verbale assemblea condominiale

Verbale assemblea condominiale: può essere inviato via mail Per il tribunale di Genova, la trasmissione del verbale d'assemblea al condomino può essere eseguita anche con mail ordinaria

Invio verbale assemblea condominiale

Il verbale d’assemblea può essere inviato al condomino assente con ogni modalità, anche con mail. Lo ha affermato il tribunale di Genova, con sentenza n. 477/2024, decidendo una controversia relativa all’impugnazione di una delibera condominiale.

La vicenda

Nella vicenda, una condomina impugnava la delibera con cui l’assemblea aveva approvato opere straordinarie di manutenzione all’edificio, da pagare subito per beneficiare del bonus facciate, ritenendo la stessa illegittima e pregiudiziale in quanto non in grado di pagare la propria quota dei lavori. La quota peraltro veniva anticipata dall’amministratore a sua insaputa e le veniva chiesto successivamente il rimborso, per cui la donna lamentava anche l’illegittimità del comportamento dell’amministratore stesso.

Il condominio si costituiva sostenendo che la condomina era stata convocata via mail, al cui indirizzo era stato anche inviato il riparto straordinario deliberato al fine di consentire il pagamento nei termini e data la difficoltà della stessa a reperire i fondi necessari al pagamento della quota, erano seguiti diversi scambi di messaggi via whatsapp e via mail che avevano reso incontrovertibile la piena conoscenza da parte della signora sia della delibera assembleare sia dell’anticipo della quota a suo nome.

Peraltro, il condominio sosteneva che l’impugnazione era tardiva ex art. 1137 c.c. e che il verbale dell’assemblea era stato trasmesso all’attrice via mail, all’indirizzo da questa fornito e sempre utilizzato per le comunicazioni con l’amministrazione condominiale.

Eccezione di decadenza

Per il giudice, l’eccezione di decadenza è meritevole di accoglimento, considerato che se pure l’art. 66 disp. att. del codice civile “prevede specifiche forme, quali posta raccomandata, pec, fax o consegna a mano, per la comunicazione dell’avviso di convocazione dell’assemblea, queste non sono riferibili all’invio del verbale al condominio assente, la cui forma resta libera; valutato che l’onere della prova spetta al condominio e può essere raggiunta con ogni mezzo anche per presunzioni; considerato pertanto legittimo ed idoneo a far decorrere i termini per l’impugnazione anche il semplice invio del verbale assembleare a mezzo email all’indirizzo da sempre utilizzato tra le parti per le comunicazioni”.

Nella fattispecie, pertanto, sussistono indizi gravi, precisi e concordanti utili a dimostrare che l’attrice era pienamente a conoscenza del contenuto della delibera dalla stessa impugnata solo tardivamente. Per cui il ricorso è rigettato.

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condominio amministratore revocato rieletto

Condominio: l’amministratore revocato può essere rieletto Il tribunale di Tempio Pausania ricorda che il divieto di rieleggere l'amministratore revocato dal giudice è solo temporaneo

Amministratore revocato dal giudice

Il divieto di nomina dell’amministratore di condominio revocato dal giudice ha carattere temporaneo e non comprime in via definitiva il diritto dello stesso di ricevere nuovamente l’incarico. E’ quanto precisato dal tribunale di Tempio Pausania, con la sentenza n. 126/2024.

La vicenda

Nella vicenda, alcuni condomini impugnavano la delibera assembleare avente ad oggetto la rielezione del precedente amministratore, revocato con sentenza della Corte d’appello, in quanto adottata in violazione del comma 13 dell’art. 1129 del codice civile.

Il condominio, dal canto suo, si costituiva e contestava quanto dedotto dagli attori, chiedendo il rigetto del ricorso.

Amministratore revocato divieto di nomina temporaneo

Il giudice pronunciandosi sull’eccezione di parte attrice concernente la violazione del co. 13 dell’art. 1129 c.c., ha affermato preliminarmente che “la giurisprudenza è ormai consolidata nell’affermare che il divieto di nomina dell’amministratore revocato dal tribunale è temporaneo e non comprime definitivamente il diritto dello stesso di ricevere l’incarico, rilevando soltanto per la designazione assembleare immediatamente successiva al decreto di rimozione”.

Il divieto di nomina, posto dal riformato art. 1129 co. 13 c.c., “funziona, in realtà, nei confronti dell’assemblea – ha proseguito il tribunale – precludendole di eludere la revoca giudiziale con una delibera che riconfermi l’amministratore rimosso dal tribunale, e ciò pure se siano ormai venute meno le ragioni che avevano determinato la sua revoca (cfr. Cass. 23743/2020)”.

La decisione

Nel caso di specie, a seguito della revoca, la funzione di amministratore è stata esercitata per due annualità da un altro soggetto, con la conseguenza che la rielezione avvenuta con la delibera impugnata appare perfettamente legittima. Del resto, conclude il giudicante rigettando il ricorso, l’operato dell’amministratore “rimane inevitabilmente soggetto al giudizio dell’assemblea condominiale, unico vero controllore dell’attività dell’amministratore, la quale potrà decidere di non rinnovare alla scadenza il mandato affidatogli, o anche prima di tale data potrà deliberare la sua revoca”.

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giurista risponde

Legittimazione opposizione a decreto ingiuntivo nei confronti del condominio A chi appartiene la legittimazione a opporsi ad un decreto ingiuntivo emesso contro il Condominio per debiti derivanti dalla gestione dei beni comuni?

Quesito con risposta a cura di Manuel Mazzamurro e Incoronata Monopoli

 

Il singolo condomino non ha autonoma legittimazione a proporre opposizione a decreto ingiuntivo emesso a carico del condominio per i debiti derivanti dalla gestione dei beni comuni, spettando essa unicamente all’amministratore. – Cass., sez. II, 15 marzo 2024, n. 7053.

Nel caso di specie la Suprema Corte è stata chiamata a valutare la legittimazione del singolo condomino a proporre opposizione a decreto ingiuntivo emesso nei confronti del condominio.

In primo e secondo grado era stata rigettata l’opposizione formulata dal singolo condomino per un decreto ingiuntivo relativo a lavori di manutenzione del condominio. In particolare, in secondo grado il Giudice di Appello precisava che solo il condominio poteva opporsi al decreto ingiuntivo, sussistendo per il singolo condomino una legittimazione autonoma nelle controversie in materia di diritti reali concernenti le parti comuni dell’edificio condominiale.

Viene proposto quindi ricorso per Cassazione, contestando la violazione dei principi in materia di condominio. In particolare, si obiettava che la presenza dell’amministratore non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a tutela dei propri diritti, sicché essi non possono considerarsi terzi rispetto a pretese vantate nei confronti del condominio.

La Suprema Corte, nella decisione de qua, rigettando il ricorso, ha evidenziato che, nelle controversie condominiali, la legittimazione ad agire può essere riconosciuta ai singoli condomini solo nel caso in cui la lite investa il diritto degli stessi sulle parti comuni dell’edificio (così anche Cass. 24 luglio 2023, n. 22116).

Viceversa, quando la controversia non ha ad oggetto la tutela o l’esercizio di diritti reali su parti o servizi comuni, ma posizioni di natura obbligatoria volte a soddisfare esigenze comuni della collettività condominiale, la legittimazione spetta al solo amministratore, potendo il singolo condomino svolgere intervento adesivo dipendente (così anche Cass. 12 dicembre 2017, n. 29748).

Tuttavia, si evidenzia che sul punto vi è anche recente orientamento che ha riconosciuto al condomino al quale sia intimato il pagamento di una somma di danaro in base ad un decreto ingiuntivo non opposto ottenuto nei confronti del condominio, la disponibilità dei rimedi dell’opposizione a precetto e dell’opposizione tardiva al decreto (cfr. Cass. 22 febbraio 2022, n. 5811).

Nel caso di specie, il singolo condomino ha proposto opposizione rispetto ad un decreto ingiuntivo derivante da lavori di manutenzione delle parti comuni del condominio, la cui legittimazione è solo del condominio nella persona dell’amministratore. Per tale motivo, la Cassazione ha rigettato il ricorso e confermato la pronuncia della Corte d’Appello.

Precedenti giurisprudenziali:

Conformi: Cass., sez. III, 24 luglio 2023, n. 22116; Cass., sez. II, 12 dicembre 2017, n. 29748

Difformi: Cass., sez. VI, 22 febbraio 2022, n. 5811

*Contributo in tema di “Legittimazione a proporre opposizione a decreto ingiuntivo”, a cura di Manuel Mazzamurro e Incoronata Monopoli, estratto da Obiettivo Magistrato n. 75 / Giugno 2024 – La guida per affrontare il concorso – Dike Giuridica

condizionatore cortile condominio

Condizionatore nel cortile del condominio senza autorizzazione La Cassazione chiarisce che il singolo può effettuare l'installazione sulle parti comuni se non ne altera la destinazione

Condizionatore nel cortile del condominio

Il condomino può installare un condizionatore nel cortile del condominio senza l’autorizzazione dell’assemblea, purchè l’installazione non alteri il decoro architettonico dell’edificio e non presupponga la modificazione delle parti comuni. Lo ha precisato la seconda sezione civile della Cassazione con la sentenza n. 17975/2024.

La vicenda

La vicenda ha per oggetto l’impugnazione di quattro delibere condominiali che negavano alla ditta della ricorrente di installare alcuni condizionatori nella zona del cortile comune, ordinandone la rimozione.

Perdendo nel merito, la condomina adiva il Palazzaccio lamentando il mancato riconoscimento del diritto di servirsi delle cose comuni (ossia cortile e muri perimetrali) per installare i condizionatori, atteso che tale operazione non altera la destinazione e non impedisce agli altri condomini di fare parimenti uso secondo il loro diritto.

Peraltro, la condomina rileva la disparità di trattamento rispetto ad altri condomini che hanno in precedenza installato condizionatori.

Violazione del diritto di utilizzo della cosa comune

La S.C. raggruppando e riordinando i vari motivi di doglianza, rileva come la questione centrale della fattispecie concerna “la violazione del diritto di ciascun condomino di utilizzare la cosa comune”.

Nel merito, la Corte “ha più volte affermato che la naturale destinazione all’uso della cosa comune, può tener conto di specificità – che possono costituire ulteriore limite alla tollerabilità della compressione del diritto del singolo condomino – solo se queste, costituiscano una inevitabile e costante caratteristica di utilizzo (cfr. Cass. n. 15319/2011)”.

Ed è stato affermato il principio secondo il quale “nell’identificazione del limite all’immutazione della cosa comune, disciplinato dall’art. 1120 co. 2 c.c., il concetto di inservibilità della stessa non può consistere nel semplice disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione – coessenziale al concetto di innovazione – ma è costituito dalla concreta inutilizzabilità della res communis secondo la sua naturale fruibilità, per cui si può tener conto di specificità – che possono costituire ulteriore limite alla tollerabilità della compressione del diritto del singolo condomino – solo se queste costituiscano una inevitabile e costante caratteristica di utilizzo (cfr. Cass. n. 24960/2016)”.

Nel caso di specie, la Corte di merito, secondo i giudici della S.C., “non è scesa all’analisi degli aspetti tecnici della installazione, quali un apprezzabile deterioramento del decoro architettonico ovvero una significativa menomazione del godimento e dell’uso del bene comune, omettendo anche di valutare che si tratta di obbligo introdotto solo successivamente alla installazione di cui si discute”. La delibazione dei dati istruttori da parte del giudice del gravame, “a ben vedere – proseguono – parte da una non condivisibile interpretazione del limite alle innovazioni consentite della cosa comune, là dove lo pone nella trascurabilità del pregiudizio del singolo condomino o nella “corrispettività” di un qualche vantaggio per lo stesso, non meglio definito”.

In altri termini, ai sensi dell’art. 1120 c.c., afferma la Cassazione, “l’installazione, sulle parti comuni, di un impianto per il condizionamento d’aria a servizio di una unità immobiliare, che non presupponga la modificazione di tali parti, può essere compiuta dal singolo condomino per conto proprio, in via di principio senza richiedere al Condominio alcuna autorizzazione”.

La decisione

Per cui, la sentenza è cassata in relazione ai motivi accolti e la parola passa al giudice del rinvio che dovrà verificare “se esiste un apprezzabile deterioramento del decoro architettonico ovvero una significativa menomazione del godimento e dell’uso del bene comune ad impedimento della installazione dei condizionatori in esame”.

modiglioni balcone condominio

Modiglioni: con funzione decorativa sono beni condominiali I modiglioni, cioè le mensole sottobalcone, con funzione decorativa, sono da considerarsi beni condominiali

Modiglioni beni condominiali

I modiglioni (ossia le mensole sottobalcone) se hanno funzione decorativa sono da considerarsi beni condominiali. Lo ha affermato il tribunale di Torino con sentenza n. 1360/2024 decidendo una vicenda avente ad oggetto, da parte di un condomino, la richiesta di annullamento delle delibere assunte dall’assemblea con cui erano stati approvati i lavori di manutenzione straordinaria della facciata interna di un condominio e la messa in sicurezza della stessa.

La vicenda

In particolare, il condomino lamentava come il capitolato approvato dall’assemblea non fosse attendibile e come le delibere non avessero ad oggetto beni di proprietà comune condominiale, ma strutture (i modiglioni) di proprietà esclusiva dei singoli condomini.

Il condominio, dal canto suo, costituendosi in giudizio contestava le domande avversarie, evidenziando inoltre come i modiglioni avessero una funzione estetica, oltre che strutturale, e fossero dunque di proprietà condominiale.

Veniva disposta una consulenza tecnica d’ufficio volta a descrivere lo stato dei luoghi.

La decisione

Il giudice, anche sulla scorsa delle risultanze della CTU che confermavano la natura condominiale dei modiglioni oggetto di causa, decideva rigettando la domanda attorea.

Il consulente aveva chiarito come “la funzione dei modiglioni – fosse – con certezza strutturale e non meramente estetica”. E come tali dunque “costituiscono parti comuni – dell’edificio – ex art. 1117 c.c., ma in ogni caso essi partecipano tutti di una funzione estetica per l’intero fabbricato condominiale”.

Come noto, afferma il tribunale, “la Corte di Cassazione opera una differenziazione tra i balconi e i rivestimenti degli stessi, precisando come ‘mentre i balconi di un edificio condominiale non rientrano tra le parti comuni, ai sensi dell’art 1117 c.c. non essendo necessari per l’esistenza del fabbricato, né essendo destinati all’uso o al servizio di esso, i rivestimenti dello stesso devono, invece, essere considerati beni comuni se svolgono in concreto una prevalente, e perciò essenziale, funzione estetica per l’edificio, divenendo così elementi decorativi ed ornamentali essenziali della facciata e contribuendo a renderlo esteticamente gradevole (cfr. Cass. Ord. n. 10848/2020; Cass. n.4909/2020)”. Inoltre, le pronunce di legittimità sono chiare nell’affermare che “il rivestimento e gli elementi decorativi del fronte o della parte sottostante della soletta dei balconi degli appartamenti di un edificio debbono essere considerati di proprietà comune dei condomini, in quanto destinati all’uso comune, ai sensi dell’art. 1117 c.c., in tutti i casi in cui assolvano prevalentemente alla funzione di rendere esteticamente gradevole l’edificio, mentre sono pertinenze dell’appartamento di proprietà esclusiva quando servono solo per il decoro di quest’ultimo; conseguentemente, nel caso di distacco, per vizio di costruzione, del rivestimento o degli elementi decorativi predetti, l’azione di responsabilità nei confronti del costruttore è legittimamente esperita dal condominio, ai sensi dell’art. 1669 c.c., se il rivestimento o gli elementi decorativi abbia prevalente funzione estetica per l’intero edificio (cfr. Cass. n. 12792/1992)”.

Per cui, conclude il giudice, “non possono condividersi i rilievi dell’attrice, secondo cui la funzione estetica, in quanto residuale, non sarebbe sufficiente a giustificare l’adozione di una delibera condominiale. Ciò che rileva non è tanto determinare se sia prioritaria la funzione strutturale o quella estetica, bensì stabilire se gli elementi decorativi adempiano prevalentemente alla funzione ornamentale dell’intero edificio o solamente al decoro delle porzioni immobiliari ad essi corrispondenti”. Nel caso di specie, è emerso chiaramente come “i modiglioni rivestano una funzione decorativa dell’intero edificio – e non solo dei singoli balconi – in quanto elementi facenti parte di un’architettura storica dei primi del ‘900 e di un sistema costruttivo non contemporaneo”.

Alla luce di quanto sopra esposto, il tribunale afferma la validità delle delibere impugnate e respinge integralmente le domande attoree.

convocazione assemblea condominio

Convocazione assemblea condominiale: modi e tempi Come avviene la convocazione dell’assemblea condominiale: modalità e tempi da rispettare per non incorrere nell’annullabilità della delibera

Convocazione assemblea:  art. 66 disp. att. c.c.

La convocazione dell’assemblea condominiale è disciplinata dettagliatamente dall’art. 66 delle disposizioni per l’attuazione del codice civile.

La norma regolamenta le convocazioni ordinarie e straordinarie, i tempi e le modalità con cui deve essere effettuata la comunicazione e i limiti che la legge pone a questo istituto.

Assemblea condominiale: tipologie e poteri di iniziativa

L’assemblea condominiale può essere convocata con cadenza annuale in via ordinaria per deliberare sulle questioni indicate dall’art. 1135 c.c.:

  • conferma dell’amministratore e del suo compenso;
  • approvazione del preventivo di spesa annuale e ripartizione degli importi tra i condomini;
  • approvazione del rendiconto e impiego dell’eventuale residuo attivo dell’attività di gestione;
  • decisione sulla necessità di realizzare opere di manutenzione straordinaria o innovazioni da apportate all’edificio condominiale.

L’assemblea straordinaria

L’assemblea straordinaria può essere convocata dall’amministratore quando è necessario o quando ne facciano richiesta due condomini che rappresentino un sesto del valore del fabbricato condominiale.

Se trascorrono inutilmente 10 giorni dalla richiesta della convocazione i condomini richiedenti possono provvedere in autonomia alla convocazione.

Qualora manchi l’amministratore sia l’assemblea condominiale ordinaria che quella straordinaria, può essere convocata su iniziativa di ogni condomino.

Avviso di convocazione: contenuto e comunicazione

L’avviso di convocazione dell’assemblea condominiale deve contenere l’indicazione specifica e dettagliata degli argomenti che verranno discussi nell’ordine del giorno oltre all’indicazione del luogo e dell’ora in cui si terrà la riunione.

Per quanto riguarda i tempi l’avviso di convocazione deve essere comunicato almeno 5 giorni prima rispetto alla data che è stata fissata per l’assemblea in prima convocazione.

Le modalità consentite per la comunicazione dell’avviso di convocazione sono diverse. La convocazione può essere effettuata infatti a mezzo posta raccomandata, con posta elettronica certificata, mezzo fax o tramite consegna a mano.

E’ facoltà dell’amministratore di condominio fissare più riunioni a distanza ravvicinata per fare in modo che l’assemblea si svolga in tempi brevi, comunicandolo con un unico avviso, nel quale dovrà indicare specificamente tutte le date e gli orari dell’assemblee.

Assemblee di seconda convocazione: i termini da rispettare

L’articolo 66 disp. att. c.c prevede un limite per quanto riguarda le assemblee di seconda convocazione, le quali non si possono tenere nello stesso giorno stabilito per l’assemblea di prima convocazione.

Ai sensi dell’articolo 1136 c.c, qualora l’assemblea in prima convocazione non possa deliberare per mancanza del numero legale richiesto dalla legge, quella in seconda convocazione delibera deve tenersi il giorno successivo a quello di prima convocazione e comunque entro e non oltre il decimo giorno successivo all’assemblea di prima convocazione.

Assemblea in modalità video-conferenza

Qualora lo svolgimento dell’assemblea dovesse avvenire in modalità video conferenza l’avviso di convocazione deve indicare la piattaforma elettronica su cui si svolgerà la riunione e l’orario di inizio della stessa. Questa modalità di svolgimento, così come la partecipazione all’assemblea, sono consentite anche quando il regolamento condominiale non le preveda espressamente. In questo caso il verbale, una volta che è stato redatto dal segretario e trascritto dal Presidente, viene trasmesso sia all’amministratore che a tutti i condomini, nelle stesse modalità viste per la convocazione, ovvero mediante raccomandata, a mezzo pec, via fax o consegna a mano.

Delibera annullabile per problemi legati alla convocazione

Le regole dettate dal codice civile sulla convocazione, qualora non rispettate, rendono annullabile la delibera. Il comma 3 dell’articolo 66 disp. att. c.c stabilisce infatti che, in caso di  mancata convocazione, convocazione tardiva rispetto ai termini previsti o incompleta, la delibera è annullabile su richiesta dei dissenzienti o degli assenti che non sono stati convocati nel rispetto delle regole previste.

abbattimento alberi condominio

Abbattimento alberi in condominio: innovazione vietata L'abbattimento di alberi condominiali è una innovazione vietata e richiede l'assenso unanime di tutti i partecipanti al condominio

Abbattimento alberi condominiali

L’abbattimento di alberi, “comportando la distruzione di beni comuni, integra una innovazione vietata ai sensi dell’articolo 1121 c.c. e in quanto tale, richiede l’unanime consenso di tutti i partecipanti al condominio”. Lo ha precisato il tribunale di Santa Maria Capua Vetere con sentenza n. 292/2024.

Nella vicenda, una condomina impugnava le delibere assembleari aventi ad oggetto la scelta della ditta per i lavori di abbattimento degli alberi ad alto fusto nel proprio condominio, deducendo che si trattava di innovazioni vietate per le quali la legge richiede l’unanimità dei consensi. Per il condominio, non era stata realizzata alcuna innovazione e l’assemblea aveva confermato le delibere impugnate comportandone la caducazione, con conseguente cessazione della materia del contendere.

Innovazione vietata

Per il tribunale, il ricorso della condomina è fondato, ritenendo che le delibere impugnate siano nulle e non semplicemente annullabili, giacché avendo ad oggetto un intervento di abbattimento di beni comuni, necessitavano ai fini della loro approvazione dell’unanimità di tutti i condomini. Il tribunale si rifà alla giurisprudenza di merito e di legittimità che ha più volte chiarito che “deliberandosi sulla distruzione di un bene comune, la relativa decisione richiede l’unanimità dei consensi, con la conseguenza che è nulla la delibera adottata a maggioranza” (cfr., Cass. n. 20249/2009). Non solo. La Cassazione, scrive il giudicante “ha particolarmente valorizzato la presenza e l’importanza degli alberi nei cortili condominiali non solo sotto il profilo estetico architettonico, ma anche in relazione alla qualità della vita degli abitanti del condominio (cfr. Cassazione n. 3666/1994), salvo ovviamente che il taglio degli alberi non sia imposto da ragioni di sicurezza e di salvaguardia di staticità degli edifici”.

Peraltro, a tal fine, sono necessarie in alcuni casi, “anche delle specifiche autorizzazioni, in presenza di vincoli ambientali o paesaggistici, ovvero per la tutela della fauna”.

La decisione

Nel caso di specie, l’abbattimento di un numero considerevole di alberi di cedro (ben 41), sui cui peraltro sono risultati presenti diversi nidi di tortora, deve ritenersi dunque una innovazione vietata. “Detti alberi, per il loro numero e caratteristiche, costituiscono senza dubbio parte integrante e fondamentale del decoro architettonico del complesso condominiale in questione, oltre ad avere una funzione essenziale per il benessere non solo dei condomini ma anche della restante parte della comunità”. Inoltre, prosegue il tribunale, “dalla lettura del verbale assembleare non emerge che detto abbattimento sia stato finalizzato al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni, trattandosi, per le ragioni sopra evidenziate, di vere e proprie innovazioni per cui è richiesta l’unanimità dei consensi”.

Per cui, venendo in rilievo una ipotesi di nullità, e non di semplice annullabilità, conclude il tribunale, “va quindi disattesa l’eccezione di decadenza dell’impugnazione per decorso del termine di cui all’art. 1137 c.c., sollevata dal convenuto”.

amministratore comunione condominio poteri

Amministratore condominio e comunione: hanno poteri diversi A differenza dell'amministratore condominiale, quello della comunione non può agire in giudizio per i comunisti senza autorizzazione assembleare

Amministratore della comunione

L’amministratore della comunione non può agire in giudizio senza autorizzazione assembleare, in quanto (a differenza di quanto previsto per l’amministratore di condominio dall’art. 1131 c.c.) non è previsto, tra i poteri che ordinariamente gli spettano, quello di rappresentare in giudizio i comunisti. E’ quanto stabilito dal tribunale di Siracusa nella sentenza n. 764-2024 decidendo l’opposizione proposta da un comunista avverso il decreto ingiuntivo con cui l’amministratore, designato dall’autorità giudiziaria, gli intimava di pagare una somma per spese di manutenzione. L’opponente si doleva soprattutto del fatto che l’amministratore giudiziario, senza munirsi di autorizzazione assembleare, si era attivato per recuperare coattivamente le somme indicate nel piano di riparto, per cui chiedeva la revoca del decreto ingiuntivo e l’accertamento dell’inesistenza del diritto dell’opposto a procedere in via esecutiva.

Carenza di legittimazione attiva

Per il tribunale l’opposizione è fondata per carenza di legittimazione attiva dell’opposto/intimante. “Correttamente – afferma il giudice – l’odierno opponente si duole del fatto che l’amministratore ad acta nominato ai sensi dell’art. 1115, comma 4, c.c., si sia attivato per l’emissione dell’opposto titolo senza preventivamente richiedere l’autorizzazione dell’assemblea dei condomini”.

Invero, “costituisce orientamento consolidato – cui il giudice dichiara di prestare continuità – quello secondo cui ‘L’amministratore della comunione non può agire in giudizio in rappresentanza dei partecipanti contro uno dei comunisti in rappresentanza degli altri, mancando, in materia di comunione, una disposizione analoga a quella posta, per l’amministratore del condominio, dall’art. 1131 c.c., che, in via eccezionale, attribuisce a questi il potere di agire in giudizio sia contro i terzi che nei confronti dei condomini'” (cfr. Cass. n. 4209/2014).

La decisione

Nel caso di specie, non risulta che l’amministratore nominato ex art. 1105 comma 4 c.c. fosse stato investito del suddetto potere da parte dei comunisti, per cui il giudice dichiara l’insussistenza del diritto di procedere in via esecutiva nei confronti dell’opponente.

Allegati

danni terrazzo livello spese

Danni al terrazzo condominiale: ripartizione ex art. 1126 c.c. Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere precisa che i danni e le manutenzioni al terrazzo a livello di condominio si ripartiscono con l'art. 1126 c.c.

Danni al terrazzo condominiale

La terrazza a livello è paragonabile da un punto di vista giuridico, ad un lastrico solare, ed è quindi soggetta, in tema di ripartizione delle spese per la sua manutenzione, alle disposizioni di cui all’art. 1126 c.c. E’ quanto ha precisato il tribunale di Santa Maria Capua Vetere con la sentenza n. 1400-2024.

La vicenda

La vicenda ha per protagonista un condomino, proprietario di locali commerciali siti al pianterreno, che trascinava in giudizio i proprietari del terrazzo a livello sovrastante per sentirli condannare al suo rifacimento e al risarcimento dei danni arrecati ai locali di sua proprietà a causa delle infiltrazioni provenienti proprio dal terrazzo.

I convenuti si costituivano, eccependo l’improcedibilità della domanda per difetto di mediazione e contestandone la fondatezza nel merito. Inoltre, chiedevano di essere autorizzati a chiamare in garanzia la società assicurativa con cui avevano stipulato apposita polizza, ed agivano con domanda riconvenzionale per l’accertamento del debito maturato dall’attore nei loro confronti, per non aver mai contribuito alle spese di manutenzione della terrazza.

La causa, istruita attraverso l’espletamento di Ctu, celebrata in modalità cartolare, veniva trattenuta in decisione.

Mediazione non obbligatoria

In via preliminare, il tribunale disattende l’eccezione all’improcedibilità sollevata da parte convenuta e dalla terza chiamata, per mancato esperimento della mediazione, ossia perché la causa verte in materia accertativa e risarcitoria e dunque la mediazione non è obbligatoria “quando la domanda, come nel caso in esame, è riconducibile al risarcimento da fatto illecito ai sensi dell’art. 2051 c.c.”.

Ripartizione spese terrazza a livello

Nel merito, il giudice premette innanzitutto che la fattispecie in esame rientra nel c.d. condominio minimo. Per cui, “in riferimento alla qualifica della terrazza di proprietà esclusiva dei convenuti, va osservato che la stessa è paragonabile, da un punto di vista giuridico, ad un lastrico solare, trattandosi di una terrazza a livello e quindi soggetta, in tema di ripartizione delle spese per la sua manutenzione, a quanto disposto dall’art. 1126 c.c.”.

Per definizione, prosegue il giudicante, “la terrazza a livello è quella parte dell’edificio di cui gode esclusivamente un condomino, in quanto la struttura è accessibile solo dalla sua unità immobiliare, e che contemporaneamente funge anche da copertura a una o più unità immobiliari. Di norma, la terrazza si presenta come un ripiano scoperto, costruito per lo più a copertura dell’edificio stesso e recintato da un parapetto, così da consentire l’affaccio”, La terrazza a livello, “quindi, ha una doppia anima: da un lato, rappresenta un’estensione della singola proprietà privata e, dall’altro, funge da copertura per i piani sottostanti dell’edificio. Per queste sue caratteristiche, la terrazza a livello non deve necessariamente trovarsi sulla sommità dell’intero edificio, potendo sovrastare anche solo una parte del fabbricato. Poiché la terrazza a livello, anche quando è di proprietà esclusiva, conserva un’essenziale funzione di copertura dell’edificio, la manutenzione della stessa, in tema di ripartizione delle spese, è soggetta alla disciplina di cui all’art. 1126 c.c.: tanto nel caso di manutenzione e conservazione che in quello di risarcimento dei danni da infiltrazioni, le spese della terrazza a livello (o lastrico solare) che è causa del danno andranno così divise: 1/3 il proprietario o usuario esclusivo; 2/3 i restanti condòmini, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno”. Ciò in conformità anche a quanto chiarito dalla giurisprudenza di legittimità richiamata dallo stesso giudicante (cfr. Cass. n. 35316/2021; n. 20287/2017).

La decisione

Nel caso di specie, la consulenza in atti, ha confermato sia l’esistenza dei danni lamentati dall’attore alle unità immobiliari di sua proprietà sia la loro riconducibilità alla terrazza de qua. Inoltre, ha confermato che i vizi denunciati dal ricorrente risultavano definitivamente accertati e provocati, tra l’altro, dalla “scarsa e/o non adeguata manutenzione del lastrico solare”, da “errori costruttivi” mentre “non sono imputabili ad un cattivo utilizzo” da parte dei convenuti, ovvero che “le infiltrazioni non sono attribuibili ad interventi specifici realizzati dai proprietari che avrebbero potuto recare danno all’integrità della struttura”, il che esclude, a dire del giudice, “la possibilità di applicare la deroga al principio di ripartizione delle spese ex art. 1126 c.c.”. Per cui, afferma il tribunale, “pur ritenendo provati i danni lamentati dall’attore e la loro riconducibilità alla terrazza, tuttavia non potrà riconoscersi la responsabilità esclusiva dei proprietari della stessa, dovendo applicarsi il criterio di riparto ex art. 1126 c.c. delle spese relative ai lavori da eseguirsi all’interno dei locali”, solo 1/3 potrà addebitarsi ai convenuti, così come per i lavori da eseguire sul terrazzo.

Da qui l’accoglimento parziale della domanda e la compensazione delle spese di lite.

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Regolamento condominio: può prevedere termini più ampi per le convocazioni L’art. 66 disp. att. c.c. non rientra infatti tra le disposizioni inderogabili da parte del regolamento condominiale

Termine convocazione assemblea

Il termine previsto per la convocazione dell’assemblea può essere derogato dal regolamento di condominio, in quanto l’art. 66 disp. att. c.c. non rientra tra le disposizioni inderogabili. È quanto ha precisato il tribunale di Bari con sentenza n. 1994/2024, esprimendosi su una vicenda avente ad oggetto l’impugnazione di una delibera assembleare.

Nel caso di specie, i proprietari di un appartamento convenivano in giudizio il condominio chiedendo al giudice di dichiarare “illegittimo, inesistente, nullo e/o annullabile, inefficace e quindi, annullare l’intero deliberato assunto” dall’assemblea con condanna del convenuto alla soccombenza processuale.

In particolare deducevano di aver espresso la volontà di distaccarsi dal condominio e, a fronte dell’opposizione di quest’ultimo, di aver intrapreso procedura di mediazione, conclusasi con esito negativo e di aver ricevuto, infine, l’avviso di convocazione di assemblea straordinaria in ritardo, non potendo prendere parte alla stessa, al termine della quale l’organo assembleare aveva rigettato la domanda di fuoriuscita dalla comunione.

Da qui la richiesta di annullamento della delibera condominiale, in quanto adottata in violazione dell’art. 14 comma 2 del regolamento di condominio, il quale disponeva la convocazione a cura dell’amministratore almeno dieci giorni prima della data fissata per l’adunanza, e dell’art. 1105 comma 3 c.c.

Il regolamento di condominio

Il giudice dà loro ragione. Come noto, afferma infatti il tribunale, “a lume dell’art. 1138 c.c., qualora in un edificio il numero dei condomini sia superiore a dieci, è necessaria la predisposizione di un regolamento, il quale oltre a contenere le norme circa l’uso delle cose comuni, la ripartizione delle spese e per la tutela del decoro dell’edificio, disciplina pure l’attività amministrativa della cosa comune”.

Le norme del regolamento, prosegue il giudice, “non possono in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino”, e in nessun caso derogare alle disposizioni che costituiscono “norme inderogabili” per espresso dettato normativo; ben potendo, tuttavia, derogare alle altre norme di legge, “rientrando tale facoltà nell’alveo della libertà negoziale riconosciuta ai singoli”.

Tra le norme inderogabili, afferma quindi il giudicante, “sicuramente non rientra l’art. 66 disp. att. c.c, nella parte in cui prevede un termine entro cui la convocazione assembleare deve essere comunicata ai singoli condomini, a maggior ragione ove – come avvenuto nella specie – il regolamento stabilisca un termine più ampio – di giorni dieci e, dunque, in melius – rispetto a quello – di giorni cinque – previsto dall’art. 66 cit.”.

Ritardo nell’avviso di convocazione

Peraltro, osserva il tribunale, “è principio ormai consolidato quello secondo cui ogni condomino, avendo il diritto di intervenire all’assemblea, deve perciò essere messo in condizione di poterlo fare, con la conseguente necessità che l’avviso di convocazione, quale atto unilaterale recettizio, sia non solo inviato ma anche ricevuto nel termine stabilito dalla legge o, come nella specie, dal regolamento condominiale, avendo riguardo alla riunione dell’assemblea in prima convocazione”.

Da quanto precede derivata, pertanto, “che il mancato rispetto di tale termine di ricezione dell’avviso da parte dell’avente diritto costituisce motivo di annullamento della delibera assembleare, ai sensi dell’art. 1137 c.c.”.

Conclusione che, peraltro, trova conforto, nel testo ora vigente dell’art. 66 comma c.c., il quale dispone che “in caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile ai sensi dell’articolo 1137 del codice su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati”.

La decisione

Per cui, facendo applicazione delle enunciate coordinate ermeneutiche al caso di specie, la comunicazione della convocazione dell’assemblea è da ritenersi tardiva, e, per l’effetto, annullabile. Da qui, l’accoglimento della spiegata domanda.

 

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