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Affitti brevi: obbligo CIN prorogato al 2025 Il ministero del Turismo ha comunicato la proroga al 1° gennaio 2025 dell'obbligo di munirsi del Codice identificativo nazionale (CIN) per locazioni brevi e turistiche

Obbligo CIN prorogato al 1° gennaio 2025

L’obbligo di munirsi del Codice Identificativo Nazionale (CIN) per le locazioni brevi e turistiche, di cui all’art. 13-ter del Dl n. 145/2023 (convertito dalla l. n. 191/2023), è stato posticipato al 1° gennaio 2025. Lo ha reso noto il ministero del Turismo con un avviso pubblicato sul proprio sito il 22 ottobre 2024. 

Le ragioni della proroga

“In considerazione della precipua finalità della Banca Dati delle Strutture Ricettive (BDSR), volta in particolare ad assicurare la tutela della concorrenza e della trasparenza del mercato, la sicurezza del territorio e il contrasto a forme irregolari di ospitalità e visto l’obiettivo di garantire sia il buon funzionamento dell’innovativo sistema di interoperabilità tra banche dati, sia l’affidabilità e la sicurezza dei portali telematici sui quali vengono pubblicati gli annunci, è emersa l’opportunità di uniformare il termine entro cui i soggetti interessati hanno l’obbligo di munirsi del CIN che deve, pertanto, intendersi fissato nella data del 1° gennaio 2025, pena l’applicazione delle sanzioni previste dalla citata norma” si legge nell’avviso.
Non solo, l’individuazione di un termine unico è finalizzata altresì “a garantire uniformità di trattamento nei confronti degli utenti finali della BDSR, ovverosia i titolari di strutture ricettive e di unità immobiliari ad uso abitativo offerti in locazione tenuti all’acquisizione del CIN”.
L’uniformità del termine consente, inoltre, “di agevolare le attività proprie dei gestori dei portali telematici, anche nell’ottica di un coordinamento, sin da ora, con le previsioni del recente Regolamento (UE) 2024/1028 del Parlamento europeo e del Consiglio dell’11 aprile 2024 relativo alla raccolta e alla condivisione dei dati riguardanti i servizi di locazione di alloggi a breve termine”.
In definitiva, conclude il dicastero, “il termine per il conseguimento del CIN deve intendersi fissato al 1° gennaio 2025, in modo da soddisfare le suesposte esigenze e garantire, peraltro, piena uniformità di applicazione della disciplina su tutto il territorio nazionale”.
osservatorio intelligenza artificiale

Intelligenza artificiale: al via l’osservatorio Il ministero della Giustizia accogliendo la richiesta della Cassazione e del CNF ha istituito l'osservatorio IA insediato il 23 ottobre 2024

Osservatorio Intelligenza Artificiale

Con un decreto ministeriale del 10 luglio, il ministro della Giustizia, Carlo Nordio, ha istituito l’Osservatorio Permanente per l’Uso dell’Intelligenza Artificiale, accogliendo la richiesta congiunta che era stata avanzata dalla Corte di Cassazione e dal Consiglio Nazionale Forense.

Il 23 ottobre 2024, il Guardasigilli ha presieduto la prima riunione dell’Osservatorio, il cui tavolo tecnico si è insediato in via Arenula lo stesso giorno.

Le richieste della Cassazione e del CNF

Nella lettera inviata al ministro della Giustizia, la Prima Presidente Margherita Cassano e il Presidente del CNF Francesco Greco avevano sottolineato “l’opportunità di istituire un luogo di riflessione e approfondimento che veda il permanente coinvolgimento di tutti gli attori fondamentali della giurisdizione e del processo, in cui affrontare tutti i temi che toccano il rapporto tra IA e giurisdizione, a partire dalla qualità e sicurezza delle banche dati giuridiche, agli strumenti di supporto dell’attività giurisdizionale e delle professioni”.

La condizione posta dalla Suprema Corte e dagli Avvocati è che “l’innovazione tecnologica debba supportare la funzione di giustizia per innalzarne la qualità e l’efficienza” e venga utilizzata in “modo compatibile con i princìpi cardine dello Stato di diritto, del giusto processo, del diritto inalienabile di difesa e dell’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge”.

Composizione Osservatorio IA

Sono stati nominati componenti dell’Osservatorio i vertici della Corte di Cassazione, tra cui la Prima Presidente Cassano, il direttore del Ced Enzo Vincenti – il Procuratore nazionale Antimafia Giovanni Melillo, il direttore e il vicedirettore dell’Agenzia per la Cybersicurezza nazionale, Bruno Frattasi Nunzia Ciardi, il direttore generale del Dg Connect della Commissione Ue, Roberto Viola, il Presidente del Consiglio Nazionale Forense, Francesco Greco e il presidente del Consiglio nazionale del Notariato, Giulio Biino.

L’Osservatorio sarà presieduto dal ministro Carlo Nordio, il cui dicastero ha il compito di disciplinare l’impiego dei sistemi di intelligenza artificiale da parte degli uffici giudiziari come previsto dal ddl governativo sull’IA.

Greco: “Passo fondamentale per la giustizia”

“La costituzione dell’Osservatorio permanente per l’uso dell’intelligenza artificiale – ha commentato il Presidente del Consiglio Nazionale Forense, Francesco Greco – rappresenta un passo fondamentale per garantire che l’innovazione tecnologica sia al servizio della giustizia e del cittadino. Si tratta di uno strumento che offre straordinarie opportunità per migliorare l’efficienza e la qualità del sistema giuridico, ma deve essere impiegata con prudenza e in conformità con i princìpi del nostro Stato di diritto”.

opposizione a decreto ingiuntivo

Opposizione a decreto ingiuntivo: la domanda è modificabile Opposizione a decreto ingiuntivo: la domanda è modificabile anche se nasce da una mera eccezione e non da una riconvenzionale

Domanda modificabile anche se sorge da un’opposizione

Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l’opposto può proporre domande aggiuntive/alternative a quella principale anche se controparte non ha proposto una domanda riconvenzionale, ma si è limitata a sollevare delle eccezioni. Lo hanno chiarito le SU nella sentenza n. 26727/2024.

Opposizione decreto ingiuntivo: domande alternative dell’opposta

Una S.r.l chiede e ottiene un decreto ingiuntivo nei confronti di una Asl e della Regione Lazio per la somma di 800.000,00 euro. Le ingiunte si oppongono e dalle due opposizione scaturiscono due cause di cognizione. Nella comparsa di costituzione e risposta la S.r.l chiede il rigetto dell’opposizione in via principale. In via subordinata invece chiede che le opponenti la tengano indenne con conseguente condanna al pagamento di 909.000,00 euro. In via ulteriormente subordinata chiede invece di accertare l’ingiustificato arricchimento, con condanna al pagamento dello stesso importo.

Inammissibili le domande art. 1137 c.c. e art. 2041 c.c.

Il Tribunale accoglie le opposizioni, ma rigetta le domande ulteriori avanzate dalla società. Questa  ricorre in appello, ma anche in questa sede l’autorità giudiziaria, dopo aver riunito le cause, rigetta le istanze avanzate dall’opposta.

Per la Corte di appello le richieste di pagamento avanzate con le domande subordinate in base agli articoli 1337 c.c. e 2041 c.c sono inammissibili perché non scaturiscono da una domanda riconvenzionale presentata dalle convenute Asl e Regione.

Cassazione: ammissibili domande alternative nell’opposizione a decreto ingiuntivo

La società soccombente a questo punto ricorre in Cassazione. La prima sezione però si rivolge alle SU per chiarire se nell’ambito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo il convenuto opposto possa vantare una domanda nuova, ossia diversa da quella del pagamento avanzata con il decreto ingiuntivo, anche qualora l’opponente non abbia formulato una domanda riconvenzionale, ma abbia solo sollevato eccezioni e chiesto la revoca del decreto ingiuntivo.

Le Sezioni Unite rispondono a questa richiesta di chiarimenti affermando il seguente principio di diritto: “nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, la proposizione da parte dell’opposto nella comparsa di risposta di domande alternative a quella introdotta in via monitoria è ammissibile se tali domande trovano il loro fondamento nel medesimo interesse che aveva sostenuto la proposizione della originaria domanda nel ricorso diretto all’ingiunzione.”

Domande ammissibili se rapportate allo stesso interesse

La Cassazione in un passaggio della motivazione precisa infatti che il soggetto opposto non è legittimato a proporre solo domande reattive, ossia riconvenzionali in senso stretto. Lo stesso può anche proporre domande aggiuntive/alternative, spesso in via subordinata, ma ammissibili “perché rapportate al medesimo interesse”.

Nel caso di specie pertanto, sono ammissibili le domande proposte dall’opposto ai sensi degli articoli 1337 c.c e  2041 c.c. A livello generale/astratto le stesse trovano fondamento nell’interesse originario corrispondente all’azione di adempimento contrattuale. Il petitum di queste domande risulta corrispondente almeno in parte alla domanda avanzata in origine.

Come chiarito dalla SU n. 12310/2015 “l’interesse è il presupposto legittimante l’introduzione di una domanda alternativa, introduzione che non può essere inibita (…) dalla diversità/novità in sé di causa petendi e petitum rispetto alla prospettazione originaria.”

 

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testamento no interpretazione

Testamento: no all’interpretazione troppo “tecnica” No a un’interpretazione troppo tecnica del testamento, occorre valutare cultura, mentalità e ambiente di vita del de cuius

Disputa tra eredi e interpretazione del testamento

Testamento, no a un’interpretazione troppo “tecnica”, quando si deve individuare la volontà espressa dalla de cuius. Si deve andare oltre il dato letterale se si vogliono rispettare i veri desideri della testatrice. A tal fine è necessario tenere conto anche della sua cultura, della sua mentalità e dell’ambiente in cui è vissuta. Lo ha chiarito la Cassazione nella sentenza n. 26951/2024.

Riparto delle quote tra eredi come da supplemento della CTU

Gli eredi testamentari di una donna agiscono in giudizio affinché il giudice dichiari la validità di tre schede testamentarie redatte dalla de cuius. Gli stessi chiedono anche l’accertamento, la dichiarazione di apertura della successione e lo scioglimento della comunione ereditaria per procedere alla formazione del progetto divisionale e all’attribuzione a ciascuno della quota spettante.

Gli attori nell’agire in giudizio contestano all’esecutore di aver svincolato dei buoni fruttiferi per pagare il premio unico di una assicurazione. Gli stessi criticano poi la condotta del nipote, unico erede testamentario. Costui infatti avrebbe annullato una polizza, per mettere a sua disposizione la liquidazione e stipularne una nuova intestata a se stesso. Detta somma però, per gli attori, doveva essere restituita alla massa ereditaria e distribuita tra gli eredi.

Il giudice di primo grado stabilisce che il riparto dell’eredità debba avvenire nel rispetto delle quote indicate nel supplemento della CTU. La decisione viene appellata, ma la Corte respinge l’appello. Si giunge così in sede di Cassazione.

Errata l’interpretazione troppo tecnica del giudice di primo grado

Il ricorrente solleva 5 motivi di doglianza, lamentando in sostanza l’errata interpretazione delle disposizioni testamentarie e la conseguente errata attribuzione delle quote della de cuius.

La Cassazione, tra tutti i motivi sollevati, accoglie solo il secondo perché fondato. Dichiara invece infondati il quarto e il quinto, inammissibili il primo e il terzo.

Per verificare però la fondatezza del secondo motivo gli Ermellini fanno riferimento alla quarta censura in appello. In questa censura l’appellante ha contestato al giudice di primo grado l’errata applicazione delle norme sull’interpretazione del testamento.

Occorre andare oltre il significato delle parole

Per l’appellante, nel rispetto della volontà della testatrice, il giudice avrebbe dovuto andareoltre il significato letterale delle espressioni adoperate (logicamente non avrebbe senso pensare che il de cuius sia sempre un tecnico del diritto da cui si possa pretendere l’uso, con cognizione di causa, del linguaggio giuridico)” e di valorizzare, riconoscendo all’interprete ampia libertà d’indagine, una valutazione globale della volontà del de cuius, tenendo conto di elementi di carattere sia testuale che extratestuale“, come /a cultura, la mentalità e l’ambiente di vita del testatore medesimo.

Tenendo conto di questi elementi l’appellante ha fornito in effetti una diversa lettura delle schede testamentarie. D’altro canto il giudice  ha ignorato il rapporto particolare, anche di natura lavorativa, che legava l’appellante alla de cuius, così come la cultura modesta della donna, tutti elementi che avrebbero dovuto condurre a una lettura non troppo tecnica delle espressioni usate.

 

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Allegati

coerede risponde dei debiti

Coerede risponde dei debiti solo per la sua quota Per la Cassazione, il coerede deve rispondere pro quota dei debiti del cuius in presenza di altri eredi o di un litisconsorzio

Coerede: risponde pro quota dei debiti del defunto

Il coerede deve rispondere dei debiti ereditari pro-quota o come litisconsorte in presenza di altri coeredi. Se però questa qualità sopravviene durante il processo introdotto nei confronti del de cuius tra i coeredi si realizza un litisconsorzio necessario. Deve quindi applicarsi l’art. 754 c.c, che prevede che ogni coerede risponda dei debiti nei limiti della propria quota ereditaria. Questo in sintesi il principio sancito dalla Cassazione nella sentenza n. 26833/2024.

Decreto ingiuntivo e pagamento pro quota a carico degli eredi

Una S.p.a chiede e ottiene un decreto ingiuntivo per ottenere il pagamento pro-quota a carico degli eredi del debitore di 139.697,07 euro oltre interessi. La somma è dovuta a titolo di anticipazione su crediti in conto corrente per obbligazioni contratte dalla fallita S.n.c, dal suo amministratore e dal suo fideiussore.

Opposizione al decreto: coerede con beneficio di inventario

Gli eredi si oppongono al decreto, dichiarando di aver accettato l’eredità con beneficio di inventario. La S.p.a però, nel costituirsi in giudizio, chiede il rigetto delle opposizioni ed eccepisce che l’accettazione è intervenuta tardivamente, perché gli eredi erano già nel possesso dei beni. In ogni caso, anche qualora l’accettazione con beneficio sia intervenuta tempestivamente, gli eredi sono ormai decaduti dal beneficio. Gli stessi infatti non hanno iniziato la procedura nel termine dei tre mesi dal decesso, come previsto dalla legge.

Succede poi che nel corso del giudizio un altro debitore viene a mancare. Gli eredi portano avanti la causa con atto di costituzione volontaria, ma uno degli eredi rinuncia alla propria quota.

Il Tribunale istruisce la causa, accoglie in parte le opposizioni, revoca il decreto ingiuntivo opposto e condanna gli opponenti al pagamento della somma di 94.718,41 euro e della somma di euro 37.029,96 per sconto delle cambiali presentate. Gli eredi di uno dei debitori devono considerarsi accettanti l’eredità con beneficio di inventario perché non decaduti dallo stesso.

Appello: mancata notifica a tutti gli eredi

La società appella la decisione sollevando tre motivi di doglianza, ma gli eredi eccepiscono che l’appello non è stato notificato a tutti gli eredi dei debitori. La sentenza quindi deve considerarsi passata in giudicato nei confronti di questi eredi e l’effetto favorevole della limitazione di responsabilità derivante dal beneficio di inventario deve estendersi agli altri eredi. La corte d’appello però rigetta l’impugnazione e conferma integralmente la sentenza di primo grado.

Litisconsorzio necessario anche se ogni erede risponde pro quota

La società soccombente contesta la decisione della corte d’appello ricorrendo in Cassazione. La società con il primo motivo di impugnazione denuncia la violazione degli articoli 102 e 331 c.p.c per error in procedendo. La sentenza inoltre è nulla per omessa integrazione del contraddittorio e falsa applicazione dell’articolo 752 c.c. La Corte ha infatti escluso una situazione di litisconsorzio necessario, richiamando il principio secondo il quale ogni erede è tenuto a soddisfare i debiti ereditari pro quota anche se l’oggetto del contendere è rappresentato dall’accertamento della circostanza relativa alla qualità di erede puro e semplice o beneficiato. Dopo il decesso si è creata una situazione di litisconsorzio necessario. La corte d’appello però ha negato questa condizione in virtù del principio per il quale ogni erede risponde dei debiti pro quota, anche se l’oggetto del contendere è rappresentato dalla necessità di accertare le qualità di eredi puri e semplici (per aver proceduto tardivamente all’accettazione o per essere decaduti dal beneficio) o beneficiati.

Coerede obbligato pro quota

La Cassazione accoglie il primo motivo perché fondato. Assorbiti tutti gli altri.

Gli Ermellini precisano che il coerede convenuto in giudizio per il pagamento di un debito ereditario deve eccepire la propria qualità di obbligato pro-quota in presenza di altri coeredi. Qualora tale qualità sopravvenga nel corso di un processo introdotto in origine nei confronti del de cuius, tra i coeredi si instaura un litisconsorzio necessario processuale. Va quindi applicata la regola di quell’articolo 754 c.c. secondo la quale ciascuno degli eredi risponde nei confronti del creditore nei limiti della propria quota ereditaria. Nel caso di specie la morte di uno dei debitori si è verificata in corso di causa. Tale evento interruttivo ha determinato la trasmissione della legittimazione processuale attiva e passiva agli eredi, che si sono trovati in una posizione di litisconsorzio necessario per ragioni processuali. In fase di appello doveva  essere ordinata d’ufficio l’integrazione del contraddittorio nei confronti di chi non si era costituito nel giudizio di gravame a differenza degli altri eredi.

 

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bannati dai social

Bannati dai social? In arrivo l’Appeals Center Europe I bannati dai social come Facebook, Tik Tok e YouTube da dicembre potranno rivolgersi all’Appeals Center Europe

Per i bannati dai social arriva il Centro Europeo per le controversie

I bannati dai social potranno rivolgersi all’Appeals Center Europe, il Centro Europeo per le controversie. Questo organo di controllo dei social media, che sarà operativo da dicembre 2024, ha ricevuto l’ok per essere certificato come piattaforma dell’Unione Europea per la gestione dei reclami.

Il Centro dovrà esaminare le decisioni delle piattaforme e verificare la loro conformità alle politiche interne dei social e il rispetto contestuale dei diritti umani. All’inizio il Centro si occuperà di monitorare le dispute interne all’Unione Europea che riguarderanno You Tube, Facebook  e Tik Tok. Con il tempo però c’è l’intenzione di ampliare le competenze di questo organismo.  Il tutto in base a quanto previsto dal Digital Service Act, contenuto nel Regolamento Europeo 2022/2065.

Primo step: gestione interna dei reclami

L’utente bannato, infatti, ai sensi dell’articolo 20 del Regolamento UE, in prima battuta, può opporsi ad esempio al provvedimento di espulsione dalla piattaforma social, presentando un reclamo alla stessa. L’articolo 20 del Digital Service Act prevede infatti che i fornitori di piattaforme online forniscano ai destinatari del servizio, comprese le persone o gli enti che hanno presentato una segnalazione, per un periodo di almeno sei mesi dalla decisione di cui al presente paragrafo, l‘accesso a un sistema interno di gestione dei reclami efficace, che consenta loro di presentare per via elettronica e gratuitamente reclami contro la decisione presa dal fornitore della piattaforma online all’atto del ricevimento di una segnalazione o contro le seguenti decisioni adottate dal fornitore della piattaforma online.” 

Reclamo respinto: organismo extragiudiziale di risoluzione delle controversie

Il reclamo, una volta inoltrato, può essere accolto o respinto. In questo secondo caso l’utente ha un’altra possibilità per contestare la decisione. L’articolo 21 del Regolamento UE 2022/2065 prevede infatti che coloro che abbiano presentato segnalazioni e che siano stati destinatari delle decisioni assunte dal sistema interno di gestione dei reclami della piattaforma, possano rivolgersi a un organismo di risoluzione extragiudiziale delle controversie.

In questo modo l’utente può appellare la decisione che ha respinto il reclamo davanti a un organismo certificato.

La piattaforma potrà rifiutarsi di adire l’organismo se la controversia è già stata risolta.

L’utente però ha ancora una carta da giocarsi se in sede stragiudiziale il suo reclamo non viene preso in considerazione o respinto. Il comma 3 dell’art. 21 del regolamento prevede infatti che resta impregiudicato il diritto del destinatario del servizio in questione di avviare, in qualsiasi fase, procedimenti per contestare tali decisioni da parte dei fornitori di piattaforme online dinanzi a un organo giurisdizionale conformemente al diritto applicabile.”

 

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animali domestici e separazione

Animali domestici e separazione: senza accordo a chi spettano? Animali domestici e separazione: cosa accade in caso di mancato accordo? Chi e come decide il loro destino

In caso di separazione cosa succede agli animali domestici?

Animali domestici e separazione sono i due termini di un problema spesso difficile da risolvere. Quando una coppia si separa può litigare perché entrambi si contendono lo stesso animale o perché al contrario, nessuno dei due vuole assumersi gli stessi impegni del matrimonio una volta riacquistata la propria libertà. Cosa fare in questi casi? Tutto dipende dal percorso di separazione che le parti hanno deciso di intraprendere.

Separazione consensuale e animali domestici

Nel caso in cui i coniugi abbiano optato per una separazione consensuale, con l’assistenza dei loro avvocati e tanta buona volontà possono inserire nell’accordo anche le condizioni di assegnazione dell’animale domestico, la suddivisione delle spese di cura, mantenimento e dei compiti quotidiani di accudimento.

In questo caso il giudice non farà altro che omologare l’accordo e la questione, anche se modificabile, in futuro, può dirsi temporaneamente risolta.

Animali domestici e separazione giudiziale: la decisione al giudice?

Le cose cambiano quando la separazione è conflittuale e i coniugi sono protagonisti di una separazione giudiziale. In questo caso è molto difficile che il Tribunale prenda una posizione sugli animali domestici.

In Italia però ci sono stati dei Tribunali che hanno preso decisioni coraggiose su questo tema.

Il tribunale di Cremona ad esempio ha optato per l’affido condiviso di un cane e la conseguente suddivisione a metà delle spese per il mantenimento dell’animale.

Il Tribunale di Foggia invece ha stabilito l’assegnazione esclusiva di un cane a uno dei coniugi, riconoscendo all’altro un diritto di visita regolare.

Il Tribunale di Sciacca infine ha deciso di assegnare il gatto di casa a un coniuge e il cane a entrambi, senza tenere conto dell’intestazione risultante dal microchip.

In questa decisione il criterio discriminante è stata la valutazione della capacità dei soggetti  coinvolti di garantire il miglior sviluppo e le migliori condizioni di cura all’animale.

Animali domestici: l’affidamento segue l’interesse dei figli

Nel rispetto di quanto stabilito dal Codice civile in caso di separazione giudiziale, il Giudice potrebbe rifarsi però anche a un altro criterio per stabilire le sorti dell’animale domestico.

In una famiglia con figli gli animali spesso e volentieri vengono acquistati o adottati soprattutto se sono presenti dei bambini. Il Giudice deve quindi indagare, prima di tutto, quale tipo di rapporto lega l’animale di casa ai figli. Il Tribunale infatti quando assume le decisioni che riguardano la coppia in presenza di figli minori, deve tenere conto dell’interesse primario di questi ultimi, per cui se i bambini sono particolarmente affezionati all’animale, allora il giudice, nel loro interesse morale e materiale può decidere di assegnare l’animale al genitore a cui vengono anche assegnati i figli.

Benessere dell’animale domestico

Un altro criterio però che può far propendere il giudice per l’affidamento di un animale a uno solo dei due coniugi è rappresentato dal benessere dell’animale. Chi dei due per spazio, tempo e possibilità è in grado di garantire un maggior benessere all’animale? Anche in questo caso la proprietà formale dell’animale viene messa in secondo piano per dare priorità al pet, alle sue esigenze fisiche e psicologiche.

Se poi l’animale è affezionato a entrambi, i coniugi se ne occupano con la stessa amorevole attenzione, la custodia a settimane alterne o a giorni alterni potrebbe essere la soluzione migliore. In questo modo  infatti l’animale manterrebbe il contatto con entrambe le figure di riferimento.

La custodia condivisa ovviamente deve includere tutti gli aspetti di vita dell’animale, dalle vacanze, alle cure mediche, dall’alimentazione alle passeggiate quotidiane. In questi casi è importante anche definire a priori chi, in caso di difficoltà o impossibilità di gestire l’animale, se ne deve occupare.

La mediazione per gestire i conflitti

La mediazione è una procedura stragiudiziale di risoluzione delle controversie che può risultare molto utile in caso di conflitti che hanno per protagonisti gli animali domestici. Il percorso si basa sulla collaborazione delle parti e sulla guida di un mediatore, che è un soggetto terzo, ed estraneo che, in caso di difficoltà, può intervenire con una proposta conciliativa soddisfacente per entrambi. In sede di mediazione è possibile anche avvalersi dell’aiuto e dell’esperienza di consulenti come veterinari ed esperti del comportamento. Se le parti hanno a cuore il benessere dell’animale non avranno problemi a seguire le indicazioni sull’ambiente e sulla persona più adatta a prendersi cura dell’amato pet.

 

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compravendite immobiliari

Compravendite immobiliari: compenso del mediatore fuori dal rogito Compravendite immobiliari: il ddl lavoro elimina l'obbligo di indicare l'importo sostenuto per la mediazione

Compravendite immobiliari: la novità del ddl lavoro

Le compravendite immobiliari stanno per subire una piccola rivoluzione, in virtù di una modifica del ddl lavoro n. 1264, ora al Senato, in attesa dell’approvazione definitiva, dopo il sì della Camera. Il testo del “collegato lavoro”, tra le tante novità, prevede infatti una modifica sul contenuto del rogito all’articolo 22.

L’unico comma della norma prevede infatti che: “1. All’articolo 35, comma 22, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, convertito, con modificazioni, dalla legge 4 agosto 2006, n. 248, la lettera d) è sostituita dalla seguente: «d) lammontare della spesa sostenuta per tale attività o, in alternativa, il numero della fattura emessa dal mediatore e la corrispondenza tra limporto fatturato e la spesa effettivamente sostenuta nonché, in ogni caso, le analitiche modalità di pagamento della stessa.»

Contesto normativo della modifica

La norma, così isolata non appare molto chiara nel suo significato. Occorre infatti analizzare il contesto in cui è inserita. La nuova disposizione va infatti a modificare il comma 22 dell’art. 35 della legge n. 223/2006 contenente le Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale.”

Ed è proprio nel capo dedicato al contrasto all’evasione fiscale che si inserisce l’articolo 35 della legge, che nella prima parte del comma 22 dispone All’atto della cessione dell’immobile, anche se assoggettata ad IVA, le parti hanno l’obbligo di rendere apposita dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà recante l’indicazione analitica delle modalità di pagamento del corrispettivo. Con le medesime modalità, ciascuna delle parti ha l’obbligo di dichiarare:

  1. se si è avvalsa di un mediatore e, nell’ipotesi affermativa, di fornire i dati identificativi del titolare, se persona fisica, o la denominazione, la ragione sociale ed i dati identificativi del legale rappresentante, se soggetto diverso da persona fisica, ovvero del mediatore non legale rappresentante che ha operato per la stessa società;
  2. il codice fiscale o la partita I.V.A.;
  3. il numero di iscrizione al ruolo degli agenti di affari in mediazione e della camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di riferimento per il titolare ovvero per il legale rappresentante o mediatore che ha operato per la stessa società;
  4. l’ammontare della spesa sostenuta per tale attività e le analitiche modalità di pagamento della stessa.”

Ratio della modifica relativa alle compravendite immobiliari

L’articolo 22, introdotto alla Camera dei deputati interviene sulla disciplina che riguarda la dichiarazione dei dati dell’attività di mediazione, che viene svolta quando si verifica la cessione di beni immobili. Nella sua formulazione originaria ciascuna delle parti deve dichiarare, come previsto dalla lettera d) la spesa sostenuta per l’attività di mediazione e le analitiche modalità di pagamento.

La nuova formulazione della lettera d) permette invece alle parti di dichiarare la somma sostenuta per l’attività di mediazione indicando solo il numero della fattura emessa dal mediatore e la corrispondenza tra l’importo fatturato e la spesa sostenuta effettivamente. Resta solo l’obbligo di indicare nel dettaglio le modalità di pagamento.

La modifica, apparentemente di poco conto, soddisfa le richieste dei mediatori di vedere tutelata la loro privacy e quella del cliente. Il venir meno dell’obbligo di indicare nel rogito l’importo della provvigione del mediatore tutela in effetti la libera contrattazione tra cliente e mediatore. La controparte in questo modo non può conoscere questo dato, che in effetti non lo riguarda. Il mediatore deve essere infatti libero di applicare importi diversificati ai clienti. La sola indicazione del numero della fattura relativa all’attività di mediazione inoltre azzera praticamente il rischio di evasione, soprattutto dopo l’introduzione della fattura elettronica.

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Decreto ingiuntivo: titolo inoppugnabile per ammissione al passivo Decreto ingiuntivo: inoppugnabile per l’ammissione al passivo se il giudizio si è estinto e sono decorsi i 10 giorni per il reclamo

Decreto ingiuntivo opposto e ammissione al passivo

Il decreto ingiuntivo opposto acquisisce efficacia di giudicato sostanziale e diventa titolo idoneo per l’ammissione al passivo del fallimento a condizione che il giudizio di opposizione si sia estinto e nel momento in cui viene emessa la sentenza di fallimento, il termine di 10 giorni per proporre il reclamo verso l’ordinanza di estinzione sia già decorso. Lo ha sancito la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 22125/2024.

Titolo inidoneo se diventa definitivo dopo il fallimento

Una banca vorrebbe partecipare alla distribuzione della somma ricavata dalla vendita dei beni immobili che la debitrice fallita ha ceduto a un’altra società fallita. Sui beni immobili la banca aveva iscritto un’ipoteca giudiziale in virtù di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo. Il giudice del fallimento ritiene rituale la domanda avanzata dalla banca. Costui però la respinge perché l’ipoteca si fonderebbe su un decreto ingiuntivo, che è stato dichiarato esecutivo in via definitiva dopo il fallimento delle due società, quella cedente e quella cessionaria.  

Decreto ingiuntivo definitivo dopo il fallimento: ipoteca inopponibile

La banca presenta la sua opposizione al fallimento ai sensi dell’art. 98 della legge fallimentare. Il Tribunale però la respinge per due ragioni.

  • Il titolare di ipoteca non può avvalersi del procedimento di verifica del passivo nella procedura fallimentare. Occorre instaurare un contraddittorio con il debitore e far valere il suo diritto nelle modalità previste dagli articoli 602-604 c.p.c.
  • L’ipoteca giudiziale non è opponibile al fallimento perché il decreto è diventato esecutivo in via definitiva dopo il fallimento.

Titolo definitivo dopo l’estinzione dell’opposizione

La banca ricorre quindi in Cassazione per contestare le ragioni del rigetto.

Nel primo motivo precisa di aver presentato una domanda di partecipazione al riparto di quanto ricavato dalla vendita degli immobili.

Con il secondo motivo invece chiarisce che il decreto ingiuntivo è diventato esecutivo in via definitiva dopo l’estinzione del giudizio di opposizione a causa della mancata riassunzione del giudizio da parte del curatore fallimentare.

Decreto ingiuntivo, giudicato sostanziale e ammissione al passivo

La Corte, nel respingere il primo motivo di doglianza richiama la Cassazione a sezioni unite n. 8557/2023 e i principi in essa sanciti ossia che “i creditori titolari di un diritto di ipoteca o di pegno sui beni compresi nel fallimento costituiti in garanzia per crediti vantati verso debitori diversi dal fallito (…) possono (…)  intervenire nel procedimento fallimentare in vista della ripartizione dell’attivo, per richiedere di partecipare alla distribuzione delle somme ricavate dalla liquidazione dei beni compresi nella procedura che sono stati ipotecati o pignorati in loro favore.” 

Nell’accogliere il secondo motivo invece la Cassazione spiega che il decreto ingiuntivo della banca ricorrente è divenuto definitivo nei confronti della debitrice principale con la sentenza con cui il tribunale ha dichiarato estinto il giudizio di opposizione, prima della dichiarazione di fallimento della società a cui la debitrice principale aveva ceduto i propri immobili a cui quindi doveva ritenersi opponibile.

Decreto ingiuntivo opposto dal debitore fallito

L’ordinanza n. 9933/2018 della Cassazione sul punto aveva precisato che: il decreto ingiuntivo che sia stato opposto dal debitore poi fallito è opponibile alla massa fallimentare, a condizione che sia stata pronunciata sentenza di rigetto dell’opposizione, ovvero ordinanza di estinzione, divenute non più impugnabili – per decorso del relativo termine – prima della dichiarazione di fallimento, restando irrilevante che con i detti provvedimenti sia stata dichiarata l’esecutorietà del decreto monitorio, ex art. 653 c.p.c., ovvero che sia stato pronunciato, prima dell’apertura del concorso tra i creditori, il decreto di esecutività di cui all’art. 654 c.p.c.” 

Alla luce di questa e di altre decisioni  ribadisci Ermellini sanciscono infine che “il decreto ingiuntivo, in caso di opposizione, acquista efficacia di giudicato sostanziale idoneo a costituire titolo inoppugnabile per l’ammissione al passivo, purché il relativo giudizio si sia estinto e, al momento della sentenza di fallimento, sia già decorso il termine di dieci giorni per proporre reclamo avverso l’ordinanza di estinzione.”

 

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CID digitale: sostituirà quello cartaceo? Un CID digitale in sostituzione di quello cartaceo. E' la proposta dell'IVASS ma associazioni e periti segnalano le problematiche

Arriva il CID digitale

Il CID digitale rimpiazzerà quello cartaceo? Al momento non c’è nulla di certo, è solo un’ipotesi. L’Ivass sta pensando di apportare questa modifica in sede di revisione del regolamento Isvap n. 13/2008. In questo modo non sarebbe più necessario compilare il modulo blu cartaceo. La denuncia di sinistro potrà essere effettuata avvalendosi di applicazioni mobile o web.

L’obiettivo è quello di semplificare la normativa e di renderla omogenea rispetto alla dematerializzazione del contrassegno e alla digitalizzazione di diversi documenti assicurativi.

CID Digitale: le associazioni dei consumatori e i periti dicono no

Le associazioni dei consumatori, ma anche i periti assicurativi non ritengono che il CID digitale sia una novità da accogliere con favore. Essi riscontrano infatti numerosi rischi nell’adozione del CID digitale. A preoccupare è soprattutto la tutela della privacy. In presenza di feriti potrebbe essere necessario inserire nel modulo i dati sensibili di natura sanitaria di questi soggetti.

C’è però un altro problema, di non poco conto. In Italia il modulo blu è documento molto utile perché  se viene firmato da tutti i soggetti coinvolti nel sinistro significa che tutti concordano sulla dinamica del sinistro. In questo modo le assicurazioni hanno la possibilità di gestire il sinistro in tempi decisamente più rapidi. Qualora dovesse essere introdotto il CID digitale il rischio è che, in caso di sinistro, soggetti poco “tecnologici” si scoraggino e non si dimostrano disponibili a firmare l’accordo sulla dinamica.

Anche i periti hanno manifestato gli stessi dubbi. I periti che fanno parte dell’Aiped (Associazione nazionale periti estimatori danni) ritengono che a oggi non tutti gli utenti della strada hanno le competenze necessarie per poter utilizzare un’applicazione. Quando si verifica un sinistro, nessuno dei soggetti coinvolti dovrebbe trovarsi in una condizione di svantaggio rispetto agli altri solo perché ha una minore competenza digitale.

CID digitale: meglio la doppia opzione

Le associazioni, alla luce di tutti i dubbi sollevati sul possibile inserimento del CID digitale, propongono la doppia opzione. Le assicurazioni devono essere obbligate a consegnare al cliente il modulo di constatazione amichevole in formato cartaceo. Il CID digitale dovrebbe rappresentare solo un’opzione, ma dovrebbe essere fornito da un terzo soggetto, per evitare che, qualora il cliente cambi compagnia, sia costretto a scaricare  una nuova e diversa applicazione.

Non si può trascurare inoltre il fatto che un applicazione scaricata sul telefono potrebbe presentare problemi a causa della mancata copertura. Il contraente dovrebbe essere lasciato libero, nell’immediatezza di un sinistro, ossia in un momento impegnativo anche dal punto di vista emotivo, di scegliere il metodo che lo faccia sentire più a suo agio.

CID o CAI? Facciamo chiarezza

Il vecchio CID, acronimo di Convenzione Indennizzo Diretto, noto anche come modulo blu, è un termine che viene ancora utilizzato, ma in modo improprio. Il modulo di cui stiamo parlando in realtà è il CAI, acronimo di Constatazione Amichevole di Incidente, che ha preso il posto del vecchio CID.

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