compensi gratuito patrocinio

Gratuito patrocinio: all’avvocato spettano i compensi per la fase istruttoria La Cassazione chiarisce che nel patrocinio a spese dello Stato all’avvocato va liquidato il compenso per la fase istruttoria anche in caso di prescrizione del procedimento

Gratuito patrocinio e compensi avvocato

Nel gratuito patrocinio, all’avvocato spettano i compensi per la fase istruttoria anche in caso di prescrizione del procedimento, se è stata depositata la lista testimoniale e sono stati citati i testi. Così la seconda sezione civile della Cassazione, nell’ordinanza n. 2502-2024, accogliendo il ricorso di un avvocato.

La vicenda

Nella vicenda, il presidente del tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto rigettava l’opposizione, proposta ex art.170 del DPR 115/2002, dall’avvocato avverso il decreto di liquidazione del compenso per l’attività svolta in un processo penale, quale difensore di soggetto ammesso al gratuito patrocinio a spese dello Stato. Il Tribunale, in particolare, non aveva liquidato li compenso per la fase istruttoria, ritenendo che detta fase non si fosse mai svolta in quanto il processo, che aveva tratto origine dall’opposizione a decreto penale di condanna, dopo una serie di rinvii, era stato definito con la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione.

Il ricorso

L’avvocato adiva quindi il Palazzaccio lamentando violazione e falsa applicazione dell’art. 12 del D.M. 10.3.2014, n.55, in relazione all’art.360, comma 1, n.3 c.p.c., per avere li Tribunale omesso di liquidare la fase istruttoria sull’erroneo presupposto che essa non si fosse svolta, sebbene lo stesso avesse depositato una lista testimoniale ed avesse citato i testi, attività, questa, espressamente prevista dall’art.12, comma 3 del D.M. 55/2014.

La decisione

Per gli Ermellini, l’avvocato ha ragione. “Il Tribunale ha escluso il compenso per la fase istruttoria perché il processo penale era stato definito con la dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione, senza considerare – osservano infatti – che l’art.12, comma 3 del D.M. 55/2014 prevede che la fase istruttoria non consiste solo nell’escussione dei testi, acquisizione di documentazione etc., ma comprende anche l’attività preparatoria all’istruttoria, vale a dire ‘le richieste, gli scritti, le partecipazioni o assistenze relative ad atti ed attività istruttorie procedimentali o processuali anche preliminari, rese anche in udienze pubbliche o in camera di consiglio, che sono funzionali alla ricerca di mezzi di prova, alla formazione della prova, comprese liste, citazioni e le relative notificazioni, l’esame dei consulenti, testimoni, indagati o imputati di reato connesso o collegato’”. ;

Nel caso di specie, dunque il giudice ha omesso di liquidare la fase istruttoria, benché il ricorrente avesse depositato la lista testimoniale e citato due testi, “attività inequivocabilmente compresa nella fase istruttoria”.

Da qui l’accoglimento del ricorso. Parola al giudice del rinvio.

Allegati

assicurazione Inail studi associati

Studi associati senza obbligo di assicurazione Inail La Cassazione ribadisce che gli studi professionali associati non hanno l'obbligo di assicurarsi all'Inail

Studi associati e assicurazione Inail

Nessun obbligo di assicurarsi con l’Inail per gli studi professionali associati. A ribadirlo è la sezione lavoro della Cassazione, con l’ordinanza n. 4473/2024, respingendo il ricorso dell’Istituto.

Nella vicenda, la Corte d’appello di Brescia confermava la pronuncia di primo grado che aveva escluso la sussistenza dell’obbligo assicurativo presso l’INAIL in capo ai professionisti associati in uno studio, richiamando, a fondamento del proprio decisum, i principi fissati dalla Cassazione (cfr. n. 15971/2017) e argomentando la Corte Cost. n. 25/2016.

L’Inail adiva quindi piazza Cavour lamentando che la corte di merito avesse ritenuto erroneamente che non “sussistessero i presupposti per l’obbligatorietà dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, in considerazione del carattere associativo e non societario del vincolo sussistente tra i professionisti”. Ad avviso dell’istituto, infatti, le caratteristiche concrete dello studio rendevano “lo stesso un soggetto giuridico autonomo assimilabile, per i meccanismi operativi, ad una vera e propria
società; ricorrerebbero, perciò, le indicazioni provenienti da Cass. nn. 12095 del 2006 e 13278 del 2007, secondo le quali a parità di esposizione a rischio deve corrispondere parità di tutela assicurativa, indipendentemente dalla natura giuridica del rapporto in base al quale è prestata l’attività lavorativa”.

La decisione della Cassazione

Per la S.C., tuttavia, il motivo è infondato. La Corte richiama, quindi, il consolidato principio per cui, in tema di assicurazione contro gli infortuni e el malattie professionali “non sussiste l’obbligo assicurativo nei confronti dei componenti di studio in quanto la tendenza ordinamentale espansiva di tale obbligo può operare, sul piano soggettivo, solo nel rispetto e nell’ambito delle norme vigenti, le quali in alcun luogo (D.P.R. n. 1124 del 1965, artt. 1, 4 e 9) contemplano l’assoggettamento delle associazioni professionali all’obbligo in questione (così come non lo contemplano per li mero libero professionista)”.

Ne consegue il rigetto del ricorso.

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compensi domiciliatario

L’avvocato ha l’obbligo di pagare i compensi al domiciliatario Il CNF ribadisce che l’avvocato che ha incaricato un collega di esercitare le funzioni di rappresentanza ed assistenza ha l’obbligo di retribuirlo a norma dell’art. 30 del Codice deontologico

Procedimento disciplinare

Nel caso sottoposto all’esame del Consiglio Nazionale Forense, dallo stesso deciso con sentenza n. 234/2023 (sotto allegata), era stato avviato un procedimento disciplinare a carico di un avvocato su esposto di un collega che, avendo ricevuto dal primo due incarichi professionali per due procedure esecutive presso terzi, aveva lamentato il mancato pagamento delle proprie competenze.

In particolare, l’avvocato ritenuto inadempiente era stato tratto a giudizio dinanzi al CDD di L’Aquila per rispondere del seguente capo d’incolpazione: “violazioni dell’art. 43 del Codice Deontologico approvato il 31 gennaio 2014 perché pur avendo conferito (…) l’incarico di rappresentanza ed assistenza nel procedimento di pignoramento presso terzi incardinato presso il Tribunale di Monza, ometteva di corrispondere alla stessa il compenso dovuto”.

All’esito dell’istruttoria, il CDD di l’Aquila aveva ritenuto integrata la responsabilità disciplinare dell’incolpato ed applicato la sanzione della censura a carico dello stesso.

Avverso tale decisione, l’avvocato aveva proposto ricorso dinanzi al Consiglio Nazionale Forense.

Obbligo di corrispondere il compenso al domiciliatario

Il CNF, con la sopracitata decisione, ha ritenuto integrata la responsabilità dell’incolpato, confermando gli esito del Consiglio distrettuale di disciplina.

Il Consiglio è poi passato all’esame della giurisprudenza domestica formatasi sul punto, la quale è costante nel ritenere che “L’avvocato che abbia scelto o incaricato direttamente altro collega di esercitare le funzioni di rappresentanza o assistenza, ha l’obbligo di provvedere a retribuirlo, ove non adempia il cliente ex art. 43 ncdf, già art. 30 cdf”.

Sulla scorta di tali premesse, il CNF ha rigettato il ricorso proposto dall’avvocato e ha disatteso la richiesta di attenuazione della sanzione applicata a carico dello stesso, posto che il comportamento dell’avvocato non può apparire in alcun modo giustificato, considerando anche i “molteplici solleciti rimasti inevasi e del decorso di ben tre anni dall’apertura del procedimento disciplinare nonostante il solo dichiarato intento di adempiere”.

conflitto di interessi avvocato

Conflitto di interessi avvocato: basta il dubbio per far scattare l’illecito Il CNF chiarisce che l'assoluta terzietà dell'avvocato deve sussistere al di sopra di ogni dubbio

Conflitto di interessi avvocato

“Affinché possa dirsi rispettato il canone deontologico posto dall’art. 24 cdf (già art. 37 codice previgente) non solo deve essere chiara la terzietà dell’avvocato, ma è altresì necessario che in alcun modo possano esservi situazioni o atteggiamenti tali da far intendere diversamente. La suddetta norma, invero, tutela la condizione astratta di imparzialità e di indipendenza dell’avvocato – e quindi anche la sola apparenza del conflitto – per il significato anche sociale che essa incorpora e trasmette alla collettività, alla luce dell’id quod plerumque accidit, sulla scorta di un giudizio convenzionale parametrato sul comportamento dell’uomo medio, avuto riguardo a tutte le circostanze e peculiarità del caso concreto, tra cui la natura del precedente e successivo incarico”. E’ il principio affermato dal Consiglio Nazionale Forense nella sentenza n. 241-2023 pubblicata sul sito del Codice deontologico l’8 febbraio 2024.

La vicenda

Nella vicenda, un legale all’esito del procedimento disciplinare veniva sospeso dalla professione per due mesi per aver violato vari canoni deontologici, tra cui l’aver agito in conflitto di interessi, per essersi costituita in giudizio avverso una propria ex assistita.

L’avvocato adisce il Consiglio Nazionale Forense dolendosi della responsabilità disciplinare e della eccessività della sanzione.

La decisione

Per il CNF, tuttavia, le censure sono infondate. “Correttamente il CDD di Messina ha ritenuto che l’art. 24 del Codice Deontologico è a tutela della terzietà dell’avvocato, che non solo deve sussistere, ma è necessario che non ricorrano circostanze tali da porla in dubbio” afferma preliminarmente il consiglio.

“La norma si riferisce quindi anche alla sola apparenza del conflitto degli interessi. Trattasi di un illecito di pericolo volto a garantire l’assoluta terzietà dell’avvocato al di sopra di ogni dubbio, come specificato nella decisione impugnata che opportunamente fa espresso riferimento a precedenti sentenze di questo consiglio (sentenza 12 luglio 2016 n. 186; 16 luglio 2019 n.60)” aggiunge il CNF ritenendo che le valutazioni logiche giuridiche della decisione impugnata “appaiano ben motivate ed in particolare appare corretta la considerazione che l’incolpata si sia costituita nel giudizio promosso dall’avvocato [BBB] nei confronti di una propria ex assistita, tutelando gli interessi di quest’ultima contestando le richieste formulate dal legale, integra la violazione dell’articolo 24 del Codice vigente, sotto il profilo della lealtà e della correttezza, dato che ciò ha rappresentato un nocumento almeno potenziale agli interessi della controparte”.

Nulla di fatto, infine, neanche sul fronte dell’eccessiva severità della sanzione irrogata”, che il CNF reputa equilibrata rigettando in toto il ricorso.

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milleproroghe 2024

Milleproroghe 2024: le novità per gli avvocati La legge n. 218/2024 che ha convertito il decreto Milleproroghe dispone il rinvio di alcuni termini che interessano gli avvocati e gli aspiranti tali

Legge di conversione Milleproroghe 2024

Sulla Gazzetta Ufficiale del 28 febbraio 2024 è stata pubblicata la Legge-18-2024 di conversione del decreto legge n. 215 del 30 dicembre 2023, meglio noto come decreto “Milleproroghe”.

Il testo della legge, tra le tante proroghe previste, ne dedica diverse agli avvocati e a coloro che stanno studiando per l’abilitazione alla professione forense.

Le proroghe riguardano la materia di notificazioni per le cause civili, l’esame di abilitazione alla professione forense, l’iscrizione all’Albo degli avvocati Cassazionisti e le impugnazioni nel processo penale. Analizziamo singolarmente le varie proroghe.

Avvocati Cassazionisti 2024 con le vecchie regole

Gli avvocati, per un altro anno, possono iscriversi all’albo degli avvocati Cassazionisti se maturano i requisiti richiesti dalla normativa previgente, ossia il raggiungimento di 12 anni di iscrizione all’albo nel corso del 2024.

Il comma 6 sexies dell’art. 11 del decreto 215/2023 dispone infatti che: “All’articolo 22, comma 4, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, relativo all’iscrizione nell’albo speciale per il patrocinio davanti alle giurisdizioni superiori, le parole: “undici anni” sono sostituite dalle seguenti: “dodici anni”. 

Esame avvocato fino al 2025 con le vecchie regole

Per i primi 12 anni dall’entrata in vigore della legge contenente la nuova disciplina dell’ordinamento forense (in vigore dal 02 febbraio 2013) ossia fino al 2025, l’esame di abilitazione alla professione forense si svolge, secondo le norme previgenti, sia per quanto riguarda le prove scritte che quelle orali.

Il tutto in base a quanto sancito dal comma 6 quater dell’art. 11 del decreto Milleproroghe“ che così dispone: All’articolo 49, comma 1, della  legge 31 dicembre 2012, n. 247, relativo  alla disciplina  transitoria dell’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione di avvocato, le parole: “undici anni” sono sostituite dalle  seguenti: “dodici anni”.  

Per quanto riguarda l’esame 2024 la legge di conversione del Milleproroghe contempla la valenza delle regole speciali che sono state applicate alla sessione d’esame del 2023, che prevede lo svolgimento di uno scritto e un orale articolato in 3 fasi (in base a quanto sancito dall’art 4-quater, comma 1, del decreto-legge n. 51/2023 convertito dalla legge n. 87/2023).

Notifiche avvocati giudizio civile

Il nuovo comma 5-bis dell’art. 11 del decreto Milleproroghe dispone che All‘articolo  4-ter,  comma  1,  del  decreto-legge 10 maggio 2023, n. 51, convertito, con  modificazioni, dalla legge  3 luglio 2023, n. 87,  concernente la sospensione dell’efficacia  di norme in materia di notificazioni eseguite dagli avvocati, le parole: “fino al 31 dicembre 2023” sono sostituite dalle seguenti: “fino  al 31 dicembre 2024”.

Questo significa che sono sospese fino alla fine del 2024 le disposizioni contenute nei commi 2 e 3 dell’art. 3 ter della legge n. 53/1994, che riconoscono agli avvocati di eseguire le notifiche a mezzo pec quando il destinatario ha eletto domicilio digitale o quando è obbligato per legge a munirsi di un domicilio digitale. Qualora poi detta notifica non sia possibile o non si concluda con esito positivo perché il destinatario è un’impresa o un professionista iscritto nell’indice INI-PEC o perché è un soggetto privato o un ente non tenuti ad avere un domicilio digitale, allora la notifica può essere effettuata nelle forme ordinarie.

Giudizi impugnazione processo penale Cartabia

Il nuovo comma 7 dell’art. 11 del Milleproroghe interviene infine sulla formulazione dell’art. 94 comma 2 del decreto legislativo n. 150/2022, ossia la riforma Cartabia del processo penale.

Nello specifico l’attuale formulazione dell’art. 94 contenente le disposizioni transitorie in materia di giudizi di impugnazione prevede che per le impugnazioni proposte fino al 30 giugno 2024 debbano continuare ad applicarsi e disposizioni di cui agli articoli 23, commi 8, primo, secondo, terzo, quarto e quinto periodo, e 9, e 23-bis, commi 1, 2, 3, 4 e 7, del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176.

Slittano in sostanza le novità introdotte dalla riforma Cartabia in materia di impugnazioni del processo penale.

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equo compenso

Avvocati: l’equo compenso entra nel Codice Deontologico Il CNF ha approvato la nuova norma deontologica che sanziona il legale che concorda compensi troppo bassi o comunque ingiusti

Nuova norma deontologica equo compenso

Via libera alla nuova norma deontologica in materia di equo compenso prevista dalla legge 49/2023. Il Consiglio Nazionale Forense nella seduta del 23 febbraio scorso ha approvato il testo del nuovo art. 25-bis in linea con l’obiettivo della legge di “garantire che gli avvocati ricevano un adeguato compenso per la loro attività professionale, contrastando al tempo stesso il fenomeno delle parcelle troppo basse o addirittura gratuite”.

La nuova norma è stata elaborata dalla Commissione deontologica del Consiglio Nazionale Forense, approvata in prima battuta dal CNF nell’ultima seduta amministrativa del 2023 e inviata, come previsto dalla legge professionale forense, ai Consigli dell’Ordine per la necessaria consultazione. Completati tutti i passaggi, il CNF ha approvato quindi la disposizione in via definitiva con piccole integrazioni.

Le sanzioni previste

Due le sanzioni disciplinari previste dalla nuova norma del codice deontologico forense. L’avvocato, infatti, precisa il CNF nella nota ufficiale, “non può concordare o preventivare un compenso che, ai sensi e per gli effetti delle vigenti disposizioni in materia di equo compenso non sia giusto, equo e proporzionato alla prestazione professionale richiesta, e non sia determinato in applicazione dei parametri forensi vigenti”. In caso di violazione, ciò comporterà “l’applicazione in sede disciplinare della censura”. Inoltre, “nei casi in cui l’avvocato stipuli una qualsiasi forma di accordo con il cliente, la norma richiede l’obbligo ad avvertire per iscritto il cliente che il compenso per la prestazione professionale deve rispettare i criteri stabiliti dalla legge, pena la nullità della pattuizione”. In tal caso, la violazione di questa seconda disposizione normativa “comporta l’applicazione della sanzione disciplinare dell’avvertimento”.

L’iter

Le modifiche al codice deontologico degli avvocati entreranno in vigore dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, completando l’iter previsto dall’ordinamento forense.

Il testo del nuovo art. 25-bis

Di seguito il testo del nuovo art. 25-bis Cdf:

Art. 25-bis – Violazioni delle disposizioni in materia di equo compenso

  1. L’avvocato non può concordare o preventivare un compenso che, ai sensi e per gli effetti delle vigenti disposizioni in materia di equo compenso non sia giusto, equo e proporzionato alla prestazione professionale richiesta, e non sia determinato in applicazione dei parametri forensi vigenti.
  2. Nei casi in cui la convenzione, il contratto, o qualsiasi diversa forma di accordo con il cliente cui si applica la normativa in materia di equo compenso siano predisposti esclusivamente dall’avvocato, questi ha l’obbligo di avvertire, per iscritto, il cliente che il compenso per la prestazione professionale deve rispettare in ogni caso, pena la nullità della pattuizione, i criteri stabiliti dalle disposizioni vigenti in materia.
  3. La violazione del divieto di cui al primo comma comporta l’applicazione della sanzione disciplinare della censura. La violazione dell’obbligo di cui al secondo comma comporta l’applicazione della sanzione disciplinare dell’avvertimento.