avvocati sempre autonomi

Avvocati sempre autonomi Avvocati sempre lavoratori autonomi anche se operano all’interno di studi associati con vincoli orari e regole di organizzazione e coordinamento

Prestazioni avvocato studio associato: natura autonoma

Avvocati sempre autonomi, anche se operano in via esclusiva all’interno di uno studio associato e seguono le regole necessarie a coordinare e organizzare il lavoro di tutti. Lo ha ribadito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 28274/2024.

Natura subordinata prestazioni avvocato

Una avvocata agisce in giudizio per ottenere il riconoscimento della natura subordinata del proprio lavoro, svolto all’interno di uno studio legale associato, con tutte le conseguenze di legge. I giudici di primo e di secondo grado giungono alla medesima conclusione. Il rapporto di lavoro nell’ambito di una prestazioni a contenuto professionale, ha natura autonoma.

Avvocati lavoratori autonomi?

La legale impugna la decisione in sede di Cassazione. Per la ricorrente la Corte d’appello ha negato la natura di lavoro subordinato sulla base di due elementi. Il primo è l’assenza di soggezione della ricorrente a un potere di conformazione esercitato dal socio di riferimento dello Studio associato, in relazione al merito contenutistico della sue prestazioni professionali. Il secondo è la sussistenza di un ambito di autoregolazione dell’orario di lavoro e delle assenze per le vacanze. Per la ricorrente la Corte ha trascurato il potere di direzione e quello conformativo del contenuto dell’attività intellettuale richiesta.

Studi associati: avvocati lavoratori autonomi

Nel rigettare il ricorso la Corte di Cassazione precisa che la questione giuridica da risolvere riguarda la qualificazione autonoma o subordinata dell’attività professionale svolta dalla professionista in uno Studio associato. Trattasi nello specifico di uno Studio di grandi dimensioni in cui operano avvocati associati e non associati, come la ricorrente.

Gli Ermellini ricordano di essersi già occupati in diverse occasioni di questa tematica e di aver  chiarito che: la sussistenza o meno della subordinazione deve essere verificata in relazione alla intensità della etero- organizzazione della prestazione, al fine di stabilire se l’organizzazione sia limitata al coordinamento dell’attività del professionista con quella dello studio, oppure ecceda le esigenze di coordinamento per dipendere direttamente e continuativamente dall’interesse dello stesso studio, responsabile nei confronti dei clienti di prestazioni assunte come proprie e non della sola assicurazione di prestazioni altrui”. 

Orari ed esclusiva non rendono subordinato il rapporto

In diverse pronunce gli Ermellini hanno chiarito che le prestazioni professionali che vengono svolte dall’avvocato, per loro natura, non richiedono l’esercizio di un potere gerarchico, che si manifesti in ordini specifici e tipici del potere disciplinare.

La fissazione di un orario di lavoro ed eventuali controlli sull’operato non sono sintomatici del vincolo della subordinazione, se non si traducono nell’espressione del potere conformativo sul contenuto della prestazione da parte del datore.

La Corte di merito ha rilevato correttamente, dopo un’approfondita indagine sulle modalità di svolgimento del lavoro, che la ricorrente ha svolto l’attività di avvocato in modo libero, autonomo e del tutto indipendente, pur in presenza di regole necessarie a coordinare la sua attività con quella dello Studio. Essa ha rilevato inoltre che lo studio in cui la ricorrente era inserita è un’associazione professionale composta da 50 avvocati, 296 professionisti iscritti a vari albi e 95 dipendenti a supporto. L’autorità di secondo grado ha esaminato il regolamento interno e i documenti che disciplinano i vari aspetti dello studio e ha rilevato che i poteri decisionali non sono di spettanza esclusiva dei soci.

Agevolazioni e prerogative in cambio di limitazioni

All’intero di questo Studio il singolo avvocato, in cambio di qualche limitazione, beneficia di agevolazioni e prerogative. Le regole organizzative sono previste solo per gestire la complessità collegata al numero dei professionisti e al tipo di clientela.

Per quanto riguarda le ferie, i singoli professionisti si limitano a segnalare le singole esigenze per consentire a tutti di godere di un periodo di riposo senza lasciare scoperto lo studio. Anche il fisso mensile non è idoneo a inquadrare il rapporto come subordinato. Ogni avvocato infatti partecipa anche al ricavato delle pratiche che procura, tipico aspetto della libera professionale.

L’obbligo di esclusiva infine è previsto solo per evitare conflitti di interesse che potrebbero insorgere se a ogni professionista fosse consentita la gestione di una clientela propria.

 

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faccia di bronzo alla controparte

“Faccia di bronzo” alla controparte: avvocato sanzionato “Faccia di bronzo” alla controparte in un procedimento arbitrale: commette un illecito disciplinare l’avvocato che usa questa espressione

Condotta sanzionabile dell’avvocato

Viola l’articolo 52 del Codice di deontologia Forense l’avvocato che apostrofa una controparte con il termine “faccia di bronzo”. L’espressione risulta offensiva e irrispettosa della personalità altrui. Lo ha ribadito il Consiglio nazionale Forense nella sentenza n. 220/2024.

Censura per l’avvocato che dà della “faccia di bronzo”

Un soggetto agisce in sede disciplinare nei confronti di un avvocato. Nel primo esposto il denunciante accusa l’avvocato di avere promosso un procedimento finalizzato a fare ottenere alla figlia l’intestazione di alcune quote di immobili di sua proprietà. All’interno del secondo esposto invece si duole della mancata restituzione dei documenti relativi alle pratiche nelle quali il legale lo aveva assistito.

Nel corso del giudizio disciplinare emerge anche la responsabilità dell’avvocato per aver apostrofato il suo ex assistito, controparte nel procedimento contro la figlia, con il termine “faccia di bronzo”. Per il Consiglio Distrettuale di Disciplina il linguaggio utilizzato dal legale è “censurabile. Lo stesso risulta infatti irrispettoso del decoro inteso in senso oggettivo e dell’altrui personalità. In ogni caso esso eccede in maniera manifesta i limiti della convenienza. Concluso il procedimento disciplinare il CDD sanziona quindi l’avvocato con la sanzione della censura.

Dare della “faccia di bronzo” non è un illecito

L’avvocato impugna la decisione di fronte al CNF. Nel ricorso contesta i vari capi di incolpazione tra i quali la violazione dell’art. 52 del Codice deontologico. Questa norma impone in particolare all’avvocato di evitare l’utilizzo di espressioni offensive o sconveniente negli scritti in sede di giudizio e nell’esercizio dell’attività professionale nei confronti dei colleghi, dei terzi, dei magistrati e delle controparti.

A sua difesa l’avvocato precisa che “le espressioni da lui utilizzate avrebbero dovuto essere contestualizzate nell’ambito del procedimento arbitrale, ove egli riferisce di essere stato destinatario di numerose provocazioni della controparte. L’organo disciplinare non avrebbe quindi prestato un’adeguata attenzione alla condotta dell’esponente e del suo avvocato difensore.

Indubbia l’offensività e la sconvenienza delle espressioni utilizzate

Per il Consiglio Nazionale Forense  però il ricorso è del infondato e va respinto, compreso il motivo sull’utilizzo delle espressioni offensive e sconvenienti rivolte alla controparte. Per il CNF infatti “non vi è dubbio che le espressioni usate dall’incolpato siano offensive e quantomeno sconvenienti anche nel particolare contesto in cui sono state rese”. Si ha conferma di queste conclusioni in diversi precedenti: sentenza del CNF n. 341 del 29 dicembre 2023,  n. 134 del 5 luglio 2023 e n. 280 del 31 dicembre 2023.

 

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responsabilità disciplinare avvocato

Responsabilità disciplinare avvocato per culpa in vigilando La responsabilità disciplinare dell’avvocato per culpa in vigilando si configura anche in assenza di dolo specifico o generico

Responsabilità disciplinare avvocato

Non servono il dolo specifico o generico per l’addebito della responsabilità disciplinare avvocato. A rilevare è la volontarietà dell’azione o dell’omissione, anche quando l’omissione si riferisce all’obbligo di controllare l’operato dei propri dipendenti o collaboratori. E’ quindi responsabile l’avvocato che, alla riscossione del compenso, non fa seguire la immediata o tempestiva fatturazione. Il legale pertanto, a sua discolpa, non può affermare che l’omessa fatturazione è imputabile a malintesi di segreteria. Lo ha affermato il CNF nella sentenza n. 219/2024.

Omessa fatturazione dopo la riscossione dei compensi

Due avvocati vengono sottoposti a procedimento disciplinare e tra le varie incolpazioni, vengono ritenuti responsabili di aver incassato compensi per l’importo di 68. 500,00 euro senza il rilascio delle regolari fatture. Il Consiglio distrettuale di disciplina applica a uno dei due professionisti la sanzione della censura, all’altro la sospensione dall’attività per 8 mesi.

I due legali ricorrono innanzi al CNF e si difendono dall’accusa della mancata emissione delle fatture sostenendo tra l’altro che “i documenti fiscali non sono stati emessi per “malintesi di segreteria” e che dunque difetta l’elemento soggettivo del reato in capo all’avvocato che, per ragioni contabili e fiscali, avrebbe dovuto provvedere alla contabilizzazione e alla fatturazione. Lo stesso evidenzia inoltre, come la condotta non sia a lui imputabile anche in ragione del tempo trascorso, che rende impossibile reperire tutti i documenti fiscali emessi, conservati presso il proprio commercialista.

Non serve il dolo basta la volontarietà dell’omissione

Il CNF ritiene infondati i motivi di doglianza che l’avvocato espone in ordine alla contestazione della mancata emissione delle fatture relative ai compensi incassati. Per il CNF non rileva l’eventuale attribuzione dell’illecito della omissione della fatturazione alla segreteria dello Studio legale. Per costante giurisprudenza “l’attribuzione a dimenticanza della segretaria della omessa fatturazione della somma indicata nella ricevuta rilasciata al cliente non muta la valutazione disciplinarmente rilevante del comportamento dell’avvocato come lesivo del dovere di vigilanza e di diligenza, cui è tenuto l’esercente la professione legale su collaboratori e dipendenti del proprio studio.”

Il CNF precisa che per ritenere un libero professionista responsabile della violazione, ai fini dell’addebito disciplinare non è necessario che lo stesso lo abbia commesso con dolo specifico o con dolo generico. Ciò che rileva è la volontarietà con cui l’atto è stato commesso od omesso, anche quando l’azione o l’omissione si configuri nel mancato adempimento dell’obbligo di controllare il comportamento dei dipendenti o dei collaboratori. “Il mancato controllo costituisce, infatti, piena e consapevole manifestazione della volontà di porre in essere una sequenza causale che in astratto potrebbe dar vita ad effetti diversi da quelli voluti, che però ricadono sotto forma di volontarietà sul soggetto che avrebbe dovuto vigilare e non lo ha fatto”.

Fatturazione immediata o tempestiva

Non rileva neppure l’affermato, ma non dimostrato, tentativo di adempiere a tale obbligo tardivamente o di voler rimediare all’omissione della fatturazione con il ravvedimento operoso all’Agenzia delle Entrate. Diverse norme del Codice deontologico, come l’art. 16 e 29 e l’art. 15 del cod. previdenziale prevedono che l’avvocato abbia l’obbligo di emettere la fattura tempestivamente e contestualmente alla riscossione dei compensi. L’eventuale ritardo con cui l’avvocato provvede a tale adempimento non viene preso in considerazione dal Codice deontologico. Il tutto senza dimenticare che “la violazione di tale obbligo costituisce illecito permanente, sicché la decorrenza del termine prescrizionale ha inizio dalla data della cessazione della condotta omissiva.”

 

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forense card

Forense Card: cos’è e quali vantaggi La Forense Card è un servizio messo a disposizione degli iscritti da Cassa Forense che permette, tra le altre cose, di pagare i contributi previdenziali anche a rate

Cos’è la Forense Card

La Forense Card è un servizio messo a disposizione dalla Cassa Forense in collaborazione con la banca popolare di Sondrio, essenzialmente per il pagamento dei contributi previdenziali ma può essere usata anche come carta di credito ordinaria e per richiedere un prestito.

E’ riservata esclusivamente agli iscritti all’ente previdenziale degli avvocati e non serve essere clienti della banca, basta essere titolari di un qualsiasi conto corrente bancario o postale.

I vantaggi della Forense Card

Tra i vantaggi della Forense Card, ricorda Cassa Forense, c’è la possibilità di effettuare pagamenti pagamenti presso gli esercizi convenzionati con Visa e Mastercard e prelievi di contanti presso tutti gli sportelli automatici ATM convenzionati con Visa e Mastercard in Italia e all’estero.

Ma in particolare, la Card consente di versare via internet, in modo sicuro e senza spese, i contributi previdenziali, con addebito sul conto corrente e con possibilità di dilazionarli.

La Forense Card consente altresì di trasformare in contanti l’importo del plafond assegnato, con accredito della somma richiesta direttamente sul proprio conto.

Come richiederla

La carta, gratuita e senza canone annuale, può essere richiesta soltanto via internet, accedendo dall’Area Riservata sul sito di Cassa Forense e compilando il modulo di richiesta direttamente online.

Previa verifica del possesso dei requisiti per il rilascio, la carta viene inviata direttamente al domicilio del richiedente.

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censurato l'avvocato

Censurato l’avvocato che offende e denigra la collega Sanzione della censura più adeguata rispetto alla sospensione dall’attività per l’avvocato che offende e denigra la collega

Sanzione della censura per l’avvocato

Merita di essere censurato l’avvocato che offende e denigra la collega nell’atto di costituzione e risposta. La sospensione dall’attività per due mesi non è appropriata se l’avvocato non ha precedenti disciplinari e se le frasi di contenuto offensivo e denigratorio sono inferiori rispetto a quelle per le quali è stato ritenuto colpevole dal Consiglio distrettuale di disciplina.

Lo ha chiarito il CNF nella sentenza n. 217-2024.

Procedimento disciplinare: avvocato offende la collega

Un avvocato viene sottoposto procedimento disciplinare dopo due esposti presentati dall’avvocato di controparte in una causa relativa all’affidamento e al mantenimento di un minore. L’avvocato viene incolpato, tra le altre cose, di aver utilizzato nella comparsa di costituzione parole offensive, sconvenienti e denigratorie dell’attività del collega difensore.

Lo stesso ha infatti utilizzato nell’atto termini come i seguenti:“subdole e infingarde insinuazioni”; la cattiveria più infima della signora”; nonostante la scorrettezza della collega” e similari, rivolti alla collega e alla sua cliente. Il tutto in violazione degli articoli 9, 42 e 52 del Codice deontologico Forense.

Il Consiglio di disciplina commina quindi la sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per la durata di due mesi.

Frasi impiegate non sono tutte offensive

L’avvocato incolpato però ricorre la decisione davanti al Consiglio Nazionale Forense denunciando, in relazione alla contestata violazione degli articoli 42 e 52 del Codice deontologico, l’errata valutazione delle prove e dei documenti acquisiti agli atti.

Il ricorrente fa infatti presente che la maggior parte delle frasi, ritenute offensive, non erano rivolte alla collega, ma alla sua cliente. I termini “scorretta e subdola” rivolte alla collega inoltre non dovevano intendersi come offensive, ma come descrittive e giustificate dai comportamenti processuali tenuti dalla collega, che quelle parole volevano stigmatizzare.

Basta la censura, illeciti inferiori e senza precedenti

Il Consiglio Nazionale Forense precisa che la portata offensiva delle espressioni impiegate dall’avvocato ricorrente “è insita nel significato comune e corrente delle parole e delle aggettivazioni usate (subdole e infingardi insinuazioni”, scorrettezza della collega”, subdolamente adito”, riferite allAvv. [OMISSIS]; cattiveria più infima”, rissosa cliente”, boriosa e perfida cliente”, riferite alla sig.ra [OMISSIS]), e nessun passaggio argomentativo può valere a darne giustificazione anche laddove inserite, e forse a maggior ragione proprio perché inserite, in un atto diretto allAutorità giudiziaria.” 

Il CNF non nega la commissione di una pluralità di illeciti da parte dell’avvocato ricorrente, seppure nel numero ridotto di espressioni ritenute offensive e denigratorie. Esso non può neppure negare l’assenza di precedenti disciplinari. Ne consegue che la sanzione corretta da applicare nel caso di specie è la censura, non la sospensione dall’attività per due mesi.

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concordato preventivo

Concordato preventivo: per avvocati opzione neutra Cassa Forense fornisce chiarimenti agli iscritti sull'adesione al concordato preventivo biennale in scadenza il 31 ottobre prossimo

Concordato preventivo biennale avvocati

Concordato preventivo biennale: per Cassa Forense l’opzione è neutra, si paga sul reddito effettivo. Così l’ente previdenziale degli avvocati con un avviso pubblicato sul proprio sito detta chiarimenti sulla possibilità di adesione all’opzione introdotta dal Dlgs. 13/2024, in attuazione della riforma fiscale.

Gli avvocati che decidono di aderire al CPB continuano a versare la contribuzione previdenziale sulla base del reddito effettivamente prodotto” chiarisce infatti la Cassa. 

La nota Adepp

L’Ente rammenta che il decreto 13/2024, che ha introdotto il CPB, all’articolo 30 prevede che: «Gli eventuali maggiori o minori redditi ordinariamente determinati, rispetto a quelli oggetto del concordato, non rilevano, ai fini della determinazione delle imposte sui redditi nonché dei contributi previdenziali obbligatori…».

Proprio tale inciso ha spinto l’Adepp, l’associazione che rappresenta le Casse di previdenza dei professionisti, a fare un comunicato per chiarire che, sul fronte previdenziale, “questa norma non si possa applicare agli enti di previdenza cosiddetti privatizzati, perché oltre a lederne l’autonomia potrebbe incidere sulla stabilità finanziaria”.

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spese forfettarie avvocato

Spese forfettarie avvocato: mai sotto il 15% Le spese forfettarie dell'avvocato non possono essere riconosciute in misura inferiore al 15% perché diminuirebbero il compenso

Spese forfettarie avvocato: si possono concordare sotto il 15%?

Le spese forfettarie del 15% che l’avvocato indica in fattura per chiederne il rimborso al cliente a titolo di spese generali possono essere indicate in una percentuale inferiore? Questo in sintesi il quesito che il COA di Torino rivolge al CNF. Più precisamente il COA chiede se sia possibile prevedere una riduzione della percentuale del 15% in sede di accordo contrattuale con il cliente o quando si partecipa a un bando pubblico.

Spese forfettarie: quadro normativo

Il Consiglio Nazionale Forense (parere n. 28/2024) ricorda che le spese forfettarie sono dovute nella misura del 15% del compenso totale, come stabilito dal dm 55/2014. La percentuale del 15% è fissa, le spese forfettarie quindi spettano all’avvocato in modo automatico, senza obbligo di documentarle come previsto invece per le spese vive. Neppure il giudice può intervenire sulla loro quantificazione.

La voce “Spese forfettarie” quindi è un parametro che vincola anche il giudice quando provvede alla liquidazione giudiziale del compenso dell’avvocato, ma anche le parti. Esse rappresentano infatti una componente del compenso.

Le legge n. 49/2023 sull’equo compenso all’articolo 3 dispone la nullità delle clausole che contemplino un compenso non equo e proporzionato all’attività svolta dai liberi professionisti iscritti a un albo, ordine o collegio professionale. Sono nulle in particolare le pattuizioni che dovessero stabilire compensi inferiori a quelli stabiliti dai parametri di liquidazione per i professionisti suddetti.

In effetti la legge n. 247/2012 e diversi decreti ministeriali prevedono per l’avvocato un compenso maggiorato del 15% per le spese forfettarie, regola che neppure il giudice può ridurre o aumentare dopo il d.m n. 147/2022.

La riduzione diminuirebbe il compenso

La maggiorazione del 15% non priva l’importo risultante del valore di compenso. Le spese vive infatti non sono incluse nella percentuale del rimborso delle spese generali, ma costituiscono una voce separata.

Ne consegue che: “sulla base di una interpretazione logico-sistematica unica della disciplina di cui all’art. 13, comma 10, legge n. 247/2012 e al d.m. n.55/2014 (e successive modificazioni) e della legge n. 49/2023 sull’equo compenso, leventuale riduzione della percentuale del 15% stabilita dal decreto ministeriale per le spese forfetarie dell’avvocato – percentuale quantificata ex lege – determina un ribasso del compenso” parametrico dell’avvocato, con conseguente violazione della disciplina dellequo compenso di cui alla legge n. 49/2023.”

 

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Sospeso l’avvocato che non consegna l’atto di citazione al collega La mancata consegna dell'atto di citazione e della relata al collega avvocato configura un illecito disciplinare

Illecito deontologico per l’avvocato

Sospeso l’avvocato che non consegna l’atto di citazione al collega. La mancata consegna dell’atto corredato della relata di notifica origina un illecito deontologico. L’avvocato in questo modo viene meno, infatti, ai doveri di probità e lealtà. La Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. Cass-27284-2024 respinge il ricorso della professionista incolpata e fornisce alcune importanti precisazioni anche sulla prescrizione dell’illecito disciplinare. Al CNF il compito di rideterminare la sanzione.

Mancata consegna atto di citazione e relata

Un Comune, a mezzo difensore, si rivolge al Consiglio dell’ordine degli Avvocati competente per denunciare la condotta dell’avvocato della controparte in un giudizio risarcitorio.

Detto avvocato avrebbe infatti dichiarato che l’atto di citazione predisposto sarebbe stato consegnato a mani dall’ufficiale giudiziario, anche se la stessa si è limitata a inviare al collega solo la copia della prima pagina dell’atto, senza la relativa relata di notifica. Dal controllo del fascicolo d’ufficio è emerso infatti che nessun atto di citazione era stato notificato da parte dall’avvocata incolpata.

Avvocata non consegna atto di citazione al collega: sospesa dall’attività

Il Consiglio distrettuale di disciplina sottopone l’avvocata a un procedimento disciplinare. Tra i vari capi di incolpazione figura la violazione dei doveri di proibita, dignità, decorso e indipendenza  previsti dall’articolo 9 del Codice deontologico Forense. La professionista sarebbe responsabile di non aver consegnato al collega l’atto di citazione e la relativa relata di notifica. Con questa condotta la stessa avrebbe violato il dovere di correttezza e lealtà e l’obbligo di collaborazione nei confronti dei colleghi, che si realizza anche attraverso lo scambio di atti, documenti e informazioni.

All’esito del procedimento il Consiglio di disciplina condanna la professionista in relazione ad alcuni capi di incolpazione e la sanziona con la sospensione dall’esercizio della professione per la durata di tre anni. Il CNF però ridetermina la sanzione della sospensione dall’attività riducendola a un anno.

Non punibile la professionista che esercita il diritto di difesa

L’incolpata ricorre in Cassazione affermando nel primo motivo di ricorso la prescrizione dell’illecito contestato al capo 2). Con il secondo motivo contesta invece la violazione dell’art. 24 della Costituzione, affermando che se la stessa avesse consegnato al collega copia dell’atto corredato della relativa notifica avrebbe fornito la prova dell’avvenuta falsificazione dell’atto, pregiudicando così il suo diritto di difesa in un eventuale procedimento disciplinare, che sarebbe potuto originare proprio dalla consegna dell’atto falso.

La ricorrente invoca quindi la causa di giustificazione contemplata dall’art. 51 c.p, che non punisce il fatto commesso nell’esercizio di un diritto, che nel caso di specie si identifica con i diritto di non rendere dichiarazioni, scritte o reali, contenenti elementi auto-indizianti.

Illecito disciplinare la mancata consegna al collega dell’atto

Gli Ermellini dichiarano il motivo ammissibile perché la prescrizione dellazione disciplinare nei confronti degli avvocati è rilevabile anche dufficio in ogni stato e grado del processo, qualora non comporti indagini fattuali che sarebbero precluse in sede di legittimità, tanto più ove se ne deduca la maturazione successivamente allintroduzione del giudizio di merito a quo.”

In relazione al capo 2 di incolpazione si è verificata in effetti la prescrizione. Per la Cassazione però il motivo è infondato e va respinto.

La Cassazione ritiene infine che anche il secondo motivo sollevato sia del tutto infondato. Questo alla luce di diverse disposizioni nazionali e internazionali richiamate da alcune pronunce della Corte Costituzionale e della stessa Cassazione. L’illecito disciplinare oggetto di giudizio è estraneo al perimetro di applicazione del diritto al silenzio, che vale nei procedimenti amministrativi idonei a sfociare in sanzioni amministrative punitive. La garanzia però opera solo nell’ambito del rapporto tra il potenziale incolpato e l’autorità titolare dei procedimenti amministrativi finalizzati alla scopetta di illeciti, individuazione di responsabili e irrogazione di sanzioni punitive. Nel caso si specie però la contestata mancata consegna dell’atto si è manifestata nei confronti dell’avvocato di controparte, nell’ambito del rapporto di colleganza, non verso un autorità munita di poteri di vigilanza.

 

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599 nuovi magistrati

599 nuovi magistrati in servizio Il Guardasigilli, Carlo Nordio, ha firmato il decreto di nomina dei 599 neo-magistrati vincitori del concorso indetto nel 2021

Decreto di nomina di 599 magistrati

Saranno in servizio dalla prima metà di novembre ben 599 neo-magistrati vincitori del concorso indetto con Dm del 1° dicembre 2021. Ieri, infatti, il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha firmato il decreto di nomina.

“Si tratta di un risultato straordinario, in termini qualitativi e numerici, mai raggiunto prima di oggi, che costituisce solo il primo dei tasselli dell’attività avviata dalla Direzione Generale dei Magistrati per colmare le carenze di organico della magistratura ordinaria, in linea con gli obiettivi di Governo più volte ribaditi dal Ministro Nordio” si legge nella nota stampa ufficiale.

Altri 1.200 magistrati in arrivo

Sono in corso altre tre procedure concorsuali, per la complessiva assunzione di altri 1.200 magistrati ordinari.

Il Ministro Nordio ha espresso ringraziamento per il proficuo lavoro del Dipartimento dell’organizzazione giudiziaria e in particolare della Direzione generale magistrati, che hanno consentito di realizzare in tempi celeri tutte le fasi del concorso fino all’assunzione dei nuovi magistrati.

sospeso l'avvocato

Sospeso l’avvocato che si appropria del denaro del cliente La Cassazione conferma la sospensione dalla professione per due anni nei confronti dell'avvocato che si appropria delle somme del cliente

Illecito permanente avvocato

Sospeso l’avvocato che si appropria delle somme del cliente: l’illecito, ribadiscono le Sezioni Unite della Cassazione, con la sentenza n. 26374/2024, confermando la sospensione dalla professione per due anni, ha natura permanente.

La vicenda

Nella vicenda, alcuni soggetti segnalavano al competente Ordine professionale di essersi rivolti all’avvocato in questione per essere assistiti nella controversia avente ad oggetto il risarcimento del danno da essi sofferto in conseguenza della morte del rispettivo figlio e fratello in un sinistro stradale.

L’avvocato aveva incassato per conto loro la somma versata dalla compagnia assicuratrice tacendo la circostanza e intascando il denaro.

Veniva avviato procedimento disciplinare che si concludeva con l’irrogazione all’incolpato della sanzione della sospensione per due anni. La decisione veniva impugnata innanzi al CNF il quale rigettava il gravame.

L’avvocato impugnava quindi la decisione innanzi alla Cassazione con un ricorso fondato su un unico motivo.

Il ricorso

Nell’illustrazione del motivo, l’avvocato sosteneva che l’illecito disciplinare era stato commesso nel 2011, per cui esso era soggetto alle previsioni del codice deontologico vigente ratione temporis, le cui previsioni erano più favorevoli per l’incolpato rispetto alle corrispondenti previsioni del codice deontologico vigente al momento della decisione.

In particolare, il ricorrente sosteneva che “rispetto alla contestazione di violazione del dovere di corretta gestione del denaro del cliente, il codice deontologico attuale è più sfavorevole del precedente perché questo prevede la sospensione fino a tre anni, mentre quello non prevedeva espressamente una sanzione predeterminata”. Inoltre, che, “rispetto alla contestazione di violazione del dovere di informare il cliente, il codice deontologico attuale è più sfavorevole del precedente sia per le medesime ragioni appena indicate, sia perché qualifica quello di informazione come ‘dovere’, invece che come ‘obbligo'”.

La decisione

Per gli Ermellini, però, il ricorso è manifestamente infondato per due indipendenti ragioni.
La prima ragione è l’erroneità del presupposto di diritto da cui muove il ricorrente: ovvero che, avendo egli commesso il contestato illecito nel 2011, è a tale momento che occorre fare riferimento per individuare la disciplina applicabile ratione temporis.

La censura, osservano infatti dal Palazzaccio, “non tiene conto del fatto che una delle condotte ascritte a titolo di illecito disciplinare all’odierno ricorrente (non restituire il denaro incassato per conto dei clienti) è un illecito permanente”.

Come già stabilito dalla giurisprudenza precedente, aggiungono i giudici, “l’illecito disciplinare commesso dall’avvocato che si appropria di una somma di denaro destinata a un suo cliente ha natura permanente e la sua consumazione si protrae, in mancanza di restituzione, fino alla decisione disciplinare di primo grado” (così Cass. SS.UU. n. 23239/2022). Di conseguenza, la disciplina applicabile andava individuata in base al momento di cessazione della permanenza, non in base al momento di inizio della stessa.
La seconda ragione di infondatezza del ricorso, concludono dalla S.C. rigettando in toto le doglianze dell’avvocato, “è che il codice deontologico del 1997 puniva la violazione degli obblighi in tema di informazione del cliente e gestione del denaro altrui senza fissare la misura o il tipo della sanzione (art. 41 cod. deont. del 1997)”. Dunque, “in modo meno favorevole rispetto al codice deontologico del 2014, del quale pertanto correttamente fu fatta applicazione nel caso di specie, ai sensi dell’art. 65 d.lgs. 247/12”.

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