Related Posts
Pratica forense Inps: come funziona La domanda va presentata esclusivamente per via telematica tramite il servizio online reso disponibile dall'Inps dal 1° ottobre
- Pubblicato da Redazione
Praticanti presso l’Inps
Pratica forense Inps: dal 1° ottobre 2024 è disponibile la nuova procedura per la presentazione della domanda di ammissione alla pratica forense presso l’Avvocatura territoriale e centrale dell’INPS. Lo rende noto l’Istituto di previdenza con una avviso sul proprio sito.
Procedura ammissione
La procedura per l’ammissione alla pratica forense consente ai cittadini, laureati in giurisprudenza e in possesso dei requisiti richiesti dal bando, di presentare la domanda per svolgere il tirocinio professionale presso l’Avvocatura territoriale e centrale dell’INPS, nel periodo di apertura della campagna annuale (dal 1° ottobre 2024 al 31 luglio 2025).
Tra ii requisiti richiesti: la cittadinanza italiana ed europea (o extraUe in possesso dei requisiti previsti dall’art. 17, comma 2 della L. 247/2012); essere in possesso dei requisiti per l’iscrizione nel Registro dei praticanti avvocati tenuto dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati presso il tribunale nel territorio del cui circondario si trova l’Ufficio legale dell’INPS indicato nella domanda di pratica (per chi è già iscritto, non bisogna avere un’anzianità di iscrizione superiore a 6 mesi).
La domanda va presentata per uno soltanto degli Uffici legali dell’INPS citati nei singoli bandi, accedendo alla procedura online.
Domanda Inps
Gli interessati, in possesso dei requisiti richiesti, devono inoltrare la domanda di ammissione online, accedendo al servizio dedicato tramite le proprie credenziali.
Il bando è disponibile sul sito dell’Istituto, seguendo il percorso: “Home – Avvisi, bandi e fatturazione – Avvisi – Pratica forense presso l’avvocatura dell’INPS”.
Illeciti contributivi: nuovo regime sanzionatorio Illeciti contributivi: il nuovo regime sanzionatorio modificato dal decreto n. 19/2024 oggetto della circolare n. 90/2024
- Pubblicato da Annamaria Villafrate
Indice dei contenuti
ToggleIlleciti contributivi: il nuovo regime dal 1° settembre
Per gli illeciti contributivi dal 1 settembre 2024 è in vigore un nuovo regime sanzionatorio. Lo ha stabilito l’articolo 30 del decreto legge numero 19/2024, che ha modificato diverse disposizioni dell’articolo 116 della legge 388/2000.
La circolare INPS n. 90/2024
L’INPS fornisce importanti chiarimenti e indicazioni sul nuovo regime sanzionatorio in caso di omissioni ed evasioni contributive nella circolare n. 90 del 4 ottobre 2024.
Nel documento importanti chiarimenti anche sulle attività di compliance, sull’attività di accertamento d’ufficio dell’Istituto e sugli adeguamenti procedurali derivanti dalle recenti modifiche.
Illeciti contribuivi: omissioni
L’omissioni contributiva si verifica quando si omette o si ritarda il pagamento di premi e contributi. In base alle modifiche di legge se il pagamento dei contributi o dei premi viene effettuato entro 120 giorni in un’unica soluzione e spontaneamente prima di eventuali contestazioni richieste da parte degli enti impositori non trova applicazione la maggiorazione.
Illeciti contributivi: evasioni
L’evasione contributiva si realizza nelle ipotesi di mancato versamento dei contributi o dei premi dovuti quando il versamento è collegato a registrazioni, denunce o dichiarazioni obbligatorie non presentate o non conformi alla verità.
La norma di revisione precisa che l’evasione si realizza quando la dichiarazione omessa o non conforme viene realizzata con l’intento specifico di non versare i contributi e i premi tramite l’occultamento dei rapporti di lavoro, delle retribuzioni, di redditi prodotti difatti o notizie rilevanti ai fini dell’obbligo contributivo.
Dal punto di vista sanzionatorio la norma non cambia il regime vigente e continua a prevedere una sanzione pari al 30% dell’importo dei contributi o premi non versati alle scadenze in ragione danno. Percentuale che può salire al 60% dell’importo dovuto.
Omissioni contributive da contrasti giurisprudenziali o amministrativi
In caso di mancato ritardato versamento dei premi o dei contributi a causa di incertezze legate a contrasti di orientamenti giurisprudenziali o amministrativi sull’esistenza dell’obbligo contributivo riconosciuto poi in sede giudiziario amministrativa è prevista una sanzione rappresentata dalla “somma costituita dai soli interessi legali di cui all’articolo 1284 c.c., sempreché il versamento dei contributi o premi sia effettuato entro il termine fissato dagli enti impositori.”
Leggi anche: Violazioni contributive: novità dal 1° settembre 2024
Allegati
- inps-circolare-90-2024 (166 kB)
Divieto di cumulo pensione con redditi da lavoro autonomo Scadenza modello RED 2024: chi deve trasmettere la dichiarazione sul divieto di cumulo della pensione con i redditi da lavoro autonomo
- Pubblicato da Marco Sicolo
Indice dei contenuti
ToggleDivieto di cumulo tra pensione e redditi da lavoro autonomo
Divieto di cumulo pensione con redditi da lavoro autonomo: i soggetti percettori di pensione che abbiano conseguito redditi da lavoro autonomo nell’anno di riferimento devono presentare il modello RED 2024 entro il 31 ottobre 2024.
I soggetti tenuti all’invio di tale dichiarazione reddituale sono, quindi, i pensionati che abbiano percepito redditi da lavoro autonomo nell’anno 2023.
Modello RED come si presenta
Per presentare la dichiarazione RED, è necessario accedere con SPID o Carta Nazionale dei Servizi al sito www.inps.it, selezionando l’apposito servizio online “La dichiarazione della situazione reddituale (RED)”, nella sezione “Pensione e Previdenza”.
Con il modello RED il pensionato non dichiara soltanto l’ammontare dei redditi già percepiti nell’anno precedente a quello in cui viene rilasciata la dichiarazione. Deve anche indicare, in via preventiva e presuntiva, i redditi che suppone di percepire nell’anno in corso e che andrà, quindi, a dichiarare – in via consuntiva – nel RED dell’anno successivo.
A tal riguardo, è opportuno evidenziare che, anche qualora i redditi effettivamente percepiti nell’anno precedente corrispondano all’importo indicato in via presuntiva nella dichiarazione dell’anno precedente, il contribuente dovrà ugualmente presentare il modello RED indicando tali importi “a consuntivo”.
In base al reddito presuntivo indicato dal pensionato, l’ente previdenziale effettua delle trattenute in via preventiva. Successivamente, se dalle risultanze della dichiarazione successiva risulta un credito in favore del pensionato, l’Inps provvede a conguagliare la differenza.
Per esempio: nel modello RED 2024, il pensionato indica “a consuntivo” i redditi da lavoro autonomo percepiti nell’anno 2023 e, in via preventiva, quelli che presume di percepire nel 2024. Se poi, nella dichiarazione presentata nel 2025, i redditi effettivamente percepiti nel 2024 risulteranno inferiori a quelli indicati in via preventiva nella precedente dichiarazione, l’Ente provvederà ad effettuare l’opportuno conguaglio.
Le regole sul divieto di cumulo pensione con redditi da lavoro autonomo
I redditi da lavoro autonomo percepiti nell’anno precedente alla dichiarazione non vanno indicati sotto forma di importo complessivo, bensì come singoli importi per ogni tipologia di reddito, suddivisi nei vari periodi dell’anno (con un massimo di sei periodi per ogni tipologia di reddito).
Ad esempio, per una specifica tipologia di reddito va indicato il mese di inizio e quello di fine dell’attività e il relativo reddito ottenuto.
Modello RED: le sanzioni per il mancato invio
La mancata dichiarazione della situazione reddituale RED è sanzionata in modo piuttosto severo. Infatti, la disciplina del divieto di cumulo della pensione con i redditi da lavoro autonomo, prevista dall’art. 10 del d.lgs. 503/1992, dispone che l’omessa presentazione telematica del modello RED è sanzionata con un importo pari all’importo annuo della pensione percepita nell’anno cui la dichiarazione avrebbe dovuto riferirsi (in sostanza, l’INPS provvede a trattenere l’importo di tale sanzione dalle successive rate della pensione).
Chi sono i pensionati che devono presentare il RED?
Infine, va segnalato che, come chiarito dal recente messaggio Inps n. 3077 del 19 settembre 2024, sono esclusi dal divieto di cumulo della pensione con i redditi da lavoro autonomo:
- i titolari di pensione e assegno di invalidità con decorrenza anteriore al 31 dicembre 1994;
- i titolari di pensione di vecchiaia a carico dell’Assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti;
- i titolari di pensione di anzianità e di trattamento di prepensionamento a carico dell’assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti;
- i titolari di pensione o di assegno di invalidità a carico dell’assicurazione generale obbligatoria dei lavoratori dipendenti.
Modello RED: cos’è, a cosa serve, quando si presenta Guida al modello RED: che cos’è, quali sono i soggetti tenuti a presentarlo ed entro quando bisogna inviare il RED 2024
- Pubblicato da Marco Sicolo
Indice dei contenuti
ToggleChe cos’è il modello RED
Il modello RED è il documento telematico che i percettori di pensione devono compilare per dichiarare quei redditi che risultano rilevanti ai fini del riconoscimento di alcune prestazioni economiche.
Vi sono, infatti, alcune prestazioni assistenziali previste dalla legge – come la maggiorazione sociale o l’integrazione del minimo della pensione – per il cui riconoscimento devono ricorrere determinati requisiti reddituali (c.d. prestazioni collegate al reddito).
Perciò, l’Inps, cioè l’ente erogatore di tali prestazioni, deve essere messo in condizioni di conoscere i redditi percepiti dal titolare di trattamento pensionistico, per valutare correttamente se questi abbia diritto a tali ulteriori prestazioni.
Quali sono i pensionati che devono presentare il modello RED?
Con il modello RED, quindi, vengono comunicati tutti quei redditi che non vengono dichiarati con le ordinarie comunicazioni annuali.
In particolare, devono compilare il modello RED:
- i pensionati che non sono tenuti ad inviare all’Agenzia delle Entrate la dichiarazione dei redditi con modello 730 o con modello Redditi PF e che siano percettori di redditi ulteriori alla pensione (es. redditi immobiliari);
- i pensionati che abbiano presentato la dichiarazione dei redditi ma che non erano tenuti a indicarvi determinati redditi, ulteriori alla pensione (es. interessi bancari), che invece influiscono sul riconoscimento o meno delle prestazioni economiche erogate dall’Inps;
- i pensionati che percepiscono redditi che vanno dichiarati in modo diverso all’Agenzia delle Entrate (es. redditi da lavoro autonomo: al riguardo, vedi il nostro approfondimento sul Divieto di cumulo pensione con redditi da lavoro autonomo);
- sono, inoltre, tenuti alla compilazione del modello RED i pensionati che hanno il coniuge o un altro familiare percettori di redditi che influiscono sulla determinazione del diritto a prestazioni erogate dall’Inps.
Chi non deve inviare il Modello Red
Di converso, non sono tenuti all’invio del modello RED i pensionati che hanno inviato all’Agenzia delle Entrate la dichiarazione dei redditi (o che non sono tenuti all’invio della stessa) e che non percepiscono ulteriori redditi, oltre a quelli dichiarati.
Come si presenta il modello RED 2024
Il modello RED si può presentare rivolgendosi a un CAF autorizzato, dove si potrà ricevere l’opportuna assistenza, oppure collegandosi in modo autonomo sul sito www.inps.it, autenticandosi con Spid o Carta Nazionale dei Servizi.
Per chi sceglie di inviare da sé il modulo, da quest’anno è possibile fare affidamento sul modello RED precompilato, che prende il posto del modello RED semplificato. In sostanza, si tratta di una funzione molto utile che permette di completare l’inserimento dei propri dati reddituali semplicemente confermando, integrando o rettificando i dati precompilati.
Scadenza modello RED: quando si deve fare il Red 2024?
L’Inps ha già comunicato, con il messaggio n. 3301 dello scorso 4 ottobre, che la scadenza per il Modello RED 2024, relativo ai redditi percepiti nel 2023, è fissata al 28 febbraio 2025.
Il mancato invio della dichiarazione, ove dovuta, può portare alla sospensione o revoca della prestazione collegata al reddito da parte dell’Inps, a seguito di successivi controlli.
Bonus cicogna: cos’è e a chi spetta Online il bando dell'Inps per ottenere il "bonus Cicogna 2024": vediamo cos'è, a chi spetta e come fare domanda
- Pubblicato da Redazione
Bonus Cicogna 2024: online il bando
Bonus Cicogna 2024, il bando è online. È stato pubblicato dall’Inps, infatti, il bando di concorso “Bonus Cicogna” 2024 in favore dei bambini nati o adottati nel 2023, figli e orfani dei dipendenti del Gruppo Poste Italiane SpA e dei dipendenti iscritti alla Gestione Postelegrafonici, sottoposti alla trattenuta mensile dello 0,40%, nonché dei pensionati già dipendenti del Gruppo Poste Italiane SpA e già dipendenti IPOST. La domanda può essere presentata online attraverso il Portale prestazioni welfare, sino alle ore 12 del 31 ottobre 2024.
Requisiti di ammissione al concorso
Il concorso è destinato al conferimento, ai soggetti sopraindicati, di n. 880 contributi ciascuno di importo pari ad € 500,00.
Sono ammessi al concorso i figli o gli orfani del titolare del diritto, così come individuato all’art. 1, comma 2, nati o adottati nel corso dell’anno solare 2023. In caso di adozione assume rilievo la data del provvedimento della competente Autorità italiana che abbia disposto o riconosciuto l’adozione stessa nel corso dell’anno solare 2023.
Come presentare domanda
La domanda va presentata dal soggetto richiedente la prestazione esclusivamente online pena l’improcedibilità della stessa, con le seguenti modalità, spiega l’Inps, “entrare nella propria area riservata del sito www.inps.it, digitare nella stringa di ricerca ‘Portale Prestazioni welfare’ e selezionare la voce relativa; successivamente cliccare su ‘Accedi all’area tematica’; dopo aver effettuato l’accesso tramite SPID, CIE o CNS, selezionare la voce all’interno del portale, cliccare su ‘Vai a gestione domanda’ ed infine, sulla scheda ‘Presentazione domanda’ , cliccare ‘Utilizza il servizio’ e selezionare la prestazione ‘Bonus Cicogna Ipost'”.
Verrà quindi visualizzato il modulo da compilare ove compaiono i dati identificativi del soggetto richiedente, compresi i recapiti del richiedente. Nella domanda è obbligatorio indicare anche il codice IBAN del conto corrente bancario o postale italiano o della carta prepagata abilitata alla ricezione di bonifici bancari da parte delle Pubbliche Amministrazioni, intestato o cointestato al richiedente la prestazione.
La domanda deve essere inoltrata entro le ore 12:00 del giorno 31 ottobre 2024.
La graduatoria
La graduatoria sarà pubblicata sul sito Inps nella sezione riservata al concorso e verrà redatta attraverso procedura informatizzata, nel rispetto dei seguenti criteri:
▪ secondo valori crescenti di indicatore ISEE del nucleo familiare di appartenenza del beneficiario;
▪ In caso di parità, prevarrà il beneficiario figlio di titolare del diritto con maggiore anzianità di iscrizione alla Gestione Postelegrafonici.
I beneficiari, per i quali non risulti presentata una DSU valida alla data di inoltro della domanda di partecipazione al concorso, spiega l’istituto, verranno collocati in coda alla graduatoria.
Esonero contributivo parità di genere: domanda entro il 15 ottobre Scade il prossimo 15 ottobre il termine per la presentazione della domanda di esonero contributivo per i datori di lavoro in possesso della certificazione della parità di genere
- Pubblicato da Redazione
Esonero contributivo imprese parità di genere
L’Istituto ha fornito chiarimenti in merito alle modalità di trasmissione delle richieste di esonero contributivo da parte delle imprese che si sono impegnate a promuovere la parità di genere nel mondo del lavoro. I datori di lavoro privati che sono in possesso della certificazione di parità hanno diritto a un esonero dal versamento dei contributi previdenziali dell’1%, con un limite massimo di 50.000 euro annui (articolo 5, legge 162 del 2021).
I requisiti
Con il messaggio 13 agosto 2024, n. 2844, l’INPS ha indicato i requisiti che le imprese in possesso della certificazione di genere devono rispettare per accedere all’esonero contributivo.
In particolare, la domanda deve riportare la retribuzione media mensile globale, intesa come la media di tutte le retribuzioni mensili corrisposte dal datore di lavoro nel periodo di validità della certificazione e non quella del singolo lavoratore.
Ai fini del riconoscimento del beneficio contributivo, la certificazione di parità di genere, rilasciata in conformità alla Prassi UNI/PdR 125:2022 dagli organismi di valutazione accreditati, deve riportare il marchio UNI e quello dell’ente di accreditamento.
Con la circolare 27 dicembre 2022, n. 137 l’INPS ha precisato che, per accedere all’esonero, le aziende devono presentare domanda all’INPS attraverso lo specifico modulo telematico denominato “PAR_GEN“.
I datori di lavoro, che abbiano conseguito la certificazione in argomento entro il 31 dicembre 2023 e che abbiano erroneamente compilato il campo relativo alla retribuzione media mensile globale stimata, possono rettificare i dati inseriti, previa rinuncia alla domanda già presentata, sempre, entro il 15 ottobre 2024.
Il messaggio 2844/2024 ha chiarito infine che i datori di lavoro privati che hanno già ricevuto un accoglimento della domanda presentata nel 2022 non devono ripresentare domanda, in quanto, a seguito dell’accoglimento della stessa, l’esonero contributivo è automaticamente riconosciuto per tutti i 36 mesi di validità della certificazione.
Ape social: dovuta anche se non è stata percepita la Naspi L’Ape social non richiede tra i requisiti di cui il richiedente deve essere in possesso la fruizione concreta dell’indennità di disoccupazione
- Pubblicato da Annamaria Villafrate
Ape social: non serve aver fruito dell’indennità di disoccupazione
L’Ape social spetta a chi, tra gli altri requisiti, si trovi in stato di disoccupazione, non rileva però che lo stesso abbia anche beneficiato della relativa indennità. Lo ha chiarito la Cassazione nella sentenza n. 24950/2024.
Ape sociale: l’INPS rigetta l’istanza
Una lavoratrice impugna il provvedimento con cui l’INPS le ha negato l’accesso all’APE Social a causa del mancato beneficio dell’indennità di disoccupazione (NASPI).
Il Tribunale accoglie la richiesta della lavoratrice e la Corte d’Appello conferma la decisione. Per beneficiare dell’APE sociale l’articolo 1 comma 179 della legge n. 232/2016 richiede il solo stato di disoccupazione, non l’aver beneficiato anche della relativa indennità.
Ape social e indennità di disoccupazione
L’INPS però impugna anche la decisione della Corte di Appello di fronte alla Corte di Cassazione. Per l’Istituto sostenendo l’Ape social spetta solo se il richiedente abbia percepito l’indennità di disoccupazione.
Cassazione: per l’Ape social percezione indennità non necessaria
La Cassazione però ricorda che, per quanto riguarda la normativa ratione temporis applicabile al caso di specie, che è quella che va dal 1° maggio 2017 fino al 31 dicembre 2023, il comma 179 precisa che possono accedere all’Ape social gli iscritti “all’assicurazione generale obbligatoria, alle forme sostitutive ed esclusive della medesima e alla Gestione separata …” che si trovino in una delle condizioni di cui alle lettere da a) a d), al compimento dei 63 anni di età e alle condizioni indicate ai commi 185 e 186.
La lettera a) indica come condizione lo“stato di disoccupazione a seguito di cessazione del rapporto di lavoro per licenziamento, anche collettivo, dimissioni per giusta causa o risoluzione consensuale nell’ambito della procedura di cui all’articolo 7 della legge 15 luglio 1966, n. 604, ovvero per scadenza del termine del rapporto di lavoro a tempo determinato a condizione che abbiano avuto, nei trentasei mesi precedenti la cessazione del rapporto, periodi di lavoro dipendente per almeno diciotto mesi, hanno concluso integralmente la prestazione per la disoccupazione loro spettante e sono in possesso di un’anzianità contributiva di almeno 30 anni”.
Dalla lettera della norma emerge che per beneficiare dell’Ape social occorre una certa distanza temporale con l’indennità di disoccupazione se questa è stata fruita concretamente. Questo non significa però che la fruizione della Naspi costituisca un presupposto per beneficiare dell’Ape social. La norma in effetti non richiede la fruizione positiva della Naspi, ma quella negativa della sua cessazione.
Principio di diritto
La Cassazione afferma quindi il seguente principio di diritto: “il diritto all’APE sociale, in applicazione dell’articolo 1, comma 179, legge n. 232 del 2016, richiede – tra gli altri requisiti – uno stato di disoccupazione in capo al beneficiario, ma non postula che lo stesso abbia anche beneficiato dell’indennità di disoccupazione, prevedendo soltanto che, ove l’interessato abbia beneficiato della detta indennità, la stessa sia cessata.”
Leggi anche: “Ape social: la guida“
Allegati
- Cass-24950-2024 (107 kB)
Bonus mamma: com’è e come sarà Bonus mamma: fino al 2026 esonero totale dei contributi per mamme con tre figli, fino al 31 dicembre 2024 per mamme con due figli
- Pubblicato da Annamaria Villafrate
Indice dei contenuti
ToggleBonus mamma: esonero contributivo totale
Il bonus mamma è un beneficio contributivo che la legge di bilancio 2024 n. 213/2023 ha previsto per favorire la natalità e il lavoro femminile.
Il comma 180 dell’articolo 1 prevede che per i periodi di paga compresi tra il 1° gennaio 2024 fino al 31 dicembre 2026, alle lavoratrici madri di tre o più figli, che hanno un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato (escluso quello domestico) spetti un esonero contributivo del 100%.
L’esonero riguarda la quota dei contributi dovuti per invalidità, vecchiaia e superstiti, che sono a carico del lavoratore fino al compimento del 18° anno di età del figlio più piccolo.
Limite annuo dell’esonero contributivo
Il limite annuo dell’esonero è fissato in 3000 euro. L’importo va comunque riparametrato su base mensile.
Facendo un rapido calcolo, e quindi dividendo l’importo annuo di 3000 euro per 12 mensilità l’importo mensile massimo di esonero contributivo è di 250,00 euro.
Esonero in via sperimentale per le mamme con due figli
Il comma 181 dell’art. 1 della legge di bilancio 2024 prevede inoltre, in via sperimentale, in relazione ai periodi di paga compresi tra il 1° gennaio e il 31 dicembre 2024, l’esonero contributivo totale anche per le lavoratrici madri di due figli e con un rapporto di lavoro dipendente a tempo indeterminato fino al compimento del 10° anno di vita dei figlio più piccolo. Da questo esonero sono esclusi però i rapporti di lavoro domestico.
Esonero contributivo: come fare?
Con la circolare n. 27 del 31 gennaio 2024 l’INPS ha fornito le istruzioni sugli aspetti pratici della misura. Il documento dispone che le lavoratrici in possesso dei requisiti richiesti per ottenere l’esonero possano comunicare al loro datore di lavoro la volontà di avvalersene. A tal fine devono comunicare il numero dei figli e per ciascuno di essi il codice fiscale. I datori di lavoro possono quindi esporre nelle denunce retributive l’esonero spettante alla lavoratrice.
In alternativa, la lavoratrice potrà comunicare direttamente all’INPS il numero dei figli e i codici fiscali di ciascuno, compilando un applicativo dedicato.
Il messaggio INPS del 6 maggio 2024 n. 1702 ha infatti comunicato il rilascio dell’applicazione denominata “Utility esonero lavoratrici madri” il cui utilizzo è limitato alle lavoratrici fruitrici del bonus i cui figli non abbiano i codici fiscali inseriti nel flusso Uniemens.
Bonus mamma: compatibilità con esoneri a carico del datore
Poiché il bonus mamma va a sgravare la lavoratrice dal pagamento dei contributi dovuti per la sua quota, esso è compatibile con gli esoneri contributivi previsti per i datori di lavoro.
Il bonus mamma è alternativo però all’esonero sulla quota dei contributi previdenziali dovuti per invalidità, vecchiaia e superstiti, ossia sulla quota IVS, che sono sempre a carico del lavoratore, come previsto dal comma 15 dell’art. 1 della legge di bilancio 2024.
Bonus mamme: come sarà nel 2025?
Il bonus che la legge di bilancio ha previsto in via sperimentale per il 2024 in favore delle madri lavoratrici con due figli potrebbe non essere riconfermato nel 2025.
Non correrebbero rischi invece le mamme lavoratrici con tre figli perché in questo caso la misura è stata confermata fino al 2026.
Leggi anche: “Bonus assunzioni donne vittime di violenza”
Clausola d’oro: i chiarimenti della Cassazione La Suprema Corte fa chiarezza sulla clausola d'oro, che stabilisce la riliquidazione della pensione, operativa fino al 31 diicembre 1997
- Pubblicato da Redazione
La clausola d’oro
Con l’ordinanza della sezione lavoro n.23046/2024 la Cassazione fa chiarezza sulla cosiddetta “clausola d’oro” operativa fino al 31 dicembre 1997.
La vicenda
Nella vicenda, la Corte di appello di Torino, in sede di rinvio disponeva l’applicazione, sulla pensione del dante causa del controricorrente della clausola d’oro di cui all’art. 30 del regolamento ENPI e condannava l’INPS a pagare.
L’istituto ricorreva innanzi al Palazzaccio, denunciando la violazione dell’art. 59, comma 4, della legge n. 449 del 1997 che a decorrere dal 1° gennaio 1998 ha bloccato meccanismi di adeguamento diversi da quello generalizzato di cui all’art. 11 D.Lgs. nr. 503 del 1992, collegato alle variazioni del costo della vita.
Secondo l’Inps, i giudici di merito, nel rideterminare il trattamento pensionistico spettante al dante causa, avrebbero disatteso al disciplina di riferimento e i principi di diritto della Corte, applicando la cd. «clausola oro» anche per il periodo successivo al 1° gennaio 1997 ovvero fino al novembre 2010. Avrebbero dovuto, invece, limitare li meccanismo rivalutativo al 31 dicembre del 1997.
La decisione
Per la Cassazione, il ricorso è fondato.
L’applicazione della «clausola oro», affermano preliminarmente i giudici, “stabilisce la riliquidazione della pensione, in conseguenza di variazioni nelle retribuzioni pensionabili del personale) alla stregua del principio per cui essa opera anche se il nuovo inquadramento (e quindi la diversa retribuzione) è attribuito al lavoratore con provvedimento organizzativo intervenuto dopo li collocamento in quiescenza, purché il nuovo inquadramento corrisponda all’effettivo esercizio delle relative funzioni, durante il servizio”.
A tal proposito, ricorda la S.C., “la legge n. 449 del 1997, art. 59, comma 4, ha stabilito la soppressione, a decorrere dal 1° gennaio 1998, dei meccanismi di adeguamento diversi da quello previsto dal D.Lgs. nr. 503 del 1992, art. 11, anche se collegati all’evoluzione delle retribuzioni del personale in servizio. Ciò impedisce, a partire dalla suddetta data, la riliquidazione automatica, ai sensi delle disposizioni regolamentari, dei trattamenti pensionistici dei dipendenti e, dunque, l’operatività del meccanismo di cui di discute”.
La sentenza impugnata, invece, non si è occupata affatto del periodo in relazione al quale ha operato il sistema di adeguamento della «clausola d’oro», per cui, sentenziano da piazza Cavour, la statuizione che quantifica le differenze anche in relazione ad un periodo successivo al 31.12.1997, si pone in contrasto con la normativa indicata e con la regola iuris affermata dalla S.C.
Il ricorso pertanto è accolto e la sentenza cassata.
Allegati
- Cass-23046-2024 (586 kB)
Prestazioni di esodo: i chiarimenti INPS L'INPS fornisce chiarimenti in merito alle ricostituzioni delle prestazioni di esodo di cui all'art. 4, commi da 1 a 7, della legge n. 92/2012
- Pubblicato da Redazione
Chiarimenti in merito alle ricostituzioni delle prestazioni di esodo
Prestazioni di esodo: a seguito delle richieste di chiarimento pervenute, l’INPS con il messaggio n. 3078 del 19 settembre 2024, fornisce ulteriori indicazioni operative in merito alla possibilità di ricostituire le stesse, di rideterminare l’importo della prestazione e la sua scadenza, in presenza di contribuzione accreditata a seguito di domanda presentata successivamente all’accesso in esodo come, ad esempio, per la domanda di accredito figurativo per il servizio militare o per la domanda di riscatto/ricongiunzione, non valutata né ai fini della verifica del diritto né della quantificazione dell’importo.
La domanda
La domanda di prestazione di accompagnamento a pensione, ricorda l’istituto, è trasmessa telematicamente dal datore di lavoro tramite il “Portale prestazioni esodo”.
Nella domanda sono riportati, oltre ai dati identificativi del datore di lavoro, anche le informazioni relative all’anzianità contributiva maturata dal lavoratore alla data di risoluzione del rapporto di lavoro, nonché la data fino alla quale il datore di lavoro si impegna a versare la contribuzione correlata.
Per le prestazioni di esodo di cui all’articolo 4, commi da 1 a 7, della legge 28 giugno 2012, n. 92, e all’articolo 41, comma 5-bis, del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148, tali informazioni sono certificate dall’Istituto prima della chiusura del relativo piano di esodo.
Poiché le prestazioni di esodo sono erogate su richiesta del datore di lavoro che ha l’onere del pagamento delle prestazioni stesse, non è possibile procedere alla loro ricostituzione né d’ufficio né su istanza del lavoratore.
La domanda di ricostituzione deve, pertanto, essere presentata esclusivamente dal datore di lavoro esodante, in accordo con il lavoratore.
Casi particolari
Si precisa, inoltre, che è consentita la ricostituzione delle prestazioni di esodo, sempre previa domanda da parte del datore di lavoro in accordo con il lavoratore, nel caso in cui:
- dopo la cessazione del rapporto di lavoro, vengano erogate retribuzioni riferite al periodo di lavoro precedente alla cessazione e non considerate al momento della liquidazione in via definitiva della prestazione di esodo;
- nell’estratto contributivo risulti contribuzione non presente al momento della liquidazione in via definitiva della prestazione di esodo.
Qualora, a seguito dell’accredito di tale contribuzione, possa essere anticipata la scadenza dell’assegno di esodo, la Struttura dell’INPS territorialmente competente provvede ad avvisare il datore di lavoro e il lavoratore per concordare l’anticipo della scadenza della prestazione e il relativo versamento della contribuzione correlata. Nel caso di ricostituzione, il modello “TE08” recherà la nuova scadenza della prestazione di accompagnamento a pensione per consentire al lavoratore di presentare in tempo utile la domanda di pensione.
La contribuzione accreditata viene considerata in sede di liquidazione della prestazione pensionistica.
Procedura WEBDOM
La domanda di ricostituzione deve essere caricata nella procedura “WEBDOM” in modalità manuale solo a seguito di apposita richiesta presentata dal datore di lavoro tramite posta elettronica certificata (PEC) alla Struttura dell’INPS territorialmente competente che gestisce l’assegno di esodo, allegando una dichiarazione, opportunamente timbrata e firmata dal legale rappresentante, con la quale lo stesso si fa carico dell’eventuale maggiore onere derivante dalla ricostituzione della prestazione.
Alla domanda deve essere allegato anche il consenso del lavoratore interessato, da acquisire agli atti.
Trattamento di fine rapporto: come funziona il TFR Una breve guida sul trattamento di fine rapporto: come si calcola, a quanto ammonta, quando viene pagato e come si fa a chiedere un anticipo del TFR
- Pubblicato da Marco Sicolo
Indice dei contenuti
ToggleCome funziona il TFR
Il trattamento di fine rapporto, anche detto TFR, è un elemento della retribuzione che viene corrisposto al lavoratore dipendente al momento della cessazione del rapporto di lavoro, qualunque ne sia la causa (es. licenziamento, pensione etc.).
Quanto si prende di TFR
A norma dell’art. 2120 del codice civile, l’importo del trattamento di fine rapporto viene calcolato sommando per ciascun anno (o frazione di anno) in cui si è lavorato una quota pari all’importo della retribuzione annuale divisa per 13,5.
Il valore delle quote annuali di TFR accantonate viene incrementato attraverso la rivalutazione delle somme, con l’applicazione, alla fine di ogni anno, di un tasso costituito dall’1,5% in misura fissa e dal 75% dell’aumento, rispetto all’anno precedente, dell’indice dei prezzi al consumo ISTAT.
Come si fa a sapere a quanto ammonta il TFR
La quota annuale di TFR che viene accantonata si calcola su tutte le voci della retribuzione corrisposte in dipendenza del rapporto di lavoro (compresi, quindi, gli incentivi, i premi di rendimento e gli emolumenti periodici come la tredicesima mensilità). Rimangono esclusi i rimborsi spese (cfr. art. 2120 c.c., II comma) e le indennità di trasferta.
A quanto appena detto possono derogare le disposizioni contenute nei contratti collettivi (ad esempio, nel comparto metalmeccanico la tredicesima mensilità non contribuisce ad alimentare la quota annuale del TFR).
Quando si può chiedere un anticipo del TFR
Un importante aspetto della disciplina del TFR è rappresentato dalla possibilità di richiedere l’anticipazione del pagamento di una sua parte nel corso del rapporto lavorativo, anziché alla cessazione dello stesso.
Possono avanzare tale richiesta i dipendenti che abbiano maturato già otto anni di servizio presso lo stesso datore di lavoro (cfr. art. 2120 c.c., sesto comma e segg.).
La richiesta può essere fatta solo una volta nel corso dell’intero rapporto di lavoro e deve essere motivata dalla necessità di sostenere spese sanitarie per terapie o interventi straordinari o dall’acquisto della prima casa di abitazione (per sé o in favore dei propri figli).
Tali esigenze vanno opportunamente documentate, con certificazione delle strutture sanitarie o, nel caso di acquisto della prima casa, con atto notarile.
Anticipo TFR: quanto si può chiedere
Oggetto della richiesta di anticipo TFR è una somma pari al massimo al 70% del TFR maturato al momento dell’istanza. Ovviamente, la somma anticipata viene detratta da quanto successivamente riconosciuto alla cessazione del rapporto di lavoro.
I contratti collettivi, o anche le pattuizioni individuali, possono prevedere condizioni più favorevoli per l’anticipazione del trattamento di fine rapporto. I contratti collettivi possono anche prevedere criteri di priorità per il soddisfacimento delle varie richieste.
In ogni caso, il datore di lavoro è tenuto a soddisfare le richieste di anticipazione TFR entro il limite del 4% del numero totale dei dipendenti. Peraltro, l’azienda può negare l’anticipazione TFR per i lavoratori dipendenti se sia stata dichiarata azienda in crisi.
Quando ti viene pagato il TFR?
Il diritto al TFR matura mensilmente, ma sorge soltanto al termine del rapporto di lavoro; quindi, in costanza dello stesso, si tratta di un diritto futuro, come ribadito più volte dalla Cassazione (cfr. Cass. sez. lav., ord. n. 4360/2023).
Ciò implica, tra l’altro, che in costanza del rapporto di lavoro il dipendente non possa rinunciare al TFR, per il semplice motivo che il relativo diritto non è ancora venuto ad esistenza (la circostanza appena descritta depone a favore del lavoratore, in quanto lo pone al riparo da eventuali pattuizioni di rinuncia concordate con il datore prima della cessazione del rapporto).
Alla cessazione del rapporto di lavoro, il TFR viene erogato automaticamente dal datore di lavoro, senza necessità che il lavoratore presenti alcuna specifica richiesta in tal senso. I tempi di pagamento si aggirano, generalmente, intorno ai 60 giorni dalla cessazione del rapporto, anche se nel settore pubblico il relativo provvedimento deve rispettare il termine di 30 giorni per la durata del procedimento amministrativo.
Sempre per i dipendenti pubblici vigono alcune regole particolari: ad esempio, il TFR viene erogato in un’unica soluzione se ammonta al lordo a meno di 50.000 euro, oppure in due rate se inferiore a 100.000 euro o in tre rate annuali, se supera i 100.000 euro.
Prescrizione TFR
Il diritto al pagamento del TFR, ove non venga versato spontaneamente dal datore di lavoro, si prescrive nel termine di cinque anni dalla cessazione del rapporto di lavoro.
Ciò significa che la relativa richiesta di pagamento deve pervenire entro tale termine, affinché si consideri interrotta la prescrizione.
Leggi anche TFR e TFS: nuova procedura online
Indennità ISCRO: come fare domanda entro il 31 ottobre L'INPS ricorda che si avvicina la scadenza per presentare domanda di accesso all'indennità ISCRO e spiega come fare
- Pubblicato da Redazione
Indennità ISCRO
Domanda in scadenza il 31 ottobre
L’Indennità Straordinaria di Continuità Reddituale e Operativa (ISCRO), introdotta in via sperimentale per il triennio 2021-2023 e stabilizzata nel sistema degli ammortizzatori sociali dal 1° gennaio 2024, rammenta l’istituto, è rivolta ai soggetti iscritti alla Gestione Separata che svolgono attività di lavoro autonomo.
I requisiti per accedere alla prestazione includono:
- l’iscrizione alla Gestione Separata,
- il non essere percettori di trattamenti pensionistici diretti
- l’aver prodotto un reddito di lavoro autonomo inferiore al 70% della media degli anni precedenti.
Per presentare la domanda di accesso, i potenziali beneficiari devono farlo online entro il 31 ottobre di ogni anno di fruizione, utilizzando il servizio dedicato sul sito INPS.
La circolare INPS 23 luglio 2024, n. 84 contiene tutte le informazioni di dettaglio.