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Jobs Act: nuovo intervento della Consulta La Corte Costituzionale amplia la nuova tutela reintegratoria attenuata ritenendola applicabile anche al licenziamento per giustificato motivo oggettivo e a quello disciplinare

Jobs Act: tutela reintegratoria attenuata

Sul Jobs Act si registra un nuovo intervento della Consulta con due sentenze depositate in data odierna. “La tutela reintegratoria attenuta si applica anche al licenziamento per giustificato motivo oggettivo in caso di insussistenza del fatto materiale ed al licenziamento disciplinare intimato per un fatto punito dalla contrattazione collettiva solo con una sanzione conservativa”.

La sentenza n. 128/2024

Così, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 128-2024 di oggi, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 3, comma 2, del d.lgs. 4 marzo 2015 n. 23, nella parte in cui non prevede che la tutela reintegratoria attenuata si applichi anche nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo oggettivo in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l’insussistenza del fatto materiale allegato dal datore di lavoro, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa il ricollocamento del lavoratore (c.d. repêchage).

La sentenza n. 129/2024

Riguardo alla stessa disposizione, il giudice della leggi (con sentenza n. 129-2024) ha ritenuto non fondata la questione, sollevata in riferimento ad un licenziamento disciplinare basato su un fatto contestato per il quale la contrattazione collettiva prevedeva una sanzione conservativa, a condizione che se ne dia un’interpretazione adeguatrice. Ossia “deve ammettersi la tutela reintegratoria attenuata nelle particolari ipotesi in cui la regolamentazione pattizia preveda che specifiche inadempienze del lavoratore, pur disciplinarmente rilevanti, siano passibili solo di sanzioni conservative”.

La qlc

Quanto alla prima pronuncia, la Sezione lavoro del Tribunale di Ravenna aveva censurato, sotto diversi profili, la disciplina dettata dal d.lgs. n. 23 del 2015 per il licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo nella parte in cui esclude la tutela reintegratoria nell’ipotesi in cui il giudice accerti l’insussistenza del fatto, a differenza di quanto previsto per il licenziamento disciplinare fondato su di un fatto contestato insussistente.

La Corte ha accolto le questioni sollevate in riferimento ai parametri di cui agli artt. 3, 4 e 35 Cost. rilevando che, seppure la ragione d’impresa posta a fondamento del giustificato motivo oggettivo di licenziamento non risulti sindacabile nel merito, il principio della necessaria causalità del recesso datoriale esige che il “fatto materiale” allegato dal datore di lavoro sia “sussistente”, sicché la radicale irrilevanza dell’insussistenza del fatto materiale prevista dalla norma censurata determina un difetto di sistematicità che rende irragionevole la differenziazione rispetto alla parallela ipotesi del licenziamento senza giusta causa o giustificato motivo soggettivo.

Discrezionalità del legislatore limitata

La discrezionalità del legislatore nell’individuare le conseguenze dell’illegittimità del licenziamento non si estende, infatti, fino a consentire di rimettere questa alternativa ad una scelta del datore di lavoro che, intimando un licenziamento fondato su un “fatto insussistente”, lo qualifichi come licenziamento per giustificato motivo oggettivo piuttosto che come licenziamento disciplinare.

Precisa, infine, la Corte che il vizio di illegittimità costituzionale, invece, non si riproduce qualora il fatto materiale, allegato come ragione d’impresa, sussiste sì, ma non giustifica il licenziamento perché risulta che il lavoratore potrebbe essere utilmente ricollocato in azienda. Ne consegue che la dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione censurata deve tener fuori la possibilità di ricollocamento del lavoratore licenziato per ragioni di impresa, non diversamente da come la valutazione di proporzionalità del licenziamento alla colpa del lavoratore è stata tenuta fuori dal licenziamento disciplinare fondato su un fatto insussistente.

Quindi, la violazione dell’obbligo di repêchage attiverà la tutela indennitaria di cui al comma 1 dell’art. 3 del d.lgs. n. 23 del 2015.

Mancato riconoscimento tutela reintegratoria

Quanto alla seconda sentenza, la Sezione lavoro del Tribunale di Catania aveva censurato il mancato riconoscimento ad opera della stessa norma della tutela reintegratoria quando, per l’inadempienza del lavoratore contestata dal datore di lavoro, che si riveli “sussistente”, sia la stessa contrattazione collettiva a prevedere una sanzione conservativa. La Corte, pur ritenendo complessivamente infondate le questioni sollevate in riferimento a plurimi parametri, ha fornito una interpretazione adeguatrice della disposizione censurata orientata alla conformità all’art. 39 Cost.

Premesso che la natura “disciplinare” del recesso datoriale comporta l’applicabilità del canone generale della proporzionalità, secondo cui l’inadempimento del lavoratore deve essere caratterizzato da una gravità tale da compromettere definitivamente la fiducia necessaria ai fini della conservazione del rapporto, la Corte ha ribadito la valutazione di adeguatezza e sufficiente dissuasività dell’apparato complessivo di tutela nei confronti del licenziamento illegittimo contenuto nel d.lgs. n. 23 del 2015, come novellato dal d.l. n. 87 del 2018 ed emendato dalle sue precedenti pronunce, anche in riferimento alle ipotesi in cui il licenziamento disciplinare risulti “sproporzionato” rispetto alla condotta e alla colpa del lavoratore per le quali è prevista la tutela indennitaria. Quanto, però, alla prospettata violazione dell’art. 39, la Corte ha affermato che la disposizione censurata deve essere letta nel senso che il riferimento alla proporzionalità del licenziamento ha sì una portata ampia, tale da comprendere le ipotesi in cui la contrattazione collettiva vi faccia riferimento come clausola generale ed elastica, ma non concerne anche le ipotesi in cui il fatto contestato sia in radice inidoneo, per espressa pattuizione contrattuale, a giustificare il licenziamento, le quali vanno invece equiparate a quelle dell’«insussistenza del fatto materiale».

La mancata previsione della reintegra quando il fatto contestato sia punito con una sanzione solo conservativa dalla contrattazione collettiva andrebbe ad incrinare il tradizionale ruolo di quest’ultima nella disciplina del rapporto. In conclusione, all’esito di queste due pronunce, vi è simmetria tra licenziamento disciplinare e licenziamento per ragione di impresa, tracciata dalla Corte sulla linea del “fatto materiale insussistente”.

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Allegati

lavoratori cassa integrazione caldo

Lavoratori in cassa integrazione se fa troppo caldo La legge di conversione del decreto agricoltura, in vigore dal 14 luglio 2024, prevede la CIGO in caso di temperature elevate

Legge conversione decreto agricoltura 2024 in vigore

Lavoratori in cassa integrazione se le temperature sono troppo elevate. E’ una delle novità del ddl di conversione del decreto legge n. 63/2024, contenente le disposizioni urgenti per le imprese agricole della pesca, dell’acquacoltura e di quelle che rivestono un interesse strategico a livello nazionale, che ha ricevuto il via libera definitivo della Camera l’11 luglio 2024, dopo l’approvazione della fiducia al Governo con 181 voti a favore e 111 contrari.

Il provvedimento vieta l’installazione dei pannelli fotovoltaici in alcune aree agricole, prevede disposizioni sull’amministrazione straordinaria di Ilva S.p.a. e incrementa le risorse per sostenere i settori produttivi e le aree in maggiore difficoltà.

La nuova legge-101-2024 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 13 luglio ed è in vigore dal 14 luglio 2024.

Vediamo le novità di maggiore rilievo.

Ammortizzatori sociali per le temperature elevate

Il testo prevede la possibilità di ricorrere agli ammortizzatori sociali in caso di sospensione o interruzione del lavoro a causa di situazioni climatiche eccezionali come quelle collegate alle ondate di calore.

La disposizione, frutto di un emendamento approvato dalla Commissione industria del Senato nel corso della seduta dell’1 luglio 2024 riconosce ai datori di lavoro, in presenza di un’emergenza climatica, di poter accedere alla cassa integrazione ad ore fino alla fine del mese di dicembre 2024, in deroga ai limiti di durata massima previsti dalla normativa.

Della CIGO possono beneficiare gli operai agricoli che subiscono una riduzione dell’attività lavorativa pari alla metà dell’orario giornaliero previsto contrattualmente nel periodo compreso tra la data di entrata in vigore della legge di conversione del decreto n. 63/2024 e il 31 dicembre del 2024. I benefici tuttavia potranno essere riconosciuti nel limite di spesa di 2 milioni per il 2024 e saranno concessi dall’INPS territorialmente competente.

Le altre misure per il lavoro

Previsti interventi di integrazione salariale di tipo straordinario per le imprese della Basilicata che operano in aree soggette alla crisi industriale.

Per il periodo compreso tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2024 è prevista una riduzione della contribuzione previdenziale pari al 68% a favore delle imprese agricole dell’Emilia-Romagna, delle Marche e della Toscana colpite dalle alluvioni verificatesi dal 1° maggio 2023.

Il contrasto allo sfruttamento del lavoro agricolo si rafforza grazie all’istituzione presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali del Sistema informativo per la lotta al caporalato, che si basa sulla condivisione delle informazioni acquisite da parte dell’amministrazioni statali e regionali.

Presso l’INPS viene istituita una banca dati degli appalti in agricoltura per aumentare i controlli nel settore agricolo.

Contributi alle imprese agricole

Per contrastare la crisi economica delle imprese agricole, della pesca e dall’acquacoltura sono previsti diversi interventi:

  • moratoria sui mutui e sui finanziamenti per le imprese interessate dal provvedimento;
  • allargamento delle imprese che potranno accedere ai finanziamenti garantiti dall’ISMEA;
  • più risorse per il Fondo per la sovranità alimentare;
  • 5 milioni di euro saranno destinati alla ristrutturazione delle imprese agricole che coltivano gli olivi, producono olio, coltivano agrumi e producono latte e formaggi di origine ovina e caprina;
  • 32 milioni di euro del fondo per lo sviluppo e il sostegno delle filiere agricole, della pesca e della acquacoltura andranno ai produttori di grano duro, a quelli della filiera cerealicola, alle imprese e ai consorzi della pesca e dell’acquacoltura anche per contrastare la crisi economica derivante dal granchio blu;
  • contributi agli imprenditori agricoli che allevano specie e razze autoctone a rischio di estinzione o che hanno una diffusione limitata;
  • sostegni per le imprese che hanno subito danni alle produzioni di kiwi nel 2023, alle quali sono destinati anche le risorse che vanno incrementare il fondo di solidarietà nazionale;
  • incrementato il fondo mutualistico per la copertura dei danni derivanti dalle catastrofi climatiche;
  • 30 milioni di euro saranno destinati all’imprese agricole danneggiate dal batterio della xylella al fine di reimpiantare e riconvertire le coltivazioni degli olivi;
  • possibilità di accesso al fondo di solidarietà nazionale per le imprese agricole siciliane che hanno subito danni a causa della siccità nel periodo compreso da luglio 2023 a maggio 2024;
  • ristori particolari per il settore agricolo delle regioni colpite dalle frane come l’Emilia, la Toscana e le Marche.

Commissari straordinari

Diverse le nomine e le proroghe degli incarichi affidati ai commissari straordinari. Prevista la nomina di un Commissario straordinario, che resterà in carica fino al 31 dicembre 2026, per adottare misure urgenti per limitare la diffusione del granchio blu.

Prevista anche la nomina di un Commissario straordinario per contrastare la brucellosi e la tubercolosi.

Prorogata la durata dell’incarico del commissario straordinario destinato a risolvere il problema della scarsità idrica.

Le altre misure

Al fine di garantire un miglior controllo della produzione agricola vengono definiti specifici obblighi di comunicazione a carico delle aziende che acquistano e vendono cereali nazionali ed esteri. Vengono rafforzate le sanzioni in caso di violazione delle norme sulla rintracciabilità degli alimenti, sulla commercializzazione dell’olio d’oliva e sul rispetto delle indicazioni geografiche e le denominazioni di origine.

Provvedimenti ulteriori mirano a scoraggiare le pratiche commerciali scorrette all’interno della filiera agricola e alimentare.

Disposte infine misure per il monitoraggio della produzione del latte e dell’acquisto dei prodotti caseari con latte importato da paesi europei e terzi.

licenziamento giustificato motivo soggettivo

Licenziato l’infermiere che indossa gioielli vistosi Per la Cassazione, è legittimo il licenziamento dell'infermiere della RSA che non rispetta il divieto di indossare monili in presenza di pazienti fragili

Licenziamento giustificato motivo soggettivo

E’ legittimo il licenziamento per giustificato motivo soggettivo dell’infermiere che non rispetta il divieto imposto dalla casa di cura di indossare gioielli vistosi in presenza di pazienti fragili. Lo ha statuito la sezione lavoro della Cassazione con ordinanza n. 17267-2024 escludendo il carattere discriminatorio del licenziamento, in quanto trattandosi di condotta che integra una grave negligenza in grado di pregiudicare la stessa immagine della struttura.

La vicenda

Nella vicenda, la Corte d’appello di Roma, in accoglimento del reclamo di una casa di cura, riteneva legittimo il licenziamento per giustificato motivo soggettivo intimato all’infermiere, riformando la sentenza di primo grado che, in esito a rito Fornero, ne aveva accolto l’opposizione ravvisando la natura ritorsiva del licenziamento.

Per la corte di merito, erano fondati gli addebiti disciplinari di reiterata inosservanza delle disposizioni regolamentari di divieto, “per il personale a diretto contatto con i pazienti della R.S.A. quale il lavoratore (passato dalle mansioni di portantino a quelle di operatore sanitario ausiliario), di indossare in servizio monili (vistosa catena a larghe maglie al collo, anelli, un grosso bracciale e un voluminoso orologio tutti di metallo) o acconciature (un lungo pizzetto al mento), in quanto veicoli di contagio per pazienti fragili e immunodeficienti”. Tutti comportamenti adottati “in violazione dell’art. 40 del CCNL applicato, per essere atti di insubordinazione, integranti gravi negligenze in servizio potenzialmente nocive alla salute dei pazienti e idonee a pregiudicare l’immagine della struttura sanitaria”.

L’uomo adiva quindi il Palazzaccio, ma la S.C. gli dà torto su tutta la linea, ritenendo le censure in parte infondate e in parte inammissibili.

I principi di diritto in tema di licenziamento ritorsivo

Preliminarmente, la Cassazione ribadisce “i principi di diritto in tema di licenziamento ritorsivo, secondo cui l’accertamento della sua nullità è subordinata alla verifica che l’intento di vendetta abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di risolvere il rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso, rispetto ai quali va quindi escluso ogni giudizio comparativo (Cass. 7 marzo 2023, n. 6838)”. Il motivo illecito addotto, “ai sensi dell’art. 1345 c.c., deve essere infatti determinante, ossia costituire l’unica effettiva ragione di recesso, ed esclusivo, nel senso che il motivo lecito formalmente addotto risulti insussistente nel riscontro giudiziale: con la conseguenza che la verifica dei fatti allegati dal lavoratore, ai fini all’applicazione della tutela prevista dal testo novellato dell’art. 18, comma 1 legge n. 300/1970, richiede il previo accertamento della insussistenza della causale posta a fondamento del licenziamento”.

Nella specie, il ricorrente ha operato una sostanziale contestazione dell’accertamento in fatto della Corte d’appello, insindacabile in sede di legittimità, in quanto congruamente argomentato.

Idem per la contestazione della valutazione di proporzionalità, basata sulla gravità complessiva di più infrazioni, “insindacabile in sede di legittimità, in quanto implicante un apprezzamento dei fatti spettante al giudice di merito, salve le ipotesi (qui non ricorrenti) di assoluta mancanza della motivazione o della sua affezione da vizi giuridici integranti ipotesi di nullità della sentenza ovvero di omesso esame di un fatto avente valore decisivo”.

La recidiva

La Corte d’appello, invero, secondo gli Ermellini, “ha accertato una ‘persistente volontà di disattendere le prescrizioni aziendali’, non valutando peraltro il primo addebito alla stregua di recidiva, non contestata, in linea con il licenziamento per giustificato motivo soggettivo, in esito ad un corretto procedimento di sussunzione nelle ipotesi di contrattazione collettiva (art. 40, lett. c, d, i, f, A): in esatta applicazione dei principi di diritto in tema di licenziamento disciplinare, secondo cui, al fine di selezionare la tutela applicabile tra quelle previste dall’art. 18, commi 4 e 5 legge n. 300/1970, come novellato dalla legge n. 92/2012, il giudice può sussumere la condotta addebitata al lavoratore, e in concreto accertata giudizialmente, nella previsione contrattuale che, con clausola generale ed elastica, punisca l’illecito con sanzione conservativa, non trasmodando detta operazione di interpretazione e sussunzione nel giudizio di proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato, ma restando nei limiti dell’attuazione del principio di proporzionalità, come eseguito dalle parti sociali attraverso la previsione del contratto collettivo (Cass. 11 aprile 2022, n. 11665; Cass. 28 giugno 2022, n. 20780)”.

Reiterazione della condotta

Inoltre, la corte di merito, conclude la S.C. rigettando il ricorso, “ha correttamente apprezzato la rilevanza della reiterazione della condotta e l’ha valutata, nella complessiva gravità dei fatti del primo addebito, ancorché ‘non … come recidiva, perché non contestata’, in linea con i principi di diritto, secondo cui: a) ai fini disciplinari, la recidiva, per sua stessa natura, presuppone non solo che un fatto illecito sia posto in essere una seconda volta, ma che lo sia stato dopo che la precedente infrazione sia stata (quanto meno) contestata formalmente al medesimo lavoratore; ove tale contestazione per la precedente infrazione sia mancata, e non sia pertanto configurabile la recidiva, la reiterazione del comportamento, che si ha per effetto della mera ripetizione della condotta in sé considerata, non è irrilevante, incidendo comunque sulla gravità del comportamento posto in essere dal lavoratore, che, essendo ripetuto nel tempo, realizza una più intensa violazione degli obblighi del lavoratore e può, pertanto, essere comunque sanzionato in modo più grave (Cass. 20 ottobre 2009, n. 22162); b) la mera reiterazione dell’illecito, pur rilevando ai fini della valutazione della gravità del comportamento tenuto dal lavoratore, non può determinare la pretermissione della graduazione delle condotte di rilievo disciplinare contemplata dai contratti collettivi, di cui il giudice deve tenere conto per disposto normativo (Cass. 12 luglio 2023, n. 19868)”.

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Allegati

licenziamento giustificato motivo oggettivo

Licenziamento per giustificato motivo oggettivo Presupposti e disciplina del licenziamento per giustificato motivo oggettivo. L’obbligo di repêchage e la più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione

I diversi tipi di licenziamento

La normativa in materia di licenziamenti individuali, in primo luogo individuata dalla legge n. 604 del 1966, prevede che il datore di lavoro possa adottare tale misura in conseguenza della condotta del lavoratore (si tratta delle ipotesi di licenziamento per giusta causa o per giustificato motivo soggettivo), oppure per ragioni obiettive: in tal caso ricorre il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

In particolare, tale misura può essere adottata dal datore per motivi di carattere economico (ad esempio, a fronte di un periodo di crisi) o per ragioni organizzative che inducano a ridurre il personale o a rinunciare all’attività di determinati settori aziendali.

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Licenziamento per giustificato motivo oggettivo: i presupposti

In generale, perché il licenziamento per giustificato motivo oggettivo possa essere considerato legittimo, è necessario non solo che ricorrano le ragioni obiettive sopra evidenziate, ma anche che sia verificabile il nesso causale tra esse ed il licenziamento e che l’individuazione del lavoratore da licenziare sia stata effettuata senza discriminazioni o disparità di giudizio da parte del datore.

Inoltre, come costante giurisprudenza insegna, il licenziamento per giustificato motivo oggettivo è da considerarsi legittimamente adottato solo nel caso in cui non sia stato possibile ricorrere al c.d. repêchage. Con tale termine si fa riferimento alla possibilità di mantenere in essere il rapporto di lavoro con il dipendente attraverso la ricollocazione dello stesso in una diversa posizione lavorativa, con contestuale mutamento delle mansioni a cui lo stesso viene adibito.

In altre parole, se nell’ambito dell’organizzazione aziendale è individuabile una posizione lavorativa che può essere ricoperta da quel lavoratore, anche con mansioni diverse ed inferiori rispetto a quelle cui questi era stato adibito in precedenza, il licenziamento non è legittimamente praticabile.

Inoltre, ove praticabile, il licenziamento deve essere preceduto da preavviso scritto e, nelle realtà aziendali più grandi, deve essere oggetto di apposito tentativo di conciliazione, salvo poi poter essere impugnato dal lavoratore davanti al Giudice del lavoro.

Obbligo di repêchage e giurisprudenza della Corte di Cassazione

Sul tema del licenziamento per giustificato motivo oggettivo, e in particolare sull’obbligo di repêchage, si registra copiosa ed autorevole giurisprudenza di legittimità, tesa soprattutto a definire meglio i contorni della legittimità, o meno, del licenziamento.

Cassazione SS.UU. n. 7755/1998

Al riguardo, una delle pronunce più importanti è sicuramente quella delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione del 1998, che ha chiarito che il ricollocamento del lavoratore può riguardare anche posizioni relative a mansioni inferiori, poiché in tal caso l’esigenza di evitare il demansionamento del dipendente recede rispetto all’interesse di quest’ultimo alla conservazione del posto di lavoro (Cass., SS.UU., n. 7755/98).

Cassazione n. 2739/2024

Sul punto, è da segnalare un recente arresto della Suprema Corte (Cass., ord.  n. 2739 del 30 gennaio 2024), che, da un lato, si riporta all’orientamento appena evidenziato, per confermare che al dipendente vada prospettata la possibilità di ricollocazione anche in posizioni lavorative caratterizzate da mansioni inferiori a quelle precedentemente ricoperte; dall’altro, sottolinea come l’onere della prova in merito alla possibilità di repêchage (così come in relazione all’esistenza del nesso causale tra ragioni oggettive e licenziamento) incombe sul datore di lavoro.

La pronuncia degli Ermellini, infatti, a questo proposito ha smentito quella della Corte di merito, che aveva fatto riferimento ad un supposto onere del dipendente di indicare a quali posizioni lavorative egli avrebbe astrattamente potuto essere adibito; la Suprema Corte ha evidenziato che il dipendente non ha alcun onere di allegazione al riguardo, e che spetta soltanto al datore di lavoro l’onere di dimostrare – per quanto con prova negativa – che non vi erano posizioni idonee all’operazione di ricollocamento del lavoratore.

Professionisti: super sconto per chi assume In Gazzetta il decreto che prevede una super deduzione del 120% e del 130% del costo del lavoro per imprese e professionisti che assumono con contratto a tempo indeterminato

Super sconto per chi assume a tempo indeterminato

I Ministri dell’Economia e del Lavoro hanno firmato il decreto del 25 giugno 2024, pubblicato sul sito del Ministero dell’Economia, che attua una parte della riforma IRPEF. Il decreto attua in particolare l’articolo 4 del decreto legislativo n. 216 del 30 dicembre 2023 e introduce una “super deduzione” per le nuove assunzioni a tempo indeterminato.

La maggiorazione spetta per le assunzioni di lavoratori con contratto di lavoro a tempo indeterminato qualora il contratto sia in essere a partire dal periodo di imposta successivo a quello in corso al 31 dicembre 2023, ossia relativo periodo di imposta 2024, se al termine del 2024 il numero di lavoratori occupati risultano superiori a quelli occupati mediamente nel periodo di imposta precedente.

Il decreto sulla maxideduzione 2024 per le nuove assunzioni è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 154 del 3 luglio 2024.

Determinazione delle nuove assunzioni

Al fine di determinare le nuove assunzioni e calcolare l’incremento occupazionale, non rilevano i lavoratori dipendenti con contratti ceduti dopo trasferimenti di aziende rami di aziende, quelli assunti a tempo indeterminato ma destinati a un’organizzazione stabile localizzata all’estero di un soggetto residente, quelli assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato precedentemente in forza presso una società del gruppo, il cui rapporto di lavoro con questa sia stato interrotto a partire dal 30 dicembre 2023.

Si tiene invece conto, ai fini del calcolo dell’incremento, dei lavoratori dipendenti assunti inizialmente con contratto a tempo determinato convertito in un contratto a tempo indeterminato durante il 2024 e dei soci lavoratori di società cooperative, che sono assimilati ai lavoratori dipendenti. Per quanto riguarda i lavoratori dipendenti con contratto part-time essi rilevano ai fini dell’incremento occupazionale in misura proporzionale alle ore di lavoro prestate rispetto a quelle contemplate dal contratto nazionale di categoria.

Ai fini del calcolo dell’incremento occupazionale rilevano anche per l’impresa che li utilizza i dipendenti con contratto di somministrazione.

Beneficiari dello sconto

Possono beneficiare del bonus le società di capitali e gli enti, gli enti non commerciali, le società e gli enti non residenti, le società di persone e le equiparate, le imprese individuali, gli esercenti arti e professioni, ma alle seguenti condizioni:

  • purché provvedano ad aumentare il numero dei dipendenti a tempo indeterminato rispetto all’anno precedente;
  • purché i nuovi contratti siano a tempo indeterminato e in essere alla fine dell’anno d’imposta.

Sono invece escluse dal beneficio le imprese in liquidazione ordinaria, in concordato preventivo o sottoposte ad altre procedure concorsuali.

Le percentuali della detrazione

Il decreto consente alle imprese di detrarre un importo pari al 120% del costo del lavoro dei nuovi dipendenti assunti a tempo indeterminato.

Per quanto riguarda invece le assunzioni dei soggetti appartenenti alle categorie considerate “fragili”, come le mamme, gli under 30, i percettori di reddito di cittadinanza e le persone con invalidità, la detrazione sale addirittura al 130%. Il beneficio però è valido per le assunzioni che effettuate a decorrere dal 1° gennaio 2024.

Come funziona in concreto la detrazione?

La detrazione viene effettuata in sede di dichiarazione dei redditi. Il costo del lavoro su cui viene calcolata la detrazione è quello sostenuto per gli stipendi e i contributi previdenziali, per il TFR, trattamento di quiescenza e simili e per quei costi che sono strettamente collegati all’assunzione.

esonero contributi reddito cittadinanza

Niente contributi per chi assume beneficiari reddito di cittadinanza L'INPS ha pubblicato le istruzioni per le aziende che intendono fruire dell'esonero contributivo del 100% per l'assunzione di beneficiari del reddito di cittadinanza

Assunzione beneficiari reddito di cittadinanza

Via libera all’esonero contributivo per chi assume i beneficiari del reddito di cittadinanza. L’INPS ha infatti pubblicato le istruzioni per le aziende che intendono fruire dell’agevolazione con la circolare n. 75/2024 del 28 giugno scorso.

Esonero contributi: come funziona

E’ stata la legge di bilancio 2023 a prevedere un esonero del 100% dei contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro privati che assumono i beneficiari del reddito di cittadinanza.

L’esonero contributivo è riconosciuto – al massimo per 12 mesi e nel limite di 8.000 euro annui – ai datori di lavoro privati che, dal 1° gennaio 2023 al 31 dicembre 2023, assumano i percettori del RdC con contratto a tempo indeterminato o trasformino i contratti da tempo determinato a indeterminato.

L’esonero, spiega l’INPS, non si applica ai rapporti di lavoro domestico.

Le istruzioni INPS

La circolare INPS 28 giugno 2024, n. 75 illustra l’esonero contributivo e fornisce le indicazioni per la gestione degli adempimenti previdenziali.

In particolare, la circolare definisce:

  • i datori di lavoro che possono accedere al beneficio;
  • i rapporti di lavoro incentivati;
  • l’assetto e la misura dell’incentivo;
  • le condizioni di spettanza dell’incentivo;
  • le compatibilità con la normativa in materia di aiuti di Stato;
  • il coordinamento con altri incentivi;
  • le modalità di esposizione dei dati relativi alla fruizione dell’esonero nel flusso UNIEMENS.
infortunio itinere inail

Infortunio in itinere: cos’è e come viene ristorato Cos’è l’infortunio in itinere, quando viene indennizzato dall’INAIL e come si calcola il danno differenziale in presenza anche di una responsabilità civile

Infortunio in itinere: la normativa

L’infortunio in itinere è una tipologia particolare di infortunio sul lavoro, che viene coperto e indennizzato dall’INAIL, l’Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli infortuni sul lavoro in base a quanto previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124/1965, contenente il “Testo Unico delle disposizioni per l’assicurazione obbligatoria contro le malattie professionali”.

Infortunio in itinere: cos’è e quando è coperto

Ai sensi del comma 3 dell’art. 2 di detto Testo Unico, fatti salvi i casi di interruzione o deviazioni indipendenti dal lavoro o non necessitate, l’assicurazione comprende anche:

  • “gli infortuni occorsi alle persone assicurate durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello di lavoro;
  • durante il normale percorso che collega due luoghi di lavoro se il lavoratore ha più rapporti di lavoro;
  • e qualora non sia presente un servizio di mensa aziendale durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di lavoro a quello di consumazione abituale dei pasti.” 

L’interruzione e la deviazione devono intendersi intendono necessitate quando sono determinate da cause di forza maggiore, da esigenze essenziali e improrogabili o dall’adempimento di obblighi penalmente rilevanti. L’assicurazione opera e quindi copre i danni riportati anche nel caso in cui il lavoratore utilizzi un mezzo di trasporto privato, purché necessitato. L’uso del velocipede invece, per i positivi riflessi ambientali collegati al suo utilizzo, deve intendersi sempre necessitato.

Infortunio in itinere: quando non è coperto

Non sono coperti dall’assicurazione gli infortuni cagionati direttamente dall’abuso di alcol o di psicofarmaci o dall’uso di sostanze stupefacenti e allucinogeni per motivi non terapeutici.

L’assicurazione non copre inoltre l’infortunio del lavoratore conducente sprovvisto dell’abilitazione alla guida.

Alla luce delle eccezioni sopra analizzate non è coperto dall’assicurazione INAIL l’infortunio in itinere che si verifica:

  • in presenza di una deviazione o interruzione del percorso che non sono necessitate e che non dipendono dal lavoro;
  • quando il lavoratore, pur in assenza di una necessità, utilizzi il mezzo di trasporto privato;
  • quando la deviazione o l’interruzione del percorso non dipende da una causa di forza maggiore, da esigenze essenziali e improrogabili o dall’obbligo di adempiere un dovere di rilievo penale.

Indennizzo INAIL: danno e modalità di erogazione

Quando il lavoratore è vittima di un infortunio in itinere l’INAIL corrisponde l’indennizzo nelle seguenti modalità:

  • se la menomazione permanente riportata dal lavoratore è inferiore al 6% l’INAIL non corrisponde alcun indennizzo per la presenza di una franchigia;
  • se la menomazione permanente presenta un’entità compresa tra il 6% e il 15% l’indennizzo viene corrisposto in un’unica soluzione in capitale;
  • se la menomazione permanente riportata è compresa tra il 16% e il 100% l’indennizzo viene erogato tramite una rendita periodica.

Assicurazione e responsabilità civile

L’articolo 10 del D.P.R n. 1124/1965 prevede che l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro esoneri il datore di lavoro da un eventuale responsabilità civile. L’assicurazione permane   in presenza di una responsabilità civile di chi abbia riportato una condanna penale per il fatto  che ha causato l’infortunio e anche quando il datore debba rispondere civilmente nel caso in cui il fatto sia imputabile a coloro che egli abbia incaricato della direzione o della sorveglianza e questi soggetti siano condannati penalmente.

Il danno differenziale

Qualora un lavoratore riporti dei danni derivanti da un infortunio in itinere e venga accertata anche una responsabilità civile, il risarcimento civile, ai sensi dell’articolo 10 comma 7 del DPR n. 1124/1965 è dovuto solo per la parte che eccede le indennità liquidate dall’INAIL.

 Per danno differenziale si intende pertanto la misura del danno che si ottiene dalla differenza di quanto ottenuto dal lavoratore a titolo di indennizzo dall’INAIL e quanto dovuto dal responsabile civile. Questo meccanismo è previsto per evitare speculazioni ossia duplicazioni risarcitorie.

Il lavoratore infatti, per ottenere il risarcimento del danno differenziale, dimostrare di avere subito un danno ulteriore rispetto a quello per il quale riceve l’indennizzo INAIL.

L’istituto del danno differenziale si fonda sulla diversità strutturale dell’indennizzo INAIL e del risarcimento civilistico.

L’indennizzo INAIL infatti soddisfa l’esigenza sociale si assicurare al lavoratore infortunato i mezzi adeguati, il risarcimento del danno civilistico invece svolge la funzione di ristorare integralmente il danno subito.

Danno differenziale: voci di danno risarcibili

Le voci di danno che rientrano nel danno differenziale e che possono essere richieste in sede civile sono le seguenti:

  • danno biologico (inferiore al 6%): per la tutela della integrità psico fisica del lavoratore infortunato;
  • danno patrimoniale: comprensivo del danno emergente (spese vive sostenute, ad esempio per le visite mediche, i farmaci, ecc) e del lucro cessante, ossia il mancato guadagno causato dall’infortunio e derivante dall’impossibilità di lavorare;
  • danno morale: qualsiasi patimento o turbamento dell’animo umano conseguente al sinistro;
  • danno esistenziale: è quello che si concretizza nel cambiamento peggiorativo delle abitudini di vita e delle relazioni sociali.

Cassazione: comparazione tra poste omogenee

A chiarire nel dettaglio il criterio di liquidazione del danno differenziale è intervenuta la Cassazione con l’ordinanza n. 3694/2023.

Gli Ermellini ricordano che il danno differenziale è il frutto della  diversità strutturale e funzionale tra l’indennizzo INAIL e il risarcimento del danno civilistico.

Tale diversità non consente di ritenere l’indennità INAIL in grado di soddisfare integralmente il pregiudizio subito dal lavoratore infortunato.

Il giudice di merito pertanto, dopo aver liquidato il danno civilistico, deve compararlo con l’indennizzo INAIL nel rispetto del criterio delle poste omogenee, tenendo presente che l’indennizzo è in grado di ristorare solamente il danno biologico permanente e non i pregiudizi che compongono il danno non patrimoniale.

A tal fine occorre distinguere il danno non patrimoniale da quello patrimoniale comparando questo alla quota INAIL che viene rapportata alla retribuzione del lavoratore e alla capacità lavorativa specifica dello stesso.

In seguito, in relazione al danno non patrimoniale, dall’importo liquidato a titolo di danno civilistico vanno sottratte le voci escluse dalla copertura assicurativa ossia danno morale e danno biologico temporaneo per sottrarre poi dall’importo ricavato il valore capitale della quota della rendita INAIL che copre il solo danno biologico permanente.

In conclusione dall’importo complessivo del danno biologico va sottratto il valore capitale della rendita INAIL, ma solo il valore capitale della quota che ristora il danno biologico con esclusione di quella relativa alla retribuzione e alla capacità lavorativa specifica che indennizza il danno patrimoniale.

spoil system pa

Spoil system solo per i dirigenti apicali La Cassazione ha precisato che ai fini dell’applicazione del c.d. spoil system, la natura apicale dell’incarico conferito al dirigente va valutata tenendo conto del dato formale di tale incarico, nonché dei poteri attribuiti al detto dirigente in concreto

L’incarico di dirigente nella p.a.

Il caso in esame riguarda l’incarico assunto da un dirigente presso la Regione Calabria della durata di tre anni. A seguito dell’elezione della nuova Giunta regionale quest’ultima aveva dichiarato decaduto tutti gli incarichi dirigenziali.

Il dirigente aveva pertanto adito il Tribunale di Catanzaro ed il giudizio di merito si era concluso con la decisione della Corte d’appello territoriale che aveva, per quanto qui rileva, accolto le doglianze del lavoratore, la quale aveva ritenuto illegittima la scelta di revocare l’incarico in questione.

Il dirigente aveva proposto ricorso dinanzi alla Corte di Cassazione, a seguito del precedente riesame effettuato dalla Corte stessa, su sollecitazione della Regione Calabria.

I dirigenti apicali preposti ai dipartimenti

La Corte di cassazione, con ordinanza n. 15971/2024, ha accolto, per quanto qui rileva, il ricorso proposto dal dirigente.

In particolare, la Corte ha affermato, ripercorrendo la giurisprudenza di legittimità formatasi sul punto, che per valutare la legittimità della revoca dell’incarico del dirigente, in ragione del cambio della maggioranza politica (cd spoil system), occorre avere riguardo, oltre che al dato formale, anche alla posizione occupata dal dirigente, vale a dire se lo stesso sia o meno alla guida di un ufficio apicale. Tale ultimo requisito si intende integrato se il capo dipartimento ricopre una funzione organizzativa consistente nel “coordinare e dirigere l’ufficio secondo le direttive generali degli organi di direzione politica che assiste, svolge un incarico rispetto al quale opera il c.d. spoil system, rientrando esso negli incarichi dirigenziali apicali che non attengono ad una semplice attività di gestione, ed essendo invece rapportabile alla direzione di strutture articolate al loro interno in uffici dirigenziali generali”.

Per quanto attiene al caso concreto assume inoltre particolare rilievo la disposizione di cui all’art. 22, comma 2 della legge regionale Calabria n. 7 del 1996 ove è stabilito che “I Dirigenti preposti ai Dipartimenti svolgono le funzioni di Dirigente Generale ed assumono tale denominazione”. Inoltre, la Corte ha precisato che il fatto che il contratto individuale del dirigente richiamasse l’articolo 16, comma 1, Dlgs n. 165 del 2001, che individua le funzioni dei dirigenti di uffici dirigenziali generali statali, “non è dirimente in quanto il presupposto dell’applicazione dello spoil system è il carattere apicale del dirigente interessato” mentre nel caso di specie il dirigente era “sempre formalmente, sottoposta al competente dirigente di dipartimento”.

Il Giudice di legittimità ha pertanto riferito che la Corte territoriale, nell’ambito del giudizio di merito, avrebbe dovuto verificare “non tanto se la dirigente avesse in concreto i poteri propri dell’apicale, ma, soprattutto, se essa fosse stata posta a capo di una struttura che, da un punto di vista organizzativo, avesse le stesse caratteristiche di un Dipartimento, in modo da distinguersi, per la sua totale autonomia, dai Dipartimenti ufficialmente esistenti e da aggiungersi ad essi. Solo a queste condizioni i poteri eventualmente assegnati alla ricorrente avrebbero potuto condurre ad una sua equiparazione a un dirigente apicale”.

La decisione

In definitiva, sulla scorta di quanto sopra riferito, la Suprema Corte ha affermato il seguente principio di diritto “Ai fini dell’applicazione della normativa sul c.d. spoil system, la natura apicale dell’incarico conferito con contratto a un dirigente va valutata tenendo conto, in linea di principio, della qualificazione formale di tale incarico contenuta nel contratto medesimo, senza che rilevi di per sé il semplice richiamo dell’art. 16, comma 1, d.lgs. n. 165 del 2001, il quale individua le funzioni dei dirigenti di uffici dirigenziali generali statali, pur se in astratto incompatibile con la menzionata qualificazione. Per superare il dato formale, dal quale, comunque, occorre partire, è necessario verificare non tanto i poteri attribuiti al detto dirigente in concreto, ma se egli sia stato posto a capo di una struttura che, da un punto di vista organizzativo, abbia le stesse caratteristiche di un ufficio apicale, in modo da distinguersi e aggiungersi, per la sua totale autonomia, a quelli già esistenti”.

licenziamento rifiuto mansioni

Licenziato il dipendente che rifiuta di svolgere mansioni diverse E' idoneo a ledere definitivamente il vincolo fiduciario ed a giustificare il recesso, il rifiuto del lavoratore di svolgere prestazioni che rientrano nella qualifica ricoperta

Licenziamento per rifiuto di svolgere mansioni diverse

Legittimo il licenziamento del dipendente che rifiuta di svolgere mansioni diverse nell’ambito della propria qualifica. Lo ha statuito la Cassazione con l’ordinanza n. 17270/2024, respingendo il ricorso di un operatore ecologico che era stato licenziato a fronte del rifiuto, senza giustificazione, di adempiere alla raccolta di rifiuti con l’ausilio del mezzo aziendale.

La vicenda

Nella vicenda, la Corte d’appello di Catanzaro aveva accolto il reclamo incidentale proposto dalla società datrice avverso la sentenza di primo grado che aveva respinto l’impugnativa del licenziamento per giustificato motivo soggettivo intimato al lavoratore.

Per la Corte territoriale, il licenziamento era stato intimato a fronte del rifiuto del lavoratore di eseguire la prestazione lavorativa per ben quattro giorni, durante i quali era stato assegnato ad eseguire la raccolta dei rifiuti con l’ausilio dell’automezzo aziendale, dichiarando di essere un operatore ecologico e di non essere tenuto a svolgere mansioni di autista e che pertanto sarebbe rimasto a disposizione in cantiere. Era integrato, pertanto, il grave inadempimento degli obblighi contrattuali di cui all’articolo 2104, comma 2 c.c. e all’articolo 70, comma 4, lett. e) del c.c.n.l.

L’uomo adiva quindi il Palazzaccio.

Giusta causa e giustificato motivo soggettivo

Per gli Ermellini, le tesi del ricorrente non sono fondate. Come costantemente affermato dalla giurisprudenza, anticipano i giudici, “dalla natura legale della nozione di giusta causa e di giustificato motivo soggettivo di licenziamento deriva che l’elencazione delle ipotesi di giusta causa e giustificato motivo contenuta nei contratti collettivi abbia valenza meramente esemplificativa, sicché non preclude un’autonoma valutazione del giudice di merito (Cass. n. 2830 del 2016), al quale spetta, non essendo vincolante la tipizzazione contenuta nella contrattazione collettiva, la valutazione di gravità del fatto e della sua proporzionalità rispetto alla sanzione irrogata dal datore di lavoro, avuto riguardo agli elementi concreti, di natura oggettiva e soggettiva, della fattispecie (tra le recenti v. Cass. n. 33811 del 2021)”.

La scala valoriale formulata dalle parti sociali costituisce quindi “solo uno dei parametri cui occorre fare riferimento per riempire di contenuto la clausola generale dell’art. 2119 c.c. (Cass. n. 17321 del 2020) e in tal senso depone l’art. 30 della legge 183 del 2010”.

La decisione

Nella specie, la Corte d’appello si è attenuta ai canoni giurisprudenziali attraverso cui sono state definite le nozioni legali di giusta causa e giustificato motivo soggettivo e di proporzionalità della misura espulsiva ed ha motivatamente valutato la gravità dell’infrazione, in particolare sottolineando come, proseguono dalla S.C., “il rifiuto del lavoratore di adempiere la prestazione lavorativa secondo le direttive aziendali, e specificamente di procedere alla conduzione dei veicoli quale attività rientrante nel suo profilo professionale, opposto reiteratamente ed ingiustificatamente per più giorni e in modo tale da impedire il regolare espletamento del servizio pubblico appaltato alla società, costituisse condotta idonea a ledere definitivamente il vincolo fiduciario ed a giustificare il recesso”.

Da qui il respingimento del ricorso.

decontribuzione sud proroga

Decontribuzione Sud La Commissione Ue ha prorogato al 31 dicembre 2024 la Decontribuzione sud, la misura che incentiva i rapporti di lavoro in alcune regioni del Mezzogiorno

Proroga Decontribuzione Sud

Via libera della Commissione Ue alla proroga al 31 dicembre 2024 di Decontribuzione Sud, la misura in scadenza a fine mese con cui si incentivano, attraverso un esonero contributivo, i rapporti di lavoro dipendenti per le aziende con sede in Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia. Lo rende noto il ministero del Lavoro sul proprio sito.

Calderone: proroga consente crescita

“La proroga della Decontribuzione Sud, che ha consentito alle nostre aziende del Mezzogiorno di crescere e partecipare al generale rilancio dell’occupazione è un risultato del governo italiano per il quale ringrazio il Ministro per gli Affari europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il PNRR, Raffaele Fitto e in modo particolare la Vicepresidente esecutiva della Commissione Europea, Margrethe Vestager” ha affermato il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Marina Calderone.

Questa decisione, ha aggiunto, “è il riconoscimento del fatto che la decontribuzione è oggi necessaria per le nostre aziende del Mezzogiorno, per continuare nel percorso intrapreso di riduzione dei divari territoriali e promozione delle imprese, del lavoro e del sistema produttivo nel suo complesso. Questi ulteriori 6 mesi sono fondamentali per consentirci di mettere a punto una revisione organica della Decontribuzione Sud, sempre più orientata agli investimenti. Ringrazio i tecnici delle strutture del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali che hanno avviato e gestito l’iter procedurale del rinnovo della misura, congiuntamente con il Dipartimento per gli Affari Europei”.