mediazione e negoziazione

Mediazione e negoziazione: cosa prevede il correttivo approvato Mediazione e negoziazione assistita modificate dal correttivo approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri

 Mediazione e negoziazione: approvato il correttivo

Mediazione e negoziazione non hanno pace.  Il Consiglio dei Ministri nella giornata di mercoledì 18 settembre 2024 ha approvato in via preliminare uno schema di decreto legislativo. Il provvedimento modifica il decreto legislativo n. 149/2022 in materia di mediazione e negoziazione assistita e modifica, di conseguenza, il decreto legislativo n. 28/2010 e il decreto legge n. 132/2014.

Mediazione e negoziazione in modalità telematica

Lo schema contiene in particolare la disciplina relativa alla mediazione telematica e alla negoziazione assistita, sempre in modalità telematica. Vediamo più in dettaglio le novità dello schema, che deve ricevere il parere delle commissioni permanenti in Parlamento per essere poi approvato in via definitiva dal Consiglio dei ministri.

Mediazione: precisazioni al decreto legislativo n. 28/2010

Per prima cosa lo schema chiarisce che nelle materie elencate all’articolo 5 per le quali la mediazione è una procedura obbligatoria, essa è condizione di procedibilità della domanda introduttiva (non più giudiziale) del giudizio.

Il provvedimento precisa poi che quando il giudice dispone la mediazione lo possa fare fino alla remissione della causa in decisione (non più “fino al momento della precisazione delle conclusioni”.)

Il comma 4 dell’art. 3 attualmente prevede che “la mediazione può svolgersi secondo modalità telematiche previste dal regolamento dell’organismo, nel rispetto dell’articolo 8-bis.” La nuova formulazione aggiunge a questo comma la seguente disposizione “e gli incontri di mediazione possono svolgersi in modalità audiovisive da remoto, nel rispetto di quanto stabilito dall’art. 8 ter” ossia del nuovo articolo introdotto dallo schema.

Durata della mediazione

Lo schema sostituisce l’articolo 6 del decreto legislativo n. 28/2010, che disciplina la durata della mediazione. La nuova formula stabilisce che  la mediazione ha una durata massima di 6 mesi, prorogabile dopo la sua instaurazione e prima della sua scadenza, per periodi di volta in volta non superiori a tre mesi.

Quando il giudice rileva che la causa è improcedibile perché la mediazione rappresenta condizione di procedibilità della domanda o quando la mediazione è demandata dallo stesso, la mediazione dura 6 mesi, con possibilità di proroga per una sola volta di altri 3 mesi, dopo che è stata instaurata, ma prima della sua scadenza.

La proroga nei casi suddetti deve risultare da un accordo scritto delle parti che deve essere allegato al verbale o incluso nello stesso, da cui deve quindi risultare.

Il termine di durata della mediazione non è soggetto alla regola della sospensione feriale dei termini.

Mediazione in modalità telematica

Lo schema modifica anche l’articolo 8 bis dedicato alla mediazione telematica. Quando la mediazione si svolge telematicamente gli atti della procedura sono formati dal mediatore e sottoscritti nel rispetto delle modalità stabilite dal Codice dell’amministrazione digitale.

Conclusa la procedura il mediatore redige un documento informatico, che contiene il verbale e l’accordo eventuale per l’apposizione delle firme da parte dei soggetti.  Il mediatore verifica l’apposizione delle firme, la loro validità e integrità, firma a sua volta e poi cura il deposito del documento presso l’organismo. La segreteria di quest’ultimo lo invia alle parti e agli avvocati, se le parti li hanno nominati.

Incontri con modalità audiovisive da remoto

Il provvedimento inserisce nel decreto legislativo n. 28/2010 il nuovo art. 8 ter che al comma 1 consente sempre alle parti di chiedere al responsabile dell’organismo di poter partecipare ai vari incontri di mediazione con collegamento audiovisivo da remoto. Il sistema deve però consentire alle parti collegate la effettiva, contestuale e reciproca udibili e visibilità.

Se le parti non sono tutte assistite da avvocati l’accordo che viene allegato al verbale viene omologato, su richiesta di parte, con decreto del presidente del tribunale in cui ha sede l’organismo di mediazione nel quale le parti hanno raggiunto l’accordo.

Patrocinio gratuito avvocati nella mediazione

Un’importante precisazione dedicata agli avvocati è quella contenuta nel nuovo comma 3 bis dell’art. 15 quinques. La nuova disposizione stabilisce che quando un avvocato nominato è iscritto in un elenco di un distretto di corte d’appello diverso da quello in cui si trova l’organismo di mediazione non gli spettano le spese e le indennità di trasferta stabilite dai parametri forensi.

Negoziazione assistita: novità

La nuova regola contenuta nell’art. 2 comma 5 del dl n. 132/2014 prevede che l’accordo di negoziazione debba concludersi con l’assistenza di almeno un avvocato per parte. La negoziazione assistita che si svolge in modalità telematica con collegamento audiovisivo da remoto può essere chiesta sempre da ogni parte.

Quando la negoziazione si svolge in modalità telematica, agli atti del procedimento, incluso l’accordo devono essere formati e firmati secondo le regole del Codice dell’amministrazione digitale.

Non si possono però acquisire le dichiarazioni del terzo in modalità telematica o con collegamenti audiovisivi da remoto.

 

Leggi anche: “Mediazione civile: cos’è e come funziona

Allegati

diritto di ripensamento

Diritto di ripensamento Il diritto di ripensamento consente al consumatore di recedere da un contratto entro quattordici giorni senza costi aggiuntivi

Quando si può esercitare il diritto di ripensamento?

Diritto di ripensamento: quando si può esercitare? Quando si effettua un acquisto online, può capitare che ci si penta quasi subito dell’operazione, vuoi perché ci si rende conto che il prodotto non ci serve davvero, o magari perché si considera il suo prezzo un po’ troppo alto.

Per ovviare a questa spiacevole situazione, la legge ha previsto in favore del consumatore un particolare rimedio: il diritto di ripensamento.

Come annullare un contratto per ripensamento

Il diritto di ripensamento è previsto in favore di chiunque effettui un acquisto fuori dei locali commerciali (ad esempio online, o anche in occasione di una vendita a domicilio) oppure concluda un contratto a distanza (ad esempio per l’attivazione di una fornitura domestica come telefono, luce e gas, oppure per attivare un servizio come una piattaforma a pagamento per la visione di film o eventi sportivi).

Nello specifico, l’art. 52 del Codice del Consumo (d.lgs. 206 del 2005) stabilisce che “il consumatore dispone di un periodo di quattordici giorni per recedere da un contratto a distanza o negoziato fuori dei locali commerciali”.

In sostanza, senza dover fornire alcuna motivazione, chi ha effettuato l’acquisto ha la possibilità di ripensarci entro quattordici giorni dalla conclusione del contratto oppure dalla consegna del bene.

Entro tale termine, l’acquirente deve comunicare alla controparte contrattuale la propria decisione di recedere dal contratto.

Come funziona il diritto di recesso entro 14 giorni

In caso di ripensamento relativo all’acquisto di un prodotto, il consumatore è tenuto alla restituzione a proprie spese del bene.

D’altro canto, il venditore deve provvedere al rimborso integrale di quanto pagato dal consumatore, ivi comprese le spese di spedizione (ma se l’acquirente aveva scelto una modalità di consegna più dispendiosa rispetto a quella solitamente proposta dal venditore, tali maggiori spese rimangono a suo carico).

Disciplina del diritto di ripensamento nel Codice del consumo

La disciplina del diritto di ripensamento a tutela del consumatore prevede anche altre particolari disposizioni, come quella che obbliga il fornitore di servizi ad informare il cliente della possibilità di esercitare il diritto di ripensamento.

In mancanza di tale informativa, al consumatore sono concessi ben dodici mesi in più per esercitare il ripensamento (quindi 12 mesi più quattordici giorni). Nell’arco di tale periodo, il fornitore può, comunque, provvedere a inviare la suddetta informativa: in tal caso, dall’invio “tardivo” decorrono i classici quattordici giorni per l’esercizio del diritto in oggetto.

Per legge, inoltre, è nulla qualsiasi clausola che preveda limitazioni al rimborso in favore del consumatore se questi esercita il diritto di ripensamento (cfr. art. 56 primo comma del Codice del consumo).

È importante ricordare che, in base all’art. 47 comma secondo del Codice, la disciplina sul ripensamento si applica solo per acquisti fuori dei locali commerciali il cui corrispettivo pagato dal consumatore sia pari o superiore a 50 euro.

Ripensamento e acquisti all’interno di negozi “fisici”

Va evidenziato, pertanto, come il diritto di ripensamento non operi per gli acquisti effettuati in negozio, cioè all’interno dei locali commerciali del venditore.

In tal caso, quest’ultimo rimane libero di non venire incontro al ripensamento da parte dell’acquirente e pertanto non è tenuto ad accettare la restituzione del bene né, tanto meno, a rimborsargli quanto speso. Nulla vieta, peraltro, al venditore di prevedere facoltà analoghe al ripensamento anche per gli acquisti effettuati in negozio.

Differenze tra diritto di ripensamento e di recesso

È importante notare che, per quanto affini, gli istituti del diritto di ripensamento e del recesso rimangono due cose diverse. In un certo senso, il ripensamento è una specie particolare di recesso, ed è per questo che nella terminologia del Codice del Consumo (art. 52 e segg.) si fa riferimento al “recesso” anche per individuare il diritto di ripensamento da esercitarsi entro quattordici giorni.

In generale, il diritto di recesso è sempre esercitabile nei contratti continuativi, come ad esempio quelli di fornitura di servizi domestici. Solitamente, però, la disciplina normativa prevede alcuni “paletti” da rispettare, ad esempio in relazione ai costi aggiuntivi da sostenere, o ai termini di preavviso da non oltrepassare, oppure in ordine ai motivi del recesso.

consulenza tecnica preventiva

Consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite La consulenza tecnica preventiva per comporre la lite prima che venga avviato il processo conserva la sua natura cautelare

Consulenza tecnica preventiva per comporre la lite

La consulenza tecnica preventiva ai fini della composizione della lite è un istituto di diritto processuale previsto e disciplinato dall’articolo 696 bis c.p.c. Si tratta di un istituto giuridico in vigore dal 1° marzo 2006.  Questa consulenza si pone l’obiettivo di deflazionare il processo, evitandolo e componendo la lite prima che il processo abbia inizio. Esso tuttavia rappresenta anche un valido sussidio per istruire la causa giudiziale, che le parti dovessero eventualmente intraprendere.

Differenza rispetto all’accertamento tecnico

L’istituto in esame si distingue dall’istituto similare dell’accertamento tecnico per una differenza fondamentale. L’articolo 696 bis c.pc al comma 1 dispone infatti che “L’espletamento di una consulenza tecnica, in via preventiva, può essere richiesto anche al di fuori delle condizioni di cui al primo comma dell’articolo 696.”

Questo significa che la consulenza tecnica, a differenza dell’accertamento tecnico, non richiede  per il suo svolgimento la sussistenza di un periculum in mora rappresentato dalla dispersione dei mezzi di prova.

Il primo comma dell’articolo 696 c.p.c dispone infatti che l’autorità giudiziale competente possa disporre l’accertamento tecnico, così come l’ispezione, quando c’è l’urgenza di verificare, prima del giudizio, lo stato dei luoghi o la condizione di determinate cose.

Natura della consulenza tecnica preventiva

La natura cautelare della consulenza tecnica preventiva tuttavia non viene meno a causa della sua finalità conciliativa.

La Corte di Cassazione nella sentenza n. 23976/2019 ha chiarito che: “se è pur vero che, con riferimento alla consulenza tecnica preventiva di cui all’art. 669-bis cod. proc. civ., difetta il presupposto del periculum in mora, deve ritenersi – anche alla luce di quanto affermato dalla Consulta con la sentenza n. 26 del 2010 – che la disciplina dettata dagli artt. 692-699 cod. proc. civ. non esclude «la natura cautelare delle relative misure», da intendersi, all’evidenza, latamente cautelare quanto al procedimento di cui all’art. 696-bis cod. proc. civ., evidenziandosi che l’espletamento di una consulenza tecnica, in via preventiva, può essere richiesto anche in caso di urgenza e ciò trova conferma nello stesso tenore letterale dell’art. 696-bis cod. proc. civ., il quale espressamente prevede che una siffatta consulenza possa essere richiesta «anche» al di fuori (e non solo in difetto) delle condizioni di cui al primo comma dell’art. 696 cod. proc. civ., il quale fa espresso riferimento al presupposto dell’urgenza.”

Oggetto

La consulenza tecnica preventiva può essere impiegata quando si vuole procedere all’’accertamento e alla determinazione dei crediti che derivano dalla mancata o inesatta esecuzione di obbligazioni contrattuali o di obblighi scaturenti da fatti illeciti.

Aspetti procedurali

Dal punto di vista procedurale l’articolo 696 bis c.p.c dispone il rinvio al comma 3 dell’articolo 696 c.p.c dedicato all’accertamento tecnico preventivo. Questo comma a sua volta dispone che il Presidente del Tribunale o il Giudice di Pace provvedano nelle forme degli articoli 694 e 695 c.p.c in quanto applicabili.

La consulenza tecnica preventiva presuppone quindi una domanda, che la parte interessata deve proporre con ricorso. In questo atto la parte istante deve esporre sommariamente i fatti, anche se in modo chiaro e preciso.

Dopo che la parte provvede al deposito del ricorso il giudice con decreto fissa il termine perentorio entro l’istante deve notificare il provvedimento con cui ha fissato l’udienza e il ricorso.

Il Giudice provvede quindi alla nomina del consulente tecnico. In seguito stabilisce la data in cui le operazioni avranno inizio. All’udienza, a cui il consulente deve comparire, il giudice verifica la regolarità delle notifiche e specifica i quesiti a cui i consulente deve rispondere. Durante lo svolgimento della consulenza le parti possono essere assistite dai rispettivi consulenti.

Consulenza tecnica preventiva: esiti

La consulenza tecnica preventiva finalizzata a comporre la lite e ad evitare l’avvio della causa può avere due esiti diversi. Vediamo quali.

Conciliazione della controversia

La consulenza tecnica preventiva che si conclude con un esito positivo  prevede la formazione del processo verbale dell’avvenuta conciliazione. Il giudice attribuisce al processo verbale il valore di titolo esecutivo. In questo modo la parte adempiente potrà agire nei confronti della parte che non tiene fede agli impegni presi nell’accordo. Le modalità previste sono due: avviando l’espropriazione forzata o procedendo all’iscrizione dell’ipoteca giudiziale. Il vantaggio di questo processo verbale è che non è soggetto all’imposta di bollo.

Mancata conciliazione della controversia

Nell’ipotesi contraria, ossia se le parti non raggiungono un accordo e quindi non si conciliano, entrambe possono chiedere che la relazione redatta e depositata dal consulente venga acquisita agli atti del processo che verrà avviato.

In caso di mancata conciliazione l’ultimo comma dell’articolo 696 bis c.p.c dispone che a questo punto troveranno applicazioni le norme che regolano la consulenza tecnica nell’ambito dell’istruzione probatoria (art. 191-197 c.p.c).

constatazione amichevole di incidente

Constatazione amichevole di incidente: il modello CAI Cos'è il modello CAI, prima chiamato CID (Convenzione di Indennizzo Diretto), a cosa serve, quando e come si compila

La constatazione amichevole di incidente (CAI)

La Constatazione Amichevole di Incidente, CAI (un tempo conosciuto come CID, Convenzione di Indennizzo Diretto), è un modello necessario a denunciare immediatamente un sinistro automobilistico.

Infatti, nel caso di incidente questo modulo si rivela il mezzo più pratico e veloce per l’immediata comunicazione alle reciproche compagnie assicurative garantendo a tutti una maggiore tutela.

È per questo importante averne sempre almeno una copia nel proprio autoveicolo.

Vediamo in cosa consiste il modello CAI, come va compilato e a cosa serve.

Che cos’è il modulo CAI

La constatazione amichevole di incidente (CAI), comunemente detto Modulo blu, per il colore del foglio su cui è stampato, è un modello dichiarativo che attesta in maniera dettagliata come si è verificato un incidente automobilistico.

Esso quindi è la fotografia dei fatti e delle informazioni relative all’avvenuto sinistro sintetizzata in un’unica pagina.

I moduli CAI sono distribuiti direttamente dalle compagnie assicurative al momento della stipula di un nuovo contratto, ma le copie sono tutte equivalenti tra loro per cui non è necessario che venga rilasciata dall’ultima compagnia di assicurazione posseduta.

Perchè il CAI viene chiamato ancora CID

Un tempo, lo stesso Modello blu che oggi chiamiamo CAI (Constatazione Amichevole di Incidente), prendeva il nome di Convenzione di Indennizzo Diretto (CID): da qui la persistenza della vecchia dicitura di modulo CID, ancora oggi molto diffusa.
La constatazione amichevole (CAI) ha sostituito il CID nel 2007, quando è entrata in vigore la nuova Convenzione tra Assicuratori per l’Accordo Diretto (CARD).

I moduli CAI e CID, in realtà, sono molto simili,  potremmo dire che sono “la stessa cosa” ed infatti l’impercettibile differenza tra loro è più di forma che di sostanza visto che anche quello che definiamo “nuovo” modello (CAI), serve a completare la denuncia di un sinistro e a contribuire in maniera rapida e decisiva a ricostruire la dinamica dell’incidente. Dando così la possibilità alle compagnie assicurative di stabilire  il torto e la ragione delle reciproche parti e ottenere un pronto risarcimento del danno subito evitando inutili lungaggini  burocratiche.   

Come e quando procedere alla compilazione del CAI

Il modulo CAI, correttamente e interamente compilato e firmato da entrambe le parti coinvolte, velocizza la gestione del sinistro e mette al sicuro da eventuali possibili contestazioni sulla dinamica dell’incidente.

È utile compilare e firmare la constatazione amichevole anche se non c’è accordo con l’altro conducente sulla dinamica del sinistro, importante che ci siano il nome delle compagnie di assicurazione e le targhe dei veicoli coinvolti.

Prima di procedere alla compilazione del modello, è opportuno concentrarsi sui vari step da seguire:

  • per prima cosa bisogna segnalare con il triangolo la presenza dell’incidente; verificare se ci sono feriti gravi e chiamare i soccorsi e le forze dell’ordine e non toccare nulla fino al loro arrivo;
  • se non ci sono feriti gravi, controllare che i veicoli fermi non intralcino la circolazione. Se i mezzi bloccano la strada, spostare l’auto in un’area che non alteri il traffico, ma non senza aver prima scattato alcune foto. 

Dopo si passa alla compilazione del modello.

Come si compila il CAI

All’interno del modulo CAI andranno inserite le informazioni legate ai conducenti e ai veicoli coinvolti nel sinistro.

Nello specifico occorrerà avere l’immediata disponibilità di tre documenti fondamentali:

  • certificato di assicurazione,
  • patente,
  • libretto di circolazione.

Il Modulo è composto da tre blocchi principali da compilare che richiedono diversi tipi di informazioni. Basterà seguire i numeri che indicano i dati da inserire.

Dati generali

Nella parte alta del modulo CAI vi è il blocco che riporta i numeri dall’1 al 5 e nel quale vanno inserite le informazioni generali relative all’incidente.

Qui va infatti indicata: la data, l’ora e il luogo del sinistro (è opportuno anche segnare anche il numero civico, facendo riferimento a quello più vicino al luogo dell’incidente); se ci sono feriti, anche lievi, e/o danni a cose (oltre ai due veicoli coinvolti, altre macchine, o altro, come muretti, lampioni o guardrail); le generalità di chi era passeggero nei veicoli coinvolti e di chi eventualmente ha assistito al sinistro.

Questi ultimi soggetti verranno indicati come testimoni e inseriti nell’apposita sezione.

Dati dei veicoli

L’area del modello CAI dedicata ai veicoli, è divisa in due colonne. Queste due fasce sono contraddistinte da due colori, giallo e blu, e sono dedicate all’inserimento dei dati specifici del Veicolo A e del Veicolo B.

Qui si trovano numeri dal 6 al 10 sia per la colonna A che per la colonna B e vanno indicati i dati dell’intestatario dell’assicurazione, i dati del veicolo (tipo di mezzo, marca, modello e targa), gli estremi dell’assicurazione e i dati del conducente che se anche intestatario della polizza,  in parte coincideranno con i primi dati di questa sezione.

Da ultimo, ciascun conducente sulla propria colonna dovrà indicare in modo dettagliato i danni subiti  sul suo autoveicolo sia  con una freccia sul disegno corrispondente al proprio veicolo e poi descrivendo il tutto in maniera discorsiva per iscritto.

Dati sulla dinamica dell’incidente

In quest’ultima parte, che si trova al centro del foglio, viene descritta la dinamica dell’incidente. Ciascun conducente dovrà segnare una X sulle caselle delle voci che reputa corrette. Occorre in questa fase leggere attentamente le descrizioni riportate sul modello e cancellare la parte che non riguarda.
Per esempio, nella prima voce viene chiesto se l’auto era in sosta o in fermata: se l’auto era in sosta al momento dell’incidente, va segnata la X sulla casella e cancellata la parola “fermata”.

Subito dopo aver inserito le crocette, si deve procedere alla rappresentazione grafica dell’incidente.

Il disegno deve essere quanto più possibile comprensibile, quindi:

  • si tracciano le strade e si scrivono i nomi delle vie;
  • si indica la segnaletica stradale sia orizzontale (strisce di qualsiasi tipo) che verticale (semafori o cartelli);
  • si disegnano i due veicoli stilizzati e indicando quale è A e quale è B, usando le frecce per indicare il senso di marcia.

Le Altre Informazioni

Nella parte del Modulo dove si fa riferimento alle Altre Informazioni possono essere inseriti dati aggiuntivi, ad esempio se sono intervenute le forze dell’ordine e quali (Carabinieri, Polizia Stradale o Vigili Urbani; segnalare la presenza di testimoni; indicare se ci sono feriti e eventualmente i dati del proprietario dell’auto, se diverso dal conducente.

Dopo è possibile procedere alla firma entrambe le parti.

Va ricordato che la firma della constatazione amichevole non vuol dire ammissione di responsabilità, ma solo rilevazione del sinistro, spetterà al perito assicurativo, che prenderà in carico la pratica, accertare le responsabilità.

A chi va consegnato il CAI

Il modulo di constatazione amichevole è composto da quattro copie. Ogni conducente ha diritto a due copie di cui una resta a lui e l’altra va consegnata alla propria assicurazione.

Si precisa che, se non è possibile inserire nel modulo CAI tutte le informazioni a cui abbiamo fatto riferimento per mancanza di tempo o per mancata collaborazione di uno dei due conducenti, affinchè il modulo sia valido, è importante che siano inseriti almeno i dati fondamentali.

I dati fondamentali da compilare nel modulo CAI (CID) sono:

  1. Data e ora dell’incidente (n.1)
  2. Luogo dell’incidente (indirizzo preciso) (n. 6Ae 6B)
  3. Dati dei veicoli coinvolti (marca, modello, targa) (7 e 7B)
  4. Dati dei conducenti (nome, cognome, indirizzo, patente)
  5. Dati delle assicurazioni (nome della compagnia, numero di polizza) (8 e 8B)
  6. Descrizione del sinistro (schema dell’incidente e caselle da barrare) (n.12)
  7. Firma dei conducenti (n. 15)

 

corte ue conferma multa

La Corte UE conferma la multa di 2,4 miliardi a Google Conclusa la questione aperta fin dal 2017 con Google Alphabet. Per i giudici di Lussemburgo si è trattato di abuso della propria posizione dominante

Confermata multa a Google

La Corte UE conferma la multa di 2,4 miliardi a Google, per aver abusato della propria posizione dominante favorendo il serrvizio di prodotti. La sentenza è resa dalla Corte nella causa C-48/22 P | Google e Alphabet/Commissione (Google Shopping).

La vicenda

La vicenda ha inizio nel 2017, quando la Commissione aveva inflitto un’ammenda di circa 2,4 miliardi di euro a Google per aver abusato della sua posizione dominante su vari mercati nazionali della ricerca su Internet favorendo il proprio servizio di comparazione di prodotti rispetto a quello dei suoi concorrenti.

Poiché il Tribunale ha, in sostanza, confermato tale decisione e mantenuto l’ammenda di cui sopra, Google e Alphabet hanno proposto un’impugnazione dinanzi alla Corte, che è stata respinta da quest’ultima confermando così la sentenza del Tribunale.

La Commissione

Con decisione del 27 giugno 2017, la Commissione aveva constatato che, in tredici paesi dello Spazio economico europeo (SEE), “Google aveva privilegiato, sulla sua pagina di risultati di ricerca generale, i risultati del proprio comparatore di prodotti rispetto a quelli dei comparatori di prodotti concorrenti. Google aveva infatti presentato i risultati di ricerca del suo comparatore di prodotti in prima posizione e li aveva valorizzati all’interno di «boxes», accompagnandoli con informazioni visive e testuali attraenti”.

Per contro, i risultati di ricerca dei comparatori di prodotti concorrenti “apparivano soltanto come semplici risultati generici (presentati sotto forma di link blu) ed erano, per tale motivo, contrariamente ai risultati del comparatore di prodotti di Google, suscettibili di essere retrocessi da algoritmi di aggiustamento nelle pagine di risultati generali di Google”.

La Commissione ha concluso che Google aveva abusato della propria posizione dominante sul mercato dei servizi di ricerca generale su Internet nonché su quello dei servizi di ricerca specializzata di prodotti e le ha inflitto un’ammenda di EUR 2 424 495 000, per il pagamento della quale Alphabet, in quanto socia unica di Google, è stata ritenuta responsabile in solido per un importo di EUR 523 518 000.

Il tribunale e la Corte

La questione era approdata innanzi al tribunale UE, il quale aveva respinto il ricorso e confermato l’ammenda.

Google e Alphabet hanno allora proposto un’impugnazione dinanzi alla Corte, la quale con la sentenza in parola ha rigettato l’impugnazione e confermato la sentenza del Tribunale.

La decisione

Nella sentenza, la Corte ricorda che “il diritto dell’Unione sanziona non l’esistenza stessa di una posizione dominante, bensì soltanto lo sfruttamento abusivo di quest’ultima. In particolare, sono vietati i comportamenti di imprese in posizione dominante che restringano la concorrenza basata sui meriti e siano dunque suscettibili di causare un pregiudizio alle singole imprese e ai consumatori”.

Tra tali comportamenti rientrano quelli che, con mezzi diversi dalla concorrenza basata sui meriti, “ostacolano il mantenimento o lo sviluppo della concorrenza su un mercato in cui il grado di concorrenza è già indebolito, proprio in ragione della presenza di una o più imprese in posizione dominante”.

Non si può certo ritenere, in generale, “che un’impresa dominante che applichi ai propri prodotti o ai propri servizi un trattamento più favorevole di quello che essa accorda a quelli dei suoi concorrenti tenga, indipendentemente dalle circostanze del caso di specie, un comportamento che si discosta dalla concorrenza basata sui meriti” precisa la Corte. La stessa constata tuttavia che nella fattispecie, “il Tribunale ha effettivamente stabilito che, alla luce delle caratteristiche del mercato e delle circostanze specifiche del caso in esame, il comportamento di Google era discriminatorio e non rientrava nell’ambito della concorrenza basata sui meriti”.

mediazione civile

Mediazione civile: cos’è e come funziona La mediazione civile è una procedura stragiudiziale delle controversie disciplinata dal decreto legislativo n. 28/2010

Mediazione civile: che cos’è

La mediazione civile è una procedura stragiudiziale definita dalla lettera a) dell’articolo 1 del decreto legislativo n. 28/2010. Si tratta nello specifico in un’attività, che viene svolta da un soggetto terzo e imparziale, che prende il nome di mediatore. Il mediatore nell’assistere due o più soggetti in contrasto tra di loro, si pone l’obiettivo di ricercare una soluzione amichevole per comporre la controversia, con la possibilità di formulare una proposta di accordo.

Mediazione obbligatoria e facoltativa

La mediazione può essere obbligatoria o facoltativa. La mediazione è obbligatoria nei casi previsti dall’articolo 5 del decreto legislativo n. 28/2010, ossia quando il preventivo svolgimento di questa procedura rappresenta la condizione per poter procedere in giudizio.

La mediazione è facoltativa quando le parti non sono vincolate ad avviare la mediazione per poter  avviare eventualmente una causa giudiziaria, ma decidono volontariamente di farsi assistere da un mediatore per risolvere una controversia.

Domanda riconvenzionale

La condizione di procedibilità appena vista per la mediazione obbligatoria riguarda solo la domanda principale, non quella riconvenzionale. Lo hanno precisato le SU della Corte di Cassazione nella sentenza n. 3452/2024, dopo aver spiegato la differenza tra domanda riconvenzionale collegata all’oggetto della lite e domanda riconvenzionale “eccentrica”, non subordinata cioè alla comunanza del titolo della domanda attorea. In presenza di questo tipo di domanda riconvenzionale, che allarga   l’oggetto del giudizio, la condizione di procedibilità del preventivo esperimento della mediazione non contemplato. La condizione di procedibilità della mediazione nelle materie obbligatorie vale quindi solo per gli atti introduttivi e non per le domande riconvenzionali, che tuttavia devono essere discusse in sede di mediazione.

Leggi anche “Domanda riconvenzionale e mediazione

Materie mediazione civile obbligatoria

Tornando alla mediazione obbligatoria essa è contemplata dall’articolo 5 del decreto legislativo n. 28/2010 quando le controversie vertono su determinate materie.

Chi vuole esercitare in giudizio un’azione per risolvere una controversia in una delle materie indicate dalla norma, deve quindi avviare, in via preliminare, la procedura di mediazione.

Queste le materie che richiedono il preventivo esperimento della mediazione se si vuole poi agire in giudizio:

  • condominio;
  • diritti reali;
  • divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia;
  • locazione, comodato, affitto di aziende;
  • risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità;
  • contratti assicurativi, bancari e finanziari;
  • associazione in partecipazione, consorzio, franchising, opera, rete, somministrazione, società di persone e subfornitura.

Procedimento di mediazione

Il procedimento di mediazione presenta il primario vantaggio della durata. Essa non può superare la durata complessiva di tre mesi prorogabili di altri tre se le parti si accordano in forma scritta.

Per avviare la procedura è necessario fare domanda presso un organismo di mediazione, che provvede a fissare la data del primo incontro. Il procedimento richiede la partecipazione personale delle parti (e dei loro avvocati se la mediazione è obbligatoria o domandata dal giudice). In presenza di giustificati motivi tuttavia le parti possono delegare un rappresentante purché munito di procura e a conoscenza dei fatti. La  partecipazione personale è molto importante, il mancato rispetto di questa regola produce  effetti processuali negativi per le parti.

Del primo, così come degli incontri successivi, il mediatore redige apposito verbale.

Alla mediazione possono prendere parte anche degli esperti se la materia da trattare è moto tecnica.

La Riforma Cartabia ha previsto la possibilità di svolgere il procedimento di mediazione anche in modalità telematica. La disciplina di questa procedura particolare è contenuta nell’articolo 8 bis del decreto legislativo n. 28/2010.

Possibili esiti della mediazione civile

La  procedura di mediazione civile può avere diversi esiti. Se le parti raggiungono un accordo il mediatore ne da atto nel verbale. L’accordo è quindi redatto in formato analogico o digitale in tanti originali quanti sono le parti, a cui si aggiunge un originale da depositare presso l’organismo. Se con l’accordo le parti compiono uno degli atti contemplati dall’art. 2643 c.c. lo stesso va trascritto, ma un notaio deve prima autenticare le firme dell’accordo. Il verbale che contiene l’accordo inoltre, nei casi e nei modi previsti dall’articolo 12 del decreto legislativo n. 28/2010, costituisce un titolo esecutivo per l’espropriazione forzata.

La mediazione ha invece un esito negativo se le parti non raggiungono l’accordo. Anche in questo caso il mediatore deve darne atto nel verbale.

Costi della mediazione

La mediazione civile presenta un ulteriore vantaggio rispetto alla durata ridotta. Si tratta di una procedura che comporta costi nettamente inferiori rispetto a quelli necessari per avviare e proseguire una causa giudiziale.

Se si avvia ad esempio una mediazione in una controversia che presenta un valore non superiore ai 5000 euro la partecipazione al primo incontro e il raggiungimento dell’accordo comportano un esborso di poche centinaia di euro. Ovviamente se il valore della controversia sale salirà anche il costo della mediazione. In ogni caso il risparmio rispetto a un procedimento giudiziale è notevole, grazie anche ai numerosi benefici fiscali rappresentati dai crediti di imposta descritti nell’articolo 20 del decreto legislativo n. 28/2010.

Negoziazione assistita e mediazione: differenze

La mediazione civile, così come la negoziazione, rappresenta un metodo alternativo di risoluzione delle controversie rispetto ai processi. Nella mediazione però le parti, assistite dai loro avvocati, devono negoziare direttamente tra loro. Nella mediazione invece è il mediatore che aiuta le parti, eventualmente assistite dai loro avvocati, per fargli raggiungere un accordo.

Diverse sono anche le materie nelle quali si deve avviare una negoziazione o una mediazione così come è diversa la procedura, il rapporto con il processo, i costi e i benefici fiscali.

affitti brevi

Affitti brevi: cos’è il CIN e come ottenerlo Dal primo settembre al via la banca dati nazionale per gli affitti brevi con l'entrata in vigore in tutta Italia del Codice Identificativo Nazionale (CIN)

Affitti brevi: le ragioni del CIN

Affitti brevi: dal primo settembre entra in vigore in tutta Italia il CIN, il “codice identificativo nazionale”. Dopo le sperimentazioni in alcune regioni, come Veneto e Puglia, il CIN – che diverrà obbligatorio, di volta in volta per ciascuna regione, entro il 1 novembre 2024 – sostituirà i sistemi di riconoscimento regionali, (CIR) allo scopo di censire e tracciare su scala nazionale le locazioni turistiche inferiori a 30 giorni al fine di contrastare l’abusivismo sugli affitti e tenere sotto controllo la loro diffusione soprattutto nelle città con maggiori presenze di turisti.

Infatti, a maggior ragione in seguito alla diffusione di sistemi e applicazioni come Airbnb, che hanno semplificato molto la gestione degli affitti brevi, l’offerta di case in affitto in Italia è aumentata molto e molto velocemente, rendendo talvolta più difficile la loro tracciabilità e favorendo indirettamente alcune forme di abusivismo.

Nelle città con un intenso turismo il fenomeno ha anche portato a una riduzione delle case in affitto per i residenti, con conseguenze sull’offerta e sul costo degli affitti di lunga durata.

Leggi anche Affitti brevi: cosa cambia con il nuovo decreto

In cosa consiste il CIN

Il “decreto anticipi” n. 145/2023 convertito in l. 191/2023, all’articolo 13-ter, prevede nuovi obblighi per i proprietari di unità abitative destinate alle locazioni turistiche. Tra questi, appunto, l’obbligo del codice identificativo nazionale (CIN).

Del Codice, che verrà assegnato mediante procedura telematica, come contemplato dallo stesso art. 13 ter del citato decreto – si deve dotare chi mette un immobile in affitto per periodi brevi.

Esso dovrà essere esposto in ogni annuncio e fuori dall’edificio in cui è collocato l’immobile.

Il CIN si richiede tramite l’iscrizione alla Banca dati nazionale delle strutture ricettive e degli immobili in locazione breve e per finalità turistica (BDSR), gestita dal ministero del Turismo e raccoglierà sia le informazioni sugli immobili – come quelle catastali, le certificazioni sugli impianti, la capacità ricettiva, l’ubicazione – sia i dati di chi mette in affitto.

Le sanzioni

È comunque previsto un periodo di 60 giorni dalla data di pubblicazione in G.U. nel quale non saranno emesse multe nei confronti di chi non lo avrà ancora ottenuto. Oltre questo termine chi mettesse in affitto una casa per tempi brevi senza un CIN rischierà: una multa tra gli 800 e gli 8mila euro, mentre chi non esporrà il codice all’esterno dell’abitazione e negli annunci potrà ricevere multe tra i 500 e i 5mila euro. 

Un’evoluzione del CIR

Secondo il governo il nuovo sistema renderà più semplice e omogenea la gestione burocratica degli affitti brevi, evitando che ogni regione ed ente locale facciano da sé con regole diverse e talvolta in contraddizione tra loro.

Il CIN è infatti una sorta di evoluzione su scala nazionale del CIR, cioè il “codice identificativo di riferimento” che diverse regioni avevano attivato negli anni scorsi per tenere sotto controllo gli affitti brevi. Gli accordi legati alla BDSR prevedono che gli enti locali già in possesso di un CIR comunichino i dati alla piattaforma, in modo da semplificare l’attivazione del CIN da parte di chi mette in affitto le case.

Il CIN sarà fondamentale anche per l’identificazione degli immobili destinati alla locazione turistica all’interno della banca dati unica.   

Come ottenere il CIN

Il titolare o gestore di una struttura ricettiva o di un immobile destinato alla locazione breve o per finalità turistica, per poter ottenere il CIN dovrà registrarsi sul sito sito ufficiale della BIRDS (Banca Dati Nazionale Strutture Ricettive degli immobili destinati a locazione breve o per finalità turistiche) del Ministero del Turismo e accedere tramite SPID o CIE, e seguendo le direttive, farne richiesta.

La comunicazione del codice dovrà arrivare entro 60 giorni. I termini decorrono dal momento di effettiva applicazione delle disposizioni sul CIN (Decreto-legge n. 145/2023, art. 13-ter), cioè dopo 60 giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dell’avviso attestante l’entrata in funzione della BDSR su tutto il territorio nazionale.

Chi ha già ottenuto il codice identificativo regionale o provinciale prima dell’applicazione delle nuove disposizioni, ha ulteriori 60 giorni di tempo per ottenere il CIN. Quindi, si hanno complessivamente 120 giorni dalla pubblicazione dell’avviso. Una volta decorsi questi termini, si sarà suscettibili di sanzione.

intelligenza artificiale

Intelligenza artificiale: divieti e sanzioni Intelligenza artificiale: le disposizioni del Regolamento UE 2024/1689 prevedono anche divieti e sanzioni non allineati dal punto di vista temporale

Intelligenza Artificiale: i divieti del regolamento UE

Divieti e sanzioni in materia di intelligenza artificiale. Il regolamento UE 2024/1689 che stabilisce le regole di armonizzazione sull’intelligenza artificiale contiene anche disposizioni dedicate alle pratiche vietate e alle sanzioni. Occorre tuttavia segnalare un certo disallineamento temporale tra i sistemi AI vietati e le sanzioni amministrative. I divieti dei sistemi di intelligenza artificiale più pericolosi sono infatti vietati a partire dal 2 febbraio del 2025, mentre le sanzioni potranno essere applicate dal 5 agosto 2025.

Pratiche di intelligenza artificiale vietate

I divieti relativi alle pratiche di intelligenza artificiale sono contenuti nell’articolo 5 del Regolamento.

Tutela dei diritti fondamentali

I divieti sono finalizzati a tutelare tutte quelle pratiche che possono ledere i diritti fondamentali delle persone.

  • È vietato utilizzare l’IA per manipolare le persone a loro insaputa, influenzando le loro decisioni in modo da causare danni significativi.
  • Non è permesso sfruttare le vulnerabilità di alcuni gruppi specifici (anziani, disabili o persone in situazioni economiche difficili) per manipolarne il comportamento.
  • È proibito creare sistemi che assegnano punteggi sociali alle persone. Questo potrebbe dare vita a discriminazioni.
  • Non si può utilizzare l’IA per predire la commissione di un reato basandosi solo su un profilo personale.
  • È fatto divieto di creare o ampliare banche dati di riconoscimento facciale tramite la raccolta indiscriminata di immagini da internet.
  • Non è consentito utilizzare l’IA per inferire le emozioni delle persone in ambienti lavorativi o scolastici. Le uniche eccezioni sono rappresentate da motivi medici o di sicurezza.
  • È proibito classificare le persone in base ai dati biometrici per trarre conclusioni su caratteristiche sensibili come la razza, le opinioni politiche o la sessualità.
  • L’impiego della biometria in tempo reale in spazi pubblici per finalità di sorveglianza è in genere vietato. Poche le eccezioni specifiche, come la ricerca di persone scomparse o la prevenzione di attacchi di stampo terroristico.

In base a quanto sancito dall’articolo 113 del Regolamento il capo II del Regolamento, che contiene anche il suddetto articolo 5 sulle pratiche vietate, si applica a partire dal 2 febbraio 2025.

Sanzioni amministrative

Il regolamento prevede l’applicazione di sanzioni amministrative qualora vengano violate le pratiche di AI vietate dall’articolo 5 appena analizzato, all’articolo 99 paragrafo 3.

La disposizione prevede nello specifico l’applicazione di sanzioni amministrative di importo fino a 35.000 euro. Qualora il responsabile del reato sia un’impresa, la sanzione viene applicata nella misura fino al 7% del fatturato annuo mondiale relativo all’anno precedente, se superiore.

In base a quanto previsto dall’articolo 113 del Regolamento l’articolo 99, compreso nel capo XII e dedicato appunto alle sanzioni applicabili in caso di violazione delle pratiche vietate, è applicabile a partire dal 2 agosto 2025.

 

Leggi anche: “AI Act: la legge europea sull’intelligenza artificiale

class action

Class action Le class action sono azioni collettive a tutela degli interessi omogenei di una serie di soggetti. la disciplina codicistica e le azioni a tutela dei consumatori

In che cosa consiste una class action

La class action è un’azione collettiva con cui un insieme di soggetti (ad es.: consumatori) può chiedere contro un unico soggetto il risarcimento di un danno o altra misura analoga oppure la cessazione di un comportamento lesivo dei propri diritti o interessi.

Quando si può fare una class action

Negli ultimi anni, la class action è stata oggetto di alcune rilevanti innovazioni normative, sia nel nostro ordinamento che a livello europeo, tese a rendere questo strumento ancora più vantaggioso, rispetto all’azione esercitabile singolarmente, per il soggetto che si ritiene danneggiato.

Tali novità legislative mirano, dunque, a favorire l’utilizzo delle azioni collettive, finora ancora poco sperimentate nelle aule dei nostri tribunali.

I procedimenti collettivi di cui al codice di procedura civile

Gli interventi normativi di cui sopra si  è detto disciplinano due diversi istituti, tra loro affini ma che riguardano situazioni differenti.

La legge n. 31/2019, introducendo gli artt. 840-bis e seguenti del codice di procedura civile, individua la disciplina dei procedimenti collettivi, azionabili anche da un singolo utente, oltre che da associazioni iscritte in un apposito elenco tenuto dal Ministero della Giustizia, che tutelino gli interessi di quanti si ritengano lesi da un comportamento tenuto dall’impresa o dal gestore di pubblici servizi.

Quante persone servono per fare una class action

Va notato, quindi, che nel caso dei procedimenti collettivi di cui alla disciplina codicistica, il comportamento lesivo può essere tutelato sia con l’azione individuale di un singolo soggetto (art. 840-bis c.p.c., quarto comma), sia come azione di classe; quest’ultima può essere azionata, a sua volta, da ciascun componente della classe (persona fisica o giuridica) oppure da un’organizzazione o associazione senza scopo di lucro, che abbia tra i suoi fini statutari la tutela dei diritti di cui si lamenta la lesione.

Se un’azione di classe, il cui avvio viene reso conoscibile attraverso appositi portali web, viene avviata da più componenti della medesima classe, si dispone la riunione dei vari ricorsi in un unico procedimento.

Il procedimento collettivo mira all’accertamento della condotta lesiva e può portare alla condanna di risarcimento del danno, alle restituzioni o all’inibizione o divieto di prosecuzione di una determinata condotta.

Una caratteristica da sottolineare propria dei procedimenti collettivi disciplinati dal codice di procedura civile è rappresentata dal fatto che non vi sono particolari limitazioni di materia riguardo all’oggetto degli stessi, a differenza, come vedremo tra breve, delle class action disciplinate dal Codice del Consumo.

Class action: le azioni rappresentative del Codice del consumo

Il d.lgs. 28/2023, recependo la Direttiva UE 1828 del 2020, ha introdotto gli artt. 140-ter e ss. del Codice del consumo (d.lgs. 206/2005).

Le azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori possono essere avviate dalle associazioni dei consumatori iscritte in un elenco tenuto dal Ministero delle Imprese e del Made in Italy, oppure da organismi pubblici indipendenti (ad esempio, il Garante della Privacy) o da enti designato da altri Stati membri dell’Unione Europea.

A differenza dei procedimenti collettivi disciplinati dal codice di procedura civile, quindi, nelle azioni rappresentative disciplinate dal Codice del Consumo non  è prevista la possibilità che la class action origini dall’azione individualmente avviata da una singola persona (fisica o giuridica) componente della classe.

La class action dei consumatori può essere azionata solo in determinate materie che comportino la lesione di interessi collettivi dei consumatori, come ad esempio in presenza di pratiche commerciali scorrette o di pubblicità ingannevole.

Come nei procedimenti collettivi sopra esaminati, anche le azioni rappresentative a tutela dei consumatori possono portare a provvedimenti inibitori o compensativi a carico del professionista/impresa che ha posto in atto il comportamento lesivo.

Ciò significa che il giudice può vietare a quest’ultimo di tenere un determinato comportamento o condannarlo a restituzioni in favore dei danneggiati o al risarcimento del danno a questi arrecato.

Come aderire alla class action

Tra i vantaggi propri delle class action vi è la possibilità, per gli enti legittimati a proporla, di agire senza necessità di raccogliere preventivamente il mandato di ogni interessato. Gli interessati, inoltre, possono manifestare la propria adesione all’azione anche dopo l’emanazione del provvedimento che chiude il giudizio, per beneficiare delle disposizioni risarcitorie in esso contenute.

Inoltre, la disciplina prevede, a favore dei ricorrenti, agevolazioni istruttorie, anche attraverso misure sanzionatorie a carico dell’impresa che non metta a disposizione materiale probatorio in suo possesso; circostanze, quelle appena descritte, che contribuiscono a rendere più favorevole l’azione collettiva rispetto a quella che potrebbe avviare il singolo danneggiato.

servitù di parcheggio

Servitù di parcheggio L’istituto della servitù di parcheggio e il suo tortuoso riconoscimento da parte della giurisprudenza. La decisiva sentenza delle Sezioni Unite n. 3952 del 2024

Cos’è la servitù di parcheggio?

La servitù di parcheggio è un istituto il cui riconoscimento, nel nostro ordinamento, è stato piuttosto controverso, essendosi susseguiti, nel corso degli anni, differenti orientamenti sul tema sia in giurisprudenza che in dottrina.

Da ultimo, la sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, n. 3925 del 13 febbraio 2024, rappresenta un’autorevole pronuncia a favore della configurabilità della servitù di parcheggio, laddove le posizioni contrarie tendevano a ricondurre l’utilizzo di un parcheggio nell’alveo dei diritti contrattuali anziché in quello dei diritti reali.

Cosa sono le servitù prediali

Ma perché l’utilizzo di un parcheggio servente ad un’abitazione non ha trovato da subito pacifica collocazione tra le servitù prediali?

Per comprenderlo, è opportuno ricordare che, secondo l’art. 1027 del codice civile, la servitù prediale consiste nel peso imposto sopra un fondo per l’utilità di un altro fondo appartenente a diverso proprietario.

In linea più generale, le servitù prediali rientrano tra i diritti reali di godimento. Si tratta, cioè di diritti che conferiscono al titolare un potere immediato e assoluto sulla cosa. L’immediatezza comporta la possibilità di utilizzare il bene senza l’intervento di terzi. L’assolutezza si sostanzia nella possibilità di far valere nei confronti di chiunque (erga omnes) l’esistenza del vincolo sulla cosa.

La servitù di parcheggio nell’autonomia contrattuale

Chiarito ciò, va rilevato, ai fini della nostra analisi, che, a differenza di altre attività (come il transito sul fondo), il parcheggio di un veicolo non è stato inizialmente riconosciuto come strettamente inerente al fondo, ma piuttosto come un’esigenza della singola persona.

In altre parole, l’accordo con cui il proprietario di un fondo (servente) concede ad un altro soggetto la possibilità di parcheggiare un veicolo, veniva sempre ricondotto dalla dottrina ad una fattispecie obbligatoria (come ad es. un contratto di locazione o di comodato gratuito), anche quando l’area di parcheggio era destinata ad essere utilizzata in funzione della vicinanza ad un altro immobile (abitazione o ufficio di chi utilizza il veicolo: fondo dominante).

Il parcheggio come diritto reale

Cosa implicano le diverse ricostruzioni che possono essere date a questa fattispecie?

Innanzitutto, se l’utilizzatore del parcheggio viene considerato titolare di un diritto personale di godimento (come avviene nel caso della locazione), non potrà avvalersi delle azioni reali a difesa del proprio diritto nei confronti di chiunque, ma potrà solo rivolgersi contro il concedente in base al rapporto obbligatorio in essere.

Inoltre, in caso di alienazione del fondo servente, il nuovo proprietario non sarà tenuto a riconoscere la sussistenza del diritto di parcheggio concesso dal precedente proprietario. Diversamente, laddove il diritto dell’utilizzatore dell’area sia riconosciuto come servitù di parcheggio (quindi inerente al fondo) egli potrà continuare ad esercitare il suo diritto anche nei confronti del nuovo proprietario del fondo servente.

Giurisprudenza sulla servitù di parcheggio

Chiariti i termini della questione e le sue implicazioni pratiche, andiamo ora ad esaminare cosa è avvenuto in dottrina e giurisprudenza riguardo a questo tema.

Un primo orientamento, come si è detto, riteneva di non ammettere la configurabilità di un diritto reale di servitù di parcheggio, poiché si riteneva sussistere un interesse della persona all’attività di parcheggio, piuttosto che un’utilità inerente al fondo dominante.

Successivamente, la Corte di Cassazione, con la sent. 7561/2019, ha aperto all’ammissibilità dell’istituto della servitù di parcheggio, invitando i giudici, in sostanza, ad indagare ed interpretare il contenuto del contratto, per comprendere se le parti abbiano voluto costituire una servitù, individuando un diritto che avesse – come ogni diritto reale – i caratteri dell’assolutezza e dell’immediatezza, oltre che dell’inerenza ai fondi servente e dominante.

Allo stesso tempo, la dottrina ha posto l’attenzione su un altro aspetto decisivo per individuare se, nel caso concreto, si sia in presenza di una servitù di parcheggio o di un diritto personale di godimento: la residua sussistenza, in capo al titolare del fondo servente, di una possibilità di utilizzo del fondo.

Se ciò accade, allora si è in presenza di una servitù, poiché questa comprime, ma non “svuota”, la possibilità di godimento del proprio fondo. Diversamente, una locazione dell’area di parcheggio conferisce l’esclusività di utilizzo dell’area.

La sentenza n. 3925/2024 delle Sezioni Unite

In questo solco si inserisce la sentenza delle Sezioni Unite di cui si diceva in apertura di trattazione.

La sentenza delle SS.UU. n. 3925 del 13 febbraio 2024, infatti, evidenzia l’onere, per i giudici merito, di esaminare il contenuto del contratto, per verificare la sussistenza dei requisiti del diritto reale su cosa altrui (servitù).

Contestualmente, viene evidenziata la necessità che dalla pattuizione emergano con precisione anche altri particolari, come la puntuale localizzazione dell’area destinata al parcheggio: proprio in tal modo, infatti, può dedursi la permanenza di una residua utilità del fondo anche in capo al proprietario del fondo servente.

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