separazione dei beni

La separazione dei beni Cos’è la separazione dei beni, come funziona, quando è opportuna, vantaggi e svantaggi, differenze con la comunione

Cos’è la separazione dei beni

La separazione dei beni è un regime patrimoniale matrimoniale in cui ciascun coniuge mantiene la proprietà esclusiva dei beni acquisiti sia prima che durante il matrimonio. Questo implica che ogni coniuge gestisce autonomamente il proprio patrimonio, senza condivisione automatica con l’altro.

Come funziona il regime

Nel regime di separazione dei beni, ogni coniuge è proprietario esclusivo dei beni acquistati a proprio nome, sia prima che dopo il matrimonio. Tuttavia, è possibile che i coniugi decidano di acquistare beni in comune; in tal caso, la proprietà sarà condivisa secondo le quote stabilite al momento dell’acquisto. È importante sottolineare che, indipendentemente dal regime patrimoniale scelto, entrambi i coniugi hanno l’obbligo di contribuire alle necessità della famiglia in proporzione alle proprie capacità economiche e lavorative.

Normativa di riferimento

In Italia, il regime patrimoniale legale previsto in assenza di diversa scelta è la comunione dei beni. Per adottare la separazione dei beni, i coniugi devono esprimere una volontà esplicita. Questa scelta può essere effettuata:

  • prima del matrimonio: mediante una dichiarazione resa davanti a un notaio in presenza di testimoni;
  • al momento del matrimonio: dichiarando la scelta all’ufficiale di stato civile o al ministro di culto che celebra il matrimonio, affinché venga annotata nell’atto matrimoniale;
  • dopo il matrimonio: modificando il regime patrimoniale attraverso un atto notarile.

Quando scegliere la separazione dei beni

La scelta del regime di separazione dei beni può essere opportuna in diverse situazioni, tra cui:

  • attività imprenditoriali o professionali a rischio: per proteggere il patrimonio personale del coniuge non coinvolto da eventuali obbligazioni o debiti derivanti dall’attività dell’altro coniuge;
  • differenze patrimoniali significative: quando uno dei coniugi possiede un patrimonio significativamente superiore e desidera mantenerne la gestione separata.
  • secondo matrimonio o famiglia allargata: per tutelare gli interessi patrimoniali dei figli avuti da precedenti unioni.

Vantaggi del regime di separazione

  • autonomia patrimoniale: ogni coniuge mantiene il controllo esclusivo sui propri beni e sulle decisioni economiche correlate.
  • tutela dalle obbligazioni altrui: i creditori di un coniuge non possono aggredire il patrimonio dell’altro, limitando così i rischi finanziari.

Svantaggi della separazione dei beni

  • mancata condivisione automatica: i beni acquistati non sono automaticamente condivisi, il che potrebbe richiedere accordi specifici per la gestione di patrimoni comuni.
  • gestione separata delle risorse: potrebbe risultare più complesso coordinare le finanze familiari, soprattutto in presenza di figli o spese comuni significative.

Differenze con la comunione dei beni

La principale differenza tra separazione e comunione dei beni risiede nella titolarità dei beni acquisiti durante il matrimonio:

  • Comunione dei beni: i beni acquistati dopo il matrimonio, ad eccezione di quelli personali, sono di proprietà comune di entrambi i coniugi.
  • Separazione dei beni: i beni acquistati da ciascun coniuge restano di proprietà esclusiva di chi li ha acquistati.

Inoltre, nel regime di comunione, i creditori possono rivalersi sui beni comuni per debiti contratti da uno dei coniugi nell’interesse della famiglia, mentre nella separazione dei beni, i creditori possono aggredire solo il patrimonio del coniuge debitore.

La scelta tra comunione e separazione dei beni dovrebbe essere ponderata attentamente, considerando le specifiche esigenze e situazioni patrimoniali della coppia, al fine di adottare la soluzione più idonea alla tutela degli interessi di entrambi i coniugi.

 

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promessa di matrimonio

Promessa di matrimonio Promessa di matrimonio: significato, definizione, riferimenti normativi, valore giuridico, procedura, documenti ed effetti

Cos’è la promessa di matrimonio

La promessa di matrimonio, disciplinata dagli articoli 79 e seguenti del Codice Civile, rappresenta un impegno reciproco tra due persone di contrarre matrimonio in futuro. Sebbene abbia un valore morale e sociale, il nostro ordinamento non la considera un obbligo giuridico vincolante, salvo specifiche eccezioni.

Tipologie di promessa di matrimonio

Si tratta, dunque, di un impegno che due persone assumono reciprocamente con l’intento di sposarsi. Essa può essere:

  • semplice, quando si traduce in un accordo informale tra le parti;
  • solenne, se formalizzata attraverso un atto ufficiale davanti all’ufficiale di stato civile o con scrittura privata autenticata.

Nonostante il suo carattere vincolante dal punto di vista etico e sociale, la promessa non obbliga legalmente al matrimonio, evitando qualsiasi forma di costrizione nell’unione coniugale.

Valore giuridico e conseguenze della rottura

Secondo l’art. 79 c.c., questo istituto non ha effetti vincolanti sul futuro matrimonio.

La norma prevede infatti che la mera promessa, di fatto, non obbliga le parti a contrarlo, così come non prevede di eseguire quanto convenuto in caso di mancato adempimento.

L’art. 80 c.c prevede però alcune conseguenze in caso di revoca:

se la promessa è stata formalizzata e revocata senza giusta causa, l’altra parte può chiedere il risarcimento delle spese sostenute per i preparativi delle nozze e delle eventuali obbligazioni assunte in vista del matrimonio.

ai sensi dell’art. 80 c.c., i regali fatti in previsione del matrimonio devono essere restituiti se le nozze non vengono celebrate per cause non imputabili a chi li ha ricevuti.

Procedura e documenti necessari

Sebbene la promessa non sia obbligatoria, nei casi in cui si decida di formalizzarla, la procedura prevede:

  • dichiarazione davanti all’ufficiale di stato civile, che registra l’intento dei promessi sposi;
  • documenti richiesti:
    • carta d’identità e codice fiscale di entrambi i futuri sposi;
    • certificati di nascita;
    • certificati di residenza e stato libero;
    • eventuale documentazione aggiuntiva in caso di precedenti matrimoni.

Dopo la formalizzazione, la promessa può essere utilizzata come presupposto per richiedere le pubblicazioni di matrimonio, un passaggio obbligatorio prima delle nozze.

Effetti della promessa di matrimonio

La promessa ha effetti limitati dal punto di vista legale, ma può avere conseguenze  sotto il profilo patrimoniale e morale, come abbiamo potuto vedere:

  • obbligo di risarcimento in caso di revoca ingiustificata, ma solo se la promessa è stata resa in forma solenne;
  • restituzione dei doni ricevuti in previsione delle nozze;
  • non può essere imposta l’esecuzione forzata del matrimonio, in quanto lederebbe la libertà personale garantita dalla Costituzione.

 

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minore emancipato

Il minore emancipato Minore emancipato: in cosa consiste l’emancipazione del minore, normativa di riferimento, acquisto, atti consentiti e limiti

Emancipazione del minore

Il minore emancipato diventa tale in virtù dell’ emancipazione, un istituto giuridico che consente a un soggetto di età inferiore ai 18 anni di acquisire una parziale capacità di agire, anticipando alcune facoltà tipiche della maggiore età. Questa condizione è disciplinata dal Codice Civile italiano, in particolare dagli articoli 390 e seguenti.

Cos’è l’emancipazione del minore

L’emancipazione è un istituto che consente a un minore di almeno 16 anni, che contrae matrimonio, di ottenere una capacità giuridica più ampia rispetto a quella ordinaria, pur rimanendo soggetto a determinate limitazioni. L’obiettivo è permettere al giovane di gestire autonomamente alcuni aspetti della propria vita, pur sotto la tutela di un curatore.

Normativa di riferimento

L’art. 390 del Codice Civile stabilisce che il minore diventa emancipato automaticamente con il matrimonio. Tuttavia, essendo il matrimonio tra minorenni un’eccezione nel nostro ordinamento, l’emancipazione è un fenomeno piuttosto raro. Per sposarsi prima dei 18 anni, il minore deve ottenere l’autorizzazione del Tribunale per i minorenni, che valuta la maturità del soggetto e l’idoneità della sua scelta matrimoniale.

Come si acquista lo status di minore emancipato

L’emancipazione si verifica nei seguenti casi:

  • matrimonio del minore: il minore che ha compiuto 16 anni può sposarsi solo con il consenso del Tribunale per i minorenni, che valuta la maturità psicologica ed emotiva del soggetto;
  • pronuncia del Tribunale: in casi eccezionali, il giudice può dichiarare l’emancipazione per garantire una maggiore autonomia al minore in situazioni particolari.

Una volta ottenuta l’emancipazione, il minore non acquisisce la piena capacità di agire, ma ottiene alcuni diritti tipici di un maggiorenne, sempre con l’affiancamento di un curatore, che in caso di matrimonio con un maggiorenne è il coniuge.

Cosa può fare il minore emancipato

Il minore emancipato gode di una capacità di agire limitata, che gli consente di compiere atti giuridici autonomamente, salvo alcune eccezioni:

  • può esercitare attività lavorativa e firmare contratti di lavoro;
  • può amministrare i propri beni e gestire il proprio patrimonio;
  • può stipulare contratti e obbligazioni, ma per quelli di particolare importanza (ad esempio, vendere un immobile) è necessario il consenso del curatore e, in alcuni casi, l’autorizzazione del giudice;
  • può esercitare in autonomia un’’impresa commerciale previa autorizzazione del giudice tutelare, dopo aver sentito il curatore.

Limiti del minore emancipato

Il minore emancipato, pur avendo maggiore autonomia rispetto a un minore non emancipato, incontra alcune restrizioni:

  • non può compiere atti di straordinaria amministrazione senza l’approvazione del curatore;
  • non può disporre liberamente del proprio patrimonio senza il consenso del giudice tutelare;
  • non può contrarre matrimonio senza autorizzazione se ha ottenuto l’emancipazione per via giudiziaria.

 

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rapporto nonni-nipoti

Rapporto nonni-nipoti: un genitore può chiedere di regolarlo Rapporto nonni-nipoti: se nel corso della separazione giudiziale un genitore si oppone l’altro può chiedere che venga regolato

Regolamentato il rapporto nonni-nipoti

La Cassazione, con l’ordinanza n. 3539/2025, ha chiarito che in un giudizio di separazione, un genitore può chiedere al giudice di regolamentare il rapporto nonni -nipoti, se l’altro genitore li impedisce. Questo diritto esiste nonostante l’articolo 317-bis del Codice civile, che riconosce ai nonni il diritto di vedere i nipoti e di rivolgersi direttamente al Tribunale per i Minorenni. Per la Cassazione i genitori, responsabili legali dei figli, possono agire per tutelare l’interesse dei minori a mantenere rapporti con i nonni, anche durante una separazione.

Inammissibile la richiesta sul rapporto con i nonni

Una separazione giudiziale si conclude in primo grado con l’affido congiunto dei minori con domicilio prevalente presso la madre e con la regolamentazione del diritto di visita del padre. Il giudice obbliga inoltre il padre a versare l’importo mensile di 650 euro per il contributo al mantenimento dei figli e della moglie.

L’uomo ricorre la decisione in sede di appello dolendosi delle decisioni e della mancata pronuncia sulla domanda relativa alla conservazione dei rapporti dei minori con i parenti e nonni della linea paterna. La Corte d’appello dichiarata inammissibile questa richiesta poiché solo i parenti pretermessi possono formulare detta richiesta.

Ricorso per regolazione rapporti nonni-nipoti

Il padre e marito ricorre la decisione in Cassazione e con il quarto motivo contesta le conclusioni a cui è giunta la Corte d’Appello nel punto in cui gli ha negato la possibilità di chiedere la regolamentazione dei rapporti dei figli con i nonni e i parenti della linea paterna.

Diritto al rapporto dei minori con gli ascendenti

Per la Cassazione questo motivo di ricorso è fondato. Gli Ermellini ricordano a tale fine che l’articolo 317 bis del codice civile riconosce agli ascendenti il diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni. Se tale diritto viene impedito, l’ascendente può rivolgersi al giudice, ricordando che, in ogni caso, la legge pone l’interesse del minore al di sopra di ogni altro diritto.

Questa norma quindi non si applica nei giudizi di separazione o divorzio, dove i genitori rappresentano esclusivamente i figli. Sono gli ascendenti a dover avviare un procedimento separato se vogliono conservare la relazione con i minori.

La Cassazione ricorda di aver già chiarito che il diritto dei nipoti a mantenere rapporti con gli ascendenti non modifica i giudizi di separazione o divorzio. I nonni non possono infatti intervenire in queste  cause per sostenere le ragioni dell’uno o dell’altro genitore. Solo i genitori possono agire per questioni relative alla responsabilità genitoriale.

Tutela rapporto con i minori

Se poi la questione di tutelare il rapporto con i minori sorge, come nel caso di specie, nel corso della procedura di separazione esche l’altro genitore ostacola questa relazione, allora l’altro genitore può richiedere la regolamentazione dei rapporti tra nipoti e ascendenti.

La Cassazione ricorda che la Corte Costituzionale ha stabilito che le controversie relative all’articolo 317 bis del codice civile, che riguardano il diritto degli ascendenti a conservare rapporti significativi con i nipoti minorenni, sono di competenza del Tribunale per i Minorenni e che pertanto non è possibile unire tali controversie ai giudizi di separazione o divorzio.

Le parti e gli interessi in gioco sono diversi e unendoli si rischierebbe di aumentare la conflittualità tra i coniugi e di complicare l’ascolto dei minori.

In conclusione, nei giudizi di separazione, il genitore può chiedere la regolamentazione dei rapporti tra nipoti e ascendenti se l’altro genitore lo ostacola.

 

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Allegati

nucleo familiare

Il nucleo familiare Il nucleo familiare: definizione, composizione, importanza ai fini ISEE e fiscali e giurisprudenza di rilievo

Il concetto di nucleo familiare

Il concetto di nucleo familiare è centrale in numerosi ambiti legali, economici e fiscali. Spesso utilizzato per calcolare l’ISEE (Indicatore della Situazione Economica Equivalente) e per determinare l’accesso a prestazioni sociali e benefici fiscali. Si tratta di un concetto che può sembrare semplice, ma che in realtà presenta alcune complessità, soprattutto per quanto riguarda le definizioni giuridiche e le implicazioni pratiche.

In questo articolo, esploreremo cosa si intende per nucleo familiare, chi ne fa parte e quale importanza riveste ai fini dell’ISEE e della fiscalità, facendo riferimento anche alla giurisprudenza pertinente.

Cos’è il nucleo familiare

Il nucleo familiare è definito come il gruppo di persone che, pur non essendo necessariamente legate da vincoli di parentela diretti, vivono insieme stabilmente e condividono le risorse economiche. La composizione è determinata dalla convivenza e dalla condivisione del reddito, ma anche da relazioni di affetto e supporto reciproco.

Secondo la normativa vigente, il nucleo familiare comprende, a titolo principale, le seguenti persone:

  1. il richiedente: la persona che richiede il beneficio (ad esempio, l’ISEE).
  2. il coniuge: se il richiedente è sposato, il coniuge fa parte del nucleo familiare.
  3. i figli: sono considerati membri del nucleo familiare i figli, sia minorenni che maggiorenni, se conviventi e non economicamente autosufficienti.
  4. i genitori: se i figli vivono con i genitori, questi ultimi sono inclusi nel nucleo familiare.

In alcune circostanze esso può includere anche altri membri, come i fratelli o altri parenti, se questi vivono insieme e contribuiscono al sostentamento comune.

Composizione ed eccezioni

In generale, il concetto di nucleo familiare si basa sulla convivenza e sul reddito condiviso. Tuttavia, la normativa prevede alcune eccezioni in casi particolari. Ad esempio, nel calcolo dell’ISEE, non sono considerati parte del nucleo familiare i figli che sono sposati o che vivono in autonomia, anche se continuano a risiedere nella stessa abitazione.

La definizione di nucleo familiare può differire leggermente a seconda dell’ente o della prestazione sociale per cui viene utilizzato. Ad esempio, per l’ISEE, il nucleo familiare comprende tutti i membri della famiglia che convivono stabilmente e che hanno un reddito condiviso, mentre per altri benefici fiscali o sociali, le regole possono variare.

Il nucleo familiare ai fini ISEE

L’ISEE è uno degli strumenti più importanti per determinare l’accesso a prestazioni sociali, bonus e agevolazioni fiscali. La sua formulazione dipende dalla composizione del nucleo familiare, quindi è essenziale conoscere correttamente chi ne fa parte per calcolare l’ISEE in modo accurato, visto che le regole relative alla composizione del nucleo famigliare per quanto riguarda questo indicatore sono piuttosto complesse.

Secondo la normativa ISEE, il nucleo familiare è composto dai membri della famiglia anagrafica alla data di presentazione della Dichiarazione Sostitutiva Unica (DSU), con alcune eccezioni. La famiglia anagrafica include persone legate da vincoli di matrimonio, unione civile, parentela, affinità, adozione, tutela o affettivi, che coabitano o hanno dimora abituale nello stesso comune. Il nucleo familiare ISEE però è diverso dal concetto di “familiare a carico” ai fini fiscali.

Per calcolare l’ISEE, si può affermare in generale che devono sommarsi i redditi e i patrimoni di tutti i membri del nucleo familiare per poi dividerli per un parametro che tiene conto del numero dei componenti del nucleo stesso, dando così un valore equivalente. Questo valore determina l’accesso a benefici come:

  • Bonus Famiglia: agevolazioni fiscali per le famiglie con figli a carico.
  • Assegni Familiari: prestazioni economiche erogate dallo Stato alle famiglie con determinati requisiti di reddito.
  • Agevolazioni per servizi sociali: accesso a sussidi per la salute, l’istruzione, e altre prestazioni comunali.

Un nucleo familiare numeroso, ad esempio, può beneficiare di una riduzione dell’ISEE, mentre un nucleo familiare con pochi componenti, ma con redditi elevati, avrà un ISEE più alto, limitando l’accesso a prestazioni agevolate.

Importanza in ambito fiscale

Oltre agli aspetti relativi all’ISEE, il nucleo familiare riveste una notevole importanza anche in ambito fiscale. Le detrazioni fiscali e le agevolazioni per il carico familiare sono determinate in base alla composizione del nucleo, come nel caso delle detrazioni per figli a carico.

In particolare, le detrazioni per familiari a carico (come per i figli minorenni o per i coniugi non lavoratori) sono applicabili ai contribuenti che dichiarano di avere un nucleo familiare che soddisfa i requisiti previsti dalla normativa fiscale.

Alcune delle principali agevolazioni fiscali legate al nucleo familiare includono:

  • detrazione per figli a carico: permette di ottenere una riduzione dell’imposta dovuta in base al numero di figli che fanno parte del nucleo familiare;
  • bonus asilo nido: le famiglie con un ISEE basso possono beneficiare di questo bonus per coprire le spese di iscrizione e frequenza a strutture educative per bambini;
  • altri bonus e sgravi: le famiglie numerose o con determinate caratteristiche possono beneficiare di altre agevolazioni, tra cui il bonus famiglia e i bonus per la casa.

Giurisprudenza di rilievo

La giurisprudenza italiana ha contribuito a chiarire numerosi aspetti di questo istituto, specialmente in relazione ai benefici economici e fiscali. Le decisioni delle corti sono fondamentali per interpretare correttamente la legge in caso di contenziosi:

Cassazione n. 16786/2024: in tema di IMU, il concetto di abitazione principale non richiede necessariamente che l’intero nucleo familiare risieda e dimori nello stesso immobile. Questo significa che un contribuente può beneficiare dell’agevolazione IMU se risiede e dimora abitualmente in un determinato immobile, anche se il coniuge risiede in un comune diverso. Tuttavia, è fondamentale che l’immobile in questione sia l’unica abitazione principale del contribuente. Non è possibile, infatti, che entrambi i coniugi rivendichino l’agevolazione IMU per due abitazioni principali distinte, sia nello stesso comune che in comuni diversi.

Tar Lazio n. 4584/2025: per individuare i parametri che consentono al titolare della pensione di vecchiaia di essere esonerato dal pagamento delle spese sanitarie è possibile interrogare le – banche dati telematiche a disposizione del Ministero dell’Interno (Punto Fisco, Anagrafe Tributaria, Ufficio Attività Produttive, INPS, Agenzia delle Entrate etc.), che “permettono di individuare in tempo reale il quadro completo della posizione economica del soggetto e di tutti i componenti del proprio nucleo familiare ovvero addivenire a tutte le informazioni descrittive del reddito, del patrimonio, degli affari, degli scambi, della produzione e dei consumi di ogni singolo contribuente, ovvero i dati identificativi di tutte le ditte regolarmente censite.”

 

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bonus genitori separati

Bonus genitori separati: dopo 4 anni arriva il pagamento Bonus genitori separati: previsto dal decreto n. 41/2021, è stato attuato a fine 2022, ma l’INPS riuscirà a pagare nei prossimi mesi

Bonus genitori separati: norma di riferimento

Il bonus genitori separati nasce con l’articolo 12-bis del decreto-legge 22 marzo 2021, n. 41, convertito dalla legge 21 maggio 2021, n. 69. Per la misura il decreto ha istituito un fondo da 10 milioni di euro per il 2022, destinato ai genitori separati o divorziati in difficoltà economica. Il contributo doveva garantire la continuità dell’assegno di mantenimento non ricevuto durante la pandemia.

Ragioni del bonus genitori separati

Il Governo ha introdotto questa misura per sostenere i genitori separati che, a causa della crisi pandemica, non hanno ricevuto l’assegno di mantenimento. L’obiettivo era garantire un aiuto economico ai genitori in stato di bisogno, con figli minori o con disabilità grave a carico conviventi. La pandemia ha infatti aggravato la precarietà lavorativa di molte persone, rendendo impossibile per alcuni ex coniugi rispettare gli obblighi di mantenimento.

A chi spetta la misura

Il bonus è stato previsto in favore dei genitori separati o divorziati che non hanno ricevuto l’assegno di mantenimento nel periodo 8 marzo 2020 – 31 marzo 2022. I beneficiari devono aver convissuto con figli minori o figli maggiorenni con disabilità grave e trovarsi in stato di bisogno economico.

Il reddito annuo del richiedente non deve superare 8.174 euro. Inoltre, l’ex coniuge o ex convivente deve aver subito una riduzione del reddito di almeno il 30% rispetto al 2019, una sospensione lavorativa di almeno 90 giorni o la cessazione dell’attività lavorativa.

In cosa consiste il bonus genitori separati

Il bonus prevede un contributo massimo di 800 euro al mese per un anno, con un pagamento in un’unica soluzione fino a 9.600 euro. L’importo dipende dalla somma non ricevuta dell’assegno di mantenimento. Le risorse sono limitate e saranno erogate fino all’esaurimento del fondo.  

Quando verrà corrisposto

Dopo quattro anni di attesa, l’INPS ha sbloccato i fondi. I genitori che hanno presentato domanda entro il 2 aprile 2024 riceveranno il pagamento nei prossimi mesi. L’erogazione avverrà in un’unica soluzione. Se il fondo sarà rifinanziato, potrebbero aprirsi nuove finestre per le domande.

Fondi nei prossimi mesi

La misura ha subito ritardi a causa di problemi burocratici. Il testo iniziale del decreto Sostegni era vago e inapplicabile. Servivano modifiche per includere le coppie di fatto e chiarire i criteri di accesso. Il decreto attuativo è arrivato solo a fine 2022.

La fase operativa è partita nel 2024 con l’apertura delle domande online. La verifica dei requisiti ha richiesto un grande lavoro, rallentando ulteriormente i tempi di pagamento. Ora l’Inps assicura che i fondi saranno distribuiti nei prossimi mesi.

 

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assegno di maternità

Assegno di maternità Assegno di maternità: importo rivalutato 2025, requisiti soggettivi e reddituali e indicazioni per fare domanda

Assegno di maternità: che cos’è

L’assegno di maternità è un contributo economico previsto per ogni figlio nato a partire dal 1° gennaio 2001 o per ogni minore in affidamento preadottivo o in adozione che alla data indicata non sia stato dato in affidamento.

A chi spetta l’assegno di maternità

Le donne residenti in Italia, con cittadinanza italiana o comunitaria o straniere in possesso di determinati requisiti hanno diritto all’assegno di maternità.

L’assegno spetta alle madri disoccupate o che, pur lavorando, non godono di altre indennità di maternità erogate dall’INPS o dal datore di lavoro. La misura spetta anche alle madri che beneficiano di indennità  di maternità in misura inferiore all’assegno di maternità. In quest’ultimo caso l’assegno è erogato per la differenza.

Importo dell’assegno di maternità 2025

L’importo mensile dell’assegno di maternità per nascite, affidamenti e adozioni verificatesi dal 1° gennaio al 31 dicembre del 2025, come da comunicato della Presidenza del Consiglio dei Ministri, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 4 febbraio 2025, è pari a Euro 407,40 se spettante nella misura intera.

La circolare INPS 19 febbraio 2025, n. 45 informa che, in base alla variazione della media 2024 dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati, l’importo totale dell’Assegno mensile di maternità, se spetta nella misura intera, sarà di 2.037 euro per le nascite, gli affidamenti preadottivi e le adozioni senza affidamento che si verificheranno dal 1° gennaio 2025 al 31 dicembre 2025.

Requisito economico ISEE per l’assegno di maternità

Inoltre, in seguito alla rivalutazione comunicata dalla presidenza, sulla base della variazione dell’indice ISTAT dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati dello 0,8% per il 2025, relativamente al valore dell’indicazione della situazione economica equivalente (ISEE), la soglia non deve essere superiore a euro 20.382,90.

Domanda: come e quando farla

La domanda per richiedere l’assegno di maternità deve essere presentata al Comune di residenza entro 6 mesi.

Il termine decorre dalla nascita o dalla data di ingresso effettivo in famiglia del minore adottato o in affidamento.

Quando può essere presentata da soggetti diversi:

  • Se la madre del bambino è minorenne, il padre, se maggiorenne, può presentare domanda. Se anche il padre del bambino è minorenne il genitore della madre, che ne ha la responsabilità genitoriale o un legale rappresentante, può fare domanda.
  • Se la madre del minore o colei che lo avuto in adozione o in affido è deceduta, la domanda può essere inoltrata dal padre che lo abbia riconosciuto (o dal coniuge della donna adottiva o affidataria). Il minore però deve collocato presso la famiglia anagrafica del soggetto che fa la domanda e deve essere sottoposto alla sua responsabilità genitoriale.
  • Se la madre ha abbandonato il bambino o il minore è stato dato in affidamento esclusivo al padre, la domanda può essere presentata da quest’ Il minore in questo caso deve trovarsi presso la famiglia anagrafica del padre e deve essere sottoposto alla sua responsabilità genitoriale. La madre deve risultare residente o soggiornante in Italia al momento del parto, in questo caso l’assegno spetta al padre.
  • Se i coniugi si sono separati la domanda può essere presentata dall’adottante o dall’affidatario preadottivo. Il minore tuttavia deve far parte della famiglia anagrafica del soggetto che presenta la domanda e l’assegno non deve essere già stato riconosciuto alla madre adottiva o affidataria.
  • In caso di adozione speciale (art. 44 comma 3 legge n. 184/1983) la domanda può essere presentata dall’adottante non sposato. Il minore però deve essere collocato presso la famiglia anagrafica del richiedente e deve essere sottoposto alla sua responsabilità genitoriale.
  • Se il minore non è riconosciuto o non è riconoscibile dai genitori la domanda può essere presentata dal soggetto a cui il minore è stato affidato dal giudice. In questo caso il bambino deve rientrare nella famiglia anagrafica del soggetto a cui è stato affidato.

Documenti da produrre per la domanda

Chi presenta la domanda per l’assegno di maternità deve anche produrre alcuni documenti.

  • Una DSU valida che indichi i redditi percepiti dal nucleo famigliare nell’anno precedente.
  • Un’autocertificazione che dichiari il possesso dei requisiti richiesti dalla legge per fare domanda, l’assenza di altri trattamenti economici e di non aver fatto domanda per l’assegno di cui all’art. 75 dlgs n. 151/2001 per lavori atipici e discontinui. Qualora il soggetto dichiari di beneficiare di qualche indennità legata alla maternità deve indicarne l’importo.

 

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trust familiare

Il trust familiare Il trust familiare: cos’è, come funziona, qual è la sua disciplina, il funzionamento, i costi, vantaggi e svantaggi

Cos’è il trust familiare

Il trust familiare è un istituto giuridico che consente di destinare beni a uno scopo determinato, con l’affidamento della loro gestione a un trustee, nell’interesse di beneficiari designati. Viene spesso utilizzato per proteggere il patrimonio familiare, pianificare la successione e garantire il benessere dei propri cari.

Disciplina del trust familiare

In Italia, il trust non è regolato da una legge specifica, ma è riconosciuto grazie alla Convenzione dell’Aja del 1985 (ratificata con legge 364/1989). La normativa applicabile viene scelta nell’atto istitutivo del trust, solitamente secondo ordinamenti di common law. La giurisprudenza italiana, con alcune sentenze della Corte di Cassazione, ha chiarito importanti aspetto del trust (Cass. n. 8082/2020; Cass. n. 2043/2017, n. 19376/2017).

Come funziona il trust familiare

Il trust si costituisce mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata. I soggetti coinvolti sono:

  • il disponente: colui che trasferisce i beni al trust;
  • il trustee: l’amministratore dei beni secondo le regole dell’atto istitutivo;
  • i beneficiari: coloro che ricevono i benefici del trust;
  • il guardiano (facoltativo): sorveglia l’operato del trustee.

Quando conviene istituirlo

Il trust familiare è utile per:

  • la pianificazione successoria: evitare divisioni ereditarie conflittuali;
  • la protezione del patrimonio: mettere al riparo i beni da azioni esecutive;
  • la tutela di soggetti deboli: garantire assistenza a familiari disabili o minori.

Quanto costa istituire un trust familiare

I costi variano in base alla complessità dell’atto e al valore dei beni coinvolti. Solitamente comprendono:

  • il compenso del notaio (per l’atto pubblico);
  • gli onorari dell’avvocato;
  • le eventuali imposte di registro e ipocatastali;
  • il compenso annuale del trustee

Vantaggi e svantaggi del trust familiare

Come tutti gli istituti giuridici il trust familiare presenta aspetti positivi e negativi.

Vantaggi

  • Tutela patrimoniale: separazione dei beni dal patrimonio personale.
  • Riservatezza: il trust non è pubblicamente consultabile.
  • Flessibilità: personalizzazione delle clausole per esigenze familiari.

Svantaggi

  • Costi elevati: sia iniziali sia di gestione.
  • Complessità giuridica: richiede consulenza legale specializzata.
  • Contenziosi fiscali: possibile conflitto con l’Agenzia delle Entrate.

Giurisprudenza rilevante

Ecco alcune importanti sentenze sul trust familiare:

Cassazione n. 3886/2015: “L’atto denominato trust, funzionale, quoad effectum, all’applicazione di un regolamento equiparabile a un fondo patrimoniale, va qualificato ai fini tributari come atto costitutivo di vincolo di destinazione, con le conseguenti assoggettabilità alla relativa imposta dei beneficiari della destinazione e responsabilità d’imposta del notaio rogante”.

Cassazione n. 25423/2019: la costituzione del fondo patrimoniale, pur se finalizzata ai bisogni familiari, non è un obbligo di legge, bensì un atto a titolo gratuito, privo di una controprestazione a favore dei costituenti. Di conseguenza, tale atto è soggetto ad azione revocatoria ordinaria qualora sussista la mera conoscenza del pregiudizio arrecato ai creditori. La Corte ha inoltre precisato che la costituzione o un trust familiare non integra di per sé l’adempimento di un dovere giuridico, non essendo prevista come obbligatoria dalla legge. Pertanto, essa rimane suscettibile di revocatoria, salvo che si dimostri l’esistenza di un dovere morale specifico e l’intenzione di adempierlo attraverso tale atto.

Corte d’Appello di Firenze  n. 2061/2024: L’atto istitutivo di un trust familiare, anche se finalizzato al sostegno economico di un figlio, è considerato un atto a titolo gratuito. Questo perché non è previsto come obbligatorio dalla legge e non prevede una controprestazione economica a favore di chi lo istituisce (disponente).

 

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mantenimento al figlio maggiorenne

Mantenimento al figlio maggiorenne che si disinteressa del padre Mantenimento al figlio maggiorenne: dovuto se non è economicamente autosufficiente, non rileva che si disinteressi del padre

Mantenimento al figlio maggiorenne

La Corte di Cassazione, con la recente sentenza n. 3552/2025, ha ribadito un principio fondamentale in materia di mantenimento al figlio maggiorenne non autosufficiente. L’obbligo del genitore non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, ma richiede un’accurata verifica della situazione economica e lavorativa del figlio, anche se questo non dimostra interesse per il genitore obbligato.

Revoca del mantenimento del figlio maggiorenne

Un padre chiede la revoca dell’assegno di mantenimento per il figlio maggiorenne perché economicamente indipendente. L’uomo lamenta inoltre il disinteresse del figlio per il suo stato di salute, a causa del quale, da anni subisce interventi chirurgici. Il Tribunale respinge la richiesta, perché di fatto il giovane non ha ancora raggiunto un’indipendenza economica stabile. La Corte d’Appello conferma in gran parte la decisione, sottolineando che l’obbligo di mantenimento si protrae in assenza di autosufficienza economica.

Non rileva il rapporto affettivo

La Cassazione ritiene inammissibile il ricorso del padre, evidenziando alcuni aspetti del diritto al mantenimento dei figli.

Il genitore deve continuare a garantire il supporto economico fino a quando il figlio non ottiene un’adeguata autosufficienza finanziaria. Il giudice deve verificare l’effettivo inserimento nel mondo del lavoro, valutando il tipo di occupazione, la stabilità del reddito e le prospettive future del giovane. Il diritto del figlio a ricevere l’assegno non dipende dalla qualità del rapporto con il genitore obbligato. L’eventuale distanza affettiva non costituisce infatti motivo valido per interrompere il sostegno economico. Per ottenere la revoca dell’assegno, il genitore deve provare piuttosto un significativo peggioramento delle proprie condizioni finanziarie. Nel caso in esame, però tale prova non è stata fornita.

Autosufficienza economica

La decisione della Cassazione conferma un orientamento consolidato. Il mantenimento del figlio maggiorenne resta cioè un obbligo fino a quando non si accerta una reale autosufficienza economica. Il disinteresse affettivo vero il genitore obbligato non incide sulla persistenza dell’assegno, poiché il diritto al mantenimento è di natura patrimoniale e non morale. I genitori che desiderano ottenere la revoca dell’assegno devono dimostrare con prove concrete il raggiungimento dell’autonomia economica del figlio. Inoltre, eventuali difficoltà finanziarie del genitore devono essere adeguatamente documentate per incidere sulla decisione del giudice.

La Cassazione ribadisce in sostanza il principio di responsabilità genitoriale, sottolineando l’importanza di garantire ai figli le condizioni necessarie per una reale indipendenza economica, a prescindere dalla relazione affettiva con gli stessi.

 

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Nessun mantenimento alla ex se non cerca lavoro Mantenimento alla ex: non è dovuto l’assegno alla moglie che, per età e capacità, può mantenersi da sola ma non si attiva per cercare lavoro

Assegno di mantenimento alla ex

La Cassazione, con l’ordinanza n. 3354/2025, ha deciso che l’assegno di mantenimento alla ex è dovuto se dimostra di aver cercato attivamente lavoro senza successo. La capacità lavorativa è un criterio essenziale per determinare il diritto all’assegno. È responsabilità del richiedente fornire prove di un’infruttuosa ricerca occupazionale. L’assegno, previsto dall’articolo 156 del codice civile, difende la solidarietà coniugale ma non copre ciò che il coniuge potrebbe ottenere autonomamente. Nel caso specifico, la richiesta della ex moglie è stata respinta poiché non ha dimostrato di aver cercato lavoro e ha rifiutato ingiustificatamente un’offerta.

Mantenimento post-separazione: art. 156 c.c.

Il Tribunale si esprime in prima istanza sulla separazione personale di due coniugi. Il marito contesta la decisione, chiedendo che la colpa della separazione venga attribuita alla moglie e che la richiesta di mantenimento venga respinta. La moglie non ha infatti soddisfatto le condizioni dell’articolo 156 c.c., che richiedono l’assenza di redditi adeguati. In giudizio, la moglie chiede il rigetto delle richieste del marito e che un terzo creditore del coniuge le paghi le somme dovute come mantenimento.

Mantenimento negato senza ricerca attiva

La Corte rigetta invece le richieste della moglie, accogliendo parzialmente quelle del marito. L’indagine istruttoria non permette alla Corte di stabilire se la fine del matrimonio sia attribuibile a uno o entrambi i coniugi. Tuttavia, riguardo al mantenimento richiesto dalla moglie, esso viene negato poiché ha rifiutato un’offerta lavorativa senza giustificazioni e non ha cercato attivamente lavoro. La donna si è limitata a inviare un curriculum a una banca, lamentando difficoltà nel trovare occupazione per mancanza di un mezzo proprio. Secondo la Corte l’assegno non è dovuto data la giovane età della richiedente, la breve durata del matrimonio e l’assenza di figli. L’assegno mensile di 250 euro decretato dal Tribunale non è giustificabile poiché non è stato neanche dimostrato il tenore di vita durante il matrimonio durato solo quattro anni.

Differenze economiche e difficoltà lavorative

La parte soccombente ricorre in Cassazione sottolineando che il marito possiede un notevole patrimonio immobiliare e un reddito adeguato mentre lei  durante il matrimonio si occupava della casa e della famiglia. Tra i due esisteva una significativa disparità economica e patrimoniale; inoltre va considerata la sua difficoltà nel trovare lavoro in Calabria, regione nota per problemi occupazionali.

Mantenimento alla ex escluso se capace di lavorare

La Cassazione però rigetta il ricorso sottolineando il mancato sforzo nella ricerca lavorativa da parte della moglie. Gli Ermellini ribadiscono che in tema di separazione dei coniugi, spetta al richiedente dimostrare lattivazione sul mercato del lavoro compatibile con le proprie capacità professionali in assenza di adeguati redditi propri. L’assegno previsto dall’articolo 156 c.c., pur esprimendo un dovere solidaristico, non può comprendere ciò che ordinariamente ci si può procurare autonomamente.

Per la Cassazione quindi le differenze reddituali non sono rilevanti se manca la prova della ricerca attiva di impiego; nel caso specifico è stato provato semmai il rifiuto ingiustificato dell’offerta lavorativa proposta.

 

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