Pedopornografia: diminuente per i casi meno gravi Per la Corte Costituzionale, con riferimento al reato di pedopornografia, è illegittima la mancata previsione della diminuente per i casi di minore gravità
Pedopornografia e diminuente
Nella produzione di materiale pedopornografico è illegittima la mancata previsione della diminuente per i casi di minore gravità. Lo ha deciso la Corte costituzionale, con la sentenza n. 91-2024, dichiarando l’illegittimità dell’art. 600-ter, primo comma, numero 1), cod. pen., per violazione degli artt. 3 e 27, primo e terzo comma, Cost., nella parte in cui non prevede, per il reato di produzione di materiale pornografico mediante l’utilizzazione di minori di anni diciotto, che nei casi di minore gravità la pena da esso comminata è diminuita in misura non eccedente i due terzi.
Nel rammentare la discrezionalità del legislatore nella individuazione delle condotte costitutive di reato e nella determinazione delle relative pene, quale massima espressione di politica criminale, il Collegio ha, al contempo, ribadito l’invalicabile limite della arbitrarietà e manifesta irragionevolezza.
Canone della proporzionalità
I Giudici hanno sottolineato che solo una pena rispettosa del canone della proporzionalità, calibrata sul disvalore del caso concreto, garantisce una effettiva individualizzazione della pena e la sua funzione rieducativa.
Alla luce di tali principi la Corte ha osservato che, “per il reato di produzione di materiale pedopornografico, la mancata previsione di una “valvola di sicurezza” che consenta al giudice di modulare la pena, onde adeguarla alla concreta gravità della singola condotta, può determinare l’irrogazione di una sanzione non proporzionata, in quanto la formulazione normativa dell’art. 600-ter, primo comma, numero 1), cod. pen., nella sua ampiezza, è idonea a includere, nel proprio ambito applicativo, condotte marcatamente dissimili, sul piano criminologico e del tasso di disvalore, alcune delle quali anche estranee alla ratio sottesa alla severa normativa in materia di pedopornografia; tanto più in presenza di una cornice edittale del reato caratterizzata – proprio nella giusta considerazione dell’elevato disvalore di tale tipologia di reati e per i pericoli agli stessi correlati – da un minimo di significativa asprezza, pari a sei anni di reclusione”.
Casi di minore gravità
La mancata previsione di una diminuente – analoga a quella prevista per i delitti di violenza sessuale e atti sessuali con minorenne – ha concluso la Corte, “preclude, infatti, al giudice di calibrare la sanzione al caso concreto che può essere riconducibile, pur nel suo innegabile disvalore, a un’ipotesi di minore gravità, individuabile grazie alla prudente valutazione globale del fatto in cui assumono rilievo le modalità esecutive e l’oggetto delle immagini pedopornografiche, il grado di coartazione esercitato sulla vittima (anche in riferimento alla mancanza di particolari tecniche di pressione e manipolazione psicologica o seduzione affettiva), nonché le condizioni fisiche e psicologiche di quest’ultima, pure in relazione all’età (e alla contenuta differenza con l’età del reo) e al danno, anche psichico, arrecatole”.