rifiuto della quarta pec

Rifiuto della quarta pec: focus sui motivi del rigetto La Cassazione chiarisce che in caso di rifiuto della quarta pec, la parte deve contestare solo le ragioni indicate dalla cancelleria

Deposito PCT rigettato

Rifiuto della quarta pec: con l’ordinanza n. 15801/2025, la prima sezione civile della Corte di Cassazione ha stabilito un importante principio in materia di processo civile telematico (PCT). Quando un atto viene rifiutato dalla cancelleria a seguito del controllo manuale (la cosiddetta “quarta PEC”), l’onere della parte si limita a contestare i motivi indicati nel rigetto, senza dover dimostrare la regolarità dell’intero processo di invio.

Il caso concreto riguardava una S.c.a.r.l. che aveva proposto opposizione allo stato passivo di un fallimento, ma il Tribunale di Teramo aveva dichiarato il ricorso tardivo, ritenendo insufficiente la documentazione relativa al primo deposito, avvenuto via PEC.

Perfezionamento deposito telematico

Nel processo civile telematico, ogni deposito genera quattro distinte comunicazioni PEC:

  1. Ricevuta di accettazione: il sistema accoglie il messaggio inviato;

  2. Ricevuta di consegna: l’atto arriva alla casella PEC dell’ufficio giudiziario;

  3. Controlli automatici: verifica formale dell’indirizzo del mittente, del formato e della dimensione;

  4. Controllo del cancelliere: verifica manuale e definitiva accettazione (o rigetto).

Il deposito si considera perfezionato già al momento della seconda PEC, con effetto provvisorio, salvo successivo buon esito della verifica finale da parte della cancelleria.

Basta la contestazione mirata

Nel caso analizzato, il deposito iniziale del 14 marzo 2016 era stato rifiutato il 18 marzo con la quarta PEC. L’opponente aveva poi effettuato un nuovo deposito cartaceo il 30 marzo, allegando le quattro ricevute PEC.

Il Tribunale aveva ritenuto la prova insufficiente, poiché mancavano i file originali e il contenuto informatico del primo atto. Ma per la Cassazione questa impostazione è errata: la parte non deve dimostrare l’intero iter tecnico, ma può concentrarsi esclusivamente sui motivi esplicitati nel rigetto della cancelleria.

Il principio di diritto della Cassazione

Secondo la Suprema Corte: “Nell’ipotesi in cui la quarta p.e.c. dia esito non favorevole, la parte ha l’onere di attivarsi con immediatezza per rimediare al mancato perfezionamento del deposito telematico; la reazione immediata si sostanzia, alternativamente e secondo i casi:

(a) in un nuovo tempestivo deposito, da considerare in continuazione con la precedente attività, previa contestazione delle ragioni del rifiuto;
(b) in una tempestiva formulazione dell’istanza di rimessione in termini ove la decadenza si assuma in effetti avvenuta ma per fatto non imputabile alla parte.”

In altre parole, basta contestare i motivi specifici contenuti nella quarta PEC. La prova dell’intera regolarità tecnica o del contenuto del ricorso non può essere richiesta dal giudice, salvo specifica eccezione della controparte.

Giudizio da rifare

Rilevata l’erroneità del ragionamento del giudice di merito, la Cassazione ha rinviato il procedimento al Tribunale di Teramo, in diversa composizione, affinché valuti:

  • la tempestività della reazione della parte al rifiuto;

  • la legittimità delle ragioni del rigetto indicate dalla cancelleria.

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nuda proprietà

Nuda proprietà Nuda proprietà: cos’è, il legame con l’usufrutto, riferimenti normativi, vantaggi, svantaggi, aspetti fiscali e consolidazione

Cos’è la nuda proprietà

La nuda proprietà si distingue dalla piena proprietà, perché si realizza quando su un bene immobile gravano diritti di godimento a favore di altri soggetti. Chi possiede la nuda proprietà detiene la “scatola” dell’immobile, ma non può utilizzarlo o percepirne i frutti finché un altro soggetto, l’usufruttuario, ne ha il diritto.

Nuda proprietà e usufrutto

Per cogliere appieno la nuda proprietà, è quindi essenziale capire l’usufrutto. L’usufrutto è un diritto reale di godimento su cosa altrui. L’usufruttuario può godere del bene, usarlo e trarne i frutti (naturali e civili), con il vincolo di rispettarne la destinazione economica, senza possibilità di cambiarla.

L’usufrutto può essere costituito per legge (usufrutto legale), per volontà delle parti (contratto o testamento) o per usucapione. La sua durata è limitata: esso si estingue con la morte dell’usufruttuario (se persona fisica) o decorso il periodo massimo di trent’anni (se a favore di persona giuridica). Questo significa che l’usufrutto non può essere trasmesso agli eredi dell’usufruttuario e, se ceduto a terzi, si estingue comunque con la morte del cedente originario.

L’usufruttuario, pur non essendo proprietario, può agire come tale agli occhi di terzi, possedendo il bene e potendolo affittare. Tuttavia, non può vendere l’immobile, ma solo il suo diritto di usufrutto.

Riferimenti normativi

La disciplina della nuda proprietà, poiché legata al diritto di usufrutto, è contenuta nell’articolo 978 e seguenti del Codice Civile, che regolamentano questo diritto reale.

Le norme di natura fiscale invece sono contenute nelle leggi fiscali e nei regolamenti degli enti locali competenti.

Acquisto della nuda proprietà

La nuda proprietà di un immobile si acquista comprando, ereditando o ricevendo in donazione un bene la cui piena titolarità è priva del diritto di utilizzo e di godimento fino alla morte dell’usufruttuario. Questa forma di acquisizione può essere vantaggiosa per diverse ragioni. Il suo valore economico, ad esempio, è inferiore a quello della piena proprietà, ma si ricompone una volta cessato l’usufrutto. In particolare, il valore della nuda proprietà vitalizia dipende dall’età dell’usufruttuario: più è anziano, maggiore è il valore della nuda proprietà al momento dell’acquisto, poiché la durata prevista dell’usufrutto è minore. Questo rende la nuda proprietà un investimento interessante, perché il suo valore può aumentare nel tempo, mano a mano che l’usufruttuario invecchia.

Vantaggi  

Acquistare la nuda proprietà offre quindi diversi vantaggi:

  • l’immobile viene acquisito a un prezzo inferiore rispetto alla piena proprietà;
  • il valore dell’immobile tende a crescere nel tempo con l’invecchiamento dell’usufruttuario e l’aumento del valore di mercato:
  • il nudo proprietario non deve sostenere le spese di manutenzione ordinaria, quelle di amministrazione e custodia, né il carico fiscale ordinario, che sono a carico dell’usufruttuario;
  • per chi vende, è un modo per ottenere liquidità mantenendo il diritto di abitare l’immobile;
  • per chi compra, può essere un investimento a lungo termine per i figli.

Svantaggi  

Nonostante i vantaggi, l’istituto presenta anche degli svantaggi:

  • il nudo proprietario deve attendere la cessazione dell’usufrutto per poter godere pienamente dell’immobile;
  • le spese di manutenzione straordinaria sono a carico del nudo proprietario;
  • chi vende la nuda proprietà conservando l’usufrutto non può vendere il bene e deve conservarlo in buono stato.

Nuda proprietà e imposte

Il nudo proprietario non è gravato dai carichi fiscali sull’immobile, poiché questi sono a carico dell’usufruttuario. L’usufruttuario è tenuto infatti a pagare imposte come IMU, TASI e IRPEF. Al nudo proprietario spettano solo le imposte indirette, su una base imponibile ridotta del valore dell’usufrutto. All’inizio e alla fine dell’usufrutto, i carichi fiscali si ripartiscono proporzionalmente.

Estinzione usufrutto e acquisizione proprietà

Il nudo proprietario ottiene la piena titolarità dell’immobile alla cessazione dell’usufrutto grazie all’istituto della “consolidazione”, che si realizza quando i poteri di godimento e utilizzo si riuniscono.

L’usufrutto può estinguersi per diverse ragioni:

  • morte dell’usufruttuario (sia per usufrutto vitalizio che temporaneo);
  • scadenza del termine (per usufrutto temporaneo);
  • cessione del diritto dall’usufruttuario al nudo proprietario:
  • prescrizione, che si verifica e l’usufruttuario non esercita i suoi poteri per almeno vent’anni.
  • distruzione totale del bene causata dall’usufruttuario;
  • rinuncia dell’usufruttuario;
  • abusi o inadempimenti gravi dell’usufruttuario che causano un danno rilevante all’immobile, portando all’estinzione giudiziale dell’usufrutto e a un possibile risarcimento.

Leggi anche: Usufrutto: guida breve

indennità custode giudiziario

Indennità custode giudiziario: alle SS.UU. il termine di decadenza La Cassazione rimette alle Sezioni Unite il nodo del termine di 100 giorni per chiedere l’indennità del custode giudiziario

Indennità custode giudiziario

Indennità custode giudiziario: con l’ordinanza interlocutoria n. 15046/2025, la prima sezione civile della Cassazione ha rimesso alle sezioni unite la seguente questione: se al custode giudiziario debba applicarsi il termine di 100 giorni previsto per gli altri ausiliari del giudice ai sensi dell’art. 71, comma 2, del D.P.R. n. 115/2002 (Testo unico spese di giustizia).

Il nodo interpretativo nasce da un contrasto giurisprudenziale tra le sezioni civili e penali della stessa Corte, evidenziando la natura trasversale della figura del custode tra processo civile e penale.

Il caso

La vicenda trae origine da una opposizione proposta da un custode giudiziario contro il rigetto, da parte del GIP di Locri, dell’istanza di liquidazione delle indennità relative alla custodia di autoveicoli sequestrati in sede penale.

Il ricorrente lamentava che il termine di decadenza di 100 giorni, previsto dall’art. 71 per gli ausiliari del giudice, non fosse applicabile alla sua posizione, regolata invece dal successivo art. 72 del D.P.R. n. 115/2002, che non contempla alcun termine decadenziale.

Le tesi contrapposte

La Cassazione ha esaminato due orientamenti consolidati ma contrapposti:

  • Orientamento restrittivo (penale): esclude l’applicabilità del termine di decadenza al custode, evidenziando l’assenza di tale previsione nell’art. 72 e la differenza strutturale e funzionale tra custode e altri ausiliari. Il custode, infatti, non contribuisce all’accertamento giudiziale, ma ha un compito materiale di conservazione del bene sottoposto a vincolo.

  • Orientamento estensivo (civile): sostiene l’applicazione del termine anche al custode giudiziario, fondandosi sull’art. 3 del T.U. spese di giustizia, che elenca gli ausiliari del giudice in senso ampio. In tale prospettiva, il custode rientrerebbe tra i soggetti che devono presentare l’istanza di liquidazione entro 100 giorni dal compimento dell’incarico.

Le ragioni del rinvio alle Sezioni Unite

La Corte, pur rilevando l’esistenza di numerose pronunce che equiparano il custode agli ausiliari del giudice, ha riconosciuto la presenza di elementi distintivi che potrebbero giustificare un trattamento differenziato. In particolare, si osserva che:

  • L’attività del custode ha una natura continuativa e spesso si protrae nel tempo;

  • Il compenso del custode è definito come “indennità”, distinta dagli “onorari” previsti per gli altri ausiliari;

  • La disciplina vigente (in particolare l’art. 72) non contiene alcuna disposizione specifica in merito a un termine perentorio di richiesta.

Quale sarà la sorte dell’indennità del custode?

Sarà ora compito delle Sezioni Unite della Cassazione chiarire in modo definitivo se il custode giudiziario debba o meno presentare l’istanza di liquidazione entro il termine di 100 giorni dal termine del proprio incarico.

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procura speciale e definizione accelerata

Procura speciale e definizione accelerata: chiarimenti delle SS.UU. Le Sezioni Unite della Cassazione chiariscono quando non è più necessaria la nuova procura speciale nei procedimenti di definizione accelerata, alla luce del correttivo Cartabia

La nuova linea sull’art. 380-bis c.p.c.

Procura speciale e definizione accelerata: con la sentenza n. 14986 del 4 giugno 2025, le Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione hanno fatto chiarezza sull’ambito di applicazione dell’art. 380-bis c.p.c. come riformulato dal d.lgs. n. 164/2024 (cosiddetto “correttivo Cartabia”), stabilendo in quali casi non è più necessario allegare una nuova procura speciale in sede di istanza di decisione.

Quando si applica la nuova versione

Secondo la Suprema Corte, la nuova formulazione dell’art. 380-bis c.p.c. – che elimina l’obbligo di allegare una nuova procura speciale all’istanza di decisione – trova applicazione nei procedimenti in cui il termine per richiedere la decisione sia scaduto dopo il 26 novembre 2024, data di entrata in vigore del d.lgs. 164/2024.

La Cassazione chiarisce che la riforma è applicabile anche ai ricorsi notificati prima dell’1 gennaio 2023, purché non fosse stata ancora fissata l’adunanza camerale o l’udienza pubblica alla data di entrata in vigore della riforma.

Il principio tempus regit actum

Le Sezioni Unite richiamano il principio tempus regit actum, specificando che la riforma si applica agli atti processuali compiuti successivamente alla sua entrata in vigore. In tale contesto, l’atto rilevante è l’istanza di decisione: se presentata dopo il 26 novembre 2024, non è più necessario corredarla di una nuova procura speciale.

Nei procedimenti in cui, invece, il termine per l’istanza era già scaduto prima di quella data, l’assenza della procura speciale comporta l’estinzione del giudizio ai sensi dell’art. 391 c.p.c., trattandosi di un vizio processuale sopravvenuto.

Procura speciale e definizione accelerata: i casi anteriori

Nei ricorsi rientranti ancora nel regime previgente, la mancata allegazione della nuova procura speciale impedisce la prosecuzione del giudizio, poiché equivale alla mancanza di una rituale richiesta di decisione. In tali ipotesi, non si può ritenere che la causa sia stata definita in conformità alla proposta di manifesta inammissibilità, improcedibilità o infondatezza: l’estinzione dipende da un vizio autonomo, indipendente dal contenuto della proposta.

cartellino senza prezzo

Cartellino senza prezzo? Scatta la sanzione La Cassazione conferma l'obbligo di esposizione chiara e leggibile del prezzo di vendita nel cartellino

Prezzo non visibile nel cartellino

Cartellino senza prezzo: una griffe della moda è stata sanzionata per aver nascosto i cartellini del prezzo all’interno dei capi esposti. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 14826/2025, ha confermato che il prezzo di vendita deve essere sempre chiaramente visibile, a tutela del consumatore. L’informazione deve essere trasparente, accessibile e immediatamente percepibile, anche nei settori di lusso.

Il caso: cartellino senza prezzo

La vicenda trae origine da un verbale redatto dalla Guardia di Finanza, che aveva accertato l’assenza di indicazioni chiare sul prezzo di prodotti in vendita presso una nota boutique. I cartellini erano presenti, ma nascosti all’interno delle tasche dei vestiti o chiusi nelle borse. L’autorità comunale aveva inflitto una sanzione amministrativa da 1.032 euro, poi confermata in sede giudiziaria.

In primo grado, il Giudice di pace di Ferrara aveva accolto l’opposizione della maison, ritenendo sufficiente la presenza del cartellino anche se non visibile esternamente. Ma il Tribunale e poi la Cassazione hanno ribaltato il verdetto.

Visibilità e leggibilità requisiti inscindibili

Secondo la Seconda sezione civile della Corte, il cartellino del prezzo non deve solo esistere, ma anche essere posizionato in modo tale da risultare immediatamente visibile. La Corte ha chiarito che, sebbene “visibilità” e “leggibilità” non siano sinonimi, la chiara leggibilità imposta dall’art. 14 del D.lgs. 114/1998 comporta necessariamente anche una facile visibilità da parte del pubblico.

Un cartellino posto all’interno di un prodotto o nascosto tra le pieghe non risponde a tale requisito, violando così le disposizioni sul commercio al dettaglio.

La regola vale anche per il self-service

Particolare rilievo viene dato dalla Corte alla disposizione contenuta nel terzo comma dell’art. 14, che disciplina la vendita a libero servizio: in questi casi, l’esposizione del prezzo deve garantire una immediata percezione visiva da parte del consumatore. Da ciò discende che, se la visibilità è richiesta anche dove il cliente può manipolare il prodotto, a maggior ragione è necessaria nei casi in cui il contatto fisico con il bene non sia consentito.

Il precedente

La Corte ha richiamato un proprio orientamento consolidato con la sentenza n. 3115/2005, secondo cui un cartellino posto sotto l’oggetto in esposizione è da considerarsi “nascosto”. Anche se il prezzo è tecnicamente leggibile una volta individuato, non soddisfa l’obbligo normativo se non immediatamente visibile e riconducibile al prodotto esposto.

Trasparenza prezzi diritto del consumatore

Il principio espresso dalla Corte si inserisce nel solco della normativa italiana ed europea che mira alla tutela della trasparenza informativa nei rapporti di consumo. Il commerciante non può scegliere discrezionalmente dove collocare il prezzo, soprattutto se tale scelta comporta difficoltà per il cliente nel conoscere il costo del prodotto.

La Corte ha respinto anche l’argomento della maison, secondo cui nel settore moda la visibilità del prezzo sarebbe “non rilevante” rispetto a brand, allestimento e qualità del servizio: la normativa sul commercio non prevede deroghe per il lusso.

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associazioni riconosciute

Associazioni riconosciute Associazioni riconosciute: cosa sono, quali sono e come si distinguono da quelle non riconosciute

Associazioni riconosciute: cosa sono

Le associazioni riconosciute si costituiscono per perseguire finalità comuni non economiche (culturali, religiose, sportive, benefiche, ecc.), dotandosi della personalità giuridica mediante un iter specifico di riconoscimento. A differenza delle associazioni non riconosciute, queste godono di un’autonomia patrimoniale perfetta, ossia il loro patrimonio è distinto da quello degli associati e degli amministratori.

Normativa di riferimento: artt. 14–35 c.c.

Le associazioni, in generale, sono regolate dal titolo II del libro I del codice civile (artt. 14–35 c.c.). Quelle riconosciute si distinguono in quanto acquisiscono personalità giuridica attraverso un atto formale di riconoscimento da parte dello Stato, sulla base di una valutazione dell’adeguatezza patrimoniale e della conformità dell’atto costitutivo e dello statuto alle norme vigenti.

Il riconoscimento avviene oggi ai sensi del D.P.R. 361/2000 per le persone giuridiche private non appartenenti al Terzo Settore, o tramite il Registro Unico Nazionale del Terzo Settore (RUNTS) per gli enti iscritti.

Associazioni riconosciute: definizione e requisiti

Una associazione riconosciuta è un ente senza scopo di lucro che:

  • persegue una finalità lecita e di pubblica utilità (ad esempio culturale, educativa, sportiva, religiosa);
  • è dotata di atto costitutivo e statuto conformi alle disposizioni di legge;
  • è riconosciuta dallo Stato o da un ente pubblico competente, tramite l’iscrizione in appositi registri;
  • è in possesso di un patrimonio adeguato al perseguimento delle proprie finalità.

Differenza tra associazioni riconosciute e non riconosciute

Aspetto

Associazione riconosciuta

Associazione non riconosciuta

Personalità giuridica

No

Responsabilità patrimoniale

Limitata al patrimonio

Anche personale (degli amministratori)

Requisiti di costituzione

Atto pubblico + riconoscimento

Atto costitutivo anche privato

Controlli pubblici

Sì, anche su bilanci e statuti

Minori obblighi formali

Capacità giuridica piena

Sì, agisce in nome proprio

Agisce per il tramite di rappresentanti

La differenza principale tra queste due figure consiste nella responsabilità: nelle associazioni non riconosciute, in caso di debiti, possono essere chiamati a rispondere personalmente gli amministratori (art. 38 c.c.), mentre le associazioni riconosciute rispondono solo con il proprio patrimonio.

Come si costituisce un’associazione riconosciuta

Per ottenere il riconoscimento giuridico, è necessario:

  1. redigere un atto costitutivo e uno statuto, in forma pubblica;
  2. presentare richiesta all’autorità competente (Prefettura, Regione, RUNTS);
  3. dimostrare di possedere un patrimonio iniziale adeguato, normalmente non inferiore a 15.000 euro (variabile);
  4. attendere il provvedimento formale di riconoscimento e l’iscrizione nei registri previsti.

Nel caso di associazioni del Terzo Settore, l’iscrizione nel Registro Unico Nazionale (RUNTS) comporta il riconoscimento automatico della personalità giuridica, come stabilito dal D.lgs. n. 117/2017 (Codice del Terzo Settore).

Esempi di associazioni riconosciute

  • Associazioni culturali riconosciute (es. accademie, fondazioni artistiche);
  • Associazioni sportive dilettantistiche;
  • Associazioni di volontariato o promozione sociale;
  • Associazioni dei consumatori;
  • Associazioni per la protezione ambientale.

Giurisprudenza

La giurisprudenza civile ha spesso ribadito la distinzione tra soggettività giuridica e responsabilità patrimoniale, sottolineando come la concessione della personalità giuridica non dipenda dalla sola volontà delle parti, ma da un provvedimento amministrativo formale. Inoltre, è frequente l’intervento della Cassazione nei casi in cui si discute della responsabilità personale degli amministratori di associazioni non riconosciute, specie in caso di obbligazioni contratte in nome dell’ente.

 

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TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio)

TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) Trattamento sanitario obbligatorio (TSO): cos'è, come funziona e quali sono i diritti della persona

Cos’è il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio)

Il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) è un intervento sanitario previsto dall’ordinamento italiano che può essere disposto in modo coercitivo nei confronti di una persona affetta da disturbi mentali, quando essa si rifiuta di sottoporsi volontariamente alle cure necessarie e ricorrono precise condizioni di pericolo per sé o per gli altri.

Trattasi di un misura eccezionale e residuale, finalizzata alla tutela della salute mentale del paziente e alla sicurezza pubblica, ma deve essere sempre esercitata nel pieno rispetto dei diritti costituzionali. La sua applicazione è vincolata a rigidi requisiti normativi e a un rigoroso controllo giudiziario, a garanzia dell’individuo.

La base normativa del TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) si trova nella legge n. 833/1978, istitutiva del Servizio Sanitario Nazionale, e in particolare agli articoli 33, 34 e 35, che ne disciplinano la procedura, i presupposti e le garanzie.

Requisiti per il TSO: quando può essere disposto

Secondo l’art. 34 della legge 833/1978, il TSO può essere adottato esclusivamente quando:

  1. sussistono alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti interventi terapeutici;
  2. non è possibile attuare tempestivamente e adeguatamente interventi extraospedalieri;
  3. la persona rifiuta le cure necessarie.

Questi tre presupposti devono coesistere e vanno accertati da almeno due medici, di cui uno deve appartenere alla struttura sanitaria pubblica.

Chi può richiedere il TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio)

La richiesta di TSO parte da un medico, che può essere anche un medico di base o del pronto soccorso, e deve essere convalidata da un secondo medico, appartenente a una struttura pubblica.

La proposta, accompagnata dal certificato medico, viene inviata al Sindaco, in qualità di autorità sanitaria locale, che può emettere ordinanza motivata di TSO. Successivamente, il provvedimento deve essere convalidato dal Giudice Tutelare entro 48 ore.

Come funziona il TSO: la procedura

  1. Accertamento sanitario: redazione della proposta da parte del medico, convalidata da un secondo sanitario pubblico.
  2. Emissione dell’ordinanza del Sindaco: deve indicare il tipo di trattamento e le sue modalità.
  3. Esecuzione del TSO: normalmente presso un Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC).
  4. Convalida del Giudice Tutelare: entro 48 ore dalla comunicazione, il giudice convalida o meno il provvedimento.
  5. Durata: il TSO ha una durata iniziale massima di 7 giorni, prorogabile per ulteriori 7 giorni su proposta medica convalidata.

Tipi di TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio)

  • TSO in regime di ricovero: il più comune, comporta il trasferimento del paziente in un reparto psichiatrico ospedaliero.
  • TSO ambulatoriale (meno diffuso): può consistere in cure somministrate fuori dal contesto ospedaliero, sotto condizioni specifiche.

Diritti della persona sottoposta a TSO

La persona sottoposta a TSO conserva pienamente i propri diritti fondamentali, tra cui:

  • il diritto a essere informata sul trattamento e sui motivi dell’intervento.
  • il diritto alla tutela giurisdizionale, mediante ricorso.
  • il diritto alla riservatezza e al rispetto della dignità personale.
  • il diritto di comunicare con familiari e avvocati durante il trattamento.

Ricorso contro il TSO

L’interessato o chiunque vi abbia interesse può proporre ricorso al Giudice Tutelare contro la convalida del TSO. Il giudice è tenuto a decidere in tempi rapidi, garantendo il contraddittorio.

È possibile altresì proporre reclamo ex art. 737 c.p.c. o ricorso straordinario al Tribunale civile nei casi in cui emergano profili di violazione dei diritti fondamentali.

Conseguenze del TSO

Il TSO non comporta automaticamente limitazioni permanenti ai diritti civili o alla capacità giuridica, ma può essere valutato ai fini di:

  • provvedimenti di amministrazione di sostegno, interdizione o inabilitazione (oggi superati dalla figura dell’ADS);
  • decisioni in ambito lavorativo o previdenziale, con eventuale riconoscimento di invalidità;
  • limitazioni alla capacità di possesso e uso di armi, ai sensi del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza (TULPS).

Normativa di riferimento

  • Legge 23 dicembre 1978, n. 833, artt. 33-35 – Istituzione del Servizio Sanitario Nazionale.
  • Codice Civile, artt. 414 ss. (istituti di protezione come interdizione, inabilitazione e incapacità naturale).
  • Legge 180/1978 (cd. Legge Basaglia), abrogata ma integrata nella legge 833/1978.
  • Costituzione italiana, artt. 13 e 32 – Libertà personale e diritto alla salute.
  • Codice Deontologico Medico, in relazione all’obbligo di rispetto della volontà del paziente salvo i casi di TSO.

Leggi anche: TSO: la persona va informata sul trattamento

sovraindebitamento

Sovraindebitamento: guida alla legge salva suicidi Sovraindebitamento: cos’è, quali leggi lo prevedono e lo regolamentano, destinatari, procedure, esdebitazione

Sovraindebitamento: definizione

Il termine giuridico “sovraindebitamento” descrive la situazione in cui un soggetto non è più in grado di far fronte ai propri debiti. La situazione di sovraindebitamento si verifica nello specifico quando lo squilibrio tra entrate e uscite rende impossibile al debitore onorare gli impegni finanziari assunti con banche, finanziarie, fornitori e altri creditori.

Riferimenti normativi

La normativa sul sovraindebitamento rappresenta un’opportunità per individui, famiglie, professionisti e piccole imprese.

I debitori hanno infatti la possibilità di rinegoziare i debiti in base alle loro reali capacità economiche, con la prospettiva di vedersi cancellata la parte del debito che non riusciranno mai a saldare. Questo processo non deve essere considerato una  sanatoria generalizzata. Si tratta piuttosto di un meccanismo per consentire a chi è oberato dai debiti di pagare ciò che può effettivamente sostenere, conservando nello stesso tempo una vita dignitosa.

Legge salva suicidi n. 3/2012

Il sovraindebitamento è stato formalmente riconosciuto dalla Legge 3/2012, contenente  “Disposizioni in materia di usura e di estorsione, nonché di composizione delle crisi da sovraindebitamento”, meglio nota come “legge salva suicidi.

Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza

Nel 2022 il sovraindebitamento è stato riformato dal Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. 14/2019 e successive modifiche). Sebbene i principi fondamentali dell’istituto introdotti dalla Legge 3/2012 rimangano validi,  il Codice della Crisi rappresenta, al momento, il riferimento normativo principale.

Obbiettivi della procedura

Le disposizioni sul sovraindebitamento mirano a perseguire un duplice obiettivo:

  • consentire al debitore di pagare i debiti in base alle proprie effettive possibilità economiche, tenendo conto del reddito, del patrimonio e del nucleo familiare;
  • concedere l'”esdebitazione, ovvero la cancellazione di quella parte dei debiti che non può essere in alcun modo onorata, offrendo così un nuovo inizio finanziario.

Alle procedure di sovraindebitamento possono accedere però  solo coloro che si trovano in una reale situazione di difficoltà economica e che dimostrano di non aver agito in modo fraudolento o con colpa grave nella creazione del proprio indebitamento.

Codice crisi d’impresa: novità sovraindebitamento

Il Codice della Crisi ha previsto diverse novità, a tutto vantaggio del debitore.

  • Procedure familiari: i membri della stessa famiglia conviventi, con un’origine comune del sovraindebitamento, possono avviare un’unica procedura, con conseguente riduzione di costi e tempi rispetto all’obbligo di procedure individuali previsto dalla precedente normativa.
  • Meritevolezza: il debitore deve dimostrare di non aver compiuto atti di frode verso i creditori (ad esempio, sottrazione di patrimonio) e che il sovraindebitamento non è frutto di dolo o comportamenti gravemente imprudenti.
  • Merito creditizio: il codice ha introdotto un elemento di “responsabilità” per gli istituti di credito che hanno concesso finanziamenti pur essendo consapevoli della precaria situazione finanziaria del richiedente. Questo è un aspetto che può influenzare le decisioni del giudice in merito all’esdebitazione.
  • Esdebitazione del debitore incapiente o “esdebitazione senza utilità”: è consentito  cancellare tutti i debiti anche a coloro che non possiedono alcun bene o reddito da destinare al pagamento, purché”meritevoli”.
  • Cessione del quinto dello stipendio: i prestiti con cessione del quinto sono equiparati agli altri debiti e possono essere inclusi nelle procedure di sovraindebitamento.
  • Riabilitazione del richiedente: la liquidazione del patrimonio ha una durata massima e l’esdebitazione diventa automatica alla fine di questo periodo (in assenza di motivi ostativi), senza bisogno di una specifica domanda.

Debiti rientranti nel sovraindebitamento

La normativa sul sovraindebitamento può includere una vasta gamma di debiti, tra cui quelli verso le verso banche e le finanziarie, le spese per il condominio, le tasse degli enti locali; i debiti verso privati, fornitori e l’Agenzia delle Entrate. Non vi rientrano invece i debiti per alimenti dovuti al coniuge.

Destinatari procedure di sovraindebitamento

Le procedure di sovraindebitamento sono riservate ai soggetti “non fallibili”, ovvero a coloro che non superano determinate soglie dimensionali e di indebitamento previste dalla legge fallimentare. Queste categorie includono i consumatori, ossia le persone fisiche senza Partita IVA, i lavoratori autonomi, i professionisti iscritti ad albi, le piccole imprese sotto le soglie di fallibilità (debiti totali inferiori a 500.000euro; ricavi lordi inferiori a 200.000 euro e attivo patrimoniale inferiore a 300.000 euro), le aziende agricole, le Start-up innovative, gli enti no profit, enti pubblici con certe caratteristiche, i familiari del soggetto sovraindebitato (coniugi, conviventi, parenti entro il 4° grado e affini entro il 2° grado conviventi e con origine comune del debito) e i soci illimitatamente responsabili delle SNC, delle SAS e delle SPA.

Le procedure di sovraindebitamento 

Il Codice della Crisi prevede diverse procedure per affrontare il sovraindebitamento.

  1. Liquidazione controllata del sovraindebitato: questa procedura, simile alla precedente “liquidazione del patrimonio” della Legge 3/2012, prevede la liquidazione dei beni del debitore per soddisfare i creditori. Se il ricavato non copre interamente i debiti, la parte residua può essere pagata ratealmente per un periodo limitato. Il giudice ha l’ultima parola sull’esito della procedura.
  2. Piano di ristrutturazione dei debiti del consumatore: rivolto a persone fisiche con reddito stabile (dipendenti, pensionati, ecc.) e debiti prevalentemente di natura personale, questo piano prevede una proposta di pagamento sostenibile presentata ai creditori e soggetta all’approvazione del giudice. Non è soggetto al voto dei creditori.
  3. Concordato minore (ex accordo di composizione della crisi): destinato a imprese e professionisti non fallibili, prevede una proposta di pagamento ai creditori che diventa efficace se approvata da almeno il 50% dei crediti. Permette, in alcuni casi, la continuità aziendale.

Esdebitazione: cancellazione dei debiti

Anche nel caso di liquidazione del patrimonio, se il ricavato non copre l’intero ammontare dei debiti, il debitore può essere esdebitato per la parte residua. L’esdebitazione può essere richiesta anche da soggetti falliti, che hanno la possibilità di ricominciare, liberandosi dalle pendenze pregresse.

Esdebitazione senza utilità o “del debitore incapiente”

Questa forma di esdebitazione, introdotta dal Codice della Crisi, permette ai debitori “meritevoli” che non hanno alcun bene o reddito di ottenere la cancellazione di tutti i loro debiti una sola volta nella vita. Il beneficiario ha però l’obbligo di informare i creditori qualora, nei quattro anni successivi, dovesse entrare in possesso di risorse tali da consentire il pagamento di una percentuale del debito.

Procedura di sovraindebitamento in breve

La procedura di sovraindebitamento, molto brevemente, si articola nelle seguenti fasi:

  1. verifica preliminare: valutazione dell’ammissibilità alla legge e della convenienza della procedura;
  2. raccolta della documentazione: preparazione di tutti i documenti relativi alla situazione economica e patrimoniale;
  3. nomina dell’Organismo di Composizione della Crisi (OCC): un organismo terzo e indipendente che assiste il debitore;
  4. istanza al Giudice: presentazione della domanda di avvio della procedura;
  5. omologazione del Giudice: approvazione del piano o della liquidazione da parte del Tribunale, in cui è prevista l’adozione possibile di misure cautelari;
  6. attuazione del piano: esecuzione dei pagamenti previsti o liquidazione del patrimonio;
  7. esdebitazione e riabilitazione: al termine della liquidazione, avviene la cancellazione dei debiti non pagati.
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TSO: la persona va informata sul trattamento La Corte costituzionale dichiara illegittima la norma sul TSO che non garantisce comunicazione, audizione e notifica al soggetto coinvolto

Nuove tutele per chi è sottoposto a TSO

Con la sentenza n. 76/2025, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 35 della legge n. 833/1978 (Istituzione del servizio sanitario nazionale), nella parte in cui non garantisce tre fondamentali garanzie procedurali a chi è sottoposto a trattamento sanitario obbligatorio (TSO) in regime di ricovero:

  1. Comunicazione del provvedimento del sindaco al diretto interessato o al suo legale rappresentante;

  2. Audizione della persona sottoposta a TSO da parte del giudice tutelare prima della convalida;

  3. Notifica del decreto di convalida al soggetto interessato o al suo rappresentante.

Le ragioni della decisione

La Corte ha sottolineato che le garanzie costituzionali, in particolare quelle di cui agli articoli 13, 24 e 111 della Costituzione, impongono che ogni limitazione della libertà personale sia accompagnata da adeguate tutele del diritto di difesa e del principio del contraddittorio.

Nemmeno una condizione di incapacità naturale può giustificare la privazione dei diritti fondamentali: chi è affetto da infermità, fisica o psichica, non può essere escluso dalle garanzie costituzionali.

Funzioni dell’audizione

L’audizione preventiva del soggetto da parte del giudice tutelare:

  • costituisce un presidio minimo di legalità in caso di restrizioni della libertà personale;

  • assicura il rispetto del divieto di violenza fisica e morale (art. 13, comma 4, Cost.);

  • consente di valutare condizioni personali e reti familiari o sociali di supporto, utili anche per adottare provvedimenti provvisori urgenti ai sensi dell’art. 35, comma 6, legge n. 833/1978.

I punti dichiarati incostituzionali

La norma è stata ritenuta illegittima:

  • al primo comma, per non prevedere che il provvedimento del sindaco sia “comunicato alla persona interessata o al suo legale rappresentante, ove esistente”;

  • al secondo comma, per l’omissione dell’obbligo di audizione del soggetto (“sentita la persona interessata”) e di notifica della convalida;

  • al quarto comma, in riferimento alla proroga del TSO, per analogo difetto di comunicazione alla persona o al suo rappresentante.

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La soccida La soccida: guida al contratto regolato dal codice civile, che disciplina la gestione condivisa degli animali tra soccidante e soccidario

Contratto di soccida: cos’è, come funziona

Il contratto di soccida è uno strumento giuridico tipico dell’impresa agricola, finalizzato alla gestione e all’allevamento di animali in forma condivisa tra due soggetti: il concedente (o soccidante) e il soccidario. Tale istituto è disciplinato dal codice civile agli articoli 2170 e seguenti, ed è tuttora utilizzato, seppur con modalità moderne, in particolare nel settore zootecnico e lattiero-caseario.

Normativa: articoli 2170- 2186 del codice civile

La disciplina della soccida è contenuta nel capo II, sezione IV, titolo II, libro V del codice civile. In sintesi:

  • Art. 2170 c.c. definisce la soccida come un contratto associativo mediante il quale una parte fornisce gli animali da allevare, e l’altra si impegna a curarli e condurli, con divisione degli utili e delle perdite secondo accordi.
  • Gli articoli 2171–2175 c.c. regolano le diverse forme di soccida, la ripartizione dei risultati e le modalità di cessazione del rapporto.
  • Gli articoli 2176-2186 c.c. invece disciplinano le vicende contrattuali.

Chi sono le parti del contratto di soccida

Il contratto viene stipulato tra due soggetti:

  • il soccidante: ossia colui che mette a disposizione gli animali (e talvolta i mezzi di produzione);
  • il soccidario: che è colui che si occupa invece dell’allevamento e della conduzione degli animali.

Entrambe le parti assumono rischi economici e hanno diritto a una quota dei risultati economici, che possono consistere in profitti (utili) o perdite.

Caratteristiche principali del contratto di soccida

Il contratto di soccida si distingue per le seguenti caratteristiche:

  • è un contratto associativo, non di lavoro subordinato né di appalto;
  • prevede la condivisione dei risultati, non un corrispettivo fisso;
  • riguardare sia beni mobili (animali da allevamento) sia, indirettamente, l’uso di terreni e strutture;
  • richiede forma scritta, anche per ragioni fiscali e previdenziali;
  • è soggetto a registrazione, ed è spesso monitorato dalla Pubblica Amministrazione per evitare abusi (es. interposizione fittizia di manodopera).

Tipologie di soccida

Il codice civile individua diverse forme di soccida, che si distinguono in base all’apporto delle parti.

  1. Soccida semplice: il soccidante fornisce gli animali, il soccidario li alleva.
  2. Soccida parziaria:  il bestiame viene conferito dai due contraenti nelle proporzioni convenute, e diventano comproprietari in proporzione al conferimento.

Durata e cessazione

Il contratto di soccida in genere è a termine, la durata è spesso legata al ciclo di vita o produttivo degli animali (es. ingrasso, lattazione, riproduzione). Se le parti non stabiliscono un termine la durata è di 3 anni (art. 2172 c.c.). Una volta giunto a scadenza il contratto non cessa di diritto. La parte che non vuole rinnovarlo deve comunicare però la disdetta almeno 6 mesi prima o nel termine maggiore stabilito dalla convenzione o dagli usi.  Se la parte non comunica la disdetta allora il contratto si rinnova di anno in anno.

Al termine del contratto si procede alla divisione degli animali dopo una nuova stima. Il soccidario, previo accordo don il soccidante preleva i capi nella misura corrispondente a quello apportato all’inizio tenuto conto dell’età, della razza, del sesso e del peso degli animali.

Quando conviene utilizzare il contratto di soccida

Il contratto di soccida è particolarmente utile in ambito agricolo e zootecnico, dove permette la condivisione dei rischi d’impresa tra chi ha capitale (animali, strutture) e chi offre lavoro e competenze. Il contratto però deve essere redatto con attenzione e trasparenza, evitando schemi elusivi che potrebbero essere riqualificati in sede ispettiva o fiscale.

Giurisprudenza sulla soccida 

Di seguito una serie di massime della Cassazione sulla soccida:

Cassazione n. 1146/2022: il contratto di soccida, disciplinato dagli articoli 2170 e seguenti del Codice Civile italiano, è un accordo agrario di tipo associativo. In pratica, due imprenditori collaborano per la gestione congiunta di un allevamento, con l’obiettivo di condividere gli incrementi del bestiame e i relativi profitti. Nel caso della soccida semplice, il soccidante (uno dei due imprenditori) fornisce gli animali e i mangimi necessari al loro mantenimento, occupandosi anche della direzione dell’attività di allevamento. Sia il soccidante che il soccidario (l’altro imprenditore) condividono il rischio d’impresa. In questa specifica tipologia, il regime speciale IVA per i produttori agricoli può essere applicato anche al soccidante, in quanto qualificabile come tale.

Tribunale di Parma, sentenza 11 agosto 2021: La soccida (art. 2170 c.c) è un contratto associativo agrario per la gestione del bestiame. Le parti si uniscono per un fine comune: ottenere la proprietà condivisa di prodotti e utili, non per una controprestazione. Questo scopo comune e la condivisione degli effetti la rendono simile a una società (art. 2247 c.c.), con particolare enfasi sull’acquisto della comune proprietà sul bestiame e i suoi frutti.

Cassazione n. 13739/2013: il soccidante, dirigendo l’impresa, ha responsabilità solidale per le condotte illecite del soccidario, anche per mancata vigilanza.

 

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