concorso magistrati

Concorso magistrati: domande entro il 12 maggio Pubblicato sulla GU del 12 aprile, il nuovo concorso, per esami, è destinato a 400 posti di magistrato ordinario

Magistrati: concorso per 400 posti

Pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 30 del 12 aprile 2024 – 4a serie speciale ‘Concorsi ed esami’ – il decreto ministeriale dell’8 aprile 2024 con cui è stato bandito un nuovo concorso, per esami, a 400 posti di magistrato ordinario.

La domanda di partecipazione, da presentarsi entro il 12 maggio 2024, va inviata esclusivamente per via telematica. In particolare, occorre collegarsi al sito www.giustizia.it e autenticarsi – nella sezione dedicata – tramite SPID di secondo livello, Carta di Identità Elettronica oppure Carta Nazionale dei Servizi.

L’indirizzo e-mail indicato dal candidato sarà utilizzato per le notifiche e le successive comunicazioni; la domanda di partecipazione inviata ed il codice identificativo saranno sempre disponibili nell’area riservata del candidato.

Le prove d’esame

Le prove di esame si svolgeranno nelle date, nella sede o nelle sedi di cui al diario contenente la disciplina delle prove scritte che sarà pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 4 giugno 2024.

L’esame consisterà in una prova scritta ed in una orale.

La prova scritta consiste nello svolgimento di tre elaborati teorici vertenti su:

  1. diritto civile;
  2. diritto penale;
  3. diritto amministrativo.

La prova orale invece verterà sulle seguenti materie:

a) diritto civile ed elementi fondamentali di diritto romano;

b) procedura civile;

c) diritto penale;

d) procedura penale;

e) diritto amministrativo, costituzionale e tributario;

f) diritto commerciale e fallimentare;

g) diritto del lavoro e della previdenza sociale;

h) diritto comunitario;

i) diritto internazionale pubblico e privato;

l) elementi di informatica giuridica e di ordinamento giudiziario;

m) colloquio su una lingua straniera scelta fra le seguenti: inglese, francese, spagnolo e tedesco.

Le prove si svolgeranno secondo le procedure previste dall’art. 8 del regio decreto 15 ottobre 1925, n. 1860, e successive modifiche, e dall’art. 3 del decreto legislativo 5 aprile 2006, n. 160, ovvero con modalità telematiche, ai sensi dell’art. 1 comma 2 del decreto legislativo 5 aprile 2006 n. 160.

Allegati

bando cassazionisti

Avvocati cassazionisti: pubblicato il bando 2024 E' stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il bando 2024 per l'iscrizione nell'albo speciale per il patrocinio in Cassazione e nelle altre giurisdizioni superiori

Pubblicato in Gazzetta ufficiale (4a serie speciale ‘Concorsi ed esami’ – n. 29 del 9 aprile 2024) il bando 2024 per l’iscrizione nell’albo dei cassazionisti.
La sessione d’esame per l’iscrizione nell’albo speciale per il patrocinio davanti alla Corte di cassazione e alle altre giurisdizioni superiori è stata indetta con provvedimento del Dipartimento degli Affari di giustizia-Direzione generale degli affari interni. 

Il termine di presentazione delle domande di ammissione scade il 7 giugno 2024, seguendo anche le istruzioni per il pagamento tramite la piattaforma PagoPA allegate al decreto.

Con successivo decreto ministeriale sarà nominata la commissione esaminatrice.

 

Allegati

bandi Cassa Forense

Cassa Forense: approvati 15 bandi assistenziali 2024 L'ente previdenziale degli avvocati ha approvato per l'anno 2024 quindici bandi assistenziali in continuità con le iniziative degli anni precedenti

Approvazione bandi anno 2024

Il Consiglio di Amministrazione di Cassa Forense sulla scorta della ripartizione dei fondi dell’assistenza ha approvato, per l’anno 2024, n. 15 bandi, in continuità con le iniziative degli anni precedenti. Ne dà notizia l’ente previdenziale degli avvocati sul sito istituzionale, ricordando che “con l’entrata in vigore del Nuovo Regolamento dell’Assistenza, dal 1° gennaio 2024, vengono introdotte nuove disposizioni per la partecipazione ai bandi indetti annualmente da Cassa Forense”.

In particolare, per essere ammessi alla graduatoria dei Bandi assistenziali, l’iscritto deve essere in possesso della regolarità dichiarativa e contributiva al momento della presentazione della domanda. L’irregolarità riscontrata alla presentazione della domanda non potrà essere sanata ai fini della partecipazione allo specifico bando.

I requisiti per partecipare

Nello specifico, per essere ammessi alla graduatoria è richiesto di:

  • essere in regola, alla data di presentazione della domanda, con le prescritte comunicazioni reddituali alla Cassa (Modello 5) per l’intero periodo di iscrizione alla Cassa e per i pensionati dall’anno successivo al pensionamento;
  • essere in regola, alla data di presentazione della domanda, con il pagamento dei contributi previdenziali alla Cassa, sia iscritti a ruolo per gli anni successivi al 2000, sia in fase di riscossione diretta, anche se non oggetto di preventivo accertamento;
  • inoltre, l’art. 1 comma 6, del Nuovo Regolamento stabilisce che il richiedente non può beneficiare di più erogazioni relativa ai bandi 2024 per ciascuna tipologia di bandi (professione, salute e famiglia).

I 15 bandi 2024

In attuazione di tale previsione, il CdA ha stabilito la contestuale pubblicazione sul sito di Cassa Forense dei bandi approvati, per fornire una panoramica complessiva delle prestazioni assistenziali.  I periodi di riferimento sono stati individuati in modo progressivo e scaglionato per evitare la sovrapposizione di più domande di partecipazione rientranti nella stessa tipologia di prestazione.

Con riferimento alle due nuove iniziative contenute nei bandi n. 14/2024 e n. 15/2024 dedicati, rispettivamente, all’assegnazione di contributi per favorire l’esercizio della professione da parte di iscritti con disabilità e all’assegnazione di contributi per attrezzare una sala videoconferenze nello studio legale, sono stati previsti uno stanziamento di 400mila e 500mila euro.

Per il bando n. 14/2024 è previsto un contributo pari al 100% della spesa sostenuta al netto di Iva, fino ad un massimo di € 5.000,00, a titolo di rimborso delle spese sostenute dal 1° gennaio 2024 al 16 settembre 2024, per l’acquisizione di tecnologie e strumenti atti a favorire lo svolgimento dell’attività professionale.

Per il bando n. 15/2024 è previsto, invece, un contributo pari al 50% della spesa complessiva, al netto dell’IVA, sostenuta a partire dalla data di pubblicazione del bando e fino al 30 settembre 2024, per la realizzazione, all’interno dello studio legale, di una sala videoconferenze attrezzata.  I contributi partono da un minimo di 300 euro e non possono superare i 1.500 euro.

Cassa Forense

Cassa Forense Cassa Forense: natura e funzioni dell’ente previdenziale e assistenziale degli avvocati e obbligatorietà dell’iscrizione. La contribuzione e le relative sanzioni

Natura giuridica di Cassa Forense e vigilanza ministeriale

La Cassa Forense è l’organismo che ha la funzione di provvedere alla previdenza e all’assistenza degli avvocati iscritti all’albo.

Istituita nel 1952, ha natura di fondazione di diritto privato ed è sottoposta, per espressa previsione dello Statuto (art. 33) alla vigilanza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero dell’economia e delle finanze e del Ministero della giustizia.

Funzioni della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense

Cassa Forense, che ha sede a Roma, gode di autonomia regolamentare e gestionale e, nello specifico, persegue i seguenti scopi istituzionali (art. 2 dello Statuto):

  • assicurare agli avvocati che hanno esercitato la professione con carattere di continuità ed ai loro superstiti un trattamento previdenziale;
  • erogare assistenza a favore degli iscritti e dei loro congiunti, nonché degli altri aventi titolo in base a leggi, regolamenti e Statuto;
  • gestire forme di previdenza integrativa e complementare nell’ambito della normativa vigente.

Obbligatorietà dell’iscrizione a Cassa Forense

Quanto agli iscritti, l’art. 6 dello Statuto di Cassa Forense prevede che siano obbligatoriamente iscritti alla Cassa gli avvocati iscritti in almeno un albo professionale. Possono, inoltre, iscriversi alla Cassa i praticanti iscritti nel relativo registro.

L’obbligatorietà dell’iscrizione degli avvocati alla Cassa è prevista dalla Legge professionale forense (legge n. 247 del 31 dicembre 2012), il cui art. 21 prevede espressamente che “l’iscrizione agli albi comporta la contestuale iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense.”

L’iscrizione alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense cessa d’ufficio nei seguenti casi:

  • cancellazione dell’avvocato da tutti gli albi professionali;
  • cessazione dell’iscrizione del praticante avvocato dal relativo registro;
  • negli altri casi previsti dai regolamenti (anche a domanda dell’interessato).

È importante evidenziare che, per gli iscritti alla cassa, non è ammessa l’iscrizione ad alcuna altra forma di previdenza, se non su base volontaria e comunque non alternativa alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense.

Cassa Forense: il Modello 5 e le sanzioni

Dall’iscrizione alla Cassa discende, per i professionisti forensi, l’obbligo di versare i contributi previsti dai regolamenti vigenti.

In particolare, gli avvocati sono tenuti annualmente al versamento dei contributi minimi obbligatori, che sono dovuti indipendentemente dall’entità del proprio reddito professionale. Tali contributi sono il contributo minimo soggettivo, il contributo integrativo e il contributo di maternità.

Gli avvocati sono inoltre tenuti all’invio, entro il 30 settembre di ogni anno, del cosiddetto Modello 5, una comunicazione telematica obbligatoria con cui il professionista rende noto alla Cassa il reddito netto professionale dichiarato ai fini Irpef ed il volume d’affari dichiarato a fini IVA.

Con il Modello 5, l’avvocato procede, altresì, all’autoliquidazione degli eventuali contributi dovuti, da versarsi in unica soluzione entro il 31 luglio, o in due rate dello stesso importo, entro il 31 luglio ed entro il 31 dicembre di ogni anno. Contestualmente all’invio del Modello 5, il software predisposto da Cassa Forense calcola automaticamente gli eventuali contributi in autoliquidazione dovuti in eccedenza rispetto ai contributi minimi obbligatori.

Gli avvocati iscritti alla Cassa possono, inoltre, versare somme a titolo di contribuzione modulare volontaria, che permettono al professionista di costituire una quota di pensione aggiuntiva a quella di base. La contribuzione modulare volontaria può consistere in un versamento annuale facoltativo, dall’ 1 al 10% del reddito professionale Irpef dichiarato.

Il Regolamento di Cassa Forense prevede, infine, un articolato sistema sanzionatorio, che viene applicato in caso di mancato o ritardato adempimento degli obblighi previdenziali, sia dichiarativi sia contributivi, e che comporta l’applicazione di sanzioni pecuniarie e disciplinari.

avvocati monocommittenti

Avvocati monocommittenti Gli avvocati monocommittenti svolgono la propria attività esclusivamente in favore di un unico soggetto: il dibattito sulla compatibilità con la legge professionale

La monocommittenza nella professione forense

Il tema dell’attività lavorativa svolta dagli avvocati monocommittenti è, in questi mesi, al centro del dibattito giuridico e politico, poiché è sempre più avvertita l’urgenza di offrire un adeguato inquadramento normativo a tale figura.

Attualmente, infatti, da un lato si considera l’attività dell’avvocato monocommittente – cioè, il professionista forense che fornisce la totalità delle sue prestazioni ad unico soggetto – come non rispettosa dei principi deontologici di libertà, autonomia e indipendenza.

Dall’altro, tali avvocati, che di solito instaurano questo genere di rapporto nell’ambito di uno studio legale strutturato, sono sprovvisti delle tutele garantite dall’ordinamento ai lavoratori subordinati, pur esercitando un tipo di attività per molti versi simile a quella svolta da questi ultimi.

Le proposte di legge sulla monocommittenza degli avvocati

Sono ormai diversi anni che la formalizzazione della figura degli avvocati monocommittenti è all’ordine del giorno sull’agenda politico-legislativa, senza, però, che finora si sia raggiunto un risultato concreto.

È un fatto assodato, però, che sia gli enti esponenziali degli interessi del ceto forense, sia la classe politica si siano ormai resi conto che la regolarizzazione di tale modalità di svolgimento dell’attività forense rappresenta un’urgenza improcrastinabile.

Sul tavolo, infatti, c’è innanzitutto la necessità di fornire le indispensabili tutele normative a questa categoria di lavoratori che si stima superi ormai le 20.000 unità all’interno del nostro territorio nazionale.

Tale dato è ricavato dalle dichiarazioni dei redditi ricevute da Cassa Forense, dalla cui analisi si evince che una percentuale tra il 5 e il 10% di chi esercita la professione di avvocato in Italia ha dichiarato di percepire la totalità o la quasi totalità del proprio reddito dall’avvocato titolare dello studio presso cui operano.

Avvocati monocommittenti: l’esigenza di tutele lavorative

Uno dei nodi principali della questione è rappresentato dal divieto di svolgere lavoro subordinato imposto dalla normativa sulla disciplina dell’ordinamento forense, a tutela dell’indipendenza dell’avvocato (cfr. art. 2 della l. n. 247 del 2012).

Già nel 2020, una proposta di legge si proponeva di offrire una soluzione alla questione in oggetto, prevedendo che all’avvocato monocommittente fosse riconosciuto un compenso congruo e proporzionato da corrispondersi periodicamente, a fronte di un’attività non considerabile come subordinata, ma comunque contrattualmente disciplinata nei suoi aspetti principali, a cominciare dall’indicazione della durata del rapporto. La proposta  prevedeva, inoltre, specifiche disposizioni in tema di contributi previdenziali a carico, almeno parzialmente, del titolare dello studio e di tutele del lavoratore in caso di gravidanza e infortuni.

L’abolizione del divieto di svolgimento di lavoro subordinato da parte dell’avvocato presso uno studio di un diverso professionista è stata al centro anche della proposta di legge n. 735 nel 2022.

Il Ministro Nordio sulla monocommittenza forense

Il tema è stato poi ripreso ancor più di recente, ed anche Cassa Forense ha rappresentato l’urgenza della questione, sollecitando il Parlamento sull’esigenza di una disciplina in tema di monocommittenza in ambito forense.

Da ultimo, sul tema si è registrata l’apertura da parte del Ministro della Giustizia, Carlo Nordio, il quale ha riconosciuto che “si avverte la necessità di regolamentare la monocommittenza”, pur nel pieno rispetto dei principi di libertà, autonomia e indipendenza che devono caratterizzare la figura dell’avvocato nello svolgimento della sua attività.

Sulla stessa linea si è espresso il Consiglio Nazionale Forense, evidenziando che la regolamentazione dell’attività degli avvocati monocommittenti deve inserirsi in una riscrittura generale della legge professionale che riguardi ogni forma di aggregazione professionale come le società tra avvocati.

polizza sanitaria avvocati

Polizza sanitaria avvocati La polizza di tutela sanitaria è automatica e gratuita per tutti gli avvocati, praticanti e pensionati iscritti a Cassa Forense. Per il 2024, la copertura è stata prorogata fino al 30 settembre

Polizza tutela sanitaria: cos’è

Lapolizza-sanitaria collettiva base è una copertura automatica e gratuita per tutti gli avvocati, praticanti e pensionati iscritti a Cassa Forense in regola con le dichiarazioni reddituali.

La polizza può essere estesa, con onere a carico dell’iscritto (o del pensionato cancellato dall’albo o dei superstiti di avvocato), a tutti i familiari conviventi, con limite di età fissato a 80 anni, previo pagamento di un premio procapite per il semestre di copertura sulla base delle seguenti fasce di età:

• € 99,50 fino a 40 anni di età;
• € 174,13 da 41 anni di età a 60 anni di età;
• € 248,75 da 61 anni di età a 70 anni di età;
• € 298,50 da 71 anni di età a 80 anni di età.

Cosa copre la polizza

La garanzia assicurativa, oltre a coprire i “grandi interventi chirurgici” e “gravi eventi morbosi” indicati negli allegati A e B delle condizioni di polizza, opera altresì per la c.d. “garanzia per malattia oncologica”.

Sono, inoltre, inclusi un check-up annuale con esami ed accertamenti, quattro prestazioni di alta diagnostica e l’indennità di convalescenza.

E’ contemplata, anche, in alternativa al pagamento diretto o al rimborso delle spese relative al ricovero, l’indennità sostitutiva, che varia da € 80,00 ad € 105,00 al giorno a seconda della prestazione effettuata.

Piano Sanitario Integrativo

Ogni iscritto, pensionato non iscritto e superstite di avvocato (titolare di pensione di reversibilità o indiretta) che abbia aderito al piano base, ha facoltà di aderire (per il 2024, fino al 30 settembre) ad un Piano sanitario integrativo per sé e per il proprio nucleo familiare, con limite di età fissato a 80 anni.

Tale garanzia assicurativa opera, decorsi i relativi termini di aspettativa, per le prestazioni sanitarie non coperte dalla polizza sanitaria base e, in particolare, per:

  • ricovero, con o senza intervento, in istituto di cura reso necessario anche da parto;
  • ricovero in regime di day-hospital;
  • intervento chirurgico ambulatoriale;
  • prestazioni di alta diagnostica;
  • visite specialistiche e accertamenti diagnostici.

L’importo del premio per la sottoscrizione della Polizza sanitaria Integrativa varia in base alle fasce d’età.

Proroga della polizza sanitaria fino al 30.9.2024

Cassa Forense ha comunicato, in data 22 marzo 2024, la proroga della copertura della polizza di tutela sanitaria sottoscritta con le Compagnie Assicuratrici Unisalute, Reale Mutua e Poste Assicura, in scadenza al 31/3/2024, fino al 30/9/2024.

Tenuto conto della durata semestrale della proroga, sia i premi che i massimali di copertura sono ridotti al 50%, mentre sono rimaste invariate tutte le prestazioni previste.

sanzioni disciplinari magistrati

Condanna penale magistrato: no alla rimozione automatica Per la Corte Costituzionale è illegittima la previsione dell'automatica rimozione dalla magistratura del magistrato condannato a pena detentiva

Sanzioni disciplinari magistrati

È costituzionalmente illegittima la previsione dell’automatica rimozione dalla magistratura in caso di condanna del magistrato a una pena detentiva non sospesa. Lo ha deciso la Corte costituzionale con la sentenza n. 51-2024, con la quale è stata accolta una questione sollevata dalle Sezioni unite della Corte di
cassazione.

La vicenda

Nel caso oggetto del procedimento principale, si legge nel comunicato stampa ufficiale, un magistrato era stato condannato, con sentenza passata in giudicato, alla pena non sospesa della reclusione di due anni e quattro mesi per avere apposto – con il consenso della presidente del collegio di cui era componente – la firma apocrifa della presidente stessa in tre provvedimenti giurisdizionali.
In applicazione della norma ora dichiarata incostituzionale, il Consiglio superiore della magistratura aveva quindi applicato al magistrato la sanzione disciplinare della rimozione, e l’interessato aveva promosso ricorso per cassazione contro il provvedimento.

Condanna penale e sanzione espulsione

La Corte costituzionale ha rammentato che, secondo la propria costante giurisprudenza, la condanna penale di un funzionario pubblico o di un professionista non può, da sola, determinare la sua automatica espulsione dal servizio o dall’albo professionale. “Sanzioni disciplinari fisse, come la rimozione, sono anzi indiziate di illegittimità costituzionale; e in ogni caso deve essere salvaguardata la centralità della valutazione dell’organo disciplinare nell’irrogazione della sanzione che gli compete” ha aggiunto la Corte.
La norma dichiarata incostituzionale, invece, ricollegava la sola sanzione della rimozione alla condanna per qualsiasi reato, purché la pena inflitta dal giudice penale superasse una certa soglia quantitativa, finendo così per spogliare il CSM di ogni margine di apprezzamento sulla sanzione da applicare nel caso
concreto.
Nel caso che ha dato luogo al giudizio, in effetti, il giudice penale aveva irrogato una severa pena detentiva non sospesa senza poter considerare gli effetti che tale pena avrebbe necessariamente prodotto nel successivo giudizio disciplinare. In conseguenza poi dell’automatismo creato dalla norma, neppure nel giudizio disciplinare era stato possibile vagliare “la proporzionalità di una tale sanzione rispetto al reato da questi commesso, dal peculiare angolo visuale della eventuale inidoneità del magistrato a continuare a svolgere le proprie funzioni”. E ciò pur “a fronte dell’entità delle ripercussioni che l’espulsione definitiva dall’ordine giudiziario è suscettibile di produrre sui diritti fondamentali, e
sull’esistenza stessa, della persona interessata”.
D’altra parte, ha proseguito la Consulta, “non può in assoluto escludersi che un fatto di reato per il quale il giudice penale abbia inflitto una pena detentiva non sospesa possa essere ritenuto, sia pure in casi verosimilmente rari, meritevole di sanzioni disciplinari meno drastiche della rimozione. E ciò (…) anche in considerazione del fatto che la mancata concessione della sospensione condizionale non deriva necessariamente da una prognosi circa la possibile commissione di nuovi reati da parte del condannato (…); ma può semplicemente discendere – come nel caso oggetto del giudizio a quo – dal superamento del limite di due anni di reclusione, entro il quale il beneficio può essere concesso. Ipotesi, quest’ultima, nella quale il condannato per cui non sussista pericolo di reiterazione del reato può, in molti casi, essere ammesso ad espiare la propria pena in regime di affidamento in prova al servizio sociale”, continuando così a svolgere la propria ordinaria attività lavorativa.

Discrezionalità CSM

Infine, ha precisato il giudice delle leggi che – per effetto della sentenza – il CSM potrà ora determinare discrezionalmente la sanzione da applicare al magistrato, potendo naturalmente optare ancora per la rimozione, “laddove ritenga che il delitto per cui è stata pronunciata condanna sia effettivamente indicativo della radicale inidoneità del magistrato incolpato a continuare a svolgere le funzioni medesime”.

Allegati

bando prestiti giovani avvocati

Giovani avvocati: prestiti agevolati Cassa Forense ha pubblicato il bando 2024 per la concessione di prestiti agli avvocati under35

Bando prestiti giovani avvocati

Prestiti fino a 15mila euro con rimborsabilità fino a 5 anni e abbattimento degli interessi al 100% . E’ quanto prevede il bando 2024 per prestiti agevolati per gli avvocati under35 iscritti a Cassa Forense.

L’obiettivo è quello di “facilitare l’accesso dei giovani avvocati al mercato del credito, al fine di far fronte alle spese di avviamento dello studio professionale nei primi anni di esercizio dell’attività”.

Beneficiari

Possono beneficiare dell’iniziativa gli iscritti alla Cassa, esclusi i praticanti, che non abbiano compiuto il 35° anno di età alla data di presentazione della domanda e che non abbiano in corso un altro prestito riguardante precedenti analoghi bandi della Cassa Forense.

Inoltre, ai fini dell’ammissione al bando il richiedente deve essere in regola con le prescritte comunicazioni reddituali alla Cassa (modelli 5) e con il pagamento dei contributi previdenziali nei confronti dell’Ente, con possibilità di presentare all’atto della domanda richiesta di regolarizzazione spontanea o di aderire ad accertamenti già avviati dalla Cassa.

Il reddito infine non deve essere superiore a 40mila euro.

Come fare domanda

La richiesta di prestito deve essere inviata entro il 31/10/2024, a pena di inammissibilità, alla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza Forense esclusivamente tramite l’apposita procedura online attivata sul sito dell’ente. Non sono ammesse domande presentate con modalità e/o canali diversi.

recupero compensi avvocato ufficio

All’avvocato d’ufficio spettano anche le spese per il recupero dei compensi La Cassazione conferma che il difensore d’ufficio ha diritto anche al rimborso delle spese, diritti e onorari delle procedure di recupero del proprio credito, ivi compresa la fase di opposizione a decreto ingiuntivo

Recupero compensi avvocato ufficio

Il difensore d’ufficio ha diritto, in sede di esperimento della procedura di liquidazione dei propri compensi professionali, anche al rimborso delle spese, dei diritti e degli onorari relativi alle procedure di recupero del credito non andate a buon fine, compresi compensi e spese per la fase di opposizione al decreto ingiuntivo. Lo ha statuito la seconda sezione civile della Cassazione con l’ordinanza n. 5041-2024.

La vicenda

Nella vicenda, il presidente del tribunale di Piacenza rigettava l’opposizione proposta ex art. 170 d.P.R. 115/2002 dall’avvocato al decreto di liquidazione emesso a suo favore dal Gip per l’attività svolta quale difensore d’ufficio di un imputato, lamentando il mancato riconoscimento delle spese sostenute per difendersi nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.

L’ordinanza evidenziava che il diritto al rimborso dei compensi relativi alla procedura esecutiva inutilmente esperita volta alla riscossione dell’onorario comprendeva i costi relativi al solo procedimento monitorio ai sensi degli artt. 82 e 116 d.P.R. 115/2002, senza riferimento alla successiva ed eventuale fase di opposizione.

Rilevava, inoltre, che il ricorrente non chiedeva la liquidazione degli onorari come liquidati dalla sentenza del giudice di pace che aveva rigettato l’opposizione, ma gli onorari che il ricorrente aveva versato al difensore di fiducia nominato nell’opposizione. Trattandosi, dunque, di “una scelta personale del ricorrente, che ben avrebbe potuto difendersi in proprio, con la conseguenza che li compenso versato al difensore non poteva farsi rientrare nei costi del procedimento monitorio quale passaggio obbligato per provare il requisito di cui all’art. 116 d.P.R. 115/2002”.

Il ricorso

Il legale proponeva ricorso per Cassazione, evidenziando il consolidato orientamento della Suprema Corte secondo il quale il “difensore d’ufficio ha diritto a vedersi liquidato non solo il compenso relativo all’attività svolta quale difensore d’ufficio nel procedimento penale della persona risultata successivamente insolvente, ma anche le spese sostenute per il tentativo di recupero del credito professionale”.

La decisione

Per gli Ermellini, il professionista ha ragione.

“E’ consolidato l’indirizzo di cui sono espressione già Cass. n. 24104/2011 e Cass. n. 27854/201 – ricordano infatti – le quali, recependo i principi maggioritari nella giurisprudenza delle sezioni penali della Cassazione, hanno statuito nel senso che li difensore d’ufficio di un imputato in un processo penale ha diritto, in sede di esperimento della procedura di liquidazione dei propri compensi professionali, anche al rimborso delle spese, dei diritti e degli onorari relativi alle procedure di recupero del credito non andate a buon fine”.

Tale principio, aggiungono dal Palazzaccio, “risulta del tutto coerente con la lettera dell’art. 116 d.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e con la sua stessa ratio, perché l’estensione della liquidazione anche ai compensi e agli esborsi resisi necessari per la procedura esecutiva, ancorché rimasta infruttuosa, si giustifica per riferirsi strumentalmente e funzionalmente a una precedente attività professionale comunque resa anche nell’interesse dello Stato; quindi, risulterebbe iniquo accollare al professionista l’onere delle spese occorrenti per il recupero dei compensi professionali dovuti e riconosciuti all’avvocato (cfr. Cass. n. 40073/2021).

Le medesime ragioni che impongono di riconoscere al difensore d’ufficio i compensi e le spese riferite al decreto ingiuntivo chiesto nei confronti del soggetto a cui favore ha prestato l’attività difensiva, in quanto importi necessari a procurarsi il titolo esecutivo da azionare, “impongono – dunque – di riconoscere al difensore anche i compensi e le spese della fase di opposizione al decreto ingiuntivo eventualmente instaurato dal debitore ingiunto”.

Né può giustificare la negazione del compenso e delle spese, concludono dalla S.C., “il fatto che l’avvocato avesse nominato un difensore mentre avrebbe potuto difendersi in proprio, in quanto anche in tale secondo caso egli avrebbe avuto diritto ai compensi stabiliti per la prestazione resa”.

Da qui l’accoglimento del ricorso con rinvio al Tribunale di Piacenza in persona di diverso magistrato, li quale deciderà facendo applicazione dei principi esposti.

Allegati

monte orario tariffe avvocato

Avvocato: senza accordo sul monte orario si ricorre alle tariffe La mancata dimostrazione del monte orario per lo svolgimento dell’incarico professionale non impedisce al giudice di ricorrere alle tariffe per la determinazione del compenso

Monte orario in mancanza di patto

Il contenzioso sul quale la Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi, con ordinanza n. 3492-2024, ha avuto ad oggetto, in mancanza di un accordo sul del monte orario, la determinazione del compenso professionale spettante ad un’associazione di avvocati nei confronti dell’attività dalla stessa svolta in favore del proprio cliente.

Avverso la decisione adottata dalla Corte di Appello di Milano, con cui l’associazione di professionisti era stata condannata alla restituzione di quanto versato dal proprio cliente, la parte soccombente aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di cassazione, contestando il fatto che i giudici del merito avessero ritenuto, rispetto al caso di specie, di non poter dare applicazione alle tariffe professionali ai fini della quantificazione del compenso.

Sul punto, la ricorrente ha in particolare affermato che il giudice è “tenuto a determinare il compenso con criterio equitativo, indipendentemente dalla specifica richiesta del professionista e dalla carenza delle risultanze processuali sul quantum”.

Criterio pattizio: mero criterio di quantificazione del compenso

La Suprema Corte, con la sopracitata sentenza, ha accolto il ricorso proposto dall’associazione, ritenendolo fondato.

La Corte ha motivato la propria decisione facendo riferimento alla recente giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto, secondo cui, in tema di compensi professionali, la norma architrave, data dall’art. 2233 cod. civ “a tenore della quale il compenso dovuto per la prestazione d’opera intellettuale, se non è convenuto dalle parti e se non può essere stabilito secondo le tariffe o gli usi, è determinato dal giudice, sentito il parere dell’associazione professionale a cui il professionista appartiene, pone una gerarchia di carattere preferenziale tra i vari criteri di determinazione del compenso”. Medesimi criteri valgono per il caso in cui il professionista svolga attività stragiudiziale.

Sulla scorta di quanto sopra riferito, ha evidenziato la Corte “la mancata dimostrazione del monte orario occorso per lo svolgimento dell’incarico impedisce esclusivamente l’applicazione del parametro pattizio, il quale costituisce mero criterio di quantificazione del compenso non incidente sull’an del credito, ma non inibisce al giudice il potere di ricorrere al criterio residuale delle tariffe”.

Ne consegue, a giudizio della Suprema Corte, che i giudici del merito hanno errato nel ritenere che il compenso del professionista potesse essere quantificato esclusivamente facendo ricorso alle tariffe orarie, omettendo di liquidare gli onorari spettanti in ragione della mancata dimostrazione di tale presupposto.

Sulla scorta di tali argomentazioni, il Giudice di legittimità ha pertanto ritenuto fondato il motivo posto a fondamento del ricorso e ha cassato la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Milano.

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