contributo unificato

Contributo unificato: cosa cambia dal 2025 Contributo unificato: la circolare del Ministero della Giustizia sulle novità della manovra 2025 relative a mancato pagamento e recupero

Contributo unificato: novità della manovra 2025

La Legge di Bilancio 2025 introduce importanti cambiamenti per il versamento del contributo unificato nei procedimenti civili. Le nuove norme, in vigore dal 1° gennaio 2025, mirano a garantire maggiore precisione nei pagamenti e incidono direttamente sull’iscrizione a ruolo delle cause. Le novità della manovra 2025 relative anche a mancato pagamento e recupero sono state esplicitate in una circolare del ministero della Giustizia del 30 dicembre 2024.

Nuove disposizioni sull’iscrizione a ruolo

In base al nuovo comma 3.1, aggiunto all’articolo 14 del D.P.R. 115/2002, una causa civile non può essere iscritta a ruolo senza il pagamento del contributo unificato previsto. L’importo minimo da versare è pari a 43 euro, secondo quanto previsto dall’articolo 13, comma 1, lettera a) dello stesso decreto.

In pratica:

  1. se il contributo dovuto è pari o inferiore a 43 euro, l’iscrizione a ruolo è possibile solo con il versamento dell’importo nella misura dovuta per intero;
  2. se il contributo è superiore a 43 euro, la parte che iscrive la causa deve pagare almeno 43 euro. Eventuali somme mancanti verranno recuperate successivamente.

Queste regole non modificano le esenzioni già previste dalla legge. Le parti esentate continueranno a non dover nulla. Inoltre, se l’importo dovuto è inferiore a 43 euro, sarà sufficiente versare la somma minore.

Recupero delle somme mancanti dovute

In caso di versamento parziale del contributo unificato, la legge di bilancio introduce nuove modalità per il recupero delle somme mancanti. L’articolo 248 del D.P.R. 115/2002 si arricchisce del comma 3-bis. Questa disposizione prevede che, trascorsi 30 giorni dall’iscrizione a ruolo o dal momento in cui sorge l’obbligo di pagamento, l’ufficio competente o Equitalia Giustizia Spa ( in presenza di apposita convenzione) procedano al recupero delle somme tramite iscrizione a ruolo. Il recupero include interessi legali e sanzioni.

La riscossione avviene secondo le norme previste dall’articolo 32 del D.Lgs. 46/1999, che disciplinala riscossione e spontanea a mezzo ruolo, applicando anche le disposizioni contenute nell’articolo 25, comma 2, del D.P.R. 602/1973. Detta norma dispone nello specifico che la cartella di pagamento, redatta in conformità al modello approvato con decreto del Ministero delle finanze, contiene l’intimazione ad adempiere l’obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione, con l’avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata.”

Entrata in vigore e norme transitorie

Le nuove regole si applicano esclusivamente alle controversie iscritte a ruolo dal 1° gennaio 2025. Per quelle iscritte fino al 31 dicembre 2024, continuano a valere le norme precedenti, indipendentemente dalla fase processuale in cui si trovano.

Obiettivo delle modifiche

Con questa riforma, il Ministero punta a garantire maggiore trasparenza e tempestività nei versamenti. Le novità riducono il rischio di contenziosi legati a omissioni parziali e semplificano il recupero delle somme dovute.

La manovra 2025 segna quindi un passo avanti nella gestione delle spese di giustizia, con effetti immediati sull’accesso alla tutela legale.

 

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Allegati

amministratori di società

Amministratori di società: pec obbligatoria Gli amministratori di società costituite a partire dal 1° gennaio 2025 dovranno munirsi di una pec personale

PEC obbligatoria per gli amministratori di società

Dal 1° gennaio 2025, una novità importante entra in vigore per le aziende italiane: tutti gli amministratori di società dovranno avere una casella di posta elettronica certificata (PEC) personale. Lo stabilisce la legge di bilancio 2025.

La PEC è come una raccomandata digitale: garantisce che un messaggio sia stato inviato e ricevuto, e funge da prova legale. L’obiettivo di questa nuova norma è rendere la comunicazione tra aziende e amministrazione pubblica più sicura e tracciabile.

Amministratori di società: cosa cambia nella pratica?

Fino ad ora, era sufficiente che l’azienda avesse una PEC. Da ora in poi, ogni amministratore dovrà avere la sua PEC personale, che dovrà essere comunicata al Registro delle Imprese.

Dubbi sulla novità normativa

La novità suscita alcune perplessità per i seguenti motivi:

  • per le aziende con molti amministratori, gestire più PEC potrebbe essere un po’ complicato;
  • la legge non specifica se si può usare la PEC aziendale anche per le comunicazioni personali dell’amministratore;
  • la norma si applica solo alle nuove società, ma non è chiaro cosa accadrà per quelle già esistenti.

In conclusione la PEC per gli amministratori di società è una novità che mira a rendere la comunicazione aziendale più sicura e trasparente. Anche se ci sono ancora alcuni aspetti da chiarire, è importante essere pronti a questa nuova esigenza.

pacchetto giustizia 2025

Pacchetto giustizia 2025: contributo unificato in primo piano Pacchetto giustizia 2025: divieto di iscrizione cause civili se non si paga il contributo unificato, sanzionati atti e documenti “pesanti”

Pacchetto giustizia 2025: novità nella manovra 2025

Il pacchetto giustizia della manovra 2025 prevede poche misure di rilievo e incentrate soprattutto sugli adempimenti fiscali collegati ai processi.

Vediamo quelle di maggiore interesse.

Contributo unificato: quali novità?

Le modifiche introdotte dal comma 812 aggiornano il decreto del Presidente della Repubblica n. 115/2002 e mirano a ottimizzare la gestione del contributo unificato nei procedimenti civili. Si stabilisce in particolare che una causa civile può essere iscritta a ruolo solo dopo il versamento minimo previsto per il contributo unificato.

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Si attribuisce a Equitalia Giustizia S.p.A., in presenza di specifica convenzione, il compito di avviare il recupero immediato in caso di mancato pagamento, comprendendo interessi e sanzioni. Queste misure riducono i rischi di insolvenza, semplificano i procedimenti e velocizzano la riscossione, eliminando passaggi burocratici inutili.

Il comma 813 introduce invece nell’ambito del processo amministrativo, una sanzione pecuniaria decisa dal giudice, per atti processuali che superano i limiti dimensionali previsti, che può arrivare fino al doppio dell’importo dovuto a titolo di contributo unificato.

Il comma 814 aumenta invece il contributo unificato per le controversie sulla cittadinanza italiana, portandolo da 518 a 600 euro per ciascun ricorrente. Questa modifica interessa procedimenti civili semplificati e punta a incrementare il gettito erariale, pur non quantificabile con precisione.

Queste innovazioni mirano a rendere i procedimenti più efficienti e ad assicurare un miglior recupero delle somme dovute, migliorando l’equilibrio tra semplificazione amministrativa e tutela delle finanze pubbliche.

Copie di atti e documenti

La norma contenuta nel comma 815 aggiorna le modalità di rilascio di copie di atti e documenti in formato non cartaceo, armonizzandole con il sistema telematico. Si interviene sul DPR 115/2002, estendendo l’esonero dal pagamento dei diritti di copia non autenticata per difensori e parti private che scaricano direttamente dal portale telematico senza assistenza del personale.

Viene introdotto l’articolo 269-bis, che impone il versamento di un diritto forfettizzato nella misura indicata nella tabella di cui all’allegato 8 per la trasmissione di duplicati o copie informatiche di atti e decrementi del procedimento penale da parte della segreteria o della cancelleria.

La norma  in questo modo migliora l’efficienza processuale e incrementa le entrate erariali. Si eliminano supporti obsoleti come CD e cassette.

Pacchetto giustizia 2025: le altre misure

Il comma 816 estende l’inviolabilità dei fondi destinati “a servizi e finalità di sanità pubblica nonché al pagamento di emolumenti di qualsiasi tipo comunque dovuti al personale amministrato o di spese per servizi e forniture prestati agli uffici medesimi” al pagamento di tasse e tributi, per evitare esecuzioni forzate che generano costi aggiuntivi per l’amministrazione.

Il comma 817 rivede invece le procedure di pagamento per l’equa riparazione per processi irragionevolmente lunghi. Si introduce la trasmissione telematica obbligatoria delle istanze e documentazioni. I termini di validità delle dichiarazioni passano da sei mesi a due anni, e gli interessi sulle somme tardive non decorrono. È previsto un piano per smaltire l’arretrato dei pagamenti entro il 2026, riducendo contenziosi e interessi passivi.

Il comma 819 stabilisce che il Ministero della Giustizia, per ridurre i ritardi nei pagamenti connessi ai ricorsi per la durata irragionevole dei processi (legge n. 89/2001), collabori con l’Associazione Formez PA nel biennio 2025-2026. Formez PA supporterà l’organizzazione delle fasi di pagamento, migliorando l’efficienza e affrontando le criticità sollevate dalla procedura di infrazione europea sui ritardi di pagamento. Questa misura rientra nella riforma del PNRR per accelerare i pagamenti delle amministrazioni pubbliche.

Collaborazione che è già iniziata grazie al progetto “PintoPaga”.

II comma 821 prevede che il Ministero della Giustizia monitori e valuti l’efficienza delle procedure di pagamento tramite dati telematici. L’obiettivo è verificare la validità delle richieste e migliorare la gestione delle risorse destinate agli indennizzi. L’amministrazione liquiderà i pagamenti solo in presenza di documentazione completa e correttamente trasmessa, ottimizzando l’utilizzo delle somme stanziate per i risarcimenti.

 

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certificato medico

Riforma disabilità: certificato medico introduttivo L'Inps illustra la nuova modalità di avvio del procedimento che prevede l'invio telematico del "certificato medico introduttivo"

Riforma disabilità: i chiarimenti Inps

Con il messaggio 28 novembre 2024, n. 4014 l’Inps ha comunicato che a partire dal 1° gennaio 2025, nelle province di Brescia, Trieste, Forlì-Cesena, Firenze, Perugia, Frosinone, Salerno, Catanzaro e Sassari, prende il via il procedimento per l’accertamento della condizione di disabilità, che prevede l’invio telematico all’INPS del nuovo “certificato medico introduttivo”.  Fino al 31 dicembre 2024, inoltre, l’istituto fa presente che per tutti i certificati introduttivi redatti, il medico certificatore deve comunicare al cittadino che, se è residente (e domiciliato) o domiciliato (ovunque sia residente) in una delle nove province sopraindicate, la domanda amministrativa deve essere presentata all’INPS entro il 31 dicembre.

La riforma della disabilità

Il D.Lgs. 3 maggio 2024, n. 62, recante “Definizione della condizione di disabilità, della valutazione di base, di accomodamento ragionevole, della valutazione multidimensionale per l’elaborazione e attuazione del progetto di vita individuale personalizzato e partecipato”, ha riformato i criteri e le modalità di accertamento della condizione di disabilità, prevedendo una “Valutazione di Base” affidata in via esclusiva all’INPS su tutto il territorio nazionale a partire dal 1° gennaio 2026 e, dal 1° gennaio 2025, ai sensi dell’articolo 33 del medesimo decreto legislativo, l’avvio di una sperimentazione della durata di dodici mesi, che coinvolgerà 9 province, individuate dall’articolo 9, comma 1, del dl 31 maggio 2024, n. 71, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2024, n. 106, di seguito indicate: Brescia, Trieste, Forlì-Cesena, Firenze, Perugia, Frosinone, Salerno, Catanzaro e Sassari.

Il certificato medico introduttivo

Una delle novità della riforma di cui al decreto legislativo n. 62/2024 è rappresentata dalla nuova modalità di avvio del procedimento valutativo di base, che prevede l’invio telematico all’INPS del nuovo “certificato medico introduttivo”, il quale rappresenterà l’unica procedura per la presentazione dell’istanza, volta all’accertamento della disabilità, che non dovrà essere più completata con l’invio della “domanda amministrativa” da parte del cittadino o degli Enti preposti e abilitati (cfr. l’art. 8 del decreto legislativo n. 62/2024).

Per tutti i certificati introduttivi redatti fino al 31 dicembre 2024 il medico certificatore deve comunicare al cittadino che se è residente (e domiciliato) o domiciliato (ovunque sia residente) in una delle 9 province in sperimentazione, la domanda amministrativa deve essere presentata all’INPS entro il 31 dicembre 2024. Pertanto, il certificato introduttivo redatto dal medico certificatore secondo le attuali modalità è utilizzabile, nelle province di Brescia, Trieste, Forlì-Cesena, Firenze, Perugia, Frosinone, Salerno, Catanzaro e Sassari, esclusivamente fino al 31 dicembre 2024.

A decorrere dal 1° gennaio 2025, nelle suddette 9 province individuate dal decreto-legge n. 71/2024, l’avvio del procedimento per l’accertamento della condizione di disabilità dovrà avvenire unicamente tramite il nuovo “certificato medico introduttivo”.

Certificato medico introduttivo: profilazione dei medici

L’INPS con il messaggio n. 4512 del 31.12.2024, che segue il n. 4364 del 19.12.2024 e il n. 4465 del 27.12. 2024, precisa che i medici che si profilano per la prima volta per compilare e trasmettere all’INPS il certificato medico introduttivo devono richiedere l’abilitazione tramite il modulo “AP110”, scaricabile dal sito dell’INPS e da inviare tramite PEC alla struttura territorialmente competente dell’Istituto. Una volta abilitati, possono accedere alla procedura per redigere il certificato.

I medici del SSN (art. 8, comma 1, primo periodo, D. Lgs. 62/2024) devono spuntare la struttura sanitaria di appartenenza, mentre gli altri (es. medici di medicina generale, pediatri, liberi professionisti) devono spuntare la dichiarazione attestante il completamento o l’avvio del dossier formativo di gruppo. I medici devono dichiarare inoltre di possedere una firma digitale.

Dal 1° gennaio 2025, per rendere più facile la compilazione del certificato, un “instradatore” guida i medici in base alla provincia di domicilio/residenza del paziente. Nelle 9 province in sperimentazione (es. Brescia, Firenze, Catanzaro), la compilazione del nuovo certificato digitale vale come istanza di valutazione di disabilità. Nelle altre province invece, si utilizza il vecchio certificato, che va associato entro 90 giorni a una domanda amministrativa di invalidità civile o altra condizione prevista dalla normativa.

usufrutto guida

Usufrutto: guida breve Usufrutto: guida breve al diritto reale più ampio che consente al titolare di godere di un bene altrui anche per tutta la vita

Usufrutto nel codice civile

L’usufrutto è uno dei diritti reali di godimento disciplinati dal Codice Civile italiano, dall’articolo 978 e seguenti. Si tratta di un istituto giuridico che consente all’usufruttuario di utilizzare e godere di un bene altrui, traendone i frutti, senza tuttavia che lo stesso possa modificarne la destinazione economica e acquisirne la proprietà.

Cos’è l’usufrutto?

Ai sensi dell’articolo 978 del Codice Civile, l’usufrutto è il diritto di godere di un bene altrui, con l’obbligo di rispettarne la destinazione economica. Esso può riguardare beni mobili, immobili o universalità di beni, come un’azienda o un patrimonio ereditario.

L’usufruttuario ha il diritto di utilizzare il bene come se fosse il proprietario, ma deve preservarne l’integrità per restituirlo al nudo proprietario al termine del periodo stabilito.

Oggetto

L’oggetto di questo istituto è molto ampio e comprende beni mobili, immobili e anche diritti. La regola generale è che il bene deve essere infungibile o inconsumabile per poter essere restituito. Il quasi-usufrutto rappresenta un’eccezione, riguardando beni consumabili che, per loro natura, non possono essere restituiti in natura. In questo caso, l’usufruttuario acquista la proprietà del bene consumato e ha l’obbligo di corrispondere il suo valore al termine dell’usufrutto.

Costituzione

L’usufrutto può nascere in diversi modi:

  • per legge: i genitori, ad esempio, hanno l’usufrutto legale sui beni dei figli minorenni;
  • per contratto: è la modalità più comune, ma richiede la forma scritta e la trascrizione;
  • per testamento: il testatore può lasciare in usufrutto un bene a una persona;
  • per usucapione: acquisendo il diritto mediante il possesso prolungato nel tempo.

Durata

L’usufrutto può essere:

  • temporaneo: con una durata determinata contrattualmente o stabilita dalla legge;
  • vitalizio: termina con la morte dell’

In base all’articolo 979 del Codice Civile, questo diritto reale non può eccedere la vita dell’usufruttuario e, nel caso di enti giuridici, non può durare per più di 30 anni.

Diritti e doveri dell’usufruttuario

L’usufruttuario gode di ampi diritti sull’uso del bene:

  • uso e godimento: può utilizzare il bene personalmente o concederlo in locazione a terzi (art. 980 c.c.);
  • frutti: ha diritto ai frutti naturali e civili del bene, come prodotti agricoli o rendite da affitto (art. 984 c.c.),
  • modifiche migliorative: può apportare migliorie al bene, ma senza alterarne la destinazione economica.

A fronte di questi diritti l’usufruttuario ha anche tutta una serie di obblighi:

  • conservazione del bene: deve utilizzare il bene come un buon padre di famiglia, evitando deterioramenti (art. 1001 c.c.);
  • riparazioni ordinarie: egli è tenuto a sostenere le spese di manutenzione ordinaria (art. 1004 c.c.), mentre quelle straordinarie spettano al nudo proprietario;
  • garanzia: in caso di costituzione contrattuale, l’usufruttuario potrebbe essere obbligato a prestare garanzia per tutelare il nudo proprietario (art. 1002 c.c.).

Estinzione dell’usufrutto

L’usufrutto si estingue in diverse circostanze, come previsto dagli articoli 1014 e seguenti del Codice Civile:

  • morte dellusufruttuario: per gli usufrutti vitalizi;
  • scadenza del termine: se è temporaneo;
  • consolidazione: quando il diritto di usufrutto si unisce alla proprietà nello stesso soggetto;
  • perimento del bene: se il bene su cui grava viene distrutto;
  • rinuncia: volontà dell’usufruttuario di rinunciare al diritto.

Usufrutto e nuda proprietà

Il rapporto tra usufruttuario e nudo proprietario è centrale nell’usufrutto. Il nudo proprietario mantiene il diritto di proprietà, ma non può godere del bene fino alla cessazione di questo diritto reale. Questo equilibrio consente una gestione condivisa del bene, con benefici reciproci.

Implicazioni pratiche

L’istituto trova ampia applicazione in ambito familiare e commerciale. Spesso è utilizzato per garantire il sostentamento di un coniuge superstite, per la gestione di patrimoni immobiliari o come strumento per pianificazioni successorie. Un genitore infatti può decidere di mantenere l’usufrutto su un immobile donato ai figli, assicurandosi così il diritto di abitazione.

 

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alloggi popolari

Alloggi popolari: incostituzionale il requisito dei 10 anni di residenza Alloggi popolari: la Corte Costituzionale ha dichiarato l'illegittimità del requisito dei 10 anni di residenza per l'edilizia pubblica in Trentino

Alloggi popolari: illegittimi 10 anni di residenza

Alloggi popolari: la Corte costituzionale, con la sentenza n. 1 del 2025, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di alcune disposizioni della legge della Provincia autonoma di Trento n. 15 del 7 novembre 2005. Tali norme prevedevano che, per accedere a benefici in materia di edilizia residenziale pubblica, come l’assegnazione di alloggi a canone sostenibile e il contributo integrativo per il canone di locazione, fosse necessario avere una residenza in Italia di almeno 10 anni, di cui gli ultimi due continuativi.

Le ragioni dell’illegittimità costituzionale

La Corte costituzionale ha ritenuto che queste disposizioni violassero i princìpi di uguaglianza e ragionevolezza sanciti dall’articolo 3 della Costituzione. Inoltre, esse si ponevano in contrasto con l’articolo 117, primo comma, della Costituzione, che richiama il rispetto del diritto dell’Unione europea, e con il principio di parità di trattamento previsto per i soggiornanti di lungo periodo.

In particolare, il requisito della residenza decennale limitava il diritto di accesso alle prestazioni sociali e agli alloggi pubblici, discriminando i soggiornanti di lungo periodo rispetto ai cittadini italiani, nonostante il diritto europeo garantisca pari trattamento in questi ambiti.

Il ruolo del diritto dell’Unione europea

La Corte costituzionale ha sottolineato la sua legittimazione a intervenire su questioni che coinvolgono il diritto europeo, soprattutto quando vi è un nesso con interessi di rilevanza costituzionale. Pur in presenza di norme europee direttamente applicabili, spetta al giudice italiano individuare il rimedio più idoneo per garantire l’effettività del diritto dell’Unione e il rispetto dei princìpi costituzionali italiani.

La tutela della dignità e dei diritti fondamentali

Secondo la Corte, prestazioni come l’accesso agli alloggi pubblici svolgono un ruolo essenziale nel garantire un’esistenza dignitosa, contribuendo alla piena realizzazione della persona umana e all’effettivo esercizio di altri diritti costituzionali. Il requisito della residenza decennale non è giustificato e non presenta una correlazione diretta con il bisogno abitativo, finendo per discriminare proprio chi si trova in condizioni di maggiore disagio.

Le criticità del requisito della residenza decennale

La rigidità del requisito dei 10 anni di residenza penalizza chi è costretto a trasferirsi frequentemente a causa di condizioni di vita precarie. Questa limitazione colpisce in particolare i soggiornanti di lungo periodo, che possono vantare una permanenza quinquennale sufficiente per ottenere il permesso di soggiorno UE, ma che difficilmente riescono a soddisfare il requisito della residenza decennale richiesto dalla normativa trentina.

responsabilità contrattuale

Responsabilità contrattuale: la guida Responsabilità contrattuale: istituto che prevede l’obbligo del debitore di risarcire  al creditore il danno causato dal proprio inadempimento

Responsabilità contrattuale: cos’è

Il nostro ordinamento giuridico prevede due principali forme di responsabilità civile: quella contrattuale e quella extracontrattuale. Sebbene entrambe mirino a riparare il danno causato a un soggetto, esse si fondano su presupposti e meccanismi differenti. In questo articolo ci concentreremo sulla responsabilità contrattuale, che rappresenta un istituto fondamentale del nostro ordinamento giuridico, volto a tutelare i diritti dei creditori e a garantire l’esatto adempimento delle obbligazioni assunte. Di questo istituto è importante analizzare i fondamenti, le caratteristiche e le differenze rispetto alla responsabilità extracontrattuale.

La responsabilità contrattuale: norma di riferimento

La responsabilità contrattuale trova il suo fondamento nell’inadempimento di un’obbligazione assunta in forza di un contratto o di un altro atto o fatto idoneo a produrla. L’articolo 1218 del codice civile stabilisce che il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, a meno che non provi che l’inadempimento è dipeso da una causa a lui non imputabile.

La diligenza del debitore

Il debitore, nell’adempiere la propria obbligazione, deve usare la diligenza del buon padre di famiglia. Questo significa che deve agire con la prudenza e l’attenzione che una persona normalmente previdente adopera per i propri affari. Nel caso di attività professionali, la diligenza richiesta è quella specifica del professionista medio.

L’onere della prova

Una delle principali differenze tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale riguarda l’onere della prova. Nel caso della responsabilità contrattuale, si applica il principio della presunzione di colpa del debitore. Ciò significa che il creditore danneggiato deve provare l’esistenza del contratto, l’inadempimento del debitore e l’entità del danno subito. Spetterà poi al debitore dimostrare che l’inadempimento è dipeso da una causa a lui non imputabile, come un evento imprevedibile e inevitabile.

Il risarcimento del danno

Il danno risarcibile in caso di responsabilità contrattuale comprende sia il danno emergente, ossia la perdita effettivamente subita dal creditore, sia il lucro cessante, ovvero il mancato guadagno. Tuttavia, se l’inadempimento non è doloso, il risarcimento è limitato al danno che poteva prevedersi al momento in cui è sorta l’obbligazione.

La prescrizione

L’azione per il risarcimento del danno derivante da responsabilità contrattuale si prescrive in dieci anni, ai sensi dell’articolo 2946 del codice civile. Questo termine può essere ridotto in presenza di disposizioni specifiche relative a determinate tipologie di contratti.

Differenze con responsabilità extracontrattuale

La distinzione tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale è di fondamentale importanza, in quanto comporta diverse conseguenze in termini di onere della prova, risarcimento del danno e termini di prescrizione. La responsabilità contrattuale trova la sua fonte nel contratto o in un fatto idoneo a produrre obbligazioni.  La distribuzione dell’onere della prova prevede che il  creditore provi l’inadempimento e il danno, mentre il debitore l’impossibilità della prestazione. Il  danno risarcibile comprende sia il danno emergente che il lucro cessante, ma può essere limitato al danno prevedibile se l’inadempimento non è doloso. Salvo diversa disposizione di legge il diritto al risarcimento del danno si prescrive in dieci anni.

La responsabilità contrattuale trova la sua origine in un fatto illecito (comportamento contrario a norme di legge, di costume o di contratto). La distribuzione dell’onere probatorio prevede che il danneggiato debba provare tutti gli elementi costitutivi del fatto illecito (fatto dannoso, dolo o colpa, nesso di causalità, danno ingiusto). Il soggetto danneggiato può chiedere il risarcimento di tutti i danni, prevedibili e non prevedibili. Il diritto al risarcimento si prescrive nel termine di 5 anni.

Responsabilità contrattuale: ultime della Cassazione

Vediamo come si è pronunciata di recente la Corte di Cassazione sulla responsabilità contrattuale:

Cassazione n. 28420/2024: L’articolo 1218 del codice civile esonera il creditore dell’obbligazione non adempiuta dall’onere di provare la colpa del debitore, attribuendo al debitore l’onere di dimostrare che l’inadempimento o il ritardo nell’adempimento siano stati causati da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Tuttavia, tale disposizione non solleva il creditore dall’obbligo di dimostrare il nesso causale tra la condotta del debitore e l’inadempimento che costituisce la fonte del danno di cui si chiede il risarcimento. L’assorbimento del nesso eziologico nell’inadempimento, infatti, non implica la sua irrilevanza né sul piano sostanziale né su quello processuale. In particolare, non elimina la necessità di valutare le ricadute sulla distribuzione dell’onere probatorio. Tale assorbimento deve essere interpretato come una forma di prova presuntiva della sua esistenza, fondata sul fatto che, nella normalità dei casi, il nesso causale è intrinsecamente legato all’inadempimento stesso. Questo perché l’inadempimento si concretizza nella violazione dell’interesse del creditore, che a sua volta rappresenta l’evento dannoso da cui discendono le conseguenze risarcitorie. In altre parole, il nesso di causalità tra l’inadempimento e il danno è generalmente implicito nella natura stessa dell’inadempimento, ma ciò non esime il creditore dal fornire adeguata dimostrazione, ove necessario, dell’esistenza di tale collegamento causale nei termini richiesti dalla fattispecie concreta. (Cassazione, Sez. 3, Ordinanza n. 12760 del 9 maggio 2024).

Cassazione n. 30439/2024: L’obbligazione di risarcimento del danno derivante da inadempimento contrattuale, analogamente a quella risarcitoria derivante da responsabilità extracontrattuale, deve essere qualificata come debito di valore e non di valuta. Essa rappresenta il surrogato dell’utilità concreta che il creditore avrebbe ottenuto se la prestazione contrattuale fosse stata adempiuta. Di conseguenza, nel calcolo del risarcimento si deve considerare l’eventuale svalutazione monetaria intervenuta nel tempo, senza che sia necessario per il creditore dimostrare o allegare il maggior danno previsto dall’art. 1224, secondo comma, del codice civile.

 

Leggi anche: Responsabilità precontrattuale

piattaforma send

Piattaforma Send per le notifiche digitali L'Inps ha reso nota l'adesione alla Piattaforma Send per le notifiche digitali degli atti della Pubblica amministrazione

Piattaforma Send per le notifiche

L’Inps con il messaggio n. 4121 del 5 dicembre 2024 ha reso nota l’adesione alla Piattaforma Send per la notificazione degli atti della pubblicazione amministrazione.

La piattaforma, prevista dall’art. 1 comma 402 della legge finanziaria 2020, è stata prevista dal decreto Semplificazioni (dl n., 76/2020) ed è accessibile dai destinatari direttamente (tramite Spid) o App IO,
Attraverso Send si garantisce, spiega l’Inps, la “certezza degli effetti giuridici della notifica anche se è stato depositato in piattaforma il relativo avviso di mancato recapito o in caso di irreperibilità assoluta del destinatario”.

Le prime notifiche tramite SEND sono effettuate a partire da dicembre 2024 relative ai provvedimenti di Riscatti, Ricongiunzioni e Rendite della gestione privata; a seguire, di rinuncia, rigetto, decadenza, revoca ADI/SFL 2024 e recuperi di somme non dovute quali bonus indennità una tantum Area Pensioni.

danno da shock

Danno da shock: riconosciuto dalla Cassazione Danno da shock: per la S.C. va risarcito il cliente del supermercato che mangia la zuppa con dentro gli insetti

Danno da shock per il cliente del supermercato

Il risarcimento del danno da shock, spesso complesso da quantificare, è stato oggetto di attenzione da parte della Cassazione in un caso singolare quanto significativo. Nell’ordinanza n. 31730/2024 la Cassazione sottolinea come il giudice che intende discostarsi dalle conclusioni della CTU che riconosce il danno deve fornire una motivazione specifica per questa decisione, non una meramente apparente.

Danno da shock richiesta danni rigettata

La vicenda ha inizio nel 2011, quando un consumatore, mangiando una zuppa rustica acquistata presso un supermercato, ingerisce involontariamente alcuni insetti presenti nel prodotto. Questo evento gli causa dolori gastrici, documentati dal pronto soccorso con la diagnosi di “sindrome dispeptica”. Nel 2016, l’acquirente cita in giudizio il supermercato e il produttore, chiedendo il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali subiti. Il Tribunale nel 2020 riconosce la responsabilità del supermercato per la vendita del prodotto contaminato e stabilisce un risarcimento di 3.000 euro. Contestualmente impone al supermercato di rifondere le spese processuali. Successivamente, il produttore e la sua compagnia assicuratrice vengono coinvolti nel procedimento. La causa prosegue infatti in appello. In questa sede il supermercato cerca di ribaltare la sentenza. La Corte d’appello però conferma la responsabilità del supermercato e accoglie l’appello incidentale, condannando il produttore a manlevare il supermercato e la compagnia assicurativa a coprire il produttore. La Corte tuttavia rigetta la richiesta dell’attore per i danni da shock psichico.

Motivi specifici se il giudice si discosta dalla CTU

Il caso arriva in Cassazione, dove gli Ermellini accolgono il ricorso dell’attore. La Suprema Corte rileva come la Corte d’appello abbia fornito una motivazione apparente nel rigettare il danno da shock. La stessa infatti non ha considerato adeguatamente le risultanze della consulenza tecnica d’ufficio (CTU). La consulenza, infatti, ha accertato l’esistenza di un danno biologico del 9% riconducibile all’evento. Essa si fonda su una valutazione psicodiagnostica, che include test strutturati e analisi del comportamento. Nonostante ciò, il giudice d’appello si è discostato dalle conclusioni, senza fornire però motivazioni sufficienti e dettagliate.

A questo proposito la Cassazione ricorda che il giudice che intende discostarsi dalle conclusioni di una CTU deve motivare in modo specifico la propria decisione. Una semplice adesione generica o un rigetto apodittico non sono sufficienti. Nel caso in esame, la Corte d’appello ha basato il proprio rigetto su rilievi frammentari, come una nota anamnestica del pronto soccorso, senza verificare l’attendibilità delle fonti o delle preesistenti condizioni psichiche del ricorrente.  

Nuova valutazione del danno da shock

La Cassazione evidenzia come la motivazione offerta dal giudice d’appello sia carente, perché non analizza in modo concreto le censure sollevate. La stessa inoltre non considera per nulla le indagini svolte dal CTU, svuotandone il significato. Questa carenza porta alla cassazione della sentenza d’appello e al rinvio del caso alla Corte d’appello in diversa composizione.

Questo caso sottolinea la complessità nell’accertare e risarcire il danno da shock. Per questo la Suprema Corte ha riaffermato l’importanza di una motivazione solida e analitica, soprattutto quando si discosta da una CTU. Il danno psichico, spesso difficile da provare, richiede infatti un esame accurato delle evidenze mediche e psicologiche.

Allegati

responsabilità precontrattuale

Responsabilità precontrattuale Responsabilità precontrattuale: violazione dei principi base nelle trattative contrattuali sanciti dagli artt. 1337 e 1338 c.c. 

Responsabilità precontrattuale, cos’è

La responsabilità precontrattuale civile rappresenta un aspetto fondamentale del diritto civile italiano, in materia di contratti. Essa è disciplinata fondamentalmente dagli articoli 1337 e 1338 del codice civile. La stessa si configura quando una delle parti viola il principio di buona fede durante la fase le trattative contrattuali o nella formazione dell’accordo. La responsabilità precontrattuale civile si fonda quindi sull’obbligo di correttezza e buona fede, costituendo una garanzia fondamentale per il corretto svolgimento della fase che precede la stipula vera e propria dell’accordo.

Buona fede e lealtà nelle trattative: art. 1337 c.c.

L’articolo 1337 c.c. impone alle parti di agire con buona fede, comportandosi lealmente e nel rispetto degli interessi reciproci. Questo obbligo risulta violato in presenza di alcuni comportamenti, tra i quali rivestono particolare rilievo i seguenti:

  • interruzione immotivata delle trattative: soprattutto se l’altra parte confidava ragionevolmente nella conclusione del contratto;
  • omissione di informazioni rilevanti: come le cause di invalidità del contratto conosciute dalla parte che le nasconde (art. 1338 c.c.);
  • condotte ingannevoli o pregiudizievoli: che si realizzano quando, ad esempio, si induce una controparte a stipulare un contratto svantaggioso o lesivo.

Queste violazioni possono causare un danno risarcibile, comprendente sia il danno emergente (spese sostenute) che il lucro cessante (perdita di opportunità economiche).

Responsabilità precontrattuale civile: natura

Sulla qualificazione della natura della responsabilità precontrattuale civile il dibattito giuridico è ancora aperto. Alcuni ritengono che la stessa abbia extracontrattuale, basandosi sull’articolo 2043 c.c., altri invece la considerano di natura contrattuale, facendo riferimento all’articolo 1218 c.c. Indipendentemente dalla sua natura però tutti sono concordi nel ritenere che questa responsabilità tuteli l’interesse negativo, ovvero il diritto a non essere coinvolti in trattative infruttuose.

Contratti per adesione: regole e limiti particolari

I contratti per adesione, spesso caratterizzati da clausole prestabilite, devono rispettare particolari formalità per evitare abusi nella fase delle trattative. Gli articoli 1341 e 1342 c.c. regolano queste situazioni, stabilendo che:

  • le condizioni generali dell’accordo sono valide solo se il cliente le ha conosciute o avrebbe dovuto conoscerle al momento della stipula;
  • mentre per quanto riguarda le clausole onerose, le stesse diventano efficaci solo con una specifica approvazione scritta.

La giurisprudenza, nel tempo, ha combattuto gli abusi legati a questi contratti, dichiarando nulle clausole particolarmente gravose o poco trasparenti. Le norme sui contratti per adesione, infatti mirano a bilanciare la necessità della velocità negli scambi economici e la tutela dei contraenti più deboli, prevenendo situazioni di squilibrio e abuso.

Comunicazione delle cause di invalidità: art. 1338 c.c.

Nel rispetto dei principi di correttezza e buona fede nelle trattative contrattuali l’articolo 1338 c.c. pone a carico delle parti l’obbligo di informare l’altra parte su eventuali cause di invalidità del contratto conosciute o conoscibili con la normale diligenza. Il principio sancito da questa norma mira a evitare che una delle parti venga coinvolta in trattative inutili o in contratti invalidi.

La mancata comunicazione obbliga il responsabile a risarcire i danni subiti dalla controparte.Tuttavia, anche l’altra parte ha il dovere di agire con diligenza per individuare eventuali vizi contrattuali.

Il valore giuridico delle trattative

Le trattative, pur non essendo elementi costitutivi del contratto, rivestono un ruolo giuridico rilevante. Esse preparano il contratto futuro, ma non obbligano le parti a concluderlo. Un comportamento negligente o doloso che violi la fiducia della controparte può generare una responsabilità a tutela l’interesse delle parti a non subire danni derivanti da aspettative ragionevolmente create. Trattasi di una responsabilità però che non tutela solo l’interesse economico, ma anche la fiducia reciproca necessaria per una collaborazione produttiva.

Responsabilità precontrattuale: ultime della Cassazione

Gli articolo 1337 e 1338 c.c contengono principi dal contenuto ampio e come tali in continua evoluzione. La Cassazione riveste un ruolo fondamentale nell’aggiornamento dei concetti di lealtà, buona fede e correttezza nell’ambito delle trattative precontrattuali e nel definire l’ambito applicato o di queste norme. Vediamo quindi quali sono le ultime pronunce degli Ermellini sulla responsabilità precontrattuale civile.

Cassazione n. 28767/2204

“Per ritenere integrata la responsabilità precontrattuale occorre che:

  • tra le parti siano in corso trattative;
  • che queste siano giunte ad uno stadio idoneo a ingenerare nella parte che invoca l’altrui; il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto;
  • esse siano state interrotte, senza giustificato motivo, dalla parte cui si addebita detta responsabilità;
  • pur nell’ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto.”

Cassazione n. 27102/2024

“In materia di responsabilità precontrattuale derivante dalla violazione della regola di condotta, posta dall’articolo 1337 cod. civ., la tutela del corretto dipanarsi dell’iter formativo del negozio, costituisce una forma di responsabilità extracontrattuale, cui vanno applicate le relative regole in tema di distribuzione dell’onere della prova. Ne consegue che, qualora gli estremi del comportamento illecito siano integrati dal recesso ingiustificato di una parte, grava non su chi recede la prova che il proprio comportamento corrisponde ai canoni di buona fede e correttezza, ma incombe, viceversa, sull’altra parte l’onere di dimostrare che il recesso esula dai limiti della buona fede correttezza postulati dalla norma di qua.”

Cassazione n. 19022/2023

“La responsabilità precontrattuale prevista dall’art. 1337 cod. civ., coprendo nei limiti del cosiddetto interesse negativo, tutte le conseguenze immediate e dirette della violazione del dovere di comportarsi secondo buona fede nella fase preparatoria del contratto, secondo i criteri stabiliti dagli artt. 1223 e art. 2056 cod. civ., si estende al danno per il pregiudizio economico derivante dalle rinunce a stipulare un contratto, ancorché avente contenuto diverso, rispetto a quello per cui si erano svolte le trattative, se la sua mancata conclusione si manifesti come conseguenza immediata e diretta del comportamento della controparte, che ha lasciato cadere le dette trattative quando queste Erano giunte al punto di creare un ragionevole affidamento nella conclusione positiva di esse; e se altresì affermato che il danno risarcibile per responsabilità precontrattuale consiste “nei limiti dello stretto interesse negativo (contrapposto all’interesse all’adempimento), rappresentato sia dalle spese inutilmente sopportate… Sia dalla perdita di ulteriori occasioni per la stipulazione con altri di un contratto altrettanto maggiormente vantaggioso, e dunque non comprende, in particolare, il lucro cessante risarcibile se il contratto non fosse stato poi adempiuto o fosse stato risolto per colpa della controparte“.

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