pensione sociale

Pensione sociale: incidenza sull’assegno divorzile Pensione sociale: la prestazione assistenziale riduce il bisogno di assistenza economica da parte dell’ex coniuge

Pensione sociale rileva sull’assegno di divorzio

La pensione sociale è una prestazione assistenziale che aiuta chi non dispone di mezzi sufficienti per vivere. La Cassazione, con l’ordinanza del 22 gennaio 2025 n. 1482, ribadisce che la pensione sociale è un elemento rilevante per valutare la condizione economica del coniuge richiedente l‘assegno divorzile.

Assegno di divorzio: richiesta di revisione

Una donna chiede la revisione dell’assegno di divorzio avviando un procedimento giudiziario. La Corte d’Appello respinge la richiesta. La situazione economica della richiedente è infatti migliorata grazie a un’eredità. La necessità di prendere in locazione di un immobile non può essere considerata una circostanza nuova, poiché già esistente al momento della sentenza sull’assegno. L’ex coniuge obbligato al versamento percepisce in ogni caso una pensione modesta e ha una figlia minore a carico. La Corte suggerisce quindi alla donna di richiedere la pensione sociale, se in possesso dei requisiti necessari.

Assegno di divorzio: necessario valutare i mutamenti

La donna impugna la decisione davanti alla Corte di Cassazione perché a suo dire non è stato valutato correttamente il mutamento delle condizioni economiche e patrimoniali delle parti rispetto al momento in cui è stato fissato, in prima battuta, l’assegno di divorzio.

La Cassazione accoglie il ricorso. La Corte d’Appello in effetti non ha analizzato in modo adeguato la situazione patrimoniale e reddituale delle parti e il loro mutamento nel tempo.

La stessa inoltre non ha verificato l’esistenza di motivi tali da richiedere la modifica dell’assegno divorzile.  Per modificare l’assegno divorzile, devono esistere “giustificati motivi” che dimostrino un cambiamento significativo delle condizioni economiche degli ex coniugi. Il giudice deve effettuare una comparazione tra la situazione patrimoniale iniziale e quella attuale. Solo se le nuove circostanze alterano l’equilibrio economico stabilito, si può procedere con una modifica dell’assegno. Non è possibile considerare eventi avvenuti prima della sentenza di divorzio, poiché essa ha valore di giudicato. Il giudice non deve rideterminare l’assegno basandosi sui criteri originari, ma valutare le variazioni patrimoniali successive.

Pensione sociale: incidenza dei cambiamenti

La sussistenza dei criteri di riconoscimento dell’assegno si esamina solo dopo aver accertato il sopraggiungere di nuove circostanze. Il giudice deve verificare in che misura i cambiamenti abbiano modificato l’equilibrio economico tra gli ex coniugi. In base a questa valutazione, può adeguare l’importo dell’assegno o revocarlo, considerando anche la pensione sociale percepita dal richiedente.

Pensione sociale: riduce il bisogno di assistenza dell’ex

La Corte d’Appello dovrà riesaminare la questione confrontando la situazione economica degli ex coniugi al momento del divorzio con quella attuale e considerare tutte le loro risorse, inclusa la pensione sociale percepita dalla ricorrente. Gli Ermellini ricordano infatti che la pensione sociale rappresenta una fonte di reddito che può ridurre il bisogno di assistenza economica da parte dell’ex coniuge, come espresso in una precedente ordinanza del 2021 (Cass. civ., Sez. I, ord. 5 maggio 2021 n. 11797).

 

 

Leggi anche gli altri interessanti articoli sull’assegno di divorzio 

Allegati

indennità di accompagnamento

Indennità di accompagnamento Cos'è l'indennità di accompagnamento, prestazione economica erogata dall'INPS per le persone con disabilità gravi che necessitano di assistenza continua

Indennità di accompagnamento: cos’è

L’indennità di accompagnamento è una prestazione economica erogata dall’INPS, introdotta dalla legge n. 18 dell’11 febbraio 1980, destinata a supportare le persone con disabilità gravi che necessitano di assistenza continua. Questo beneficio non è vincolato al reddito e ha l’obiettivo di contribuire alle spese derivanti dalla condizione di non autosufficienza.

Come funziona l’indennità di accompagnamento

L’indennità viene corrisposta con cadenza mensile per tutto l’anno, senza alcuna sospensione, e non è soggetta a tassazione IRPEF.

L’importo aggiornato annualmente dall’INPS può variare; attualmente l’importo rivalutato dall’Inps nel 2025 è pari a 542,02 euro.

Il beneficio, in via sperimentale nel 2025, viene assorbito per il periodo sperimentale 2025-2026 dalla prestazione universale (cosiddetto bonus anziani) erogata agli anziani non autosufficienti e già titolari di indennità di accompagnamento.

A chi spetta l’indennità di accompagnamento

L’indennità è destinata a:

  • Cittadini italiani o stranieri con regolare permesso di soggiorno, residenti in Italia;
  • Persone che abbiano ricevuto il riconoscimento di invalidità totale (100%) e che necessitano di assistenza continua per compiere le attività quotidiane o per deambulare;
  • Indipendentemente dall’età, purché non sia soddisfatta la capacità di autonomia personale o motoria.

Non spetta invece a chi:

  • È ricoverato gratuitamente in strutture pubbliche o private convenzionate per oltre 30 giorni consecutivi;
  • Non soddisfa i requisiti medico-legali richiesti dall’INPS.

L’indennità non spetta, inoltre, a chi è titolare di altre indennità simili per una invalidità riconducibile a causa di guerra, lavoro o servizio.

Domanda per l’indennità di accompagnamento

La domanda deve essere presentata online all’INPS, seguendo questi passaggi:

  • Certificato medico: Il medico curante deve inviare telematicamente all’INPS il certificato introduttivo, che descrive lo stato di salute del richiedente.
  • Domanda online: Il richiedente, o un patronato delegato, deve presentare la richiesta accedendo al portale INPS con SPID, CIE o CNS.
  • Visita medico-legale: L’INPS convocherà il richiedente per una visita presso la Commissione medico-legale, che valuterà la sussistenza dei requisiti sanitari.
  • Esito: In caso di accoglimento della domanda, l’indennità verrà erogata mensilmente, con accredito sul conto indicato dal richiedente.

La pensione non richiesta non spetta agli eredi La Cassazione afferma che in caso di liquidazione della pensione non richiesta, quest'ultima non può essere erogata agli eredi

Mancata liquidazione pensione non richiesta

La pensione non richiesta non può essere erogata agli eredi. La sezione lavoro della Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 2297/2025, ha affermato che in materia previdenziale: in assenza di una richiesta formale di liquidazione della pensione da parte del lavoratore, il diritto alla prestazione non può essere trasmesso agli eredi.

Il caso esaminato dalla Cassazione

L’ordinanza trae origine da una controversia in cui gli eredi di un lavoratore deceduto rivendicavano il diritto alla pensione di vecchiaia maturata dal loro congiunto, deceduto prima di presentare la domanda amministrativa.

Il ricorso si fondava sulla pretesa che il diritto a percepire la pensione fosse già sorto in capo al de cuius e che, quindi, dovesse essere riconosciuto agli eredi.

La Corte di appello di Brescia, riformando la decisione di prime cure, rigettava la domanda svolta dagli eredi per essere intrasmissibile il diritto al trattamento pensionistico del quale il de cuius non abbia richiesto la liquidazione.

La questione approdava in Cassazione.

Domanda di pensione: carattere costitutivo

La Suprema Corte ha chiarito preliminarmente che il legislatore ha disposto “che il privato non affermi un diritto davanti all’autorità giudiziaria prima che esso sia sorto, ossia prima del perfezionamento della relativa fattispecie a formazione progressiva, nella quale la presentazione della domanda segna al nascita dell’obbligo dell’ente previdenziale” (Cass., sez. VI-L, 10 maggio 2017, n. 11438).
La fattispecie a formazione progressiva “si realizza attraverso la presentazione della domanda”, che determina l’insorgere dell’obbligo dell’ente previdenziale” (Cass., sez. lav., 15 gennaio 2007, n. 732).

Per cui, il diritto alla pensione si perfeziona esclusivamente con la presentazione della relativa domanda da parte del titolare.

La domanda amministrativa, infatti, “condiziona lo stesso sorgere del diritto del privato” e la mancata presentazione della domanda “si riverbera sulla sussistenza stessa del diritto alla prestazione, così da precluderne in radice l’accertamento” (cfr. Cass. n. 17281/2024).

In assenza di tale richiesta, provvista dunque di carattere costitutivo, la prestazione previdenziale non entra a far parte del patrimonio del lavoratore e quindi non può essere trasmessa agli aventi causa.

Alla mancata presentazione della domanda da parte del de cuius, pertanto, ha concluso la S.C. rigettando il ricorso, “non può supplire una domanda dell’erede, quando questi, come avviene nel caso di specie, faccia valere un diritto iure hereditatis e vanti il diritto ai ratei del trattamento pensionistico di vecchiaia che, in quanto non richiesti dal dante causa (che pacificamente non ha presentato domanda all’INPS), non sono entrati nel patrimonio del de cuius e non possono pertanto essere trasmessi per successione”.

Allegati

pensioni 2025

Pensioni 2025: al via la rivalutazione INPS L'istituto ha completato le attività di rivalutazione delle pensioni 2025 e delle prestazioni assistenziali 2025

Rivalutazione pensioni 2025

L’INPS ha completato le attività di rivalutazione delle pensioni 2025 propedeutiche al pagamento delle prestazioni previdenziali e assistenziali. Le lavorazioni effettuate, informa l’istituto, hanno riguardato oltre 20 milioni di posizioni. I dettagli sono contenuti nella circolare n. 23 del 28 gennaio 2025.

In sintesi, di seguito, le operazioni effettuate:

Rivalutazione dei trattamenti previdenziali 2025

A partire dal 1° gennaio 2025, le pensioni sono rivalutate secondo un indice di variazione definitivo del +0,8% per il 2024. Per il 2024 non è previsto alcun conguaglio. Il trattamento minimo per le pensioni di lavoratori dipendenti e autonomi sarà di 603,40 euro mensili.

Pensioni inferiori al minimo più alte

Per le pensioni di importo pari o inferiore al trattamento minimo è previsto un incremento del +2,2% per il 2025, garantendo un supporto maggiore a chi ha redditi più bassi.

Rivalutazione per residenti all’estero

Per il 2025, la rivalutazione automatica non sarà riconosciuta ai pensionati residenti all’estero con trattamenti superiori al minimo INPS, ma sarà comunque attribuita fino a un certo limite.

Prestazioni assistenziali 2025

Le prestazioni assistenziali, come le pensioni sociali e gli assegni sociali, seguiranno lo stesso indice di rivalutazione. Inoltre, sono stati aggiornati i limiti di reddito per l’accesso a queste prestazioni.

Calendario di pagamento

I pagamenti delle pensioni e delle prestazioni assistenziali, rende noto infine l’INPS, saranno effettuati il primo giorno bancabile di ogni mese, o il giorno successivo se si tratta di giornata festiva o non bancabile.

 

Leggi gli altri articoli in materia di pensioni

pensioni 2025

Pensioni 2025: tutte le opzioni   Pensioni 2025: tutte le formule di accesso alla pensione nel 2025, regole e requisiti particolari per i dipendenti pubblici

Pensioni 2025: le novità

Il 2025 introduce nuove regole per accedere alla pensione: le opzioni per le pensioni 2025 includono requisiti ordinari, flessibilità in uscita e agevolazioni specifiche.

Pensione 2025 di vecchiaia

La pensione di vecchiaia richiede 67 anni di età e 20 anni di contributi.

Pensione 2025 anticipata

Per la pensione anticipata Fornero:

Uomini: 42 anni e 10 mesi di contributi.

Donne: 41 anni e 10 mesi di contributi.

Dipendenti Pubblica Amministrazione: pensione 2025

Come per il privato, dal 1 gennaio 2025 il limite è stato portato a 67 anni. Possibilità di trattenimento in servizio fino a 70 anni nel limite del 10% delle nuove assunzioni.

Personale scolastico: il limite dei 65 resta valido per il 2025, per cessazioni e prosecuzioni decorrenti dal 1° settembre 2025 si attendono le circolari del Ministero competente.

Dipendenti ex INPDAP: la legge di bilancio 2024 ha modificato le regole per la pensione anticipata.

Regole particolari sono previste per il personale sanitario.

Per i dipendenti pubblici la finestra mobile è di 6 mesi per la pensione anticipata, di 9 mesi invece per la Quota 103.

Uscite flessibili 2025

Queste le regole per le uscite flessibili 2025.

Quota 103

  • 62 anni di età, 41 anni di contributi.
  • Tetto assegno: 5 volte il minimo INPS.
  • Valida solo per il 2025, con una finestra di 7 mesi (privati) e 9 mesi (pubblici).

Opzione Donna

  • Età minima: 61 anni (ridotta per madri con uno o due o più figli a 60 e 59 ).
  • Contributi: 35 anni.
  • Riservata a lavoratrici con invalidità o dipendenti ddi datori in crisi.
  • Calcolo interamente contributivo.

APE Sociale

  • Età minima: 63 anni.
  • Contributi: 30-36 anni, secondo la categoria.
  • Riservata a disoccupati, caregiver, invalidi superiori al 74% e lavoratori di attività gravose.

RITA

  • Anticipo tramite fondi pensione.
  • Età: 57 anni (disoccupati da un minimo di 24 mesi) o 62 anni.
  • Contributi minimi: 20 anni.

Lavoratori precoci (Quota 41)

  • 41 anni di contributi per chi ha versato 12 mesi di contributi effettivi prima del 19° anno di età. L’accesso è riservato ai disoccupati involontari, a chi cura familiari disabili. A chi ha un’invalidità superiore al 74% e a chi svolge attività gravose o usuranti.
  • Nel 2025 la finestra mobile per il settore privato è di 3 mesi decorrenti dalla maturazione dei requisiti, mentre per il settore pubblico la finestra mobile è di 6 mesi.

Pensione disabili

Chi ha un’invalidità pari o superiore all’ accede alla pensione se ha 61 anni (uomini) e 56 anni (donne) con contributi minimi di 20 anni. I titolari di questo trattamento possono cullare la pensione con i redditi da lavoro autonomo occasionale fino a 5000,00 euro.

Isopensione

Prepensionamento fino a 7 anni prima, a carico del datore di lavoro.

Contratto di espansione

Pensione anticipata con 62 anni e 20 anni di contributi.

64 anni con la pensione complementare

Dal 2025 può andare in pensione anticipata chi compie almeno 64 anni entro il 31.12.2025, ha versato 20 anni di contributi nel regime obbligatorio. In caso di mancato raggiungimento della soglia per la pensione pubblica si può sommare la rendita periodica vitalizia o temporanea del fondo pensione complementare.

 

Leggi anche: Pensioni 2025: le novità della manovra

modello red

Modello RED: cos’è, a cosa serve, quando si presenta Guida al modello RED: che cos’è, quali sono i soggetti tenuti a presentarlo ed entro quando bisogna inviare il RED 2024

Che cos’è il modello RED

Il modello RED è il documento telematico che i percettori di pensione devono compilare per dichiarare quei redditi che risultano rilevanti ai fini del riconoscimento di alcune prestazioni economiche.

Vi sono, infatti, alcune prestazioni assistenziali previste dalla legge – come la maggiorazione sociale o l’integrazione del minimo della pensione – per il cui riconoscimento devono ricorrere determinati requisiti reddituali (c.d. prestazioni collegate al reddito).

Perciò, l’Inps, cioè l’ente erogatore di tali prestazioni, deve essere messo in condizioni di conoscere i redditi percepiti dal titolare di trattamento pensionistico, per valutare correttamente se questi abbia diritto a tali ulteriori prestazioni.

Quali sono i pensionati che devono presentare il modello RED?

Con il modello RED, quindi, vengono comunicati tutti quei redditi che non vengono dichiarati con le ordinarie comunicazioni annuali.

In particolare, devono compilare il modello RED:

  • i pensionati che non sono tenuti ad inviare all’Agenzia delle Entrate la dichiarazione dei redditi con modello 730 o con modello Redditi PF e che siano percettori di redditi ulteriori alla pensione (es. redditi immobiliari);
  • i pensionati che abbiano presentato la dichiarazione dei redditi ma che non erano tenuti a indicarvi determinati redditi, ulteriori alla pensione (es. interessi bancari), che invece influiscono sul riconoscimento o meno delle prestazioni economiche erogate dall’Inps;
  • i pensionati che percepiscono redditi che vanno dichiarati in modo diverso all’Agenzia delle Entrate (es. redditi da lavoro autonomo: al riguardo, vedi il nostro approfondimento sul Divieto di cumulo pensione con redditi da lavoro autonomo);
  • sono, inoltre, tenuti alla compilazione del modello RED i pensionati che hanno il coniuge o un altro familiare percettori di redditi che influiscono sulla determinazione del diritto a prestazioni erogate dall’Inps.

Chi non deve inviare il Modello Red

Di converso, non sono tenuti all’invio del modello RED i pensionati che hanno inviato all’Agenzia delle Entrate la dichiarazione dei redditi (o che non sono tenuti all’invio della stessa) e che non percepiscono ulteriori redditi, oltre a quelli dichiarati.

Come si presenta il modello RED 2024

Il modello RED si può presentare rivolgendosi a un CAF autorizzato, dove si potrà ricevere l’opportuna assistenza, oppure collegandosi in modo autonomo sul sito www.inps.it, autenticandosi con Spid o Carta Nazionale dei Servizi.

Per chi sceglie di inviare da sé il modulo, da quest’anno è possibile fare affidamento sul modello RED precompilato, che prende il posto del modello RED semplificato. In sostanza, si tratta di una funzione molto utile che permette di completare l’inserimento dei propri dati reddituali semplicemente confermando, integrando o rettificando i dati precompilati.

Scadenza modello RED: quando si deve fare il Red 2024

L’Inps ha già comunicato, con il messaggio n. 3301 dello scorso 4 ottobre, che la scadenza per il Modello RED 2024, relativo ai redditi percepiti nel 2023, è fissata al 28 febbraio 2025.

Il mancato invio della dichiarazione, ove dovuta, può portare alla sospensione o revoca della prestazione collegata al reddito da parte dell’Inps, a seguito di successivi controlli.

Ai fini della dichiarazione reddituale, l’INPS ha messo a disposizione dal 23 dicembre 2024, la videoguida personalizzata, per facilitare i pensionati (circa 700mila) tenuti a inviare il modello Red, utilizzando comodamente da casa il RED Precompilato entro la scadenza del 28 febbraio 2025.

La video guida, oltre a ricordare la scadenza per l’invio, le diverse modalità di trasmissione della dichiarazione per il 2022, le modalità per gli espatriati prima e dopo il 2022, permette anche di verificare – tramite il servizio Consulente digitale delle pensioni – l’eventuale diritto a ulteriori prestazioni.

pensioni 2025

Pensioni 2025: le novità della manovra Pensioni 2025: la manovra di bilancio prevede una serie di misure che tuttavia non portano benefici di rilievo per i pensionati italiani

Pensioni 2025: nuove regole, più flessibilità

La legge di bilancio 2025 introduce significative novità sul fronte delle pensioni, con l’obiettivo di migliorare la flessibilità in uscita. Tra le principali modifiche spicca la possibilità di anticipare la pensione a 64 anni, grazie al cumulo dei fondi di previdenza complementare. Tuttavia, non mancano criticità.

Contributivo: anticipo per chi ha la complementare

Dal 2025, i lavoratori che hanno aderito al sistema contributivo puro potranno richiedere la pensione anticipata a 64 anni. Per farlo, dovranno accumulare almeno 20 anni di contributi e raggiungere un importo minimo di trattamento pari a tre volte l’assegno sociale (534,41 euro mensili nel 2024).

La grande novità è la possibilità di includere nel calcolo anche la rendita dei fondi di previdenza complementare. Questa modifica permette di colmare eventuali lacune nel raggiungimento della soglia minima richiesta. Tuttavia, il requisito contributivo aumenterà progressivamente: 25 anni nel 2025 e 30 anni dal 2030.

Chi non ha aderito alla previdenza complementare continuerà a seguire le regole attuali. Potrà accedere alla pensione anticipata a 64 anni solo se il trattamento previsto soddisfa i requisiti minimi senza l’apporto di rendite integrative.

Le agevolazioni per le donne: opzione donna ampliata

Opzione donna richiede 61 anni come requisito anagrafico e 35 anni invece come requisito contributivo in un’unica gestione previdenziale. Di questa opzione potranno beneficiare anche le lavoratrice che hanno maturato i predetti requisiti entro il 31 dicembre 2024.

A opzione donna possono accedere anche le donne con 60 anni di età se madri di un figlio e con 59 anni di età se madri di almeno 2 figli nel caso in cui le stesse d+siano state licenziate p siano alle dipendenze di un datore di lavoro in crisi.

Il nuovo comma 179 dell’articolo 1 della legge di bilancio 2025 amplia l’applicazione di opzione donna consentendo alle madri di quattro figli di accedere alla pensione con un anticipo di 16 mesi rispetto all’età ordinaria.

Quota 103

Per la pensione anticipata con quota 103 è necessario avere 62 anni di età e aver versato 41 anni di contributi.  Finestra mobile di 7 mesi per i privati, che sale a 9 mesi per i dipendenti pubblici.

Ape sociale rifinanziata

Nuove risorse per l’ape social che permette di andare in pensione anticipata a 63 anni e 5 mesi di età e 30 anni di contributi, che salgono a 32 anni per i lavoratori edili e a 35 per coloro che svolgono attività gravose.

Pensioni minime

Per quanto riguarda le pensioni minime, la manovra prevede un incremento simbolico a partire dal 2025. La rivalutazione del 2,2% porta il trattamento minimo da 598,61 euro a 616,67 euro. Nel corso del 2025 per 13 mesi, i titolari dell’assegno sociale, se hanno compiuto alleno 70 anni, beneficeranno di un aumento di 8 euro al mese a condizione che siano ciechi titolari di trattamento pensionistico, sordomuti, invalidi civili totali, ciechi civili totali, maggiorenni.

Perequazione pensioni residenti all’estero

Per i residenti all’estero, nel 2025, in via del tutto eccezionale, non viene riconosciuto l’incremento derivante dalla perequazione automatica per i trattamenti pensionistici individuali complessivi superiori all’importo minimo stabilito dal regime generale INPS. Questa esclusione eccezionale avrà effetti anche sui ratei futuri. Resta comunque garantito l’incremento fino a raggiungere l’importo minimo, adeguato secondo la perequazione automatica.

Critiche e prospettive future

La manovra ha ricevuto elogi e critiche. La stessa ha introdotto misure interessanti, ma non ha risolto i nodi strutturali del sistema pensionistico. Se da un lato si incentiva l’uso dei fondi integrativi, dall’altro si alza l’asticella per il pensionamento anticipato, creando nuove disuguaglianze. Resta da vedere se queste riforme sapranno garantire un equilibrio tra sostenibilità finanziaria e tutela dei diritti dei lavoratori. Per ora, il dibattito resta aperto.

 

Leggi anche: Legge bilancio 2025:  cosa prevede

rivalutazione pensioni

Rivalutazione pensioni 2025: novità e limiti Rivalutazione pensioni 2025: incrementi dello 0,8%, minime a +1,90 euro al mese, dettagli su scaglioni, rivalutazione e prospettive future

Rivalutazione pensioni 2025: cosa prevede il decreto

Le pensioni italiane subiranno un modesto aumento nel 2025, frutto della rivalutazione legata all’inflazione. Lo ha stabilito il Decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanza del 15 novembre 2024, che disciplina la perequazione automatica delle pensioni a partire dal 1° gennaio 2025. I numeri rivelano incrementi esigui, sollevando dubbi sull’effettiva tutela del potere d’acquisto dei pensionati. Ecco quali cambiamenti porterà la rivalutazione pensioni 2025.

Cosa aspettarsi dalla rivalutazione

Nel 2025, le pensioni aumenteranno dello 0,8%, un valore determinato dal tasso d’inflazione registrato nel 2024. Questo incremento è tra i più bassi degli ultimi anni, influenzato dalla riduzione dell’inflazione rispetto ai picchi recenti. Gli assegni più alti tuttavia subiranno un trattamento differenziato, con aumenti ridotti progressivamente in base alla fascia di reddito.

Il ritorno al sistema a scaglioni

Dal 2025 si applicherà nuovamente il sistema a scaglioni, abbandonando quello a fasce utilizzato nel 2024. Ecco come saranno calcolati gli aumenti:

  • pensioni fino a quattro volte il minimo (fino a 2.394,44 euro lordi): aumento dello 0,8%;
  • tra quattro e cinque volte il minimo (da 2.394,45 a 2.993,04 euro): aumento dello 0,72%;
  • oltre cinque volte il minimo (sopra 2.993,05 euro): aumento dello 0,6%.

Il meccanismo consente un recupero parziale dell’inflazione per gli assegni più alti, con percentuali graduate.

Esempi pratici aumenti rivalutazione pensioni 2025

Gli incrementi mensili risultano molto contenuti. Una pensione da 1.000 euro lordi crescerà di 8 euro, mentre un assegno da 1.500 euro vedrà un incremento di 12 euro. Per redditi superiori, come una pensione da 4.000 euro, l’aumento sarà di circa 30 euro al mese.

Pensioni minime: incremento simbolico

Le pensioni minime subiranno un aumento simbolico. L’importo minimo passerà da 614,77 a 616,67 euro al mese, con un incremento netto di soli 1,90 euro mensili.

È importante notare che questo aumento non compensa la riduzione rispetto al 2024, quando era stato applicato un incremento straordinario del 2,7%. In totale, nel 2025 l’assegno minimo crescerà di soli 24,70 euro all’anno.

Differenze con gli anni precedenti

Gli aumenti pensionistici nel 2023 e nel 2024 erano stati più consistenti grazie a un’inflazione più alta. Nonostante ciò, gli assegni più alti avevano subito tagli più severi, con recuperi parziali dell’inflazione. Nel 2025, le percentuali di recupero saranno meno punitive, ma la base di calcolo limitata rende gli aumenti poco significativi.

Conguagli e possibili modifiche

Il dato dello 0,8% in ogni caso è provvisorio, calcolato sui primi tre trimestri del 2024. Eventuali variazioni negli ultimi mesi potrebbero portare a conguagli alla fine del 2025. Tuttavia, l’impatto complessivo su redditi bassi e medi resta modesto.

Prospettive per il futuro

Un’ulteriore questione riguarda le promesse politiche sulle pensioni minime. Forza Italia aveva annunciato di voler portare l’assegno minimo a 1.000 euro al mese entro il 2027, ma l’obiettivo appare sempre più lontano senza ulteriori interventi legislativi.

Considerazioni finali

L’aumento delle pensioni nel 2025 mostra limiti evidenti. Se da un lato il meccanismo di rivalutazione preserva parzialmente il potere d’acquisto, dall’altro gli incrementi rispecchiano un’inflazione moderata, che non compensa il costo della vita. Le pensioni minime, in particolare, continuano a soffrire di un aumento insufficiente rispetto alle promesse politiche. Il sistema rimane vincolato a parametri economici prudenti. Il dibattito sulla necessità di interventi più incisivi resta comunque aperto.

 

Leggi anche: Pensioni minime: bonus di 154,94 euro

pensione di inabilità

Pensione di inabilità: spese per la CTU non dovute Pensione di inabilità: il titolare del trattamento, se in condizione di disagio economico non è tenuto a pagare le spese della CTU

Pensione di inabilità e disagio economico

Il titolare della pensione inabilità, in disagio economico, se chiede prestazioni previdenziali o assistenziali non può essere obbligato a pagare le spese della consulenza tecnica dufficio (CTU), a meno che la sua pretesa sia infondata o temeraria. Lo ha sancito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 30147/2024, con cui ha annullato un decreto del Tribunale di Roma.

Pensione di inabilità: la vicenda

La vicenda nasce dalla decisione del Tribunale di Roma, che aveva rigettato la richiesta di pensione ordinaria di inabilità e di assegno ordinario di invalidità presentata da una ricorrente. Il Tribunale nel respingere le richieste aveva posto a carico della stessa le spese della CTU. Decisione incomprensibile, considerato che la stessa aveva dichiarato un reddito familiare inferiore al limite previsto per l’esonero dalle spese processuali.

La ricorrente ha impugnato quindi la decisione in Cassazione, lamentando la violazione dell’art. 152 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile. La norma prevede infatti che chi si trova in condizioni economiche disagiate non deve sostenere le spese del processo, inclusa la CTU, se il giudizio riguarda prestazioni previdenziali o assistenziali.

Spese della CTU non possono gravare sul richiedente

La Corte di Cassazione ha infatti accolto il ricorso, richiamando un principio consolidato. Essa ha sancito infatti che nei giudizi relativi a prestazioni previdenziali o assistenziali, le spese della CTU non possono gravare sul ricorrente che rispetta i limiti reddituali previsti, salvo che la domanda risulti palesemente infondata o temeraria.

Nella pronuncia, la Corte evidenzia che il giudice di merito non si è attenuto a questo principio. La ricorrente aveva infatti chiaramente i requisiti reddituali per l’esonero e la sua pretesa non era manifestamente infondata o avanzata in malafede. Il Tribunale, pertanto, non aveva il potere di condannarla al pagamento delle spese di CTU.

La Corte ha quindi cassato senza rinvio la parte del decreto che poneva le spese della CTU a carico della ricorrente. Ha inoltre condannato l’INPS, controparte del giudizio, al rimborso delle spese del processo di legittimità.

Art. 152 disp. att. c.p.c.: norma a tutela dei più fragili

L’art. 152 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile tutela chi si trova in difficoltà economiche. Essa stabilisce infatti che non può essere condannato al pagamento di spese processuali, competenze o onorari nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali od assistenziali. In questi casi, l’esonero si applica anche alle spese per la CTU, strumento spesso necessario per accertare le condizioni di salute o di invalidità. Tuttavia, l’esonero non si applica se il ricorso è palesemente infondato o temerario, cioè se manca del tutto una base giuridica o fattuale per la richiesta.

 

 

Leghi anche: Verbali di invalidità: il nuovo servizio Inps

pensione reversibilità

Pensione reversibilità anche senza domanda La pensione di reversibilità si basa sui requisiti maturati dal de cuius, non serve la domanda  amministrativa

Pensione reversibilità: per il diritto rilevano i requisiti

La pensione di reversibilità rappresenta un diritto fondamentale che si lega al raggiungimento dei requisiti pensionistici del de cuius, ossia la persona deceduta. La sua concessione non dipende dalla presentazione, da parte del de cuius, della domanda amministrativa per ottenere il trattamento previdenziale, ma esclusivamente dalla maturazione dei requisiti richiesti. Questo principio, riaffermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 30315/2024, stabilisce che il diritto alla reversibilità non può essere negato per la semplice mancanza di una domanda formale da parte del titolare deceduto.

Domanda di reversibilità su pensione di anzianità

La questione affrontata dalla sezione Lavoro della Corte di Cassazione riguarda una donna che, in qualità di erede, aveva richiesto la reversibilità della pensione del marito deceduto. Quest’ultimo percepiva una pensione di invalidità, ma al momento del decesso aveva maturato i requisiti per accedere a un trattamento pensionistico più favorevole, quello di anzianità. Il de cuius aveva accumulato 35 anni di contributi e aveva richiesto il riscatto degli anni di laurea, completando quasi interamente l’iter necessario per il miglior trattamento. L’unica condizione non ancora soddisfatta era il pagamento dell’ultima rata per il riscatto degli anni di studio, a cui aveva provveduto la moglie dopo la morte del marito. La donna, pertanto, ha chiesto che la pensione di reversibilità venisse calcolata in base al trattamento più vantaggioso, ovvero quello di anzianità, e non su quello di invalidità percepito dal marito.

Pensione di reversibilità: contano i requisiti

La Corte di Cassazione ha confermato il diritto della moglie di ricevere la pensione di reversibilità parametrata al trattamento di anzianità, anche se il marito non aveva presentato la domanda per questo tipo di pensione prima della morte. La pronuncia si fonda su un principio chiaro: i requisiti previdenziali raggiunti sono sufficienti a far valere il diritto al miglior trattamento pensionistico. La mancanza del presupposto amministrativo della domanda da parte del de cuius non può pregiudicare il diritto dell’erede.

Il riscatto degli anni di laurea, anche se formalmente concluso post mortem, contribuisce a consolidare il diritto del de cuius al trattamento di anzianità. Questo aspetto si traduce in un beneficio economico maggiore per la pensione di reversibilità spettante all’erede.

Questa sentenza è significativa infatti non solo per la donna che ha ottenuto il riconoscimento del suo diritto, ma anche per tutti i casi analoghi futuri. Essa infatti stabilisce che:

  • il diritto alla reversibilità si basa sui requisiti previdenziali raggiunti dal de cuius;
  • la mancata presentazione della domanda non inficia il diritto degli eredi;
  • è legittimo parametrare la reversibilità al trattamento più favorevole, se i requisiti sono stati maturati.

In situazioni simili gli eredi possono quindi avanzare una richiesta per ottenere il trattamento previdenziale più favorevole, anche se il de cuius non ha presentato formalmente la domanda.

Leggi anche:  La pensione di reversibilità non si eredita

Allegati