Matrimonio per prova: sì della Cassazione Il matrimonio per “prova” non produce un danno ingiusto meritevole di risarcimento del danno: lo afferma la Cassazione
Matrimonio per “prova”: no al danno ingiusto
La Cassazione ammette il matrimonio per “prova”. Lo stesso “non rappresenta il fatto costitutivo di responsabilità risarcitoria l’omessa comunicazione da parte di uno dei coniugi, prima della celebrazione del matrimonio, dello stato psichico di concreta incertezza circa la permanenza del vincolo matrimoniale e della scelta di contrarre matrimonio con la riserva mentale di sperimentare la possibilità che il detto vincolo non si dissolva”. Questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 28390/2024.
Riserva mentale: matrimonio nullo per il diritto ecclesiastico
Una coppia di coniugi si scontra in Tribunale. La moglie, dopo sei mesi dalle nozze avvia una causa presso il Tribunale ecclesiastico per ottenere la nullità del matrimonio. La donna afferma di non aver mai creduto nella indissolubilità del legame matrimoniale. La stessa si è sposata “per prova”. Il Tribunale ecclesiastico dichiara nullo il matrimonio con sentenza. In seguito la donna avvia diversi procedimenti nei confronti del marito, compresi un procedimento penale e la separazione, opponendosi alla richiesta di dividere i beni in comunione e di divorziare.
Risarcimento del danno per il matrimonio per “prova”
Per tutte le ragioni suddette l’uomo agisce in giudizio per ottenere il risarcimento dei danni morali e materiali provocati dalla condotta della moglie. Il Tribunale però respinge la domanda e condanna l’uomo per responsabilità aggravata. Questa decisione viene confermata anche in sede d’appello. La questione giunge infine in Cassazione.
Il matrimonio per prova non produce un danno ingiusto
La Cassazione nel rigettare il ricorso precisa che nel caso di specie manca un comportamento produttivo di un danno ingiusto o in grado di configurare una responsabilità pre-negoziale.
Il ricorrente denuncia, come produttiva di danno, la mancata comunicazione da parte dell’ex moglie, prima della celebrazione del matrimonio, della propria riserva mentale.
Controparte infatti ha affermato di essersi voluta sposare per “prova”. La stessa era incerta sulla possibilità della futura insorgenza di fatti capaci di rendere intollerabile la convivenza. Il Tribunale Ecclesiastico ha dichiarato nullo il matrimonio. In sede civile però la Corte di appello non ha accolto la domanda di riconoscimento della sentenza ecclesiastica. La stessa è contraria all’ordine pubblico “derivante dalla necessità di protezione dell’affidamento incolpevole del coniuge ignaro della riserva mentale, la quale è estranea al regime della nullità del matrimonio previsto dall’ordinamento civile.”
Ed è proprio l’assenza di una nullità rilevante per l’ordinamento civile a sgombrare il campo dalla responsabilità dell’ex moglie in malafede.
La presenza di un dubbio tale da spingere la donna a contrarre matrimonio per “prova” non genera una responsabilità risarcitoria a carico della stessa.
Ogni coniuge ha il diritto di separarsi e di divorziare
La Corte di legittimità ricorda che la SU n. 500/1999 hanno stabilito che “ai fini della configurabilità della responsabilità aquiliana non assume rilievo determinante la qualificazione formale della posizione giuridica vantata dal soggetto, poiché la tutela risarcitoria è assicurata solo in relazione all’ingiustizia del danno, che costituisce fattispecie autonoma, contrassegnata dalla lesione di un interesse giuridicamente.”
Alla luce di questo principio gli Ermellini ricordano che la libertà matrimoniale è un diritto della personalità sancito dall’articolo 12 della Convenzione Europea dei diritti dell’uomo. Nel vigente diritto di famiglia ogni coniuge ha il diritto, a prescindere dalla volontà o dalle colpe dell’altro, di separarsi e di divorziare. In questo modo attua un diritto individuale di libertà da ricondurre all’articolo 2 della Costituzione.
“(…) Affinché tale libertà non sia compromessa dall’incombenza di una conseguenza come la responsabilità risarcitoria derivante dall’inottemperanza ad un dovere giuridico, la comunicazione in discorso, in quanto relativa alla sfera personale affettiva, può comportare esclusivamente un dovere morale o sociale. Alla luce della libertà della scelta matrimoniale non emergono, dalla mancata comunicazione dello stato d’animo di incertezza in questione, un interesse della controparte meritevole di tutela da parte dell’ordinamento con il riconoscimento e rimedio risarcitorio e, dunque, un danno ingiusto.”
Leggi anche: Cambio di sesso: il matrimonio non va annullato