phishing

Phishing: cos’è e come tutelarsi Phishing: truffa informatica che sfrutta le paure dei navigatori del web per rubare i dati e mettere in atto diversi illeciti penali

Phishing: cos’è

Il phishing è un attacco informatico che ha la finalità di rubare i dati e le informazioni personali dei navigatori di Internet.

Il phishing inganna psicologicamente l’utente, sfruttando i suoi timori, per sottrargli ad esempio i dati di accesso ai conti correnti o ai documenti di identità. Il criminale impiega poi questi dati per compiere illeciti penali, senza che la vittima se ne accorga, salvo nel momento in cui si sente accusare di condotte penalmente rilevanti.

Come si realizza

Il mezzo preferito per carpire le informazioni altrui è senza dubbio la posta elettronica.

In genere le e-mail presentano un logo o un indirizzo che richiama quello di enti od organizzazioni attendibili, come istituti di credito o servizi postali. Per rubare i dati le e-mail segnalano di solito l’esistenza di un problema di sicurezza relativo all’account della banca o della posta di cui la vittima è titolare. C’è quindi un invito a cliccare un link per la risoluzione del problema. L’utente è quindi portato a inserire i propri dati personali, che vengono immediatamente indirizzati sul sito falso del criminale. Una volta che l’utente entra nel sito del cracker subisce in genere anche un danno al proprio divella a causa di virus, trojan e malware.

Phishing: quali reati può configurare

Il phishing è quindi una condotta illecita che può realizzare diverse fattispecie criminose.

Il primo è il reato di sostituzione di persona contemplato dall’articolo 494 c.p. C’è poi l’accesso abusivo in un sistema informatico o telematico previsto e disciplinato dall’articolo 615 ter c.p. La condotta però può anche configurare il reato di falsificazione di comunicazione telematica di cui all’articolo 617 sexies c.p, la truffa di cui all’articolo 640 c.p o la frode informatica punito dall’articolo 640 ter c.p. L’articolo 167 del Codice in materia di protezione dei dati personali contenuto nel decreto legislativo n. 196/2003 e riformato per adeguare questo testo di legge al regolamento UE 2016/679 punisce infine il trattamento illecito di dati che prevede l’intervento del PM e del Garante Privacy.

Come tutelarsi

La prima strategia per evitare che i dati personali vengano rubati per commettere illeciti consiste nel prestare molta attenzione alla creazione dei datti, ma soprattutto al loro utilizzo e alla loro diffusione.

Occorre poi stare attenti al tono di email e SMS. Il phishing, come anticipato, sfrutta le paure degli utenti della rete, per cui tendono ad avere sempre un tono allarmistico.

Prima di aprire una e-mail è sempre bene controllate l’indirizzo del mittente. In genere è possibile rendersi conto subito che si tratta di indirizzi fasulli.  Questi indirizzi e-mail infatti spesso non contengono neppure il nome dell’ente o della banca che lo invia e, se lo contengono, presentano caratteri particolari, da cui è facile intuire che non sono ufficiali.

Una volta aperta la e-mail evitare di aprire qualsiasi link contenuto al suo interno. Per un controllo veloce è possibile passare il mouse sopra il link o inserirlo nella barra in cui si inserisce l’indirizzo del motore di ricerca.

Un altro aspetto molto importante da considerare è rappresentato dalla connessione. Meglio scegliere connessioni sicure ed evitare connessioni Wi-Fi sconosciute o senza password. Verificare inoltre la presenza del protocollo HTTPS e il nome del dominio.

Come sporgere denuncia

Le vittime del raggiro tramite il phishing che hanno subito il furto dei propri dati possono fare denuncia attraverso il servizio dedicato del sito Commissariato della Polizia di Stato.

Lo sportello per la sicurezza degli utenti del web può essere utilizzato per denunciare o segnalare tutta una serie di reati informatici come il phishing appunto, ma anche il cyberbullismo, il romance scam, la violazione del diritto d’autore, lo spamming, il cyberstalking, la pedofilia online, il cyberstalking e tante altre condotte criminali online.

La denuncia che viene inviata tramite questo sito è seguita dall’apertura di un fascicolo, che viene poi inviato alla Procura della Repubblica per poter procedere.

reato di minaccia

Reato di minaccia Il reato di minaccia si configura qualora un soggetto minacci un altro di un danno ingiusto, se aggravato è punito con la reclusione

Reato di minaccia: cos’è

La minaccia è un reato contemplato dall’art. 612 del codice penale. Esso si configura quando un soggetto minaccia un altro soggetto di cagionargli un danno ingiusto. La norma tutela la libertà morale e psichica contro ogni tipo di condotta in grado di creare un turbamento derivante dal prospettare un male ingiusto alla vittima. Il danno minacciato può consistere in una lesione o nella sola messa in pericolo di un interesse che ha rilievo giuridico. L’ingiustizia del danno si riferisce ai danni che vengono cagionati da condotte illecite.

Il reato di minaccia è definito “di pericolo” perché non richiede il verificarsi di un evento, è sufficiente che il male venga  prospettato e che questo induca nella vittima il timore che il danno minacciato si potrebbe effettivamente verificare.

Procedibilità del reato di minaccia

Il reato di minaccia è punibile a querela della persona offesa.

Si procede d’ufficio se:

  • la minaccia si realizza in uno dei modi contemplati dall’articolo 339 del codice penale;
  • la minaccia è grave e ricorrono circostanze aggravanti con effetto speciale diverse dalla recidiva;
  • la persona offesa è incapace per età o per infermità.

Minaccia aggravata: art. 339 c.p.

La minaccia è aggravata se il soggetto agente la commette:

  • durante manifestazioni che si svolgono in un luogo pubblico o aperto al pubblico;
  • con l’uso delle armi;
  • da un soggetto dal volto coperto;
  • da più soggetti riuniti;
  • con uno scritto anonimo;
  • ricorrendo alla forza intimidatorie di associazioni segrete, esistenti o anche solo supposte;
  • lanciando o utilizzando corpi contundenti o altri oggetti idonei a offendere come i fuochi d’artificio, tutti oggetti che creano situazioni di pericolo per le persone.

Elemento soggettivo

Per integrare il delitto di minaccia la legge richiede che il soggetto agisca con dolo generico ossia con la coscienza e la volontà di minacciare un altro soggetto di un danno ingiusto.

Come è punito il reato di minaccia

Il reato di minaccia viene punito con una multa che può arrivare fino a 1.032,00 euro.

Se la minaccia è grave o è commessa nei modi previsti dall’articolo 339 c.p il reato è punito con la pena della reclusione fino a un anno.

Minaccia: rapporto con altri reati

Il reato di minaccia può essere confuso con altri reati contro la persona, ma può anche rappresentare una componente di altre condotte illecite complesse. La Cassazione nel tempo ha fornito importanti chiarimenti al riguardo.

Minaccia in concorso con violenza privata

La Corte di Cassazione nella sentenza n. 50702/2019 ha chiarito che: “il reato di violenza privata si distingue dal reato di minaccia per la coartata attuazione da parte del soggetto passivo di un contegno (commissivo od omissivo) che egli non avrebbe assunto, ovvero per la coartata sopportazione di una altrui condotta che egli non avrebbe tollerato. Ne consegue che i due reati, pur promossi da un comune atteggiamento minatorio, dando luogo ad eventi giuridici di diversa natura e valenza, concorrono tra loro.”

Minacce assorbite dal reato di maltrattamenti in famiglia

La Corte di Cassazione nella sentenza n. 17599/2021 ha precisato che il reato di maltrattamenti in famiglia assorbe il delitto di minaccia previsto dall’art. 612 c.p. purché le minacce rivolte alla persona offesa non siano il risultato di una condotta criminosa autonoma e indipendente, ma costituiscano una delle condotte per mezzo delle quali si mette in atto il reato di maltrattamenti.

Minacce assorbite o in concorso con il reato di stalking

La Corte di Cassazione nella sentenza n. 12720/2020 ha sancito che il delitto di minaccia contemplato dall’art. 612 c.p. è assorbito da quello di atti persecutori disciplinato dall’art. 612 bis c.p a condizione che le minacce vengano poste in essere nello stesso contesto temporale e fattuale che integrano lo stalking. Qualora invece le minacce risalgano a un periodo anteriore all’inizio degli atti persecutori allora le minacce concorrono con il reato di stalking.

 

Leggi anche gli arti articoli di diritto penale

detenuto farsi sopracciglia

Il detenuto non può farsi le sopracciglia Il presunto diritto all'estetica è mero interesse di fatto privo di tutela vista la pericolosità dello strumento vietato in tutti gli istituti

Carcere duro

Non lede il diritto alla cura della persona negare al detenuto al carcere duro la possibilità di tenere delle pinzette per sopracciglia in metallo anzichè di plastica. Così la prima sezione penale della Cassazione con sentenza n. 22967/2024.

La vicenda

Nella vicenda, un detenuto presso la Casa Circondariale di Spoleto in regime di sorveglianza speciale ex art. 41 bis ord. pen., presentava reclamo avverso il diniego oppostogli per ragioni di sicurezza dal D.A.P. alla richiesta di acquistare una pinzetta per ciglia in metallo, in luogo di quella in plastica che gli era consentito di detenere.
Il magistrato di sorveglianza rigettava il reclamo «trattandosi di oggetto non consentito per ragioni di sicurezza e preso atto che non viene in evidenza la violazione di diritti».
Il difensore dell’uomo presentava reclamo ex art. 35 bis ord. pen., evidenziando che la giurisprudenza di merito aveva in più occasioni valutato positivamente la possibilità di consegnare ai soggetti ristretti in regime ex art. 41 bis ord. pen. pinzette in metallo.
Il Tribunale di Sorveglianza di Perugia, tuttavia, rigettava il reclamo, rilevando che l’art. 6 della circolare D.A.P. .n 3676/1626 autorizzava l’uso di pinzette esclusivamente in plastica, ritenendo potenzialmente pericolose quelle in metallo, e ritenendo altresì che non venissero in rilievo né concreti pregiudizi al diritto alla salute nè irragionevoli disparità di trattamento, poiché le pinzette in metallo erano state ritirate a tutti i detenuti.

Il ricorso

La questione approdava innanzi al Palazzaccio, dove l’uomo, per il tramite del proprio difensore, si doleva della carenza di motivazione del provvedimento, “non essendo stata fornita risposta alle doglianze articolate in sede di reclamo, relative all’inefficacia dello strumento in plastica fornito dal’Amministrazione penitenziaria, «ritenuto insufficiente a sopperire alle esigenze di igiene personale», all’assenza di pericolosità dello strumento in metallo, soprattutto ove si consideri che ai detenuti è consentito detenere rasoi e forbicine, ed alla circostanza che in più occasioni la giurisprudenza di merito ha valutato positivamente la possibilità di consegnare ai soggetti ristretti al 41 bis pinzette in metallo”.

Diritto all’estetica privo di tutela

Per gli Ermellini, il ricorso è inammissibile per la manifesta infondatezza dei motivi. Intanto, premettono i giudici la circolare 2017 del DAP citata prevede espressamente che ai detenuti possono essere consegnate esclusivamente pinzette in plastica. Inoltre, la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di statuire che “non è configurabile la lamentata violazione di legge per la lesione del diritto alla salute derivante dalla impossibilità di attendere ala cura della persona, mancando li potere dell’Amministrazione di limitare l’uso di tali strumenti non diversi da altri, parimenti pericolosi, ma pur tuttavia ammessi (cfr. Cass. n. 32947/2022).

Il provvedimento impugnato, proseguono da piazza Cavour, “non ha confuso il diritto alla salute con un presunto diritto alla estetica della persona. Si tratta, infatti, di un mero interesse di fatto, privo di tutela; invero, con l’impugnazione non si contesta che l’introduzione di tali strumenti è vietata, per ragioni di sicurezza, in tutti gli istituti; si tratta di una legittima misura precauzionale da cui non deriva alcuna lesione di diritti soggettivi”.

La decisione

Appare, quindi, evidente che, nel caso di specie, concludono dalla S.C., “non sussiste una situazione soggettiva tutelabile, né una concreta lesione di un diritto soggettivo e che quindi avverso il provvedimento del Magistrato di sorveglianza non poteva essere proposto reclamo al Tribunale di sorveglianza e neppure ricorso per cassazione”.
Per cui il ricorso è inammissibile con conseguente onere per il ricorrente di sostenere le spese del procedimento oltre a versare 3mila euro in favore della Cassa delle ammende.

Vedi gli altri articoli di diritto penale

Allegati

riforma penale nordio legge

Legge Nordio: in vigore dal 25 agosto In vigore dal 25 agosto la legge Nordio sulla giustizia che interviene sulle intercettazioni, elimina l’abuso d’ufficio e modifica l’informazione di garanzia

Legge Nordio in vigore dal 25 agosto 2024

La legge Nordio, il disegno di legge per la riforma della giustizia  presentato dal Ministro della giustizia Carlo Nordio é in vigore. La Camera ha approvato in via definitiva il testo nella mattinata di mercoledì 10 luglio 2024. Il testo (legge n. 114/2024) è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 10 agosto per entrare in vigore il 25 agosto.

Dall’abuso d’ufficio alle intercettazioni: le novità

Il testo, che interviene sul codice penale, sul codice di procedura penale, sull’ordinamento giudiziario e su quello militare, abolisce il reato di abuso d’ufficio, modifica la disciplina sulle intercettazioni, limitando i poteri di pubblicazione e introduce importanti novità per quanto riguarda il reato di traffico di influenze illecite. Analizziamo le novità più significative della riforma Nordio.

Leggi anche Abuso d’ufficio addio definitivo

Eliminato il reato di abuso d’ufficio

L’eliminazione del reato di abuso d’ufficio contenuto nell’articolo 323 del Codice penale e commesso dai pubblici ufficiali o dai soggetti incaricati dello svolgimento di un pubblico servizio  rappresenta una delle modifiche più significative del disegno di legge, approvata dalla Camera diversi giorni prima dell’approvazione definitiva.

Modificato il reato di traffico di influenze illecite

Il reato contemplato dall’art. 346 bis c.p subisce delle restrizioni applicative, lo stesso viene limitato infatti alle condotte particolarmente gravi. La pena minima viene innalzata a un anno e sei mesi e le relazioni tra mediatore e pubblico ufficiale devono essere “utilizzate, non vantate. L’utilità data o promessa al posto del denaro infine deve essere solo economica.

Intercettazioni: limiti alla pubblicazione

Il testo prevede una maggiore tutela per le comunicazioni che intercorrono tra il difensore e l’imputato. L’autorità giudiziaria non potrà acquisire le comunicazioni tra i soggetti suddetti, fatta eccezione per la corrispondenza, a meno che non ritenga che si tratti di corpo del reato.

Introdotto il divieto di pubblicazione, anche solo di una parte del contenuto delle intercettazioni, qualora non venga riprodotto dal giudice all’interno della motivazione di un provvedimento giudiziale o impiegato nel dibattimento.

Impossibile infine il rilascio di copie delle intercettazioni quando non possono essere pubblicate, se la domanda proviene da un soggetto terzo rispetto al difensore e alle parti a meno che i risultati delle intercettazioni debbano essere utilizzati in un altro procedimento.

Informazione di garanzia

Nell’informazione di garanzia si dovrà descrivere il fatto in modo sommario, indicando data e luogo del reato. La pubblicazione sarà vietata fino a quando non saranno concluse le indagini preliminari e la notifica dovrà essere effettuata in modo da tutelare l’indagato da conseguenze improprie.

Interrogatorio preventivo rispetto alla misura cautelare

La persona sottoposta alle indagini verrà sottoposta all’interrogatorio preventivo nei casi in cui on sia necessario  adottare un provvedimento cautelare a sorpresa, al fine di garantire il principio del contraddittorio preventivo. Qualora si renda necessaria l’applicazione della misura cautelare in carcere durante lo svolgimento delle indagini preliminari la decisione dovrà essere adottata collegialmente.

Limiti all’appello del PM

La riforma prevede che il pubblico Ministero non possa appellare le sentenze di proscioglimento emesse in relazione a reati di “contenuta gravità”, come quelli individuati dall’art. 550 c.p.p per i quali è prevista la citazione diretta.

Ordinamento giudiziario e magistrati

In virtù della novità rappresentata dalla composizione collegiale del giudice per le indagini preliminari vengono modificate le tabelle infradistrettuali e i criteri per l’assegnazione degli affari penali.

Aumenta il numero dei magistrati destinati alle funzioni giudicanti di primo grado.

Per scongiurare il rischio di nullità per i processi i mafia e di terrorismo si recisa che il limite di età di 65 anni stabilito per i giudici popolari delle Corti di Assise si riferisce al momento in cui il giudice viene chiamato per prestare servizio all’interno del collegio.

Ordinamento militare

Con la riforma l’avanzamento di carriera dei militari non sarà ostacolato in caso di rinvio a giudizio ma solo se raggiunto da una sentenza di condanna di primo grado in quanto primo atto di condanna, purché non definitivo.

abrogazione abuso ufficio

Abrogazione abuso d’ufficio: Mattarella firma il ddl Nordio Il presidente della Repubblica ha promulgato in extremis il ddl Nordio che contiene l'abrogazione dell'abuso d'ufficio. Il testo si avvia ora in Gazzetta Ufficiale per diventare legge dello Stato

Abuso d’ufficio, promulgato il ddl Nordio

Abrogazione abuso d’ufficio: il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha firmato il ddl Nordio che, tra l’altro, contiene la discussa abrogazione del reato di cui all’art. 323 del codice penale.

Il via libera del Quirinale è arrivato in extremis: il testo infatti era stato approvato in via definitiva dalla Camera il 10 luglio scorso e il presidente aveva un mese di tempo a disposizione per valutare i testi.

Il provvedimento che ora si avvia alla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale per diventare a tutti gli effetti legge dello Stato, si ricorda, oltre all’abrogazione dell’abuso d’ufficio, reca modifiche al codice penale, al codice di procedura penale, all’ordinamento giudiziario e al codice dell’ordinamento militare.

Leggi anche

truffa contrattuale

Truffa contrattuale per chi riduce i chilometri dell’auto venduta Per la Cassazione, integra truffa contrattuale il ridurre i km reali presenti sul cruscotto dell'auto usata venduta, anche se non viene modificato il prezzo

Truffa contrattuale

Scatta la truffa contrattuale per chi riduce i chilometri dell’auto venduta, anche se la circostanza non modifica il prezzo dell’auto sul mercato dell’usato. Ciò perchè, se l’acquirente avesse conosciuto il reale chilometraggio, non avrebbe proceduto all’acquisto. E’ quanto statuito dalla seconda sezione penale della Cassazione, con sentenza n. 25283/2024.

La vicenda

Nella vicenda, la Corte d’appello di Bologna confermava la decisione emessa dal Tribunale di Ferrara che aveva riconosciuto la responsabilità dell’imputato per il reato di truffa contrattuale a lui ascritto, condannandolo alla sanzione penale ritenuta di giustizia ed al risarcimento del danno in favore della costituita parte civile.
Avverso tale sentenza proponeva ricorso l’imputato, lamentando tra l’altro vizio esiziale di motivazione (art. 606, comma 1, lett. e, cod. proc. pen.), non avendo la Corte argomentato sul motivo di gravame con il quale si era dedotta l’inconsistenza del profitto del reato di truffa, atteso che il prezzo pagato dall’acquirente (euro 5.800) per un’auto non recente, cui l’imputato avrebbe ridotto il numero dei chilometri percorsi, era comunque di gran lunga inferiore a quello medio indicato dalle riviste di settore per autovetture di quell’anno con quelle particolari caratteristiche.

Truffa contrattuale: quando ricorre

Per la S.C., i motivi di ricorso sono inammissibili per loro manifesta infondatezza ed assoluta aspecificità.
Dalla lettura del testo della sentenza impugnata si evince che la Corte territoriale ha espressamente motivato circa la consistenza e l’univocità delle evidenze documentali che hanno condotto ad affermare la responsabilità dell’alienante in relazione all’indicazione contraffatta del numero di chilometri percorsi dalla vettura oggetto di alienazione. I motivi di ricorso relativi si risolvono, pertanto, nella mera riproposizione delle argomentazioni già prospettate al giudice della revisione nel merito e da questi motivatamente respinte, senza svolgere alcun ragionato confronto con le specifiche argomentazioni spese in motivazione.

Del resto, la Corte di merito aveva già precisato che, “al di là del diminuito valore commerciale del veicolo alienato, la natura contrattuale della truffa contestata era stata dimostrata dalla circostanza che l’acquirente, ove avesse conosciuto le reali condizioni di uso della vettura alienanda non avrebbe acquistato il bene registrato. Il che integra il tipo contestato, senza che possano rilevare altri argomenti.

“La cosiddetta truffa contrattuale ricorre – aggiungono infatti gli Ermellini – in tutti i casi nei quali l’agente ponga in essere artifici e raggiri, aventi ad oggetto anche aspetti negoziali collaterali, accessori o esecutivi del contratto risultati rilevanti al fine della conclusione del negozio giuridico, e per ciò tragga in inganno il soggetto passivo che è indotto a prestare un consenso che altrimenti non avrebbe prestato, a nulla rilevando lo squilibrio oggettivo delle controprestazioni) relativi alla effettività della deminutio patrimonii (cfr. Cass. n. 18778/2014).

La decisione

Alla inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di 3mila euro in favore della Cassa delle ammende.

Vedi le altre news di penale

Allegati

giustizia riparativa

Giustizia riparativa La giustizia riparativa dopo la Riforma Cartabia: lo scopo, le procedure di mediazione, i possibili esiti e i benefici per l’imputato

Giustizia riparativa, cosa si intende

La giustizia riparativa è un modello di giustizia penale incentrato sulla gestione degli effetti pregiudizievoli causati da un reato, anziché sulla punizione dell’autore del reato, come è invece il sistema penale tradizionale.

Oggetto di elaborazioni dottrinali anche molto risalenti nel tempo, il modello di giustizia riparativa ha trovato recente consacrazione sia a livello europeo, con la Direttiva UE n. 29/2012, sia nell’ordinamento italiano, con l’introduzione delle norme contenute negli artt. 42-67 del d.lgs. 150/2022 (c.d. Riforma Cartabia).

Giustizia riparativa e obbligo dell’esercizio dell’azione penale

Il percorso di giustizia riparativa delineato dalla Riforma Cartabia si caratterizza, innanzitutto, per essere un percorso facoltativo, cioè lasciato alla libera scelta dei soggetti coinvolti, e soprattutto non alternativo all’azione penale “tradizionale”.

Il nostro sistema penale, infatti, non lascia scelta alle parti (e in particolare al pubblico ministero) in ordine alla possibilità di esercitare l’azione penale, che è obbligatoria (cfr. art. 112 Costituzione). ciò significa che il p.m., ogni qual volta abbia notizia di un reato, deve attivarsi, ferma restando la possibilità di richiedere l’archiviazione al giudice per le indagini preliminari, ove gli elementi raccolti durante l’indagine non siano ritenuti idonei a sostenere l’accusa.

I possibili benefici per l’imputato

Così intesa, dunque, la giustizia riparativa si pone come un momento di dialogo tra la vittima ed il reo (ed altri soggetti intermediari, come vedremo tra breve), che ha come finalità, da un lato, la ricerca di una riparazione, anche simbolica, degli effetti del reato, all’esito di un percorso in cui la vittima ha anche l’occasione di elaborare l’accaduto e di esprimere sensazioni ed esigenze che invece difficilmente trovano posto nell’azione penale (va precisato che per “vittima”, a questo riguardo, si intende anche il familiare della persona la cui morte è stata causata dal reato, cfr. art. 42 del decreto 150/22).

Dall’altro lato, l’esito positivo del percorso di giustizia riparativa consente al reo di ottenere dei benefici nell’ambito dell’azione penale esercitata dal p.m. (si ricordi che, ove intrapreso, il percorso di giustizia riparativa va di pari passo – senza in alcun modo sostituire – con l’azione penale “tradizionale”).

Riparazione del reato circostanza attenuante

Nello specifico, la riparazione del reato eventualmente conseguita nell’ambito della procedura di giustizia riparativa può essere considerata come circostanza attenuante e quindi comportare una diminuzione della pena; può valere quale rimessione tacita di querela; e può condurre alla sospensione condizionale della pena per un anno.

Giustizia riparativa accessibile senza preclusioni

Va evidenziato che, a norma dell’art. 44 del d.lgs. 150/22 Riforma Cartabia, i programmi di giustizia riparativa sono accessibili per qualsiasi reato, senza preclusioni in relazione alla sua gravità, e possono essere attivati in ogni stato e grado del procedimento penale (art. 129-bis c.p.p.), d’ufficio dal giudice o su richiesta dell’imputato o della vittima.

Come chiedere giustizia riparativa?

Dal punto di vista procedurale, le procedure di giustizia riparativa si svolgono con l’intervento di mediatori terzi abilitati che operano presso gli appositi Centri per la giustizia riparativa, nell’ambito di un sistema che opera sotto la vigilanza del Ministero della Giustizia.

Partecipano ai programmi di giustizia riparativa la vittima del reato, la persona indicata come autore dell’offesa ed eventualmente altri soggetti appartenenti alla comunità, come i familiari, persone di supporto e rappresentanti di enti locali o di altri enti pubblici.

Tali programmi mirano a promuovere il riconoscimento della vittima del reato, la responsabilizzazione dell’imputato e la ricostituzione dei legami con la comunità (art. 43 comma 2 del decreto citato).

Gli esiti della mediazione nella giustizia riparativa

All’esito della procedura di mediazione nella giustizia riparativa, l’esperto redige una relazione in cui, tra l’altro, dà conto degli esiti della stessa e la trasmette al giudice del procedimento penale, il quale, in base alle risultanze, può riconoscere in favore dell’imputato i vantaggi di cui si è detto sopra.

Quanto all’esito del programma di giustizia riparativa, esso, quando positivo, può consistere in un esito simbolico, come ad esempio scuse formali, impegni comportamentali anche pubblici o accordi tra vittima e imputato relativi alla frequentazione di persone o luoghi (art. 56 del decreto citato); oppure in un esito materiale, come il risarcimento del danno, una restituzione o l’adoperarsi dell’imputato per attenuare le conseguenze del reato.

In chiusura, va evidenziato che il principale scopo della giustizia riparativa non è quello di alleviare la pena dell’imputato, ma quello di proporre un percorso alternativo che metta al centro il dialogo e soprattutto il racconto della vittima, per individuare, in concreto, l’azione riparatoria più idonea a ricostruire il legame sociale danneggiato.

Leggi anche Riforma Cartabia processo penale

medico di base

Medico di base: in caso di urgenza non è competente Il dovere di recarsi a casa del paziente non sussiste in caso di urgenza. In tal caso la competenza è del 118 e l'obbligo sussiste per la guardia medica

Doveri del medico di base

Il medico di base non è tenuto a recarsi a casa del paziente in caso di urgenza: in tale evenienza infatti la competenza passa al 118 o alla guardia medica. Lo ha affermato la sesta sezione penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 24722-2024.

La vicenda

Nella vicenda, la Corte d’appello di Palermo assolveva un medico dal reato di rifiuto di atti d’ufficio (art. 328, comma 1, del codice penale) per il quale era stato condannato ni primo grado perché, in qualità di medico di assistenza primaria, aveva omesso di effettuare, nonostante le continue richieste di intervento dei familiari, una visita domiciliare a scopo diagnostico e terapeutico ad un assistito che lamentava forti dolori a seguito caduta accidentale, anziano e affetto da patologie (Parkinson avanzato, cardiopatia ischemica cronica), condizioni che gli impedivano di recarsi presso l’ambulatorio.
Avverso la sentenza il Procuratore Generale presso la Corte d’appello di Palermo adiva il Palazzaccio, ritenendo che il medico di base avesse uno specifico obbligo per i medici di base di effettuare la visita domiciliare al paziente nel caso di non trasferibilità dell’ammalato.

Medico di base non preposto alle urgenze

Per la S.C., il ricorso è infondato.

All’esito assolutorio della sentenza in appello il Procuratore Generale ricorrente oppone “l’omessa considerazione di quanto disposto dall’art. 47, comma 1, del’Accordo Collettivo Nazionale vigente all’epoca dei fatti (del 23/03/2005), a mente del quale «l’attività medica viene prestata nello studio del medico o a domicilio, avuto riguardo alla non trasferibilità dell’ammalato»: disposizione invece menzionata nella sentenza di primo grado, dalla quale deriverebbe – deve inferirsi – la fonte dell’obbligo di agire, tale da giustificare l’integrazione del reato omissivo, oltre al dedotto vizio motivazionale”.
In realtà, sostengono i giudici, “la disposizione in oggetto non è affatto sfuggita alla Corte d’appello la quale, seppur senza citarla espressamente, in un punto della pronuncia, vi ha fatto un chiaro riferimento, precisando di non fare «questione di adempimento o meno del dovere giuridico del medico di base di procedere a visita a domicilio del paziente non trasportabile, quanto solo dell’esistenza o meno nel caso concreto di un dovere di procedere senza ritardo ad un tale incombente […], dovere di urgenza né ordinariamente pretensibile dal medico di medicina generale né specificamente dall’imputato in considerazione delle circostanze del caso concreto»”.
In un altro passaggio, in modo ancora più inequivoco, i Giudici di secondo grado hanno inoltre ritenuto che «il medico di base, contrariamente al medico di guardia, non è istituzionalmente preposto a soddisfare le urgenze, le quali rimangono affidate al servizio sanitario di urgenza ed emergenza medica già denominato 118», aggiungendo che «da ciò deriva che per fondare uno specifico obbligo giuridico di prestazioni sanitarie urgente, anche nelle more del servizio di emergenza, da parte di un pubblico ufficiale sanitario a ciò non preposto, sarebbe stata necessaria una peculiare situazione di prossimità spaziale di necessità non indifferibile […], ben distante dall’ordinarietà degli accadimenti».

La decisione

Per cui, nessuna lacuna motivazionale è ravvisabile nella sentenza impugnata la quale distingue in modo netto il profilo della trasferibilità del paziente (toccato dal citato Accordo Nazionale) da quello dell’urgenza della prestazione richiesta: urgenza in presenza della quale – come nel caso di specie -, trasferibile o meno che fosse li paziente, i Giudici hanno ritenuto scattasse la competenza di altra articolazione sanitaria, e cioè, nella specie, dei medici del 118.
Si tratta di una “distinzione di ruoli – sottolineano da piazza Cavour che – trova la sua ratio nell’esigenza di assicurare li miglior assolvimento delle funzioni all’interno di un’organizzazione complessa qual è li sistema sanitario, consentendo a ciascun operatore del settore di concentrarsi sui propri compiti specifici. Distinzione che, inoltre, nei casi come quello di specie, risponde inoltre all’esigenza di evitare sovrapposizioni non soltanto inutili (il medico di base non essendo attrezzato per far fronte alle urgenze), ma anche potenzialmente dannose, ove – come ben possibile – foriere di ritardi e confusioni”.
Per le ragioni esposte, la S.C. ha rigettato il ricorso.

Leggi le altre notizie di penale

Allegati

sottrarre rifiuti reato

Sottrarre rifiuti è reato Per la Cassazione, la sottrazione di rifiuti integra un reato vero e proprio in quanto non si tratta di res nullius

Sottrazione rifiuti

Sottrarre rifiuti integra un reato vero e proprio in quanto non si tratta di res nullius. Lo ha stabilito la quinta sezione penale della Cassazione con sentenza n. 25645-2024.

La vicenda

Nella vicenda, la Corte d’appello di Palermo riformava parzialmente la decisione di primo grado che, all’esito di rito abbreviato, aveva condannato per il reato di cui agli art. 56, 10, 624, 625, primo comma, n. 2 e 7 cod. pen., per avere tentato di sottrarre materiale ferroso stoccato all’interno di una stazione concedendo la circostanza attenuante di cui all’art. 62, .n 4, cod. pen, e rideterminando, di conseguenza, la pena.

Il ricorso

Avverso la sentenza, l’imputato proponeva ricorso per cassazione dolendosi della ritenuta sussistenza dell’elemento oggettivo del reato. “Pur avendo qualificato il materiale sottratto nei termini di ‘rifiuti in attesa di smaltimento’ – la corte territoriale a suo dire avrebbe poi – illogicamente ravvisato, nella condotta dell’imputato, il delitto di furto, laddove è evidente che appropriarsi di un rifiuto esclude in radice la configurabilità del delitto in parola”.

Dal momento che “l’imputato si è impossessato di un oggetto qualificabile, a tutto voler concedere, come res nullius, egli avrebbe dovuto – perciò – essere assolto, quantomeno ex art. 530, comma 2, cod. proc. pen.”.

Res nullius

Per gli Ermellini, tuttavia, il primo motivo è manifestamente infondato, “in quanto le res nullius sono le cose che non appartengono ad alcuno e non quelle per le quali sia, come nel caso di specie, certamente individuabile il titolare e anche il detentore, sul quale si concentra il fascio di poteri e (come, ad es., nel caso di rifiuti) di doveri che il legislatore delinea in relazione allo specifico regime giuridico di godimento e di disposizione degli stessi”.

La nozione di res derelicta – proseguono i giudici – “presuppone una situazione di abbandono del bene, quale sicuramente è da escludere nel caso di specie, proprio alla luce dell’evidenza che i lastroni avrebbero dovuto essere regolarmente smaltiti, secondo le procedure di legge”.

La giurisprudenza

In questi termini, peraltro, si è espressa la costante giurisprudenza di legittimità, secondo la quale, “in tema di reati contro il patrimonio, affinché una cosa possa considerarsi abbandonata dal proprietario, è necessario che, per le condizioni o per il luogo in cui essa si trovi, risulti chiaramente la volontà dell’avente diritto di disfarsene definitivamente” (cfr. Cass. n. 3910/2020).

Del pari, si è ritenuto che “integra il delitto di furto tentato la condotta di colui che cerchi di impossessarsi di materiali raccolti su un terreno privato e destinati allo smaltimento (nella specie, residui ferrosi derivanti dalla demolizione di pilastri), non potendosi per ciò solo escludere il requisito dell’altruità” (cfr. Cass. n. 7301/2014).

La decisione

Per cui la Cassazione annulla la sentenza impugnata limitatamente alla circostanza aggravante di cui all’art. 625, comma primo, n. 7, cod. pen. con rinvio per nuovo giudizio e dichiara inammissibile nel resto il ricorso.

Leggi gli altri articoli di penale

Allegati

reato somministrare farmaci

Reato somministrare farmaci non necessari agli animali Per la Cassazione, somministrare farmaci non necessari configura il reato di maltrattamenti perchè il diritto alla salute dell'animale include anche il benessere psichico

Reato di maltrattamento somministrare farmaci performanti

Reato somministrare farmaci non necessari agli animali. La Cassazione amplia (con la sentenza n. 24257-2024) gli importanti concetti della salute e del benessere dell’animale che non si limita solo alla salute fisica, ma include anche il benessere psichico. L’animale, in quanto essere senziente, deve godere di una qualità di vita che gli consenta di esprimere i suoi comportamenti naturali, compatibilmente con le sue caratteristiche. Ne consegue che somministrare farmaci agli animali in assenza di una necessità medica non rientra nel concetto di benessere e di salute dell’animale.  

Dannosi per la salute dell’animale i farmaci dopanti

Queste pratiche mirano infatti a perseguire obiettivi ben lontani dall’esigenza di tutelare la salute dell’animale. L’animale viene esposto a situazioni di stress e a rischi, che ne compromettono lo stato psicofisico. Somministrare sostanze dopanti ai cavalli in buona salute li sottopone a stress continui e pericoli. Questa condotta realizza infatti il reato di maltrattamento degli animali di cui all’articolo 544 del codice penale come aveva già precisato in una precedente pronuncia la Cassazione.

Nel caso specifico, l’imputato è stato accusato di aver somministrato farmaci antinfiammatori ai propri cavalli  solo per migliorarne le prestazioni sportive. Gli animali infatti non presentavano alcuna patologia che richiedesse la cura farmacologica che è stata somministrata a loro.

Salute dell’animale: dannoso anche lo stress

La giurisprudenza più recente dimostra di riconoscere sempre di più la sensibilità psico-fisica degli animali. Non si devono punire solo gli atti che offendono il comune sentimento di pietà verso gli animali. Le condotte che assumono rilievo penale sono anche quelle che provocano dolore, stress e afflizione. Questo cambiamento ideologico nasce da una crescente consapevolezza e visione degli animali come esseri viventi meritevoli di tutela diretta, non solo di compassione umana.

Doping equino: maltrattamento dannoso

Gli Ermellini hanno stabilito che il doping equino, ossia l’uso di agenti esogeni o manipolazioni cliniche senza le necessarie indicazioni terapeutiche per migliorare le prestazioni, rappresenta un danno per la salute dell’animale e, quindi, una forma di maltrattamento penalmente rilevante. La legislazione penale, soprattutto dopo la disciplina del 2004 che ha posto divieto di usare violenza sugli animali, prevede sanzioni specifiche per queste pratiche.

Salute dell’animale: più garanzie

Per la Cassazione la Corte d’Appello ha correttamente rilevato come la somministrazione ingiustificata di antinfiammatori ai cavalli, incidendo sulle loro prestazioni, pregiudichi la loro salute psicofisica. Sottoporre i cavalli a faticosi allenamenti dopo queste somministrazioni di farmaci aggrava ancora di più la loro condizione. Queste pratiche rappresentano in conclusione un grave maltrattamento, soprattutto quando gli animali dipendono dall’uomo e vengono sottoposti a stress insopportabili per la loro specie.

La sentenza della Corte di Cassazione compie insomma un ulteriore passo avanti nella tutela del benessere animale. Essa riconosce l’importanza di garantire agli animali la salute fisica, ma anche quella mentale, condannando fermamente le pratiche di doping equino.

Allegati