’avvocato

Con le decisioni n.  408/2024 e 409/2024, il Consiglio Nazionale Forense ha confermato la sospensione a tempo indeterminato di due avvocati per l’omesso invio del Modello 5 alla Cassa Forense. Entrambi avevano attribuito la responsabilità a una presunta dimenticanza del commercialista. Ma il CNF ha chiarito che la gestione personale degli adempimenti previdenziali è un obbligo non delegabile.

Sospensione senza sanzione disciplinare

La sospensione dell’iscritto, disposta ex art. 17, comma 5, della legge n. 576/1980, non ha natura disciplinare. Si tratta di una misura automatica connessa all’omesso adempimento di obblighi previdenziali. Tuttavia, ciò non esclude un ulteriore giudizio deontologico, ai sensi dell’art. 70 del Codice Deontologico Forense, di competenza del Consiglio Distrettuale di Disciplina.

L’avvocato è sempre responsabile verso la Cassa

Il CNF sottolinea che l’iscritto non può esimersi dalla responsabilità per atti che restano comunque a lui riferibili. Anche quando incarica un consulente, è l’avvocato a dover vigilare sul corretto invio del Modello 5.

La semplice delega non costituisce causa di esonero da colpa.

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Avvocati: il diritto di difesa non può aggravare la sanzione Il CNF stabilisce che l’esercizio del diritto di difesa da parte dell’avvocato non può comportare un aggravamento della sanzione disciplinare, salvo condotte ostruzionistiche o dilatorie

Diritto di difesa e aggravamento sanzione

Con la sentenza n. 427/2024, pubblicata il 13 giugno 2025 sul sito del Codice deontologico, il Consiglio Nazionale Forense ha affermato un principio di particolare rilievo per il sistema deontologico forense: l’esercizio del diritto di difesa non può, di per sé, giustificare l’irrogazione di una sanzione disciplinare aggravata. La pronuncia, pubblicata il 13 giugno 2025 sul sito del Codice deontologico forense, rafforza il ruolo della difesa quale diritto inviolabile anche nell’ambito dei procedimenti disciplinari a carico degli avvocati.

Nessuna aggravante per la difesa legittima

Secondo quanto chiarito dal CNF, la sola scelta dell’incolpato di contestare la propria responsabilità disciplinare non può essere considerata un’aggravante ex art. 22, comma 1, lett. b), del Codice deontologico forense, a meno che tale atteggiamento non si traduca in una condotta concretamente defatigatoria, dilatoria o ostruzionistica.

L’articolo citato prevede infatti che la sanzione possa essere irrogata in misura più grave quando il comportamento del professionista durante il procedimento disciplinare aggravi la propria posizione, ma ciò non può derivare dal semplice esercizio del diritto di difendersi.

Opposizione alla responsabilità disciplinare

Nel caso oggetto della decisione, un avvocato era stato sottoposto a procedimento disciplinare per presunta violazione deontologica e aveva scelto di contestare le accuse. Il Consiglio territoriale di disciplina aveva ritenuto tale difesa – articolata ma corretta nei toni e nei contenuti – elemento idoneo ad aggravare la sanzione, ravvisando un atteggiamento non collaborativo.

Il CNF ha riformato la decisione, ritenendo che l’esercizio del diritto di difesa, se attuato in modo lecito e rispettoso, non possa in alcun modo essere interpretato come causa di inasprimento della sanzione. Anzi, ha sottolineato che il diritto di difendersi è un principio fondamentale anche in sede disciplinare, e che ogni valutazione sanzionatoria deve tener conto esclusivamente della gravità della condotta contestata, non del modo in cui il professionista sceglie di difendersi.

Motivazione della decisione

La sentenza sottolinea che:

  • il diritto di difesa è garantito dall’ordinamento anche nei procedimenti disciplinari;

  • la mancata ammissione di responsabilità non può equivalere a un comportamento ostruzionistico;

  • solo atteggiamenti concretamente dilatori, elusivi o irrispettosi possono configurare aggravanti.

Il CNF ha dunque precisato che la sanzione deve essere proporzionata esclusivamente ai fatti contestati e provati, non alla strategia difensiva dell’incolpato, quando questa sia esercitata legittimamente.

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Critiche offensive sui social: il CNF ribadisce i limiti deontologici Il CNF ribadisce i limiti deontologici alla libertà di critica verso l’ordine: offese e accostamenti criminali sui social violano la deontologia forense

Critiche offensive sui social e limiti deontologici

Critiche offensive e limiti deontologici: la libertà di manifestare il proprio pensiero non può trasformarsi in un attacco denigratorio contro le Istituzioni Forensi. A ribadirlo è il Consiglio Nazionale Forense con la sentenza n. 415/2024, pubblicata l’8 giugno 2025 sul sito ufficiale del Codice Deontologico, che richiama con fermezza gli avvocati al rispetto dei doveri di lealtà, correttezza e rispetto verso l’Ordine professionale e l’intera Avvocatura.

I fatti: accuse offensive e accostamenti inaccettabili

Il caso trae origine dalla condotta di un avvocato che, attraverso un utilizzo improprio dei social network, ha pubblicato contenuti offensivi e denigratori rivolti alle Istituzioni Forensi, accostandole ad organizzazioni criminali e utilizzando espressioni gravemente lesive della dignità dell’Ordine. I post, pur esprimendo un pensiero critico, hanno oltrepassato la soglia del lecito per assumere i tratti della vera e propria invettiva personale.

La decisione del CNF

Nel confermare la sanzione disciplinare irrogata in primo grado, il CNF ha sottolineato che: “La libertà di manifestare la propria opinione critica sulle Istituzioni Forensi trova un limite invalicabile nei doveri di lealtà, correttezza e rispetto nei confronti dell’Ordine Forense e dell’Avvocatura in generale.”

Il giudice deontologico ha precisato che la libertà di espressione, pur costituzionalmente garantita, non è assoluta, soprattutto quando si esercita in ambiti professionali regolati da obblighi di condotta. È pertanto incompatibile con la dignità della professione l’utilizzo dei social per esprimere dissenso con toni deplorevoli, gravemente offensivi o denigratori.

Il confine tra critica e offesa

Secondo il CNF, esprimere opinioni o critiche sull’operato dell’Ordine o delle istituzioni dell’Avvocatura è legittimo, ma solo se svolto nel rispetto delle forme e dei principi di civile confronto. Quando la critica degenera in accostamenti infamanti o insinuazioni diffamatorie, si concretizza una grave violazione deontologica, poiché si compromette non solo il decoro del singolo avvocato, ma l’immagine dell’intera categoria.

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Modello 5 inviato in ritardo? L’illecito deontologico resta Il CNF chiarisce: l’invio tardivo del Modello 5 revoca la sospensione ma non esclude la responsabilità disciplinare

Modello 5, regolarizzazione non elimina l’illecito

Con le decisioni n. 407, 408 e 409 del 2024, pubblicate il 12 giugno 2025 sul sito del Codice deontologico, il Consiglio Nazionale Forense ha ribadito un principio importante in tema di responsabilità deontologica degli avvocati: l’invio tardivo del Modello 5 alla Cassa Forense non scrimina l’illecito disciplinare, anche se comporta la revoca della sospensione amministrativa.

Il caso: omissione del Modello 5 e difesa in giudizio

Il caso esaminato riguardava un avvocato sanzionato dal Consiglio Distrettuale di Disciplina per omesso invio del Mod. 5. L’incolpato aveva impugnato la decisione davanti al CNF, sostenendo che la propria posizione era stata nel frattempo regolarizzata con Cassa Forense e chiedendo quindi l’estinzione del procedimento per cessazione della materia del contendere.

La decisione del CNF: responsabilità confermata

Il Consiglio Nazionale Forense ha però rigettato l’eccezione difensiva, chiarendo che la regolarizzazione tardiva rileva solo per individuare la data finale di consumazione dell’illecito, ma non comporta l’estinzione del procedimento disciplinare.

Infatti, secondo l’art. 17, comma 5 della legge n. 576/1980 (come modificato dalla legge n. 141/1992), l’omesso invio del Mod. 5 determina la sospensione amministrativa dell’avvocato, sospensione che viene meno una volta trasmesso il modello. Tuttavia, la violazione deontologica si consuma comunque e rimane sanzionabile.

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Comunicazioni tra avvocati: vanno trasmesse all’autorità Il CNF chiarisce che le comunicazioni tra colleghi possono essere trasmesse se richieste nell’ambito di indagini penali. Obbligo deontologico cede di fronte all’autorità giudiziaria

Comunicazioni tra avvocati e consegna autorità

Comunicazioni tra avvocati: il Consiglio nazionale forense, con parere n. 23 del 12 maggio 2025, pubblicato il 3 giugno 2025 sul sito del Codice deontologico, ha fornito chiarimenti rilevanti in materia di corrispondenza tra avvocati e obblighi deontologici, rispondendo a un quesito posto dal COA di Benevento. 

Il quesito

La questione riguardava la possibilità di trasmettere le comunicazioni intercorse tra legali, a seguito di una richiesta formale da parte dei Carabinieri, delegati all’attività di indagine, nell’ambito di un procedimento penale avviato per fatti oggetto della predetta corrispondenza.

Il Consiglio dell’Ordine degli avvocati, pertanto, chiedeva delucidazioni al CNF.

Deontologia e collaborazione con l’autorità

Secondo il parere del CNF, la presenza di una richiesta esplicita proveniente dall’autorità investigativa, in questo caso i Carabinieri delegati all’indagine su fatti oggetto della corrispondenza, “prevale sull’obbligo deontologico e l’avvocato – anche per sottrarsi a eventuali conseguenze penali della mancata collaborazione – è tenuto a consegnare la corrispondenza”.

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Avvocati e incarichi extra-forensi: i “paletti” del CNF Il CNF chiarisce che gli incarichi extra-forensi, ad esempio in associazioni culturali, sono compatibili con la professione, purché nel rispetto delle regole deontologiche

Avvocati e incarichi extra-forensi: compatibilità

Incarichi extra-forensi: il Consiglio nazionale forense, con il parere n. 6 del 13 marzo 2025, pubblicato il 26 maggio sul sito dedicato al Codice deontologico, ha chiarito la compatibilità tra l’esercizio della professione forense e lo svolgimento dell’incarico di Segretario di un’associazione non riconosciuta e senza scopo di lucro, operante nei settori della sicurezza, intelligence, cyber e intelligenza artificiale.

Il quesito del COA di Ferrara

Il quesito è stato posto dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Ferrara, che ha chiesto se la partecipazione attiva in un’associazione scientifico-culturale, priva di fini commerciali, potesse ritenersi compatibile con l’attività forense. L’associazione oggetto del quesito prevede tra i compiti del Segretario, oltre alle funzioni ordinarie (verbalizzazione, gestione dei libri sociali, archivio e relazioni interne), anche rapporti informativi con soggetti esterni, cura del sito web e organizzazione di eventi coerenti con gli scopi statutari.

Nessuna incompatibilità secondo l’art. 18 l. 247/2012

Il CNF ha risposto positivamente, ritenendo che la situazione descritta non integri una causa di incompatibilità ai sensi dell’art. 18 della legge n. 247/2012, che disciplina le attività non compatibili con l’esercizio della professione forense. In particolare, l’attività indicata può rientrare tra quelle culturali, espressamente escluse dal divieto di incompatibilità dalla lettera a) dell’articolo 18 della legge professionale.

Rispettare comunque i canoni deontologici

Tuttavia, il Consiglio nazionale ha richiamato l’attenzione su un punto fondamentale: anche se l’attività svolta in ambito associativo non è qualificabile come esercizio della professione, l’avvocato è comunque tenuto a rispettare i principi deontologici, evitando condotte che possano configurare pubblicità professionale non conforme o forme di accaparramento di clientela. In altri termini, la partecipazione all’associazione – e le modalità con cui essa viene resa nota – non devono trasformarsi in un mezzo indiretto per promuovere la propria attività professionale in violazione del Codice deontologico.

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Conflitto d’interessi avvocati: il CNF impone limite di 2 anni Il Consiglio Nazionale Forense si esprime sul conflitto d'interessi avvocati, in ordine all'incarico contro il cliente di un collega di studio

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Conflitto d’interessi avvocati: con la sentenza n. 375/2024, pubblicata il 21 aprile 2025 sul sito del Codice Deontologico, il Consiglio Nazionale Forense ha ribadito un importante principio in materia di conflitto di interessi e di doveri deontologici tra colleghi di studio legale, delineando con chiarezza il perimetro entro cui è legittima l’assunzione di un incarico professionale contro una parte precedentemente assistita da un collega di studio.

Il principio stabilito dal CNF

La decisione si fonda sul combinato disposto di due disposizioni del Codice Deontologico Forense:

  • Art. 24, comma 4 – “Conflitto di interessi”: l’avvocato deve astenersi dal prestare attività professionale quando vi è conflitto con l’interesse di una parte precedentemente assistita, anche da un collega con cui collabori stabilmente;

  • Art. 68, comma 1 – “Assunzione di incarichi contro una parte già assistita”: è vietato all’avvocato accettare incarichi contro una parte già assistita, salvo che siano trascorsi almeno due anni dalla cessazione del rapporto professionale.

Secondo il CNF, l’avvocato può assumere un incarico contro un ex cliente del Collega di Studio solo quando siano trascorsi almeno due anni dalla cessazione dell’incarico professionale da parte del collega, sempre che vi sia stata una collaborazione non occasionale tra i due.

Il caso concreto esaminato

Nel caso sottoposto al Consiglio, un avvocato aveva accettato un mandato professionale in un procedimento giudiziale contro una parte precedentemente assistita da un altro avvocato dello stesso studio legale, con il quale intratteneva rapporti professionali stabili e continuativi. Il rapporto tra il collega e l’ex assistito si era concluso da meno di due anni.

Il comportamento è stato qualificato come illecito deontologico, configurando una violazione tanto dell’art. 24 quanto dell’art. 68 cdf, in quanto:

  • il legame tra i due professionisti era qualificabile come collaborazione non occasionale;

  • l’intervallo temporale tra la cessazione dell’assistenza prestata dal collega e il nuovo incarico non raggiungeva il biennio richiesto.

Le motivazioni della decisione

La ratio della pronuncia è fondata sulla necessità di tutelare l’affidamento della parte assistita e di preservare la riservatezza delle informazioni conosciute all’interno del medesimo studio o ambito professionale collaborativo.

Il CNF ha richiamato la funzione essenziale del principio di lealtà e fiducia che caratterizza il mandato tra cliente e avvocato e ha sottolineato come tale fiducia non si esaurisce con la cessazione dell’incarico, ma permane per un tempo sufficiente a impedire abusi o indebiti vantaggi derivanti da informazioni acquisite in ambito professionale.

Inoltre, il Consiglio ha precisato che la previsione del termine biennale mira proprio a “cristallizzare” un limite temporale certo, utile ad evitare ambiguità e condotte che potrebbero compromettere l’etica della professione forense.

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Il caso esaminato

Il procedimento disciplinare ha riguardato un avvocato che, in qualità di Consigliere dell’Ordine degli Avvocati (COA) di [OMISSIS], ha compiuto una serie di azioni ritenute in contrasto con i doveri deontologici. Tra le condotte contestate:

  1. Aver indotto il COA a deliberare l’iscrizione di oltre duecento avvocati rumeni con titoli rilasciati dalla cosiddetta “struttura Bota”, nonostante la consapevolezza dell’illegittimità della procedura, derivante da precedenti sentenze e circolari del CNF.

  2. Aver promosso, pur rivestendo la carica di Consigliere del COA, una causa risarcitoria contro lo stesso Consiglio, in nome e per conto di terzi.

  3. Aver assunto il patrocinio, davanti al CNF, di numerosi iscritti alla Sezione Speciale per l’impugnazione delle delibere di cancellazione dall’Albo, nonostante il conflitto di interessi derivante dalla sua posizione istituzionale. 

  4. Aver consentito che presso il proprio studio avesse sede un’associazione costituita per difendere gli interessi degli avvocati abilitati presso la “struttura Bota”, in contrapposizione ai deliberati del COA.

La decisione del CNF

Il CNF ha confermato la responsabilità disciplinare dell’avvocato per le condotte sopra descritte, ritenendo che esse violino l’art. 69, comma 1, del Codice Deontologico Forense (CDF), il quale impone agli avvocati chiamati a far parte delle istituzioni forensi di adempiere l’incarico con diligenza, indipendenza e imparzialità.

Inoltre, il CNF ha evidenziato che la violazione dell’art. 69 CDF non esclude la concorrente responsabilità disciplinare per la violazione di principi generali contenuti nel Titolo I del CDF, ai sensi dell’art. 20 CDF. Nel caso di specie, è stata riscontrata anche la violazione dell’art. 9 CDF, relativo ai doveri di probità, dignità, decoro e indipendenza. 

tax control framework

Tax control framework: avvocati e commercialisti certificatori Tax control framework: raggiunta l'intesa tra avvocati, commercialisti, ministero e Agenzia su competenze e titoli per i certificatori. Ecco il testo

Tax control framework: il protocollo d’intesa

Novità in materia di Tax control Framework. Il Consiglio Nazionale dei Commercialisti, il Consiglio Nazionale Forense, il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate hanno siglato un protocollo d’intesa per definire come individuare i titoli e le competenze professionali necessarie per ottenere l’attestazione di certificatore del rischio fiscale.

Questa figura, riservata ad avvocati e commercialisti (iscritti alla sezione A dell’albo), è fondamentale per l’iscrizione all’elenco dei certificatori del sistema integrato di gestione e controllo del rischio fiscale.

Requisiti accesso elenco certificatori

L’iscrizione all’elenco richiede la partecipazione a un percorso formativo di almeno ottanta ore, suddiviso in tre moduli:

  • sistemi di controllo interno e gestione dei rischi (almeno la metà del corso);
  • principi contabili;
  • diritto tributario.

Al termine di ogni modulo è previsto un test di valutazione. I due Consigli nazionali attestano il superamento dei corsi e dei test per i propri iscritti. Lo svolgimento dei percorsi formativi e dei test è definito dai Consigli nazionali di concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia delle Entrate.

Esoneri dalla frequenza dei test

Sono previste diverse esenzioni dalla frequenza e dai test. Ne beneficiano:

  • gli iscritti da almeno cinque anni (sezione A per i commercialisti) che hanno avuto incarichi formali nella progettazione di sistemi di controllo del rischio fiscale validati dall’Agenzia delle Entrate;
  • o che hanno collaborato per almeno cinque anni come responsabili dei rischi fiscali in imprese in adempimento collaborativo.
  • L’esonero si estende anche a chi, iscritto da almeno cinque anni, è stato membro di organismi di vigilanza o ha svolto audit aziendale per almeno due anni in società in adempimento collaborativo.
  • Esonerati anche i professori universitari di discipline economico-aziendali o di diritto tributario, iscritti da almeno cinque anni nei rispettivi albi (avvocati e commercialisti sezione A).

Esoneri totali da percorsi formativi e test

  • L’esenzione totale dalla frequentazione dei corsi e dai test è prevista per professori universitari abilitati e ricercatori a tempo determinato  nelle discipline economico aziendali o di diritto tributario, iscritti da almeno cinque anni agli albi, limitatamente ai moduli relativi al loro ambito disciplinare.
  • Stessa agevolazione per i revisori legali dei conti iscritti da almeno cinque anni (limitatamente al modulo sui principi contabili) e per chi ha conseguito un dottorato di ricerca o un master di II livello, sempre iscritti da almeno cinque anni e limitatamente ai moduli pertinenti al titolo.
  • Infine, sono esonerati gli iscritti da almeno cinque anni che per almeno due anni hanno ricoperto il ruolo di responsabile fiscale, supervisore di sistemi di controllo del rischio fiscale interno, di internal audit aziendale o di responsabile dei controlli II livello,  in grandi imprese con sede in Italia.

I due Consigli Nazionali gestiscono e aggiornano i rispettivi elenchi di certificatori, mentre l’Agenzia delle Entrate pubblica sul proprio sito l’elenco complessivo, distinto per avvocati e commercialisti.

 

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