bonus giovani under 35

Bonus giovani under 35: come ottenerlo Bonus giovani under 35: in cosa consiste l'esonero contributo previsto dal decreto Coesione e come presentare domanda

Bonus giovani under 35

Bonus giovani under 35: dal 1° settembre 2024 al 31 dicembre 2025 i datori di lavoro privati possono usufruire di un incentivo contributivo per le assunzioni a tempo indeterminato di giovani che non abbiano mai avuto un contratto stabile. Lo ha previsto il decreto-legge n. 60/2024 (decreto Coesione) e le modalità operative sono state dettagliate nella circolare INPS n. 90 del 12 maggio 2025.

A partire dal 16 maggio 2025, è attivo il modulo telematico per richiedere l’agevolazione sul Portale delle Agevolazioni INPS (ex DiResCo), modificato dall’istituto a partire dal 18 giugno 2025 in conformità alle indicazioni del ministero del Lavoro.

A chi spetta il Bonus giovani 2025

L’incentivo, si ricorda, è rivolto a tutti i datori di lavoro privati (esclusi gli enti pubblici) che assumano, o trasformino un contratto da determinato a indeterminato, giovani che:

  • non abbiano ancora compiuto 35 anni alla data di assunzione;

  • non siano mai stati occupati con contratto a tempo indeterminato, in Italia o all’estero.

Quali sono i vantaggi per le imprese?

Il beneficio consiste in un esonero del 100% dei contributi previdenziali a carico del datore di lavoro, per un periodo massimo di 24 mesi, con un tetto mensile di 500 euro per lavoratore.

Per i datori di lavoro con sede in una delle regioni della Zona Economica Speciale (ZES) Unica per il Mezzogiorno – ovvero Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna – il limite dell’incentivo mensile sale a 650 euro per ciascun lavoratore assunto.

Requisito dell’incremento netto dell’occupazione

A seguito della pubblicazione da parte del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali, del decreto interministeriale 11 aprile 2025, che ha definito i criteri e le modalità attuative del Bonus giovani, sono state fornite nuove indicazioni ai fini della legittima fruizione dell’esonero contributivo.

Come richiesto, nello specifico, dalla Commissione europea, la fruizione del bonus, per le assunzioni/trasformazioni effettuate a decorrere dal 1° luglio 2025, è subordinata, come condizione di ammissibilità, al rispetto del requisito dell’incremento netto dell’occupazione.

Pertanto, l’INPS, con il messaggio n. 1935 del 18 giugno 2025, ha comunicato di aver aggiornato sia le procedure attuative che il modulo di domanda in aderenza alle indicazioni fornite.

Chi sono i lavoratori esclusi?

Non rientrano nell’ambito del Bonus:

  • i dirigenti;

  • i lavoratori domestici;

  • i rapporti di lavoro instaurati con contratto di apprendistato.

Come presentare la domanda

Per accedere all’incentivo, è necessario:

  1. accedere al Portale delle Agevolazioni INPS (ex DiResCo);

  2. compilare e inviare l’apposito modulo online disponibile dal 16 maggio 2025;

  3. seguire le istruzioni operative contenute nella circolare INPS n. 90/2025.

 

Leggi anche Decreto coesione: bonus under 35 e donne

dot INPS

DOT INPS: assistente virtuale per aziende e intermediari Come funziona DOT, l’assistente virtuale AI dell’INPS per aziende e intermediari, dove attivarlo e quali servizi consente di gestire in modo semplice e veloce

Cos’è DOT: assistente virtuale evoluto

L’INPS ha lanciato Desktop On Text (DOT), un assistente virtuale basato su intelligenza artificiale, pensato per supportare le aziende e gli intermediari nelle loro interazioni con i servizi dell’Istituto. DOT INPS, novità, comunicata con il messaggio n. 1872 del 13 giugno 2025, rappresenta un significativo passo avanti nel percorso di digitalizzazione dell’ente.

Principali funzionalità di DOT

DOT permette di utilizzare comandi vocali o testuali per aprire, cercare o eseguire funzioni all’interno del portale INPS. Possono essere attivate fineste dedicate e multiple contemporaneamente, rendendo l’esperienza utente fluida e personalizzabile. 

Tra le funzioni già attive:

  • Comunicazione bidirezionale dal Cassetto Previdenziale;

  • Ricerca e download dei moduli ufficiali;

  • Avvio di task guidati (“Smart‑Task”);

  • Accesso diretto alla sezione Imprese e Intermediari

A chi si rivolge

DOT è dedicato a:

  • aziende e Datori di lavoro;

  • consulenti del lavoro, commercialisti e altri intermediari abilitati;

  • associazioni di categoria

Come attivare l’assistente DOT

Due percorsi di accesso:

  1. Cassetto Previdenziale del Contribuente
    Effettua il login con SPID, CIE o CNS e clicca sull’icona DOT presente in basso a destra

  2. Portale INPS – Percorso: Imprese e Liberi Professionisti
    Vai su Esplora Imprese e Liberi ProfessionistiStrumenti, quindi clicca su Desktop Virtuale DOT

Perché usare DOT: vantaggi concreti

  • Rapidità: accesso immediato ai servizi, senza navigazione complessa;

  • Efficienza: task automatizzati e orientati alla semplificazione;

  • Versatilità: gestione multicanale delle finestre di servizio;

  • Flessibilità: supporto sia vocale sia testuale.

L’INPS ha pubblicato un video dimostrativo per mostrare in azione le potenzialità di DOT

Il percorso di innovazione digitale

DOT si inserisce in un processo di trasformazione digitale dell’INPS incentrato su AI, cloud e servizi mobili, volto a rendere più accessibili, intuitivi e automatizzati i servizi pubblici. 

Naspi

Naspi, ferie e riposi contano come giornate di lavoro effettivo La Cassazione chiarisce: per la Naspi valgono ferie e giorni retribuiti come lavoro effettivo. Anche le pause rientrano nel requisito dei 30 giorni

Naspi, il concetto di lavoro effettivo

La Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza n. 15660/2025, ha precisato i criteri interpretativi relativi al requisito delle “trenta giornate di lavoro effettivo” richieste per l’accesso alla NASpI (Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego). Secondo la Corte, non solo le giornate di effettiva attività lavorativa, ma anche quelle di ferie e riposi retribuiti contribuiscono al raggiungimento del requisito.

Ferie e pause retribuite: giorni da includere

I giudici hanno ribadito che le giornate in cui il lavoratore è in ferie o in pausa retribuita non interrompono il sinallagma contrattuale. Anche in assenza di attività materiale, l’obbligo retributivo e contributivo permane, rendendo queste giornate giuridicamente assimilabili al lavoro effettivo.

Tali momenti, infatti, sono considerati parte integrante e fisiologica del rapporto di lavoro, finalizzati alla tutela della salute e al recupero psico-fisico del dipendente.

Lavoro effettivo: interpretazione giuridica

La Cassazione ha chiarito che il concetto di “lavoro effettivo” non va interpretato in senso strettamente materiale, cioè come prestazione fisica resa, ma secondo un’accezione giuridica. Conta ogni giornata che dà diritto alla retribuzione e alla contribuzione, a prescindere dalla concreta attività lavorativa svolta.

Naspi: i principi di diritto fissati dalla Cassazione

Nel corpo della sentenza, la Suprema Corte ha espresso due importanti principi di diritto applicabili ai casi di disoccupazione verificatisi dal 1° gennaio 2025, in base all’art. 3, comma 1, lett. c), del D.lgs. 22/2015, nella versione anteriore alla riforma della legge n. 207/2024:

  • Sono valide ai fini della Naspi tutte le giornate che comportano retribuzione e contribuzione, comprese ferie e riposi;

  • Non vanno conteggiati i periodi di sospensione del rapporto per cause tutelate dalla legge, che vengono considerati “neutrali” nel computo dei 12 mesi precedenti l’inizio della disoccupazione.

Allegati

Rimborso spese legali

Rimborso spese legali negato al dipendente che si sceglie l’avvocato La Cassazione chiarisce: nessun rimborso delle spese legali per il dipendente comunale che sceglie da solo l'avvocato

Rimborso spese legali dipendenti pubblici

Con l’ordinanza n. 15279 depositata il 9 giugno 2025, la Corte di Cassazione si è pronunciata in materia di pubblico impiego contrattualizzato, affrontando il tema del rimborso delle spese legali sostenute da un dirigente di un ente locale assolto in sede penale per fatti connessi all’attività istituzionale.

La decisione

Secondo la Suprema Corte, l’amministrazione non è obbligata a sostenere o rimborsare i costi della difesa tecnica se il dipendente ha provveduto autonomamente a nominare un legale di fiducia, senza averne prima informato l’ente di appartenenza o limitandosi a comunicare successivamente la nomina.

La decisione afferma il principio per cui, nei rapporti di pubblico impiego, la copertura delle spese legali da parte dell’amministrazione richiede una preventiva condivisione della scelta del difensore, oppure la possibilità, per l’ente, di valutarne la congruità. In mancanza di tale condizione, ogni spesa resta a carico personale del dipendente, anche se poi assolto nel merito.

Questo orientamento risponde all’esigenza di garantire un corretto bilanciamento tra la tutela del dipendente pubblico e l’interesse dell’amministrazione a un controllo preventivo sulla spesa.

Il principio

La Suprema Corte in definitiva ha affermato che: «In tema di pubblico impiego contrattualizzato e di oneri di assistenza legale in conseguenza di fatti commessi dal dipendente di un ente locale nell’espletamento del servizio e in adempimento di obblighi di ufficio, l’amministrazione pubblica non è tenuta a rimborsarlo delle spese necessarie per assicurare la difesa legale, ove egli abbia unilateralmente provveduto alla scelta e alla nomina del legale di fiducia, senza la previa comunicazione all’amministrazione stessa, o qualora, dopo avere effettuato la nomina, si limiti a comunicarla al detto ente».

Allegati

bossing

Il bossing Bossing: cos’è, differenze con il mobbing, cosa dice la legge, le tutele per il lavoratore e e sentenze della Cassazione

Cos’è il bossing

Il bossing è una forma specifica di abuso sul luogo di lavoro, in cui le condotte vessatorie provengono direttamente da un superiore gerarchico. Si tratta di un fenomeno sempre più riconosciuto, spesso assimilato al mobbing, ma con caratteristiche e dinamiche proprie che lo rendono particolarmente insidioso e complesso da affrontare.

Il termine bossing deriva dall’inglese “boss” (capo) e si riferisce nello specifico a comportamenti ostili, sistematici e ripetuti nel tempo, messi in atto da parte di un datore di lavoro o superiore gerarchico nei confronti di un lavoratore subordinato.

Le finalità del bossing possono includere:

  • l’allontanamento del dipendente dall’ambiente lavorativo;
  • l’induzione alle dimissioni volontarie;
  • la svalutazione della persona o delle sue competenze;
  • l’esclusione sistematica dalle attività lavorative.

Differenze tra bossing e mobbing

Il mobbing è un comportamento persecutorio sul luogo di lavoro che può essere esercitato da colleghi, superiori o anche da subordinati. Il bossing, invece, è una sottospecie del mobbing, caratterizzata dall’origine verticale dell’azione, ossia dalla posizione di potere di chi la esercita.

Mobbing → può essere orizzontale, ascendente o discendente.
Bossing → è solo discendente e coinvolge sempre un superiore.

Esempi di bossing:

  • assegnazione di compiti dequalificanti o umilianti;
  • isolamento intenzionale del dipendente;
  • richieste impossibili o fuori orario;
  • continue critiche ingiustificate o umiliazioni pubbliche.

Cosa dice la legge sul bossing

L’ordinamento giuridico italiano non prevede un reato autonomo di “bossing”, così come non lo prevede per il mobbing. Tuttavia, le condotte riconducibili a tale fenomeno possono integrare illeciti civili e penali, tra cui:

  • violazione dell’art. 2087 c.c., che impone al datore di lavoro di tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore;
  • molestie morali sul luogo di lavoro, che possono essere riconosciute in sede giudiziaria;
  • reati come l’abuso d’ufficio, lesioni personali (art. 582 c.p.), maltrattamenti (art. 572 c.p.) e stalking (art. 612-bis c.p.), a seconda della topologia dei comportamenti.

Le tutele per il lavoratore vittima di bossing

Il lavoratore che subisce bossing ha diritto a una serie di strumenti giuridici di tutela:

1. Tutela in sede civile

Può agire per:

  • il risarcimento dei danni patrimoniali (perdita di reddito, cure mediche) e non patrimoniali (danno morale, biologico);
  • Ottenere la declaratoria di responsabilità del datore di lavoro per violazione dell’art. 2087 c.c.

2. Tutela in sede penale

Se i comportamenti costituiscono reato, è possibile presentare querela nei termini previsti. L’autorità giudiziaria , in questo modo, potrà avviare un procedimento penale contro il superiore.

3. Denuncia all’Ispettorato del lavoro

Il lavoratore può rivolgersi all’Ispettorato territoriale del lavoro, che ha competenza in materia di salute, sicurezza e benessere nei luoghi di lavoro.

4. Intervento sindacale

I sindacati possono fornire assistenza nella documentazione delle molestie e nell’attivazione di procedure conciliative.

Come difendersi dal bossing

Se si decide di denunciare la condotta del superiore o di agire in sede civile per ottenere il risarcimento del danno è fondamentale raccogliere prove documentali e testimoniali delle condotte vessatorie:

  • email, messaggi, ordini di servizio anomali;
  • testimonianze di colleghi;
  • referti medici o relazioni psicologiche;
  • segnalazioni al medico competente o al RLS (rappresentante dei lavoratori per la sicurezza).

Per impostare una difesa e tutelare la propria posizione può essere utile rivolgersi invece a :

  • un avvocato giuslavorista esperto nei diritti dei lavoratori;
  • uno psicologo del lavoro o un medico del Servizio Sanitario;
  • un’associazione per la tutela dei lavoratori.

Giurisprudenza della Cassazione

Cassazione n. 35061/2021: confermata la condanna per bossing del datore di lavoro e del capufficio di una dipendente, anche se quest’ultima era stata vittima di vessazioni unicamente da parte del suo superiore gerarchico. La Suprema Corte ha ritenuto responsabile il datore di lavoro per la sua colpevole inerzia di fronte alle condotte persecutorie, evidenziando come le testimonianze avessero accertato una lesione che coinvolgeva sia gli obblighi contrattuali che i diritti fondamentali della lavoratrice, quali la salute e la dignità sul posto di lavoro, tutelati dalla Costituzione. Di conseguenza, l’ammontare del risarcimento per il danno biologico è stato raddoppiato per compensare la sofferenza morale derivante dalla lesione della dignità della dipendente nell’ambiente lavorativo.

Cassazione n. 2012/2017: non si può parlare di “bossing” e, di conseguenza, non sussiste alcun diritto al risarcimento, quando il comportamento del responsabile, pur manifestandosi in modi burberi, bruschi e rozzi, non sia specificamente diretto a un singolo lavoratore “preso di mira”, ma si estenda indistintamente a tutto il personale. In tali circostanze, tali modalità espressive rivelano unicamente un tratto caratteriale del soggetto, per quanto criticabile, senza alcuna intenzione di accanirsi contro un individuo in particolare.

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lavoro pesante

Il lavoro pesante non è mobbing La Cassazione chiarisce che la mole di lavoro, anche intensa, non costituisce mobbing se rientra nei doveri noti del lavoratore

Mole di lavoro e mobbing

Il lavoro pesante non è mobbing. Con l’ordinanza n. 14890/2025, la sezione lavoro della Corte di Cassazione ha stabilito che la gravosità delle mansioni assegnate a un lavoratore non integra automaticamente una condotta di mobbing o straining da parte del datore di lavoro, specialmente quando tali compiti rientrano nei doveri tipici della posizione ricoperta e sono noti al prestatore sin dall’instaurazione del rapporto.

Secondo i giudici di legittimità, è legittimo che un superiore imponga un’intensificazione dell’attività lavorativa se ciò è funzionale al perseguimento di obiettivi aziendali prefissati, a condizione che tale condotta non si traduca in atti persecutori, discriminatori o lesivi della dignità personale del dipendente.

Il potere direttivo non è di per sé abusivo

Nel caso esaminato, la Corte ha condiviso le conclusioni dei giudici di merito, che avevano rigettato le accuse di mobbing e straining mosse dal lavoratore. È stato affermato che l’organizzazione del lavoro, incluse le direttive impartite gerarchicamente, rientrava nell’alveo del potere organizzativo e direttivo del datore, esercitato in funzione dell’efficienza aziendale, senza intenti vessatori.

Tale orientamento conferma che il semplice disagio o affaticamento, anche significativo, non è sufficiente a integrare una condotta antigiuridica in assenza di specifici atti ritorsivi o di sistematica emarginazione.

L’onere della prova grava sul lavoratore

La Suprema Corte ha inoltre ribadito un principio cardine in materia di responsabilità datoriale: è il lavoratore che lamenta un danno alla salute a dover fornire la prova del pregiudizio subito, della nocività dell’ambiente di lavoro e del nesso causale tra tali elementi.

Solo al ricorrere di tale presupposto scatta in capo al datore l’obbligo di dimostrare di aver adottato tutte le misure prevenzionistiche idonee a tutelare l’integrità psico-fisica del dipendente, ai sensi dell’art. 2087 c.c.

Nel caso in oggetto, tuttavia, il dipendente si è limitato a dedurre genericamente la sussistenza di un ambiente stressogeno, senza allegare né documentare elementi concreti e specifici a sostegno delle proprie doglianze. Ciò ha comportato il rigetto delle sue istanze in tutte le sedi di giudizio.

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Referendum lavoro

Referendum lavoro e cittadinanza 8-9 giugno: la guida Se dovessero passare i 5 quesiti referendari del referendum lavoro e cittadinanza i lavoratori avrebbero più diritti e più tutele. Guida ai referendum dell'8-9 giugno 2025

Referendum lavoro e cittadinanza

Referendum lavoro e cittadinanza: più diritti e tutele garantiti ai lavoratori. Questo promettono i cinque quesiti referendari pubblicati il 31 marzo 2025, in Gazzetta Ufficiale che riguardano il diritto del lavoro e la cittadinanza. I cittadini voteranno l’8 e il 9 giugno 2025.

Come si vota

Le votazioni si svolgeranno domenica 8 giugno dalle 7.00 alle 23.00 e lunedì 9 giugno dalle 7.00 alle 15.00.

Queste le modalità di voto:

  • cittadini residenti: devono recarsi presso il seggio sito nel luogo di residenza portando tessera elettorale e commento di identità;
  • cittadini italiani residenti all’estero: possono votare per corrispondenza dopo aver ricevuto l’apposito plico;
  • cittadini italiani domiciliati temporaneamente all’estero per tre mesi: possono votare per corrispondenza previo invio di apposita dichiarazione al Comune di residenza e avendo cura di indicare il domicilio temporaneo e il consolato di riferimento;
  • cittadini fuori sede: che si trovano in una provincia diversa da quella di residenza possono votare nel comune in cui si trovano se vi hanno acquisto il domicilio da tre mesi (decorrenti dalla data fissata per il referendum). Prima però devono presentare al comune in cui si hanno il domicilio apposita dichiarazione (35 giorni prima delle votazioni), producendo la tessera elettorale, il documento di identità e la certificazione attestante la condizione di fuori sede.

Referendum: funzionamento

Il cittadino elettore che si recherà al seggio riceverà 5 schede, una per ogni quesito. Su ogni scheda il cittadino avrà la possibilità di esprimere la propria preferenza di voto apponendo un X sul si, se desidera abrogare la legge indicata nel quesito, o apponendo una X sul no se desidera non cambiare il quadro normativo.

Il referendum è valido se viene raggiunto il quorum del 50%+1 degli aventi diritto al voto.

Vediamo ora cosa prevedono i quesiti: i primi quattro affrontano il tema del lavoro, il quinto invece riguarda la cittadinanza italiana.

Quesito 1 – Licenziamento illegittimo e reintegra

Il primo quesito propone di abrogare le disposizioni del Jobs Act (D. Lgs. 23/2015), che riguarda le tutele crescenti. Oggi i lavoratori impiegati nella aziende con più di 15 dipendenti che sono stati assunti dopo il 7 marzo 2015 non possono ottenere la reintegra anche se licenziati ingiustamente. Il referendum vuole eliminare questa disparità.

Quesito 2 – Tutele lavoratori piccole imprese

Il secondo quesito mira a rimuovere il tetto massimo delle mensilità di indennizzo per i licenziamenti illegittimi:

  • nelle aziende con meno di 15 dipendenti l’indennizzo massimo è di sei mensilità;
  • nelle imprese con + di 15 dipendenti l’indennizzo è di 10 mensilità se il lavoratore ha 10 anni di anzianità, di 14 mensilità se il lavoratore da più di 20 anni di anzianità.

Anche se un giudice riconosce l’illegittimità del licenziamento, il risarcimento è comunque limitato. La proposta referendaria vuole affidare al giudice la valutazione del risarcimento, caso per caso, secondo criteri di equità.

Quesito 3 – Contratti a termine e precarietà

Il terzo quesito punta a combattere la precarietà. Oggi si può stipulare un contratto a tempo determinato per 12 mesi senza causale. Il referendum vuole reintrodurre l’obbligo di indicare una motivazione per questi contratti, così da favorire l’assunzione stabile e limitare l’uso strumentale del lavoro precario.

Quesito 4 – Sicurezza negli appalti

Il quarto quesito interviene sulla responsabilità in caso di incidenti sul lavoro. Attualmente il committente, l’appaltatore e il subappaltatore non sono responsabili in via solidale in caso di infortunio del lavoratore della ditta appaltatrice o subappaltatrice per danni causati da rischi specifici dell’attività.

L’abrogazione della norma comporterebbe l’estensione della responsabilità per infortuni sul lavoro a tutti i soggetti coinvolti.

Quesito 5 – Cittadinanza

Il quinto quesito propone di ridurre da 10 a 5 anni il periodo di residenza richiesto per ottenere la cittadinanza italiana da parte di cittadini stranieri maggiorenni.

 

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danno differenziale

Danno differenziale Danno differenziale: cos'è, normativa di riferimento, presupposti, come si calcola, presupposti e risarcimento

Danno differenziale

Il danno differenziale è un istituto fondamentale nella materia del risarcimento del danno derivante da infortuni sul lavoro o malattie professionali. Esso consiste in sostanza nel risarcimento ulteriore, rispetto a quello erogato dall’INAIL, spettante al lavoratore quando il danno effettivo subito supera quanto riconosciuto in via automatica dall’assicurazione obbligatoria. Questo istituto risponde all’esigenza di garantire il risarcimento integrale del danno, tenendo conto della differenza tra quanto ricevuto dall’INAIL e il maggiore pregiudizio effettivamente subito dal lavoratore.

Cos’è il danno differenziale

Il danno differenziale è definito come la parte di danno risarcibile che non trova copertura nell’indennizzo previsto dalla tutela INAIL. Lo stesso può riguardare:

  • il danno patrimoniale, come perdita di capacità lavorativa, mancato guadagno o spese mediche non rimborsate;
  • Il danno non patrimoniale, ossia biologico, morale o esistenziale, nella misura eccedente rispetto a quanto riconosciuto dall’INAIL.

Il principio alla base è che l’indennizzo INAIL ha natura assistenziale, mentre il risarcimento civilistico mira alla riparazione integrale del danno, secondo i criteri dell’art. 2043 c.c.

Normativa di riferimento

Le principali fonti normative sono:

  • Art. 10 del d.P.R. n. 1124/1965 (Testo unico infortuni sul lavoro), che prevede l’azione risarcitoria nei confronti del datore di lavoro in caso di responsabilità,;
  • Art. 2087 c.c., che impone all’imprenditore l’obbligo di adottare tutte le misure necessarie per tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore;

Come si calcola il danno differenziale

Semplificando, il danno differenziale si calcola come la differenza tra il risarcimento civilistico integrale (determinato secondo i parametri giurisprudenziali, ad esempio le Tabelle del Tribunale di Milano) e l’importo erogato dall’INAIL, comprensivo di indennità temporanea, rendita, indennizzo in capitale o prestazioni sanitarie.

Esempio pratico:

  • Danno biologico accertato in sede civile: € 100.000
  • Indennizzo INAIL ricevuto: € 40.000
  • Danno differenziale spettante: € 60.000

L’importante è non sommare le due voci, ma dedurre l’indennizzo INAIL dal risarcimento complessivo riconosciuto in sede giudiziaria o stragiudiziale.

Presupposti per ottenere il danno differenziale

Per far valere il diritto al danno differenziale è necessario:

  1. dimostrare la responsabilità datoriale (dolo o colpa, ad esempio per violazione delle norme antinfortunistiche);
  2. accertare l’entità del danno complessivo, patrimoniale e non patrimoniale;
  3. quantificare l’importo già erogato da INAIL;
  4. promuovere un’azione risarcitoria civile, generalmente davanti al tribunale del lavoro.

Come ottenere il risarcimento  

1. Raccolta della documentazione

  • verbale di infortunio o malattia professionale;
  • comunicazioni e certificazioni INAIL (con importi e tipo di prestazione);
  • cartelle cliniche, relazioni mediche e perizie di parte.

2. Valutazione legale

Rivolgersi a un avvocato esperto in diritto del lavoro e responsabilità civile, per l’analisi della posizione e la quantificazione del danno.

3. Tentativo di conciliazione o trattativa stragiudiziale

In molti casi, è possibile ottenere un risarcimento anche senza causa, mediante trattativa con l’assicurazione del datore di lavoro.

4. Azione giudiziaria

In caso di mancato accordo, si può agire in giudizio per ottenere la condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno differenziale, secondo le regole del processo del lavoro.

Danno differenziale e danno complementare: differenze

Occorre distinguere tra:

  • Danno differenziale: parte del danno già oggetto di indennizzo INAIL, ma non integralmente risarcita;
  • Danno complementare: voci di pregiudizio non coperte in alcun modo dall’INAIL, come il danno morale o esistenziale in determinate ipotesi.

Di recente la Cassazione n. 2008/2025 ha chiarito che il concetto di “danno differenziale” in relazione al danno biologico si riferisce correttamente alla porzione di risarcimento che supera l’ammontare dell’indennizzo previsto dall’assicurazione obbligatoria e che, di conseguenza, rimaneva a carico del datore di lavoro. In quest’ottica, il diritto esercitato dal lavoratore veniva definito in modo appropriato. Distinto da questo istituto è il cosiddetto “danno complementare”. In questa categoria rientrano i danni richiesti che non sono coperti dall’assicurazione e che devono essere risarciti in base alle norme generali della responsabilità civile (come evidenziato dalla sentenza della Cassazione n. 166 del 10 aprile 2017). Sembra che il Collegio di merito abbia fatto riferimento proprio a questa nozione di danno complementare per negare in questa sede la tutela al diritto del lavoratore al risarcimento del danno biologico.”

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aspettativa retribuita

Aspettativa retribuita: cos’è e come si ottiene Aspettativa retribuita: cos'è, normativa, quando spetta, come ottenerla, differenze con l'aspettativa non retribuita e settore pubblico

Aspettativa retribuita: cos’è?

L’aspettativa retribuita è un istituto previsto dall’ordinamento italiano che consente al lavoratore di sospendere temporaneamente la prestazione lavorativa continuando a percepire la retribuzione. Si distingue dall’aspettativa non retribuita proprio perché comporta il mantenimento del diritto al salario durante il periodo di assenza dal lavoro.

Questo strumento si applica in specifiche situazioni previste dalla legge o dalla contrattazione collettiva, e rappresenta un importante mezzo di conciliazione tra esigenze personali o familiari e la continuità del rapporto di lavoro.

Normativa di riferimento

Non esiste una disciplina unitaria dell’aspettativa retribuita nel settore privato: le ipotesi sono tipizzate da singole norme di legge o da contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL), che possono prevedere condizioni più favorevoli. Nel settore pubblico, invece, l’istituto è regolato più organicamente dal Testo unico del pubblico impiego (d.lgs. n. 165/2001).

Altri riferimenti normativi generali includono:

  • Legge n. 104/1992 (assistenza a familiari disabili);
  • D.lgs. n. 151/2001 (congedi parentali e maternità/paternità);
  • Legge n. 53/2000 (congedi per formazione o gravi motivi familiari).

Quando spetta: i principali casi

L’aspettativa retribuita non è un diritto generalizzato ma si applica solo in presenza di specifiche condizioni previste dalla legge o dal contratto di lavoro. Ecco i principali casi in cui può essere concessa:

1. Assistenza a familiari con disabilità grave (Legge 104/1992)

Il lavoratore ha diritto a permessi retribuiti pari a 3 giorni al mese, anche frazionabili, per assistere familiari con handicap riconosciuto ai sensi dell’art. 3, comma 3 della legge 104.

2. Congedo parentale o per maternità/paternità

Previsto dal d.lgs. 151/2001, consente ai genitori di assentarsi per assistere i figli nei primi anni di vita, mantenendo il diritto a una indennità INPS in sostituzione del salario.

3. Aspettativa per cariche pubbliche o sindacali

I lavoratori che ricoprono cariche elettive in enti pubblici o sindacati possono ottenere aspettativa retribuita, o in alcuni casi indennizzata dallo Stato o dall’ente di riferimento.

4. Aspettativa per formazione o studio (se prevista dal CCNL)

Alcuni contratti collettivi, in particolare nel settore pubblico o scolastico, prevedono la possibilità di chiedere aspettativa retribuita per partecipare a corsi di aggiornamento o attività formative riconosciute.

Come richiederla

La procedura per la richiesta varia in base alla tipologia di aspettativa e alla disciplina applicabile nel singolo caso. Tuttavia, alcuni passaggi sono comuni:

  1. Presentare domanda scritta al datore di lavoro, specificando la motivazione e il periodo richiesto;
  2. Allegare la documentazione necessaria (es. certificati medici, autorizzazioni INPS, attestati formativi);
  3. Attendere l’approvazione del datore di lavoro, nei casi in cui non si tratti di un diritto automatico (come per i permessi 104 o il congedo parentale).

In genere, per le aspettative regolate da legge, il datore di lavoro non può opporsi se sono rispettate tutte le condizioni previste.

Differenza con l’aspettativa non retribuita

L’aspettativa non retribuita è più ampia e può essere concessa anche per motivi personali, viaggi, studio o esigenze familiari, ma non prevede la corresponsione dello stipendio. In molti casi può essere accordata discrezionalmente dal datore di lavoro o regolata dal contratto collettivo.

L’aspettativa retribuita, invece, è riconosciuta solo in ipotesi tassative, con precise condizioni e finalità che giustificano il mantenimento del trattamento economico.

Aspettativa retribuita nel settore pubblico

Nel pubblico impiego, l’aspettativa retribuita è disciplinata in modo più organico e si applica, tra gli altri casi:

  • per gravi motivi familiari;
  • per attività formative riconosciute;
  • per ricoprire cariche pubbliche elettive.

Il lavoratore mantiene il posto e il trattamento economico, salvo quanto diversamente previsto nei singoli contratti o leggi di settore.

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congedi parentali 2025

Congedi parentali 2025: l’INPS alza l’indennità L'INPS comunica l'aggiornamento delle indennità per i congedi parentali 2025, con i primi tre mesi retribuiti all'80% in virtù delle novità previste dalla legge di bilancio

Congedi parentali 2025: chiarimenti INPS

Congedi parentali 2025: l’INPS, con la circolare n. 95 del 26 maggio 2025, ha annunciato rilevanti modifiche in materia di congedo parentale retribuito, in attuazione delle disposizioni previste dalla Legge di Bilancio 2025 (art. 1, comma 217, L. n. 213/2024).

Aumento dell’indennità: tre mesi all’80%

A partire dal 1° gennaio 2025, i genitori lavoratori dipendenti potranno beneficiare di un innalzamento dell’indennità economica per il congedo parentale, che viene così strutturata:

  • Primo mese: indennizzato all’80% della retribuzione (già introdotto con la Legge di Bilancio 2023);

  • Secondo mese: elevato anch’esso all’80% (prima al 60%);

  • Terzo mese: portato all’80% (in precedenza al 30%).

In totale, ciascun nucleo genitoriale avrà diritto a tre mesi retribuiti all’80%, da utilizzare in modo individuale o condiviso, anche alternandosi o contemporaneamente.

Condizioni e beneficiari

Per accedere al beneficio potenziato, è necessario che:

  • Il lavoratore sia dipendente del settore pubblico o privato;

  • Il congedo di maternità o paternità si sia concluso dopo il 31 dicembre 2024;

  • Il congedo parentale sia fruito a partire dal 1° gennaio 2025.

Le nuove regole valgono anche in caso di adozione o affidamento, con riferimento al minore nei primi sei anni dall’ingresso in famiglia e, comunque, entro la maggiore età.

Durata e trattamento economico dei mesi successivi

Oltre ai tre mesi con trattamento all’80%, i successivi periodi di congedo parentale restano regolati come segue:

  • Mesi successivi: indennizzo al 30% della retribuzione;

  • Ultimo mese: potrebbe non essere retribuito, salvo casi particolari legati al reddito ISEE basso.

Presentazione della domanda

La richiesta di congedo parentale deve essere inoltrata esclusivamente in modalità telematica, attraverso i seguenti canali:

  • Il portale INPS: www.inps.it

  • Il Contact Center multicanale al numero verde 803.164

  • Gli Istituti di patronato.