notaio non versa le tasse

Notaio non versa le tasse: rispondono anche le parti Se il notaio non versa le tasse della compravendita immobiliare perché si appropria del denaro, i contraenti restano comunque responsabili 

Pagamento tasse rogito: responsabilità contraenti

In relazione a un atto di compravendita immobiliare se il notaio non versa le tasse previste perché se ne appropria, i contraenti restano responsabili. La registrazione telematica degli atti effettuata dal notaio non lo rende soggetto unico responsabile del versamento delle imposte previste. Lo ha ribadito la Cassazione nell’ordinanza n. 26800/2024.

L’Agenzia chiede i soldi alla contraente

Una s.r.l a socio unico presenta ricorso per Cassazione contro una sentenza della Commissione tributaria regionale del Lazio, che ha respinto l’appello della società, confermando la decisione di rigetto dell’impugnazione contro l’avviso di liquidazione emesso dall’Agenzia delle Entrate. Quest’ultima ha infatti richiesto il pagamento dell’imposta di registro, ipotecaria e catastale in relazione a un atto di compravendita immobiliare. La s.r.l però sostiene di aver già versato l’intero importo al notaio incaricato, che però si è appropriato indebitamente delle somme senza trasferirle all’erario.

Notaio non versa le tasse: unico responsabile?

Nell’unico motivo di ricorso che la s.r.l presenta in Cassazione lamenta la violazione dell’art. 57 del d.P.R. n. 131 del 1986, in combinato disposto con l’art. 3-bis del d.lgs. n. 463 del 1987 e degli artt. 3 e 53 della Costituzione italiana.

Per la società  il giudice d’appello ha erroneamente attribuito una responsabilità solidale alla contribuente, nonostante il comportamento illecito del notaio, che ha trattenuto indebitamente le somme destinate al pagamento delle imposte. La società sostiene inoltre che, con l’introduzione della registrazione telematica degli atti immobiliari, il notaio diventa l’unico responsabile del versamento dell’imposta, poiché le parti contraenti forniscono la provvista necessaria al notaio stesso. La consegna delle somme al notaio dovrebbe quindi liberare il contribuente dall’obbligo tributario, ai sensi dell’art. 1188 del codice civile.

Il contribuente rischia di pagare due volte

La società evidenzia inoltre una presunta disparità di trattamento. Il contribuente, infatti, rischia di dover pagare nuovamente l’imposta in caso di appropriazione indebita da parte del notaio. Quest’ultimo invece beneficia di garanzie sia preventive (deposito delle somme prima del rogito) sia successive (privilegio speciale sugli immobili).

La stessa infine rileva come l’applicazione dell’art. 57 del d.P.R. n. 131 del 1986 rappresenterebbe una violazione dell’art. 53 della Costituzione, imponendo un onere economico al contribuente senza una sua colpevolezza manifesta e senza espressione di capacità contributiva.

Notaio solidalmente responsabile

La Corte di Cassazione rigetta il ricorso della società confermando che, anche quando si utilizza la registrazione telematica dell’atto tramite il modello unico informatico (M.U.I.), il notaio rimane solidalmente responsabile per il pagamento delle imposte.

Questa modalità di registrazione non modifica però la responsabilità solidale prevista dall’art. 57 del d.P.R. n. 131 del 1986, che coinvolge le parti contraenti dell’atto.

La responsabilità del notaio è una garanzia per l’amministrazione finanziaria, ma non esclude che il presupposto impositivo riguardi le parti contraenti. Il fatto che il notaio possa appropriarsi indebitamente delle somme non altera il vincolo di solidarietà tra le parti, che resta intatto in base alla normativa vigente. Pertanto, il contribuente è comunque tenuto al pagamento, poiché il rapporto fiduciario tra le parti e il notaio non influisce sulla responsabilità fiscale solidale.

Sulla questione di legittimità costituzionale sollevata dalla ricorrente, la Cassazione precisa infine che l’art. 57 del d.P.R. n. 131 del 1986 non viola i principi di uguaglianza (art. 3 Costituzione) e di capacità contributiva (art. 53 Costituzione). Il notaio, nel ricevere le somme, agisce in virtù di un rapporto fiduciario e non come esattore dello Stato. Eventuali illeciti del notaio non possono essere imputati alla normativa sulla solidarietà fiscale, che resta valida.

 

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contribuzione modulare volontaria avvocati

Contribuzione modulare volontaria avvocati La contribuzione modulare volontaria consente agli avvocati di accantonare importi annuali che andranno ad aumentare l’importo della pensione

Contribuzione modulare volontaria: cos’è

La contribuzione modulare volontaria è un tipo di contribuzione che permette di aumentare l’importo finale della pensione. L’avvocato iscritto alla Cassa Forense o titolare di pensione di invalidità, attraverso il versamento di un importo accessorio e volontario appunto, accantona annualmente un montante, che andrà ad integrare  l’importo della pensione. Il versamento volontario consiste in una percentuale variabile dall’1% al 10% del reddito IRPEF dichiarato dall’avvocato.

Riferimento normativo

La contribuzione modulare volontaria è prevista e disciplinata dall’art. 20 del Regolamento Unico della Previdenza Forense, deliberato nel 2018 e approvato nel 2020. La norma, intitolata “Contributo soggettivo modulare volontario” prevede infatti che gli iscritti alla Cassa Forense (e i pensionati di invalidità), possano versare in via del tutto volontaria ed eventuale una contribuzione ulteriore dall’1% fino al 10% del reddito professionale netto dichiarato ai fini IRPEF, fino al tetto reddituale contemplato dall’art. 17 comma 1 lettera a) del regolamento. L’importo così accantonato, si va a sommare al montante individuale nominale sul quale si calcola la quota modulare del trattamento pensionistico.

Versamento tardivo inammissibile

L’avvocato interessato deve esprimere la volontà di procedere al versamento del contributo modulare volontario soggettivo nel momento in cui procede alla compilazione del Modello 5, indicando nello specifico quale percentuale di reddito intende versare e a tale titolo.

La percentuale, una volta indicata, potrà essere aumentata o diminuita per una sola volta prima che venga generato il bollettino necessario al pagamento dei contributi previdenziali (con scadenza al 31 dicembre).  Il pagamento tardivo delle somme non è ammesso, le somme non verranno infatti accettate, con conseguente restituzione all’iscritto.

Vantaggi fiscali e pensionistici

Il versamento della quota modulare volontaria offre il doppio vantaggio di essere interamente deducibile: da un lato riduce l’impatto fiscale per l’iscritto, dall’altro aumenta la contribuzione previdenziale individuale.

Grazie alla quota modulare, è possibile beneficiare di una deducibilità superiore a quella delle polizze assicurative. Inoltre, questa adesione non preclude la possibilità di sottoscrivere anche una pensione complementare, permettendo di sfruttare pienamente gli ulteriori benefici fiscali previsti.

Oltre ai vantaggi fiscali, aderire alla modulare è conveniente anche in ottica previdenziale: le somme versate si convertiranno in una quota aggiuntiva di pensione, incrementando così l’importo finale al momento del pensionamento.

Le novità da gennaio 2025

Dal 2025, il sistema pensionistico degli avvocati applicherà il sistema di calcolo contributivo. Questa però non è la sola novità prevista dalla riforma.

L’aliquota massima per il contributo modulare volontario passa infatti dal 10% al 20%, mantenendo invariato il contributo minimo dell’1%. Questa modifica rende l’istituto più vantaggioso, in particolare per i redditi medio-alti, migliorando sia la deducibilità fiscale che i benefici pensionistici futuri.

Contestualmente, il tetto pensionabile aumenta da 121.900 euro nel 2024 a 130.000 euro nel 2025, ampliando ulteriormente le possibilità di utilizzo dell’istituto.

Un’altra novità significativa riguarda la maggiore flessibilità nella scelta del contributo. Fino al 2024, l’opzione per il contributo modulare era irreversibile (per l’anno in corso) e doveva essere effettuata con il modello 5. Dal 2025, invece, gli iscritti potranno modificare l’opzione, aumentandola o riducendola, entro lo stesso anno solare, attraverso una procedura online predisposta dalla Cassa.

Infine, essendo aliquote volontarie, la mancata contribuzione (da versare in un’unica soluzione entro il 31 dicembre) non comporta sanzioni.

Queste novità introducono maggiore flessibilità e convenienza, rendendo il contributo modulare uno strumento più accessibile e utile per gli iscritti, che potranno ottimizzare i benefici anno per anno.

 

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avvocati monocommittenti

Avvocati monocommittenti: la posizione dell’Aiga I giovani avvocati chiedono l'intervento del legislatore sul fenomeno degli avvocati monocommittenti dopo la sentenza della Corte di Cassazione

Avvocati monocommittenti in legge professionale

“Alla luce della Sentenza n. 28274/2024 pronunciata dalla Cassazione Civile, Sez. Lavoro, con la quale viene confermata la natura autonoma del rapporto degli avvocati monocommittenti, AIGA torna a chiedere con forza un intervento legislativo”. E’ questa la richiesta dei giovani avvocati dopo la pronuncia della Suprema Corte in materia.

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Avvocato “collaboratore”

“Il fenomeno dell’avvocato “collaboratore” in regime di monocommittenza, che investe soprattutto la giovane avvocatura, rende necessaria l’individuazione di criteri affinché, da un lato, non venga intaccata la natura libero professionale dell’avvocato, ben distinta da quella del lavoratore subordinato. Dall’altro si evitino storture tali da esporre ad un eccesso di incertezze l’avvocato monocommittente, al quale spesso vengono richiesti impegni stringenti verso lo studio presso cui opera, con un elevato carico di lavoro” afferma in una nota istituzionale, il presidente dell’Associazione Italiana Giovani Avvocati, Carlo Foglieni.

Le proposte avanzate al Congresso Nazionale Forense

“Durante il Congresso Nazionale Forense dello scorso dicembre, AIGA ha avanzato una serie di proposte, tutte approvate dall’Assise, che permetterebbe di disciplinare al meglio questa emergenza” prosegue l’Aiga.

Tra queste si ricordano: l’obbligo della forma scritta del contratto di prestazione d’opera intellettuale, un “compenso minimo inderogabile”, oltre ad una serie di garanzie e diritti a favore dei colleghi monocommittenti. Ad esempio, rimborso spese per la formazione, conseguimento del titolo di specialista e per la polizza RC professionale; obbligo di preavviso per l’esercizio di recesso e previsione di un’indennità sostitutiva del preavviso; divieto di recesso in caso di gravidanza, adozione, malattia o infortunio.

Le richieste dell’AIGA

Da qui la richiesta dei giovani avvocati affinchè “queste proposte tornino sul tavolo del Consiglio Nazionale Forense per essere inserite nella Legge professionale di prossima attuazione”. Solo così, conclude l’Aiga, “si potranno finalmente dare le adeguate garanzie e lo sperato riconoscimento ad una categoria di professionisti collaboratori, sinora di fatto priva di tutela alcuna”. 

avvocati sempre autonomi

Avvocati sempre autonomi Avvocati sempre lavoratori autonomi anche se operano all’interno di studi associati con vincoli orari e regole di organizzazione e coordinamento

Prestazioni avvocato studio associato: natura autonoma

Avvocati sempre autonomi, anche se operano in via esclusiva all’interno di uno studio associato e seguono le regole necessarie a coordinare e organizzare il lavoro di tutti. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 28274/2024.

Natura subordinata prestazioni avvocato

Una avvocata agisce in giudizio per ottenere il riconoscimento della natura subordinata del proprio lavoro, svolto all’interno di uno studio legale associato, con tutte le conseguenze di legge. I giudici di primo e di secondo grado giungono alla medesima conclusione. Il rapporto di lavoro nell’ambito di una prestazioni a contenuto professionale, ha natura autonoma.

Avvocati lavoratori autonomi?

La legale impugna la decisione in sede di Cassazione. Per la ricorrente la Corte d’appello ha negato la natura di lavoro subordinato sulla base di due elementi. Il primo è l’assenza di soggezione della ricorrente a un potere di conformazione esercitato dal socio di riferimento dello Studio associato, in relazione al merito contenutistico della sue prestazioni professionali. Il secondo è la sussistenza di un ambito di autoregolazione dell’orario di lavoro e delle assenze per le vacanze. Per la ricorrente la Corte ha trascurato il potere di direzione e quello conformativo del contenuto dell’attività intellettuale richiesta.

Studi associati: avvocati lavoratori autonomi

Nel rigettare il ricorso la Corte di Cassazione precisa che la questione giuridica da risolvere riguarda la qualificazione autonoma o subordinata dell’attività professionale svolta dalla professionista in uno Studio associato. Trattasi nello specifico di uno Studio di grandi dimensioni in cui operano avvocati associati e non associati, come la ricorrente.

Gli Ermellini ricordano di essersi già occupati in diverse occasioni di questa tematica e di aver  chiarito che: la sussistenza o meno della subordinazione deve essere verificata in relazione alla intensità della etero- organizzazione della prestazione, al fine di stabilire se l’organizzazione sia limitata al coordinamento dell’attività del professionista con quella dello studio, oppure ecceda le esigenze di coordinamento per dipendere direttamente e continuativamente dall’interesse dello stesso studio, responsabile nei confronti dei clienti di prestazioni assunte come proprie e non della sola assicurazione di prestazioni altrui”. 

Orari ed esclusiva non rendono subordinato il rapporto

In diverse pronunce gli Ermellini hanno chiarito che le prestazioni professionali che vengono svolte dall’avvocato, per loro natura, non richiedono l’esercizio di un potere gerarchico, che si manifesti in ordini specifici e tipici del potere disciplinare.

La fissazione di un orario di lavoro ed eventuali controlli sull’operato non sono sintomatici del vincolo della subordinazione, se non si traducono nell’espressione del potere conformativo sul contenuto della prestazione da parte del datore.

La Corte di merito ha rilevato correttamente, dopo un’approfondita indagine sulle modalità di svolgimento del lavoro, che la ricorrente ha svolto l’attività di avvocato in modo libero, autonomo e del tutto indipendente, pur in presenza di regole necessarie a coordinare la sua attività con quella dello Studio. Essa ha rilevato inoltre che lo studio in cui la ricorrente era inserita è un’associazione professionale composta da 50 avvocati, 296 professionisti iscritti a vari albi e 95 dipendenti a supporto. L’autorità di secondo grado ha esaminato il regolamento interno e i documenti che disciplinano i vari aspetti dello studio e ha rilevato che i poteri decisionali non sono di spettanza esclusiva dei soci.

Agevolazioni e prerogative in cambio di limitazioni

All’intero di questo Studio il singolo avvocato, in cambio di qualche limitazione, beneficia di agevolazioni e prerogative. Le regole organizzative sono previste solo per gestire la complessità collegata al numero dei professionisti e al tipo di clientela.

Per quanto riguarda le ferie, i singoli professionisti si limitano a segnalare le singole esigenze per consentire a tutti di godere di un periodo di riposo senza lasciare scoperto lo studio. Anche il fisso mensile non è idoneo a inquadrare il rapporto come subordinato. Ogni avvocato infatti partecipa anche al ricavato delle pratiche che procura, tipico aspetto della libera professionale.

L’obbligo di esclusiva infine è previsto solo per evitare conflitti di interesse che potrebbero insorgere se a ogni professionista fosse consentita la gestione di una clientela propria.

 

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faccia di bronzo alla controparte

“Faccia di bronzo” alla controparte: avvocato sanzionato “Faccia di bronzo” alla controparte in un procedimento arbitrale: commette un illecito disciplinare l’avvocato che usa questa espressione

Condotta sanzionabile dell’avvocato

Viola l’articolo 52 del Codice di deontologia Forense l’avvocato che apostrofa una controparte con il termine “faccia di bronzo”. L’espressione risulta offensiva e irrispettosa della personalità altrui. Lo ha ribadito il Consiglio nazionale Forense nella sentenza n. 220/2024.

Censura per l’avvocato che dà della “faccia di bronzo”

Un soggetto agisce in sede disciplinare nei confronti di un avvocato. Nel primo esposto il denunciante accusa l’avvocato di avere promosso un procedimento finalizzato a fare ottenere alla figlia l’intestazione di alcune quote di immobili di sua proprietà. All’interno del secondo esposto invece si duole della mancata restituzione dei documenti relativi alle pratiche nelle quali il legale lo aveva assistito.

Nel corso del giudizio disciplinare emerge anche la responsabilità dell’avvocato per aver apostrofato il suo ex assistito, controparte nel procedimento contro la figlia, con il termine “faccia di bronzo”. Per il Consiglio Distrettuale di Disciplina il linguaggio utilizzato dal legale è “censurabile. Lo stesso risulta infatti irrispettoso del decoro inteso in senso oggettivo e dell’altrui personalità. In ogni caso esso eccede in maniera manifesta i limiti della convenienza. Concluso il procedimento disciplinare il CDD sanziona quindi l’avvocato con la sanzione della censura.

Dare della “faccia di bronzo” non è un illecito

L’avvocato impugna la decisione di fronte al CNF. Nel ricorso contesta i vari capi di incolpazione tra i quali la violazione dell’art. 52 del Codice deontologico. Questa norma impone in particolare all’avvocato di evitare l’utilizzo di espressioni offensive o sconveniente negli scritti in sede di giudizio e nell’esercizio dell’attività professionale nei confronti dei colleghi, dei terzi, dei magistrati e delle controparti.

A sua difesa l’avvocato precisa che “le espressioni da lui utilizzate avrebbero dovuto essere contestualizzate nell’ambito del procedimento arbitrale, ove egli riferisce di essere stato destinatario di numerose provocazioni della controparte. L’organo disciplinare non avrebbe quindi prestato un’adeguata attenzione alla condotta dell’esponente e del suo avvocato difensore.

Indubbia l’offensività e la sconvenienza delle espressioni utilizzate

Per il Consiglio Nazionale Forense  però il ricorso è del infondato e va respinto, compreso il motivo sull’utilizzo delle espressioni offensive e sconvenienti rivolte alla controparte. Per il CNF infatti “non vi è dubbio che le espressioni usate dall’incolpato siano offensive e quantomeno sconvenienti anche nel particolare contesto in cui sono state rese”. Si ha conferma di queste conclusioni in diversi precedenti: sentenza del CNF n. 341 del 29 dicembre 2023,  n. 134 del 5 luglio 2023 e n. 280 del 31 dicembre 2023.

 

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responsabilità disciplinare avvocato

Responsabilità disciplinare avvocato per culpa in vigilando La responsabilità disciplinare dell’avvocato per culpa in vigilando si configura anche in assenza di dolo specifico o generico

Responsabilità disciplinare avvocato

Non servono il dolo specifico o generico per l’addebito della responsabilità disciplinare avvocato. A rilevare è la volontarietà dell’azione o dell’omissione, anche quando l’omissione si riferisce all’obbligo di controllare l’operato dei propri dipendenti o collaboratori. E’ quindi responsabile l’avvocato che, alla riscossione del compenso, non fa seguire la immediata o tempestiva fatturazione. Il legale pertanto, a sua discolpa, non può affermare che l’omessa fatturazione è imputabile a malintesi di segreteria. Lo ha affermato il CNF nella sentenza n. 219/2024.

Omessa fatturazione dopo la riscossione dei compensi

Due avvocati vengono sottoposti a procedimento disciplinare e tra le varie incolpazioni, vengono ritenuti responsabili di aver incassato compensi per l’importo di 68. 500,00 euro senza il rilascio delle regolari fatture. Il Consiglio distrettuale di disciplina applica a uno dei due professionisti la sanzione della censura, all’altro la sospensione dall’attività per 8 mesi.

I due legali ricorrono innanzi al CNF e si difendono dall’accusa della mancata emissione delle fatture sostenendo tra l’altro che “i documenti fiscali non sono stati emessi per “malintesi di segreteria” e che dunque difetta l’elemento soggettivo del reato in capo all’avvocato che, per ragioni contabili e fiscali, avrebbe dovuto provvedere alla contabilizzazione e alla fatturazione. Lo stesso evidenzia inoltre, come la condotta non sia a lui imputabile anche in ragione del tempo trascorso, che rende impossibile reperire tutti i documenti fiscali emessi, conservati presso il proprio commercialista.

Non serve il dolo basta la volontarietà dell’omissione

Il CNF ritiene infondati i motivi di doglianza che l’avvocato espone in ordine alla contestazione della mancata emissione delle fatture relative ai compensi incassati. Per il CNF non rileva l’eventuale attribuzione dell’illecito della omissione della fatturazione alla segreteria dello Studio legale. Per costante giurisprudenza “l’attribuzione a dimenticanza della segretaria della omessa fatturazione della somma indicata nella ricevuta rilasciata al cliente non muta la valutazione disciplinarmente rilevante del comportamento dell’avvocato come lesivo del dovere di vigilanza e di diligenza, cui è tenuto l’esercente la professione legale su collaboratori e dipendenti del proprio studio.”

Il CNF precisa che per ritenere un libero professionista responsabile della violazione, ai fini dell’addebito disciplinare non è necessario che lo stesso lo abbia commesso con dolo specifico o con dolo generico. Ciò che rileva è la volontarietà con cui l’atto è stato commesso od omesso, anche quando l’azione o l’omissione si configuri nel mancato adempimento dell’obbligo di controllare il comportamento dei dipendenti o dei collaboratori. “Il mancato controllo costituisce, infatti, piena e consapevole manifestazione della volontà di porre in essere una sequenza causale che in astratto potrebbe dar vita ad effetti diversi da quelli voluti, che però ricadono sotto forma di volontarietà sul soggetto che avrebbe dovuto vigilare e non lo ha fatto”.

Fatturazione immediata o tempestiva

Non rileva neppure l’affermato, ma non dimostrato, tentativo di adempiere a tale obbligo tardivamente o di voler rimediare all’omissione della fatturazione con il ravvedimento operoso all’Agenzia delle Entrate. Diverse norme del Codice deontologico, come l’art. 16 e 29 e l’art. 15 del cod. previdenziale prevedono che l’avvocato abbia l’obbligo di emettere la fattura tempestivamente e contestualmente alla riscossione dei compensi. L’eventuale ritardo con cui l’avvocato provvede a tale adempimento non viene preso in considerazione dal Codice deontologico. Il tutto senza dimenticare che “la violazione di tale obbligo costituisce illecito permanente, sicché la decorrenza del termine prescrizionale ha inizio dalla data della cessazione della condotta omissiva.”

 

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forense card

Forense Card: cos’è e quali vantaggi La Forense Card è un servizio messo a disposizione degli iscritti da Cassa Forense che permette, tra le altre cose, di pagare i contributi previdenziali anche a rate

Cos’è la Forense Card

La Forense Card è un servizio messo a disposizione dalla Cassa Forense in collaborazione con la banca popolare di Sondrio, essenzialmente per il pagamento dei contributi previdenziali ma può essere usata anche come carta di credito ordinaria e per richiedere un prestito.

E’ riservata esclusivamente agli iscritti all’ente previdenziale degli avvocati e non serve essere clienti della banca, basta essere titolari di un qualsiasi conto corrente bancario o postale.

I vantaggi della Forense Card

Tra i vantaggi della Forense Card, ricorda Cassa Forense, c’è la possibilità di effettuare pagamenti pagamenti presso gli esercizi convenzionati con Visa e Mastercard e prelievi di contanti presso tutti gli sportelli automatici ATM convenzionati con Visa e Mastercard in Italia e all’estero.

Ma in particolare, la Card consente di versare via internet, in modo sicuro e senza spese, i contributi previdenziali, con addebito sul conto corrente e con possibilità di dilazionarli.

La Forense Card consente altresì di trasformare in contanti l’importo del plafond assegnato, con accredito della somma richiesta direttamente sul proprio conto.

Come richiederla

La carta, gratuita e senza canone annuale, può essere richiesta soltanto via internet, accedendo dall’Area Riservata sul sito di Cassa Forense e compilando il modulo di richiesta direttamente online.

Previa verifica del possesso dei requisiti per il rilascio, la carta viene inviata direttamente al domicilio del richiedente.

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censurato l'avvocato

Censurato l’avvocato che offende e denigra la collega Sanzione della censura più adeguata rispetto alla sospensione dall’attività per l’avvocato che offende e denigra la collega

Sanzione della censura per l’avvocato

Merita di essere censurato l’avvocato che offende e denigra la collega nell’atto di costituzione e risposta. La sospensione dall’attività per due mesi non è appropriata se l’avvocato non ha precedenti disciplinari e se le frasi di contenuto offensivo e denigratorio sono inferiori rispetto a quelle per le quali è stato ritenuto colpevole dal Consiglio distrettuale di disciplina.

Lo ha chiarito il CNF nella sentenza n. 217-2024.

Procedimento disciplinare: avvocato offende la collega

Un avvocato viene sottoposto procedimento disciplinare dopo due esposti presentati dall’avvocato di controparte in una causa relativa all’affidamento e al mantenimento di un minore. L’avvocato viene incolpato, tra le altre cose, di aver utilizzato nella comparsa di costituzione parole offensive, sconvenienti e denigratorie dell’attività del collega difensore.

Lo stesso ha infatti utilizzato nell’atto termini come i seguenti:“subdole e infingarde insinuazioni”; la cattiveria più infima della signora”; nonostante la scorrettezza della collega” e similari, rivolti alla collega e alla sua cliente. Il tutto in violazione degli articoli 9, 42 e 52 del Codice deontologico Forense.

Il Consiglio di disciplina commina quindi la sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per la durata di due mesi.

Frasi impiegate non sono tutte offensive

L’avvocato incolpato però ricorre la decisione davanti al Consiglio Nazionale Forense denunciando, in relazione alla contestata violazione degli articoli 42 e 52 del Codice deontologico, l’errata valutazione delle prove e dei documenti acquisiti agli atti.

Il ricorrente fa infatti presente che la maggior parte delle frasi, ritenute offensive, non erano rivolte alla collega, ma alla sua cliente. I termini “scorretta e subdola” rivolte alla collega inoltre non dovevano intendersi come offensive, ma come descrittive e giustificate dai comportamenti processuali tenuti dalla collega, che quelle parole volevano stigmatizzare.

Basta la censura, illeciti inferiori e senza precedenti

Il Consiglio Nazionale Forense precisa che la portata offensiva delle espressioni impiegate dall’avvocato ricorrente “è insita nel significato comune e corrente delle parole e delle aggettivazioni usate (subdole e infingardi insinuazioni”, scorrettezza della collega”, subdolamente adito”, riferite allAvv. [OMISSIS]; cattiveria più infima”, rissosa cliente”, boriosa e perfida cliente”, riferite alla sig.ra [OMISSIS]), e nessun passaggio argomentativo può valere a darne giustificazione anche laddove inserite, e forse a maggior ragione proprio perché inserite, in un atto diretto allAutorità giudiziaria.” 

Il CNF non nega la commissione di una pluralità di illeciti da parte dell’avvocato ricorrente, seppure nel numero ridotto di espressioni ritenute offensive e denigratorie. Esso non può neppure negare l’assenza di precedenti disciplinari. Ne consegue che la sanzione corretta da applicare nel caso di specie è la censura, non la sospensione dall’attività per due mesi.

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concordato preventivo

Concordato preventivo: per avvocati opzione neutra Cassa Forense fornisce chiarimenti agli iscritti sull'adesione al concordato preventivo biennale in scadenza il 31 ottobre prossimo

Concordato preventivo biennale avvocati

Concordato preventivo biennale: per Cassa Forense l’opzione è neutra, si paga sul reddito effettivo. Così l’ente previdenziale degli avvocati con un avviso pubblicato sul proprio sito detta chiarimenti sulla possibilità di adesione all’opzione introdotta dal Dlgs. 13/2024, in attuazione della riforma fiscale.

Gli avvocati che decidono di aderire al CPB continuano a versare la contribuzione previdenziale sulla base del reddito effettivamente prodotto” chiarisce infatti la Cassa. 

La nota Adepp

L’Ente rammenta che il decreto 13/2024, che ha introdotto il CPB, all’articolo 30 prevede che: «Gli eventuali maggiori o minori redditi ordinariamente determinati, rispetto a quelli oggetto del concordato, non rilevano, ai fini della determinazione delle imposte sui redditi nonché dei contributi previdenziali obbligatori…».

Proprio tale inciso ha spinto l’Adepp, l’associazione che rappresenta le Casse di previdenza dei professionisti, a fare un comunicato per chiarire che, sul fronte previdenziale, “questa norma non si possa applicare agli enti di previdenza cosiddetti privatizzati, perché oltre a lederne l’autonomia potrebbe incidere sulla stabilità finanziaria”.

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spese forfettarie avvocato

Spese forfettarie avvocato: mai sotto il 15% Le spese forfettarie dell'avvocato non possono essere riconosciute in misura inferiore al 15% perché diminuirebbero il compenso

Spese forfettarie avvocato: si possono concordare sotto il 15%?

Le spese forfettarie del 15% che l’avvocato indica in fattura per chiederne il rimborso al cliente a titolo di spese generali possono essere indicate in una percentuale inferiore? Questo in sintesi il quesito che il COA di Torino rivolge al CNF. Più precisamente il COA chiede se sia possibile prevedere una riduzione della percentuale del 15% in sede di accordo contrattuale con il cliente o quando si partecipa a un bando pubblico.

Spese forfettarie: quadro normativo

Il Consiglio Nazionale Forense (parere n. 28/2024) ricorda che le spese forfettarie sono dovute nella misura del 15% del compenso totale, come stabilito dal dm 55/2014. La percentuale del 15% è fissa, le spese forfettarie quindi spettano all’avvocato in modo automatico, senza obbligo di documentarle come previsto invece per le spese vive. Neppure il giudice può intervenire sulla loro quantificazione.

La voce “Spese forfettarie” quindi è un parametro che vincola anche il giudice quando provvede alla liquidazione giudiziale del compenso dell’avvocato, ma anche le parti. Esse rappresentano infatti una componente del compenso.

Le legge n. 49/2023 sull’equo compenso all’articolo 3 dispone la nullità delle clausole che contemplino un compenso non equo e proporzionato all’attività svolta dai liberi professionisti iscritti a un albo, ordine o collegio professionale. Sono nulle in particolare le pattuizioni che dovessero stabilire compensi inferiori a quelli stabiliti dai parametri di liquidazione per i professionisti suddetti.

In effetti la legge n. 247/2012 e diversi decreti ministeriali prevedono per l’avvocato un compenso maggiorato del 15% per le spese forfettarie, regola che neppure il giudice può ridurre o aumentare dopo il d.m n. 147/2022.

La riduzione diminuirebbe il compenso

La maggiorazione del 15% non priva l’importo risultante del valore di compenso. Le spese vive infatti non sono incluse nella percentuale del rimborso delle spese generali, ma costituiscono una voce separata.

Ne consegue che: “sulla base di una interpretazione logico-sistematica unica della disciplina di cui all’art. 13, comma 10, legge n. 247/2012 e al d.m. n.55/2014 (e successive modificazioni) e della legge n. 49/2023 sull’equo compenso, leventuale riduzione della percentuale del 15% stabilita dal decreto ministeriale per le spese forfetarie dell’avvocato – percentuale quantificata ex lege – determina un ribasso del compenso” parametrico dell’avvocato, con conseguente violazione della disciplina dellequo compenso di cui alla legge n. 49/2023.”

 

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