Condotta sanzionabile dell’avvocato
Viola l’articolo 52 del Codice di deontologia Forense l’avvocato che apostrofa una controparte con il termine “faccia di bronzo”. L’espressione risulta offensiva e irrispettosa della personalità altrui. Lo ha ribadito il Consiglio nazionale Forense nella sentenza n. 220/2024.
Censura per l’avvocato che dà della “faccia di bronzo”
Un soggetto agisce in sede disciplinare nei confronti di un avvocato. Nel primo esposto il denunciante accusa l’avvocato di avere promosso un procedimento finalizzato a fare ottenere alla figlia l’intestazione di alcune quote di immobili di sua proprietà. All’interno del secondo esposto invece si duole della mancata restituzione dei documenti relativi alle pratiche nelle quali il legale lo aveva assistito.
Nel corso del giudizio disciplinare emerge anche la responsabilità dell’avvocato per aver apostrofato il suo ex assistito, controparte nel procedimento contro la figlia, con il termine “faccia di bronzo”. Per il Consiglio Distrettuale di Disciplina il linguaggio utilizzato dal legale è “censurabile. Lo stesso risulta infatti irrispettoso del decoro inteso in senso oggettivo e dell’altrui personalità. In ogni caso esso eccede in maniera manifesta i limiti della convenienza. Concluso il procedimento disciplinare il CDD sanziona quindi l’avvocato con la sanzione della censura.
Dare della “faccia di bronzo” non è un illecito
L’avvocato impugna la decisione di fronte al CNF. Nel ricorso contesta i vari capi di incolpazione tra i quali la violazione dell’art. 52 del Codice deontologico. Questa norma impone in particolare all’avvocato di evitare l’utilizzo di espressioni offensive o sconveniente negli scritti in sede di giudizio e nell’esercizio dell’attività professionale nei confronti dei colleghi, dei terzi, dei magistrati e delle controparti.
A sua difesa l’avvocato precisa che “le espressioni da lui utilizzate avrebbero dovuto essere contestualizzate nell’ambito del procedimento arbitrale, ove egli riferisce di essere stato destinatario di numerose provocazioni della controparte. L’organo disciplinare non avrebbe quindi prestato un’adeguata attenzione alla condotta dell’esponente e del suo avvocato difensore.
Indubbia l’offensività e la sconvenienza delle espressioni utilizzate
Per il Consiglio Nazionale Forense però il ricorso è del infondato e va respinto, compreso il motivo sull’utilizzo delle espressioni offensive e sconvenienti rivolte alla controparte. Per il CNF infatti “non vi è dubbio che le espressioni usate dall’incolpato siano offensive e quantomeno sconvenienti anche nel particolare contesto in cui sono state rese”. Si ha conferma di queste conclusioni in diversi precedenti: sentenza del CNF n. 341 del 29 dicembre 2023, n. 134 del 5 luglio 2023 e n. 280 del 31 dicembre 2023.
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