assegno divorzile

Assegno divorzile: nessuna riduzione per il mancato pagamento delle spese straordinarie La Cassazione chiarisce che l’inadempimento dell’ex coniuge alle spese straordinarie per i figli non incide sul diritto all’assegno divorzile. La Corte precisa inoltre i limiti del principio di non contestazione tra le parti

Assegno divorzile: la questione portata in Cassazione

Un ex marito aveva impugnato la decisione della Corte d’appello, chiedendo la riduzione dell’assegno divorzile da 1.500 a 250 euro mensili.
Secondo il ricorrente, la ex moglie – beneficiaria dell’assegno – non aveva rispettato l’obbligo di contribuire alle spese straordinarie del figlio nella misura del 30%. Inoltre, egli sosteneva di aver sostenuto di tasca propria ulteriori spese “voluttuarie” a favore del figlio, elemento che, a suo avviso, avrebbe dovuto incidere sul diritto della donna a percepire l’assegno.

La posizione della Suprema Corte

La Cassazione, con la sentenza n. 19670/2025, ha respinto questo motivo di ricorso, precisando che:

  • le spese straordinarie rappresentano obblighi autonomi, distinti dal diritto all’assegno divorzile;

  • l’eventuale inadempimento della madre può essere fatto valere come violazione del provvedimento di divorzio, ma non comporta automaticamente la riduzione o la perdita dell’assegno;

  • le spese ulteriori sostenute volontariamente dal padre per il figlio sono irrilevanti rispetto alla posizione giuridica della madre.

L’errore sul principio di non contestazione

La Corte ha però accolto gran parte delle doglianze dell’ex marito (sei motivi su otto), evidenziando che i giudici di merito avevano applicato in maniera errata il principio di non contestazione.
Il giudice di primo grado e quello di appello avevano ritenuto che il ricorrente non avesse specificamente contestato i presupposti perequativi e compensativi dell’assegno divorzile, considerandoli così non contestati.
La Cassazione ha invece rilevato che l’uomo aveva sempre messo in discussione la parte perequativa dell’assegno, sottolineando che entrambi i coniugi avevano lavorato a tempo pieno durante il matrimonio, senza scelte condivise che avessero penalizzato la moglie nella carriera.

Funzione dell’assegno divorzile

La Suprema Corte ha ribadito che l’assegno divorzile ha una duplice funzione:

  • assistenziale, a favore del coniuge economicamente più debole;

  • perequativo-compensativa, che richiede un’attenta verifica delle scelte di vita condivise durante il matrimonio e dei sacrifici eventualmente sostenuti da uno dei coniugi.

Se, come nel caso esaminato, entrambi hanno mantenuto un’attività lavorativa stabile e autonoma, non può essere riconosciuta una funzione perequativa automatica.

La contestazione sulla capacità reddituale della ex moglie

L’ex marito aveva anche contestato la presunta inattività della ex moglie nel migliorare la propria condizione economica.
La Cassazione ha respinto tale motivo, osservando che la donna aveva sempre esercitato la professione di infermiera a tempo pieno, circostanza che escludeva qualsiasi addebito di inerzia o scarsa diligenza.

social card 2024

Social Card: chi ne ha diritto e come ottenerla   Cos'è la carta “Dedicata a te”, a cosa serve, chi ne ha diritto e cosa fare per ottenere la Social Card 2024 per le famiglie in difficoltà

Social Card: cos’è

La Social Card o Carta Dedicata a te misura confermata dalle ultime due leggi di bilancio (2023 per il 2024 e 2024 per il 2025) mira a sostenere le famiglie in difficoltà economica, erogando un contributo sotto forma di carta prepagata per l’acquisto di beni di prima necessità e il pagamento di alcune utenze.

I fondi e il decreto ministeriale

Per il 2024 sono stati stanziati 600 milioni di euro, aggiuntivi rispetto alle risorse inutilizzate del 2023.

Il decreto del ministero dell’agricoltura, di concerto con il Mimit, recante le disposizioni attuative e applicative per la carta “Dedicata a te” è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 24 giugno 2024 e definisce in 12 articoli l’intervento che consente a più di un milione di famiglie di acquistare beni di prima necessità.

La Manovra di bilancio 2025 ha confermato la carta Dedicata a te stanziando 500 milioni di euro, 100 milioni in meno rispetto al 2024.

Il Dipartimento per il programma di Governo ha comunicato l’adozione, da parte del Ministro del decreto dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste, del decreto con cui sono stati individuati i beneficiari e i requisiti per avere diritto alla Carta. Non appena il decreto avrà concluso l’iter dei controlli sarà pubblicato sulla GU. Da segnalare che il primo pagamento avverrà entro il 16 dicembre 2025 con l’obbligo di disporre dell’importo della Carta entro il 28 febbraio 2026.

Requisiti soggettivi e oggettivi

Per avere diritto alla social card “Dedicata a te” è necessario essere in possesso dei seguenti requisiti:

  • essere titolari di un reddito ISEE non superiore a 15.000 euro annui;
  • avere la residenza in Italia;
  • avere la cittadinanza italiana o UE;
  • non essere titolari di altre forme di aiuto;
  • avere un figlio a carico.

Tutti i componenti del nucleo familiare (almeno 3 i componenti) devono essere, inoltre iscritti nell’anagrafe comunale e l’importo complessivo del contributo per ogni nucleo ammonta a 500 euro.

Il contributo non spetta ai nuclei che siano percettori di assegno di inclusione, reddito di cittadinanza o altre misure di inclusione sociale o sostegno alla povertà, Naspi e forme di integrazione salariale o di sostegno nel caso di disoccupazione involontaria, erogata dallo Stato.

Come richiedere la carta Dedicata a te

A differenza di altre misure di sostegno per le famiglie in difficoltà, la social card “Dedicata a te”non deve essere richiesta. Essa viene assegnata d’ufficio direttamente dai Comuni ai cittadini che ne hanno diritto, purché in possesso dei requisiti richiesti dalla legge.

Viene erogata tramite carte elettroniche prepagate e ricaricabili messe a disposizione da Poste Italiane e consegnate agli aventi diritto, previa prenotazione presso gli uffici postali abilitati.

Le carte sono operative con accredito del contributo a partire da settembre 2024 con primo pagamento entro il 16 dicembre 2024, mentre l’intera somma va utilizzata entro il 28 febbraio 2025.

Per avere informazioni sulla spettanza della misura è necessario rivolgersi quindi al proprio Comune, consultare il sito web del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali https://www.lavoro.gov.it/ o il sito dell’INPS https://www.inps.it/it/it.html

A cosa serve

La social card è una carta elettronica che consente al titolare di acquistare beni di prima necessità e di sostenere alcune spese necessarie ossia:

  • generi alimentari;
  • prodotti per l’igiene personale e la casa;
  • farmaci;
  • bollette di luce, gas e acqua;
  • ricariche/abbonamenti servizi di trasporto pubblico;
  • canoni di locazione;
  • assegni di frequenza per studenti.

Importo e modalità di utilizzo

L’importo della Social Card, come anticipato, è di 500 euro per nucleo familiare. La carta viene erogata in un’unica soluzione, salvo diverse disposizioni da parte dei Comuni. È possibile prelevare contanti presso gli sportelli ATM o effettuare pagamenti elettronici presso i negozi e le attività convenzionate.

congedo di paternità

Congedo di paternità anche alla madre intenzionale nelle coppie omogenitoriali La Corte costituzionale estende il congedo obbligatorio di paternità anche alla madre intenzionale in una coppia di due donne

La Corte apre al congedo di paternità per le madri intenzionali

Con la sentenza n. 115/2025, depositata in data odierna, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 27-bis del d.lgs. 151/2001, nella parte in cui non prevede il congedo obbligatorio di paternità per la madre intenzionale in una coppia omogenitoriale femminile, regolarmente riconosciuta come genitore nei registri dello stato civile.

Il caso sollevato dalla Corte d’appello di Brescia

La questione è stata rimessa alla Consulta dalla Corte d’appello di Brescia, che ha evidenziato il carattere discriminatorio della norma. Quest’ultima, infatti, riserva il diritto al congedo solo al padre, escludendo la madre non biologica, sebbene legalmente registrata come genitore insieme alla madre biologica. La coppia in oggetto aveva concepito il figlio tramite procreazione medicalmente assistita (PMA) all’estero, nel rispetto della legge del luogo di esecuzione.

Una disparità di trattamento irragionevole

La Corte ha rilevato che impedire alla madre intenzionale di fruire del congedo costituisce una violazione del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.), perché crea una disparità di trattamento irragionevole rispetto alle coppie eterosessuali. In entrambe le situazioni vi è un progetto condiviso di genitorialità e un fascio di doveri genitoriali che la legge collega all’esercizio della responsabilità verso il minore.

Centralità dell’interesse del minore

La decisione della Consulta poggia sul principio, centrale nell’ordinamento nazionale e internazionale, secondo cui l’interesse del minore deve prevalere. Il bambino ha diritto a vedersi riconosciuto figlio di entrambi i genitori, ovvero sia della madre biologica che di quella intenzionale, se entrambe si impegnano attivamente nella sua cura e crescita. Tale diritto è sancito anche dagli articoli 315-bis e 337-ter del codice civile, oltre che da normative UE e convenzioni internazionali.

Genitorialità funzionale e ruolo paritario

In relazione al congedo di paternità obbligatorio, la Corte ha sottolineato che esso persegue l’obiettivo di garantire un tempo di cura adeguato per il neonato, mediante la modulazione dei tempi di lavoro e vita familiare. Questo vale tanto per le coppie eterosessuali quanto per quelle omosessuali, poiché la genitorialità ha valore funzionale e paritario, indipendentemente dal sesso o dall’orientamento dei genitori.

Una nuova interpretazione inclusiva del diritto

La Consulta riconosce così la possibilità di individuare nella madre intenzionale il corrispettivo funzionale della figura paterna, riconoscendole il diritto al congedo retribuito di 10 giorni previsto per i padri. La decisione rafforza un modello di genitorialità inclusiva e responsabile, fondato non solo sul legame biologico, ma sulla condivisione reale di responsabilità, affetto e cura verso il figlio.

assegno nucleo familiare

Assegno nucleo familiare: la convivenza di fatto non esclude il diritto La Corte costituzionale ha stabilito che il rapporto di convivenza di fatto non comporta la perdita del diritto all’assegno per il nucleo familiare

Convivenza di fatto e diritto all’ANF

Assegno nucleo familiare: la Corte costituzionale, con la sentenza numero 120/2025, ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale sollevate dalla Corte d’appello di Venezia, sezione lavoro, in relazione all’articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica numero 797 del 1955. Questa norma stabilisce che l’assegno per il nucleo familiare non spetta al coniuge del datore di lavoro, senza invece escludere il diritto al beneficio in caso di convivenza di fatto tra il datore di lavoro ed il lavoratore subordinato. Tale differenziazione, secondo il rimettente, si porrebbe in contrasto con gli articoli 3 e 38 della Costituzione.

La finalità della norma sull’assegno per il nucleo familiare

La Corte ha chiarito che la ratio dell’articolo 2 del d.P.R. numero 797 del 1955 può essere ravvisata nell’esigenza di non erogare il beneficio a un nucleo familiare comprendente lo stesso datore di lavoro, al fine di evitare una forma di “autofinanziamento”. Dunque, la norma censurata non può ritenersi in contrasto con l’articolo 3 della Costituzione per il fatto di non assimilare, ai fini dell’esclusione dall’ANF, il convivente di fatto al coniuge, dal momento che, ai fini della concessione dell’ANF e della sua quantificazione, il nucleo familiare comprende solo il coniuge e non il convivente di fatto, in base all’articolo 2, comma 6, del decreto-legge numero 69 del 1988.

Rilevanza giuridica della convivenza di fatto

La convivenza di fatto rileva solo in presenza di un contratto di convivenza, stipulato ai sensi dell’articolo 1, comma 50, della legge numero 76 del 2016.

Coerenza della disciplina sull’ANF

La disciplina dell’ANF risulta, pertanto, armonica, vista la coerenza tra la mancata considerazione della convivenza ai fini della concessione dell’assegno e la stessa mancata considerazione ai fini della sua esclusione.

matrimonio concordatario

Matrimonio concordatario: la guida Matrimonio concordatario: cos’è, normativa di riferimento, differenze con il matrimonio civile ed efficacia giuridica

Cos’è il matrimonio concordatario

Il matrimonio concordatario è una particolare forma di matrimonio religioso celebrato secondo il rito canonico della Chiesa cattolica che, grazie agli accordi stipulati tra lo Stato italiano e la Santa Sede, produce effetti anche nell’ordinamento civile. Esso rappresenta una delle principali applicazioni del principio di cooperazione tra Stato e Chiesa previsto dall’art. 7 della Costituzione italiana.

Il matrimonio concordatario, per effetto del Concordato tra Stato e Chiesa (Patti Lateranensi del 1929, modificati nel 1984), viene riconosciuto anche come matrimonio civile, a condizione che:

  • sia trascritto nei registri dello stato civile;
  • siano rispettati i requisiti richiesti dall’ordinamento italiano (es. capacità giuridica, assenza di impedimenti legali);
  • vi sia una dichiarazione congiunta delle parti, espressa davanti al parroco e al ministro di culto.

In sostanza, con un solo rito (quello religioso) si ottiene un doppio effetto: religioso e civile.

Normativa di riferimento

  • Art. 7 Cost.: riconosce l’autonomia e la sovranità della Chiesa cattolica, ma stabilisce la possibilità di accordi (Concordati) con lo Stato.
  • Concordato Lateranense (1929) e Accordo di Villa Madama (1984): regolano i rapporti tra Stato e Chiesa.
  • Articoli 82-116 del Codice civile: disciplinano i requisiti e gli effetti del matrimonio nell’ordinamento italiano.
  • Legge n. 121/1985: ratifica e dà esecuzione al nuovo Concordato tra Italia e Santa Sede.

Differenza tra matrimonio concordatario e matrimonio civile

Caratteristica

Matrimonio civile

Matrimonio concordatario

Rito

Celebrato davanti all’ufficiale di stato civile

Celebrato con rito religioso cattolico

Effetti civili

Immediati, con redazione dell’atto

Subordinati alla trascrizione nei registri civili

Normativa applicabile

Codice civile

Diritto canonico + Codice civile

Annullamento

Competenza del Tribunale ordinario

Possibile doppia via: Sacra Rota (nullità canonica) + Tribunale civile (scioglimento o cessazione)

Nel matrimonio civile vi è esclusiva valenza giuridica, mentre nel matrimonio concordatario si ha un’unione religiosa che acquista validità giuridica solo attraverso la trascrizione dell’atto presso lo stato civile del Comune competente.

Effetti civili del matrimonio concordatario

Il matrimonio concordatario produce effetti civili analoghi a quelli del matrimonio celebrato davanti all’ufficiale di stato civile, a partire dalla data della celebrazione, se vi è regolare trascrizione.

Principali effetti civili:

  • comunione o separazione dei beni;
  • obblighi di assistenza morale e materiale;
  • doveri di coabitazione e fedeltà (art. 143 c.c.);
  • diritti successori;
  • legittimazione dei figli;
  • regime patrimoniale e contributivo.

Se il matrimonio non viene trascritto nei registri dello stato civile, non produce effetti giuridici nell’ordinamento italiano, restando valido solo come atto religioso.

Scioglimento e nullità  

  • Il divorzio può essere richiesto presso il Tribunale civile, con le medesime modalità previste per il matrimonio civile, con la pronuncia di divorzio vengono meno gli effetti civili del matrimonio concordatario.
  • È possibile richiedere la nullità canonica presso i tribunali ecclesiastici (Sacra Rota), ma la relativa decisione deve essere riconosciuta dallo Stato con apposita delibazione da parte della Corte d’appello (ex art. 8 legge n. 121/1985).

Quando conviene il matrimonio concordatario?

Il matrimonio concordatario è preferito da chi intende unire il sacramento religioso alla rilevanza giuridica dell’unione, evitando una doppia cerimonia. È consigliabile in presenza di:

  • convinzioni religiose condivise dalla coppia;
  • desiderio di dare solennità religiosa all’unione senza rinunciare agli effetti legali.

 

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corso d'inglese ai figli

Corso d’inglese ai figli: è spesa ordinaria, nessun obbligo di consenso La Cassazione chiarisce: il corso d'inglese per i figli è una spesa ordinaria, non serve il preventivo assenso dell’altro genitore

Corso d’inglese ai figli: rientra tra le spese ordinarie

Corso d’inglese ai figli: con l’ordinanza n. 17017/2025, la Cassazione ha ribadito un principio importante in materia di separazione e responsabilità genitoriale: le spese per i corsi di lingua inglese, sebbene possano sembrare “straordinarie”, rientrano a pieno titolo tra le spese ordinarie e prevedibili, e pertanto non necessitano del preventivo assenso dell’altro genitore.

Spese ordinarie e straordinarie: quando serve l’accordo?

In generale, il genitore collocatario può sostenere spese legate ai figli senza dover ottenere un accordo preliminare, purché si tratti di esborsi ripetitivi e prevedibili nella vita del minore, come:

  • spese scolastiche ricorrenti,

  • cure mediche di routine,

  • attività sportive o didattiche integrative di comune diffusione.

Il preventivo assenso è invece richiesto per le spese straordinarie, ovvero quelle non usuali, imprevedibili o economicamente rilevanti, tali da incidere significativamente sull’equilibrio patrimoniale o educativo del minore.

Il corso d’inglese è “ordinario” per la società attuale

Nel caso specifico, il genitore collocatario aveva iscritto il figlio a un corso di lingua inglese senza informare l’ex coniuge. La Corte ha ritenuto tale scelta conforme al superiore interesse del minore, riconoscendo che oggi l’apprendimento dell’inglese costituisce una necessità formativa, radicata nel contesto sociale e lavorativo contemporaneo.

L’insegnamento dell’inglese non solo rafforza il percorso scolastico, ma prepara il minore agli studi universitari e all’ingresso nel mondo del lavoro. Per questo motivo, tale spesa, se pur apparentemente “straordinaria”, assume un carattere ordinario e prevedibile.

Rimborso possibile anche senza consenso, se c’è utilità per il figlio

Un altro aspetto fondamentale chiarito dalla Cassazione è che, anche laddove una spesa possa rientrare tra quelle straordinarie, l’assenza di accordo preventivo non preclude il diritto al rimborso da parte dell’altro genitore. La condizione è che il giudice ne valuti:

  • la rispondenza all’interesse del minore,

  • la congruità con il tenore di vita familiare precedente.

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spese straordinarie figli

Spese straordinarie figli, le linee guida del tribunale di Milano Il Tribunale di Milano aggiorna le regole sulle spese straordinarie dei figli in caso di separazione o divorzio. Cosa include l’assegno di mantenimento, quando serve l’accordo tra genitori e le novità per i figli con disabilità

Spese straordinarie figli: nuove regole

Il Tribunale di Milano, in collaborazione con la Corte d’appello, l’Ordine degli avvocati e l’Osservatorio sulla giustizia civile, ha aggiornato nel 2025 le linee guida per la gestione delle spese straordinarie dei figli in caso di separazione o divorzio. Le indicazioni riguardano i figli minori, i maggiorenni non economicamente autosufficienti e quelli con disabilità, e hanno lo scopo di ridurre i conflitti tra genitori, promuovendo chiarezza e uniformità.

Le nuove regole definiscono cosa è incluso nell’assegno di mantenimento e quali spese richiedono l’accordo tra genitori separati. Previsti chiarimenti per le spese relative ai figli con disabilità e tempi certi per il rimborso. Obiettivo: ridurre i conflitti familiari e tutelare meglio i figli.

Vediamo nel dettaglio:

Cosa copre l’assegno di mantenimento

L’assegno di mantenimento comprende tutte le spese ordinarie, quali:

  • vitto;

  • abbigliamento ordinario (inclusi i cambi stagione);

  • spese per la casa (affitto, utenze, condominio);

  • materiale scolastico ricorrente;

  • medicinali da banco.

Quando è difficile per il genitore convivente ottenere il consenso dell’altro o il rimborso delle spese, l’assegno può comprendere anche voci normalmente considerate straordinarie.

Spese straordinarie: quando serve il consenso

Le spese che richiedono l’accordo preventivo tra i genitori devono essere documentate e riguardano, ad esempio:

  • cure dentistiche, oculistiche, omeopatiche e psicologiche private;

  • tasse scolastiche per istituti privati, corsi extra universitari e master;

  • attività extrascolastiche (lingue, sport, musica, viaggi di studio, patente, cellulare).

Spese straordinarie senza necessità di accordo

Sono ammesse senza consenso preventivo, ma sempre documentate:

  • visite specialistiche prescritte dal medico;

  • ticket e farmaci prescritti;

  • tasse scolastiche pubbliche, libri, dotazione informatica;

  • mensa scolastica, trasporti pubblici;

  • baby sitter fino alla scuola media, doposcuola, centri estivi.

Disposizioni specifiche per i figli con disabilità

Le nuove linee guida si adeguano al D.Lgs. n. 62/2024, prevedendo che non richiedano accordo spese come:

  • presidi sanitari, ausili per la deambulazione;

  • supporti nutrizionali o abbigliamento su misura;

  • assistenza domiciliare;

  • attività sportive e centri diurni;

  • veicoli adattati, patente e assicurazione;

  • cani guida.

Procedura per la richiesta e il rimborso

Il genitore che richiede una spesa straordinaria soggetta ad accordo deve ricevere eventuale dissenso motivato per iscritto entro 10 giorni; in assenza, si presume il consenso.

Le spese anticipate devono essere documentate e trasmesse all’altro genitore entro 30 giorni, il quale è tenuto al rimborso entro i successivi 15 giorni.

Quando una spesa supera il 10% del reddito netto mensile di uno dei genitori, essa va sostenuta da entrambi, secondo le percentuali previste dall’accordo o stabilite dal giudice.

assegno di divorzio

Assegno di divorzio: si può aumentare per le spese dei figli La Cassazione ammette la revisione dell’assegno di divorzio in caso di aumento delle spese per la crescita dei figli

Revisione assegno di divorzio per spese dei figli

Con l’ordinanza n. 16316/2025, la prima sezione civile della Cassazione ha chiarito che l’aumento delle spese legate alla crescita dei figli può giustificare la revisione dell’assegno di divorzio, anche in assenza di una formale domanda di modifica. L’obiettivo è tutelare il benessere dei minori e garantire l’equilibrio tra le risorse economiche dei genitori.

Il caso

Il caso nasce da un ricorso per cassazione contro una sentenza della Corte d’appello di Catanzaro. Quest’ultima, nel determinare le spese straordinarie a carico del padre, aveva escluso dal rimborso quelle relative alla scuola privata frequentata dai figli in Spagna, per via dell’elevato costo non più sostenibile dal genitore dopo il rientro in Italia e la perdita di benefici economici legati al lavoro all’estero.

La madre, tuttavia, aveva proposto appello incidentale chiedendo un aumento del contributo di mantenimento, inizialmente fissato in € 250,00 mensili per ciascun figlio, proprio per compensare l’esclusione delle spese scolastiche.

L’errore del giudice d’appello

Secondo la Cassazione, la Corte territoriale ha erroneamente trattato l’appello incidentale come una richiesta di revisione ai sensi dell’art. 9 della legge sul divorzio (L. 898/1970), trascurando che la madre aveva già chiesto un contributo più elevato (€ 1.000,00 totali) sin dall’originaria domanda di divorzio. Tale fraintendimento ha portato a un’errata applicazione dei criteri dell’art. 337-ter c.c., che richiedono un’analisi comparata e proporzionata delle risorse dei genitori.

Il principio affermato dalla Cassazione

La Suprema Corte ha affermato che, in materia di mantenimento dei figli, non è sufficiente richiamare il precedente assetto economico o proporre alternative ipotetiche (come l’iscrizione a scuole pubbliche). È necessario esaminare le esigenze attuali dei minori, le capacità economiche di entrambi i genitori e il tenore di vita mantenuto durante il matrimonio. Accogliendo il primo motivo di ricorso, la Cassazione ha cassato la sentenza impugnata e rinviato alla Corte d’appello di Catanzaro in diversa composizione, per un nuovo esame che tenga conto delle reali esigenze dei figli e delle risorse attuali di entrambi i genitori.

Allegati

casa familiare

La casa familiare Casa familiare: cos’è, cosa accade in caso di separazione e come funziona l’assegnazione

Cosa si intende per casa familiare

La casa familiare, spesso detta anche casa coniugale, è l’immobile in cui si è svolta la vita quotidiana della famiglia e dove sono stati costruiti gli affetti, le abitudini e la routine domestica. Quando una coppia si separa, la sorte di questo bene diventa spesso oggetto di conflitto, poiché incide direttamente sulla tutela dei figli minori o economicamente non autosufficienti.

L’ordinamento italiano, in un’ottica di protezione della prole, prevede regole specifiche in merito all’assegnazione della casa familiare, disciplinata dall’art. 337-sexies del codice civile.

Occorre inoltre precisare che la casa familiare non è semplicemente un bene immobile: giuridicamente, è l’abitazione destinata alla vita della famiglia, indipendentemente dal regime patrimoniale scelto dai coniugi (comunione o separazione dei beni) o dall’intestazione del bene. L’assegnazione, quindi, non riguarda il diritto di proprietà, ma la destinazione d’uso dell’immobile in funzione dell’interesse superiore dei figli.

Normativa di riferimento: art. 337-sexies c.c.

L’art. 337-sexies c.c. stabilisce che:

“Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli.”

Questo principio si applica nei procedimenti di:

  • separazione personale dei coniugi;
  • divorzio;
  • cessazione della convivenza more uxorio (anche per coppie non sposate con figli).

Il giudice può assegnare la casa familiare al genitore collocatario dei figli, anche se non è proprietario o intestatario dell’immobile, purché ciò sia ritenuto nell’interesse prevalente della prole.

Chi ha diritto alla casa familiare dopo la separazione

In caso di separazione o divorzio:

  • se ci sono figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti, la casa viene assegnata al genitore con cui i figli convivono stabilmente. Se la casa, ad esempio, è di proprietà esclusiva del padre, ma i figli vivono con la madre, la casa viene in genere assegnata alla madre per garantire la stabilità abitativa dei minori;
  • se non ci sono figli, l’assegnazione della casa segue i principi della proprietà, dell’uso o del possesso, salvo diversi accordi tra le parti.

Effetti dell’assegnazione della casa coniugale

L’assegnazione della casa non trasferisce la proprietà, ma comporta:

  • il diritto di abitazione gratuito per l’assegnatario;
  • la possibilità di registrare l’assegnazione nei pubblici registri immobiliari (art. 2643 c.c.);
  • il divieto per il proprietario di vendere o locare l’immobile in modo da pregiudicare il diritto dell’assegnatario.

Quando l’assegnazione può essere revocata

Il diritto all’uso della casa familiare non è eterno: può cessare quando:

  • I figli diventano economicamente autosufficienti o lasciano la casa;
  • cambiano le condizioni di affidamento (es. affidamento esclusivo all’altro genitore);
  • il genitore assegnatario convive con un nuovo partner in modo stabile, come riconosciuto dalla giurisprudenza di Cassazione.

La casa familiare nei rapporti patrimoniali

Per quanto riguarda il regime di ripartizione delle spese:

  • le spese di manutenzione ordinaria spettano al genitore assegnatario;
  • le spese straordinarie e le imposte gravano invece sul proprietario;
  • se la casa è in comproprietà, il coniuge non assegnatario può chiedere lo scioglimento della comunione, dopo la cessazione del diritto di abitazione.

Giurisprudenza di legittimità

La Cassazione è intervenuta più volte a sciogliere le questioni più controverse relative alla casa familiare.

Cassazione n. 308/2008: la casa familiare non è solo un luogo fisico, ma un vero e proprio centro di vita dove si coltivano affetti, interessi e abitudini quotidiane. Questo ambiente è fondamentale per la crescita e lo sviluppo della personalità dei figli. Di conseguenza, l’abitazione serve a proteggere i minori e a garantire il loro diritto di continuare a vivere nel proprio ambiente domestico, come stabilito dagli articoli 29, 30 e 31 della Costituzione.

Cassazione n. 18603 del 2021: l’assegnazione della casa familiare si discosta dalle logiche patrimoniali o di mantenimento del coniuge in caso di separazione o divorzio. Il suo scopo principale è esclusivamente la tutela degli interessi dei figli.

Cassazione n. 8764/2023: per decide se un ex coniuge ha diritto all’assegno di divorzio, occorre considerare il termine “patrimonio” in un senso molto ampio. Questo significa che è necessario valutare ogni fattore che possa aumentare le risorse economiche della famiglia o anche solo dell’ex coniuge. Tra questi fattori rientra anche l’assegnazione della casa familiare.

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moglie tradita

Risarcimento di 10.000 euro per la moglie tradita Moglie tradita: spetta il risarcimento del danno non patrimoniale di 10.000 euro per le umiliazioni e le mortificazioni

Risarcimento del danno per la moglie tradita

Alla moglie tradita, umiliata e mortificata a causa del tradimento del marito con una allieva della scuola di danza, che gestivano insieme, spetta un risarcimento del danno di 10.000 euro, quantificato in via equitativa. Lo ha deciso il Tribunale di Treviso nella sentenza n. 201/2025.

Moglie tradita: domanda di separazione con addebito

Una donna agisce in giudizio, vantando una richiesta di risarcimento del danno non patrimoniale nei confronti del suo ex marito. La coppia, sposatasi il 25 agosto 2007, dopo anni di frequentazione, condivideva una passione comune per la danza che li ha portati a fondare insieme una società sportiva di successo. Nel periodo tra settembre e novembre 2011 però, la donna scopre, visionando il cellulare del marito, che questi intratteneva una relazione extraconiugale con un’allieva della loro scuola di ballo. Circostanza ammessa dal marito nel momento in cui la moglie rinviene un biglietto inequivocabile scritto dall’amante. Nonostante le rassicurazioni del marito e il tentativo di salvare il matrimonio, la relazione extraconiugale prosegue anche nei primi mesi del 2012. A questo punto la moglie decide di abbandonare la casa coniugale nell’ottobre 2012 e avviare un giudizio di separazione con addebito.

Richiesta risarcitoria della moglie tradita

La sentenza di separazione, pubblicata il 19 febbraio 2019, riconosce la colpa in capo al marito, ma dichiara inammissibile la domanda risarcitoria in quella sede. La donna si rivolge quindi al Tribunale per ottenere il risarcimento del danno non patrimoniale subito, proponendo una liquidazione basata sulle tabelle milanesi in tema di danno da perdita del vincolo parentale o di diffamazione, da applicare per analogia.

Nessun risarcimento in assenza di danno

Il marito, costituitosi in causa, contesta la domanda risarcitoria. Per l’uomo la violazione del dovere di fedeltà non è sufficiente a giustificare un risarcimento del danno aquiliano. Occorre piuttosto che la lesione riguardi un diritto costituzionalmente garantito e che l’afflizione superi la soglia della normale tollerabilità. Tali presupposti però non sono ravvisabili nel caso di specie. Le parti hanno infatti alternato periodi di separazione di fatto. La moglie inoltre, già nel 2013, ha instaurato una relazione e una convivenza con un socio finanziatore della sua nuova attività imprenditoriale nel settore della danza. Circostanza questa che escluderebbe la violazione di un diritto alla salute. La moglie ha infatti dimostrato di saper riorganizzare sia la propria vita sentimentale che lavorativa. L’uomo nega inoltre che la sua condotta possa aver violato i diritti soggettivi della moglie come l’onore e la dignità personale, perché la relazione non è stata condotta in modo pubblico o ostentato. Per quanto riguarda il quantum del risarcimento infine, l’uomo ritiene del tutto sproporzionati i parametri scelti dall’attrice e non applicabili per analogia al loro caso.

Risarcimento danni non patrimoniali

Il Tribunale, istruita la causa, si pronuncia in favore della moglie sul diritto al risarcimento.

Il Giudice richiama a tale fine l’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità per la quale la violazione del dovere di fedeltà coniugale può dar luogo a risarcimento dei danni non patrimoniali ai sensi dell’articolo 2059 c.c. Occorre però che l’afflizione superi la soglia della tollerabilità e si traduca nella violazione di un diritto costituzionalmente protetto (salute, onore, dignità personale).

Nel caso specifico, il Tribunale ritiene integrati tali presupposti. Il tradimento, peraltro reiterato anche dopo le rassicurazioni dell’uomo di voler interrompere la relazione, si è verificato in un momento in cui la coppia aveva consolidato una solida progettualità, non solo attraverso la società di danza, ma anche con il comune desiderio di avere un figlio, come emerso dalla sentenza separativa.

Moglie tradita, umiliata e mortificata

Il Tribunale evidenzia come le modalità del tradimento abbiano provocato umiliazione e mortificazione alla donna. La relazione extraconiugale è infatti maturata nell’ambiente lavorativo della scuola di danza, con un’allieva verso cui l’uomo mostrava attenzioni particolari, notate dagli altri allievi e che hanno favorito il “vociferare nel corridoio” e il “malevolo pettegolezzo”. Le voci sulla relazione hanno circolato inoltre, non solo tra gli allievi, ma anche tra insegnanti di altre scuole. Un episodio significativo si è poi verificato durante una competizione all’estero. In questa occasione l’uomo è stato sorpreso in atteggiamenti intimi con l’allieva in presenza di altri allievi. Fatto questo che ha alimentato ulteriormente il chiacchiericcio.

Queste condotte, ritenute dal Tribunale superiori alla normale tollerabilità, hanno generato “strepitus”, curiosità e maldicenza di terzi. Questi fatti hanno ferito indubbiamente l’onore, il decoro, la stima professionale, la riservatezza e la privacy della donna, che ha vissuto momenti di depressione, tristezza e umiliazione, con innegabile pregiudizio morale.

Risarcimento del danno di 10.000 euro

Il Tribunale respinge però i parametri risarcitori proposti dall’attrice. Va infatti esclusa l’equiparazione del tradimento alla lesione del vincolo parentale o alla diffamazione a mezzo stampa, data la diversità dei presupposti costitutivi.

Il criterio risarcitorio da adottare è quello equitativo, ai sensi dell’articolo 1226 c.c, tenuto conto che:

  • il discredito subito dalla donna va circoscritto all’ambito lavorativo;
  • la lesione dei diritti soggettivi non le ha impedito di instaurare una nuova relazione sentimentale e di fondare una nuova scuola di danza con il compagno finanziatore;
  • il patimento e la tristezza sono durati circa due mesi.

Alla luce di tutti questi aspetti il Tribunale quantifica in € 10.000,00 il risarcimento dovuto alla moglie tradita.

 

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